Sigla di
Organizzazione per la liberazione della Palestina.
Organizzazione sorta nel 1964 per volere della Lega Araba (di cui fu membro),
allo scopo di dare migliore coesione alla resistenza palestinese contro lo Stato
israeliano. Primo presidente fu Ahmad Shuqairī che, in occasione del primo
congresso nazionale palestinese a Gerusalemme, varò un programma di lotta
che aveva come principale obiettivo la distruzione di Israele e la costruzione
di una Palestina libera, unita e laica. Dal 1965 l'
OLP poté
disporre di un proprio esercito, ma non riuscì a coagulare intorno a
sé i diversi nuclei combattenti palestinesi, come Al-Fatah, che
ritenevano l'azione dell'
OLP di scarsa incisività. In seguito al
conflitto del 1967, Shuqairī fu esautorato e sostituito da Yahyā
Hammūda, che riuscì ad avviare un efficace processo di unificazione
tra le diverse fazioni palestinesi: nel novembre del 1968 fu concluso ad Amman
un accordo tra l'
OLP e i capi dei tre maggiori movimenti palestinesi,
Al-Fatah, FPLP e Saika. Al-Fatah, affermatosi sotto la leadership di Yasser
Arafat come formazione guida nelle scelte politiche e strategiche, assunse
rapidamente il controllo dell'intera
OLP, tanto che lo stesso Arafat fu
eletto presidente dal comitato esecutivo nel 1968. Stabilito un Governo in
esilio al Cairo, l'
OLP fu invitata a partecipare alla conferenza dei
Paesi non-allineati, svoltasi ad Algeri nel 1973, dove fu riconosciuta
"rappresentante legittima del popolo palestinese". Analogo riconoscimento
ottenne al vertice dei Paesi della Lega Araba e, nel febbraio 1974, alla
Conferenza dei Paesi islamici, mentre Arafat, intensificando il proprio
dinamismo diplomatico, ottenne nell'agosto del 1974 il consenso del Cremlino
all'apertura di una rappresentanza ufficiale dell'
OLP a Mosca. A distanza
di poco più di un anno, l'
OLP fu riconosciuta anche dall'ONU, la
cui Assemblea generale, nel 1976, invitò ufficialmente l'
OLP a
partecipare al dibattito sul Medio Oriente, quale rappresentante del popolo
palestinese e con gli stessi diritti di uno Stato membro delle Nazioni Unite.
Sul piano dell'azione diretta, l'organizzazione realizzò numerosi
attacchi contro lo Stato israeliano e attentati di natura terroristica
(dirottamenti aerei, atti di guerriglia urbana, ecc.); di contro, nei territori
occupati dall'esercito di Israele fin dalla guerra del 1967 (Cisgiordania e
Gaza), si valse in prevalenza di forme tradizionali di resistenza (scioperi,
manifestazioni, boicottaggi, ecc.) e, nel 1976, elesse propri rappresentanti
alle elezioni municipali. L'
OLP fu costretta, inoltre, a difendere la
propria autonomia dai Paesi arabi, che più volte tentarono di assorbirla
o comunque di ridurne la rilevanza politico-militare a proprio vantaggio. Dopo
gli accordi di Camp David (V.
CAMP DAVID,
ACCORDI DI) firmati
nel 1978 da Egitto e Israele, l'
OLP, rifiutando di accettare le
concessioni per l'autodeterminazione dei Palestinesi, si trovò privo
dell'appoggio politico-economico dell'Egitto, guadagnando, però, quello
integralista e antisionista dell'Iran di Khomeini. Fin dal 1981 il Consiglio
nazionale dell'
OLP aderì alla proposta sovietica di una conferenza
di pace per il Medio Oriente, in cui parteciparono i rappresentanti di
OLP e Israele: si trattava di un primo riconoscimento politico da parte
palestinese dello Stato ebraico, fatto che non mancò di creare divisioni
interne tra i gruppi più oltranzisti dell'
OLP e il nucleo storico
più moderato, fedele ad Arafat. Nel 1982 l'invasione israeliana a Sud del
Libano disperse ulteriormente le comunità palestinesi rifugiate in Libano
e indebolì la stessa
OLP, che fissò a Tunisi il nuovo
quartiere generale dell'organizzazione. Arafat abbracciò una linea
diplomatica che si tradusse in primi (segreti) contatti con i progressisti
israeliani, parziali aperture verso proposte americane e in un progetto con la
Giordania per la creazione di una federazione palestinese-giordana, che
includeva i territori della Cisgiordania ancora occupati dagli Israeliani, e
introduceva per la prima volta il concetto di "pace in cambio di territori"
(1983). A questo piano, però, si opposero sia Siria e Israele, sia le
fazioni oltranziste interne all'
OLP; fu un dato allarmante
l'approfondirsi della divisione tra esponenti moderati legati al leader storico
Arafat e gli intransigenti, alcuni dei quali controllati dalla Siria e guidati
da Abu Musa, che accusarono il capo dell'
OLP di tradimento della causa
palestinese. Le due fazioni ebbero anche degli scontri armati, nella valle della
Bekaa. Nel 1985 l'
OLP subì un ennesimo attacco, quando il suo
quartiere generale a Tunisi fu bombardato dall'aviazione israeliana. Arafat
continuò tuttavia a svolgere, in accordo con la Giordania, la sua
politica di mediazione, stretto tra i veti opposti di Libia e Siria e le accuse
di tradimento delle formazioni della guerriglia palestinese. Nel 1986 re Hussein
di Giordania, riavvicinatosi alla Siria, si staccò dall'
OLP e
chiuse addirittura gli uffici di rappresentanza dell'
OLP nel suo Paese;
questo fatto portò a un periodo di isolamento dell'organizzazione e ad
una ripresa, da parte degli oltranzisti, di atti terroristici. Alla fine del
1987, lo scoppio dell'Intifada (V.) a Gaza e in
Cisgiordania restituì all'
OLP il ruolo di unico rappresentante e
mediatore del popolo palestinese in un processo di pace. In questa direzione
lavorò il Consiglio nazionale che, nel 1988, accettando ufficialmente le
risoluzioni 242 e 338 dell'ONU, prese atto dell'esistenza dello Stato d'Israele
ma, contemporaneamente, proclamò la nascita di uno Stato palestinese nei
territori occupati di Gaza e Cisgiordania, di cui elesse un Governo in esilio.
In tal modo l'
OLP tracciò le linee guida di un possibile processo
di pace, in cui i due Stati avrebbero dovuto riconoscere e consentire la
reciproca esistenza. Le dichiarazioni rese dallo stesso leader Arafat a Ginevra,
a proposito della rinuncia al terrorismo e al diritto di Israele a vivere "in
pace e sicurezza", resero possibili nel 1989 i primi contatti per un dialogo tra
OLP e Stati Uniti, mentre nell'aprile dello stesso anno Arafat venne
formalmente eletto capo dello Stato di Palestina, ricevendo riconoscimenti
ufficiali da Spagna, Francia, Italia, Vaticano e CEE. Tuttavia, il prestigio
internazionale di Arafat fu oscurato dalla sua posizione durante la guerra del
Golfo, a fianco di Saddam Hussein e in opposizione all'Occidente, tanto che, nel
1991, quando il segretario di Stato statunitense J. Baker si recò per
condurre trattative di pace in Medio Oriente, l'
OLP fu esclusa dai
colloqui e, alla conferenza di pace di Madrid, fu presente solo come consigliere
esterno e non come rappresentante delle popolazioni palestinesi, che inviarono
consiglieri autonomi. Nonostante le difficoltà, acuite anche da una
crescita del movimento integralista Hamas all'interno dei territori occupati e
in opposizione all'
OLP, Arafat riuscì comunque a mantenere una
salda leadership e si impegnò per recuperare credibilità anche
all'estero come interlocutore per la questione palestinese. La vittoria in
Israele del fronte elettorale laburista di Rabin e Peres, da sempre più
disponibili a mediazioni per ottenere la pace, portò a una decisione
significativa del Parlamento israeliano, che abolì la legge per cui era
fatto divieto a cittadini israeliani di avere contatti con membri
dell'
OLP, investendo con ciò l'organizzazione dell'onere della
trattativa. Si trattava di un momento di grande difficoltà internazionale
per l'Olp, esiliata a Tunisi, ghettizzata dal mondo arabo e privata di fondi dai
paesi produttori di petrolio per essersi schierata con Saddam Hussein durante la
crisi del Golfo, mal tollerata dagli Stati Uniti e dalla maggior parte delle
potenze occidentali. A Tunisi, il 26 agosto 1993, Arafat ottenne l'assenso dal
Consiglio dell'
OLP per la firma di un accordo conclusivo con Israele,
raggiunto dopo una serie di colloqui preliminari e segreti svoltisi ad Oslo e
ratificati ufficialmente il 13 settembre 1993 alla Casa Bianca. Con essi, Arafat
e Rabin affermarono il riconoscimento reciproco dello Stato di Palestina e di
Israele e costituirono un'Autorità palestinese a partire dai territori di
Gaza e Gerico. Seguirono, fra il 1994 e il 1995, numerosi altri accordi di
carattere economico e politico, tutti condotti dai quadri dell'
OLP in
rappresentanza della popolazione palestinese, mentre le prime elezioni del
presidente dell'Autorità palestinese e del Consiglio dell'autonomia si
tennero solo nel gennaio 1996. La vittoria delle destre in Israele nel 1996
rallentò il processo di pace tra i due popoli. Pur non prevedendo gli
accordi di Oslo specifici impegni da parte di Israele sui principali punti del
conflitto (le frontiere della futura entità palestinese, il futuro delle
colonie d'insediamento ebraiche, la sorte dei rifugiati palestinesi, la
ripartizione delle risorse idriche, lo statuto di Gerusalemme), grazie ad essi
Israele ottenne la cessazione dell'Intifada, mentre l'
Olp ottenne
il proprio riconoscimento formale come rappresentante del popolo palestinese, e
quello, implicito, delle aspirazioni nazionali da essa incarnate, il ritorno dei
feddayin nella loro terra natale e una limitata autonomia su alcune porzioni di
territorio. Nonostante le critiche rivoltigli per essere stato troppo
condiscendente verso Israele, Arafat ha continuato a portare avanti i negoziati,
nonostante il governo di Gerusalemme abbia spesso disatteso gli impegni assunti,
proseguendo ed intensificando, per esempio, la costruzione e l'ampliamento delle
colonie di insediamento sul territorio teoricamente di spettanza ai palestinesi.
Nel luglio 2000, alla fine di un incontro tenutosi a Camp David,
l'
Olp ha ottenuto qualche concessione rilevante (cessione del 90%
della Cisgiordania e sovranità parziale dei palestinesi su Gerusalemme
est) da parte del primo ministro israeliano Barak, leader dei laburisti, che non
ha però rinunciato a rivendicare la sovranità esclusiva di Israele
sui Luoghi santi, e in particolare sulla moschea di al-Aqsa, affermando che essa
sarebbe stata costruita sui resti del Tempio di Salomone. L'impasse dei
negoziati e la recrudescenza della repressione israeliana - nonostante l'accordo
di cessazione delle violenze raggiunto da Arafat e l'ex premier Shimon Peres nel
novembre 2000 - ha innescato la rivolta che, dalla fine del settembre 2000, ha
continuato a infiammare i territori palestinesi in Cisgiordania e a Gaza, tanto
da far parlare di una seconda Intifada. Quest'ultima, invocata dallo
stesso Arafat, è pure diversa dalla prima in quanto caratterizzata da
scontri limitati e violenti localizzati ai limiti delle zone autonome
palestinesi. Nel contempo, l'avvento del governo di destra di Ariel Sharon
(febbraio 2001) e la decisione dell'amministrazione americana di concedere a
Israele un aiuto militare di centinaia di milioni di dollari sono stati
ulteriori elementi di rottura del processo di pace avviato con la dichiarazione
di Oslo del 1993.
Yasser Arafat