(dal latino tardo
nigellum, dal classico
nigellus: nerastro).
Lavoro di oreficeria consistente nel riempire i solchi di un'incisione a bulino,
su una lamina d'argento o d'oro, con una specie di smalto nero (detto anch'esso
n.), composto di rame rosso, argento fino, piombo, zolfo croceo e borace.
A contatto del corpo inciso e preventivamente scaldato, il
n. si scioglie
e penetra nell'incisione; dopo il raffreddamento, la superficie viene levigata e
lucidata. ● Arte - Noto agli antichi, tale procedimento comparve
già nelle ornamentazioni ageminate sulle spade micenee, come fondo scuro
e per qualche ritocco nei particolari delle figure. Al principio del Medioevo fu
praticato dall'arte orientale e, in particolare, bizantina. Nel 1400 l'arte del
n. si restrinse quasi esclusivamente all'Italia e venne applicata,
oltreché agli oggetti di culto, anche a quelli profani. Fra i più
noti niellatori quattrocenteschi: M. Finiguerra, Pollaiolo, F. Brunelleschi, F.
Francia, Caradosso, Peregrino da Cesena, B. Cellini. Lastre niellate e prove si
conservano al Museo Britannico, al Gabinetto delle stampe di Parigi e in varie
collezioni private.