(dal latino
nihil: nulla). Termine utilizzato, a partire dalla fine del
XVIII sec., per designare ogni concezione filosofica che neghi non solo un
determinato sistema di valori, ma anche la stessa esistenza della realtà
oggettiva, considerando i fenomeni come illusioni o nullità assoluta. La
prima occasione in cui comparve il termine
N. fu la polemica tra Fichte e
Jacobi, del 1799, che si risolse nell'accusa, mossa alla filosofia
trascendentale kantiana, di dissolvere il mondo dei fenomeni in mera apparenza,
destituendolo così della sua consistenza. Il primo intellettuale che
assunse un atteggiamento positivo nei confronti del
N. fu M. Stirner.
Questi, nell'opera
L'unico e la sua proprietà (1845), intese il
N. come negazione di concetti astratti quali "umanità" e "storia",
che opprimono i soggetti individuali concreti. Il termine ricorre anche nel
volume di W. Hamilton intitolato
Lezioni di metafisica (1859). Hamilton
considera nichiliste tutte le dottrine che negano la realtà sostanziale
del mondo. Grande importanza riveste il
N. russo, il cui maggior
esponente è certamente lo scrittore I. Turgenev. Nel suo romanzo
Padri
e figli (1862), Turgenev tratteggia la figura dell'eroe nichilista come
negatore polemico dei valori tradizionali e della morale gretta e conservatrice
dei Russi. A questa morale e a questi valori Turgenev contrappone la proposta di
un ordine differente, fondato sulla fede nella scienza e nella verità.
Nichilisti si possono anche definire molti esponenti del populismo russo degli
anni Sessanta, che propugnarono un materialismo scientista ed esaltarono
l'atteggiamento pragmatico teso al perseguimento dell'utile e del profitto. In
seguito, in Russia, il
N. si trasformò, da fenomeno puramente
intellettuale in fenomeno politico; il termine nichilista divenne quindi
sinonimo di anarchico rivoluzionario. Nichilista fu considerata la generazione
dei rivoluzionari russi formatasi dopo la liberazione dei contadini. Il
N. assume un'importanza centrale nel pensiero di Nietzsche, in quanto
viene considerato come il fondamento dell'intera civiltà occidentale
contemporanea. Con l'affermazione "Dio è morto", Nietzsche vuole
esprimere l'emancipazione dell'uomo da ogni fede metafisica e da ogni sistema di
valori trascendenti. Il
N., in Nietzsche, assume due significati: il
primo, negativo, è quello che indica la decadenza dell'uomo occidentale
cristiano, educato alla rinuncia, alla remissività, all'autosoppressione
degli istinti più sani e naturali; il secondo, positivo, rappresenta il
"metodo genealogico", che serve per smascherare i falsi valori che dominano
l'Europa (Cristianesimo e Socialismo). Questo, secondo
N., da un lato
distrugge, nella pratica come nella teoria, i valori della tradizione e tende a
superare l'uomo ad essi legato; dall'altro prepara la strada per l'avvento di un
uomo nuovo, che pensa e agisce secondo un nuovo sistema di valori. Nel XX sec.,
il filosofo M. Heidegger interpreta gli insegnamenti di Nietzsche, attribuendo
loro un ruolo di fondamentale importanza. Nel pensiero di Heidegger
N. e
metafisica si identificano con un processo, che culmina nel trionfo della
volontà di potenza e nel totale oblio dell'essere. Anche nelle
riflessioni di Sartre è possibile riscontrare alcuni elementi propri del
N. Il filosofo francese, infatti, nell'opera
L'essere e il nulla,
pubblicato nel 1943, sostiene l'esistenza di un irriducibile antagonismo tra
l'io e il mondo, che vanifica il senso dell'agire umano.