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Neoegizio.

Denominazione data alla lingua egizia a partire dal 1576 a.C. Di una vera affermazione della letteratura n. si può parlare a partire dal Regno di Osermaatre Ramses II della XIX dinastia (1295-1229 a.C.) e da quello di Userkheperure Merenptah, della stessa dinastia (1213-1209). La fortuna del n. si protrasse fino all'avvento della XXV dinastia (713-701 a.C.) L'avvento della XVIII dinastia tebana, che fu caratterizzata dal riconoscimento della piena dignità personale dell'individuo, vide la lingua parlata assurgere a dignità letteraria così che la letteratura di quel tempo presenta attualmente minori difficoltà interpretative rispetto a quella del periodo precedente (medioegizio). Il n. come lingua parlata e letteraria costituì una delle principali caratteristiche della cultura di questo periodo: la morfologia e la sintassi del medioegizio vennero piegate a nuove esigenze; per esprimere il valore del tempo verbale si sviluppò la coniugazione perifrastica; si differenziarono più nettamente i valori delle frasi subordinate e si articolò l'intera espressione in un tipo di lingua più analitica e malleabile. Anche l'ortografia venne modernizzata. Fu un'opera di rinnovamento radicale ma continuamente bloccata, nella sua piena attuazione, dalla presenza della tradizione. Il n. non presentò un'unitarietà, ma si manifestò come un compromesso tra la spinta al volgare parlato e la coscienza di una tradizione da non dover dimenticare. Gli scrittori si servirono delle possibilità lessicali, morfologiche e sintattiche del n. in maniere diverse. Per questo l'ortografia non riuscì a sviluppare una nuova tecnica di espressione fonetica, ma si accontentò di introdurre alcune notazioni correttive sugli elementi della grafia tradizionale con la conseguenza di un disordine che non permise una formulazione unitaria di regole ben precise.