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Natura.

(dal latino natus, part. pass. di nasci: nascere). L'insieme degli esseri viventi e delle cose inanimate che costituiscono la totalità del reale. ║ La forza generatrice, il principio immanente alle cose stesse per cui esse divengono e si manifestano come tali. ║ Ambiente. ║ Nell'uomo, l'insieme delle qualità, delle tendenze, degli istinti innati preesistenti all'educazione. ║ Il carattere specifico, l'essenza di una determinata cosa. ● Filos. - L'indagine filosofica ha attribuito al concetto di n. un ampio spettro di significati, spesso compresenti, considerandola il principio vitale, di carattere finalistico o meccanicistico, che anima l'universo fenomenico, oppure la realtà dell'universo stesso, quale si rivela ai nostri limitati strumenti di indagine, o quale oggettivamente è. La speculazione greca presocratica intende il termine n. come il principio generante della totalità del reale, che è insieme essere e divenire, ricercandone l'essenza dietro l'apparenza fenomenica. Per i filosofi ionici, il problema del principio delle cose e della genesi del cosmo a partire dal principio si risolve nell'individuazione di un elemento primigenio, divino, che per Talete è l'acqua, per Anassimandro l'infinito, per Anassimene l'aria. Partendo dalla constatazione dell'universale dinamismo del cosmo, Eraclito vede nella sintesi degli opposti il principio che spiega tutta la realtà, laddove proprio la pluralità e la mutevolezza del divenire, che si colgono attraverso i sensi, sono, per Parmenide, apparenza e inganno rispetto alla realtà eterna e immutabile dell'essere, che non coincide col mondo dei fenomeni. Con gli atomisti, compare una concezione meccanicistica e materialistica della n.: il mondo è il risultato dell'aggregazione di atomi mossi da una rigorosa legge di necessità. All'oggettivismo naturalistico, la scuola sofistica oppone la distinzione fra il piano della n. (physis) e quello della legge o della convenzione (nómos): nasce, così, la distinzione fra diritto naturale e diritto positivo, cioè umano, quindi arbitrario e "artificiale". La contrapposizione fra la sfera della n. e quella dell'uomo si accentua con Socrate, che rivendica all'uomo il primato sulla n., e con i cinici, che propugnano un ideale di vita "secondo n.". Per Platone l'essenza della realtà coincide col mondo delle Idee, che può e deve essere oggetto di indagine scientifica; su un piano inferiore è posta la realtà sensibile, a cui corrisponde un livello inferiore di conoscenza, l'opinione. Aristotele, superando il dualismo platonico, definisce, nella Fisica, la n. come "il principio e la causa del movimento e della quiete" delle cose; essa è dunque, nel contempo, causa efficiente, formale, materiale e finale del continuo processo di generazione e formazione. Una concezione finalistico-panteistica contraddistingue il pensiero stoico: la n. è considerata forza e principio che foggia e crea tutte le cose, unificando e dando coesione al mondo e, nel contempo, necessità e destino, Dio, provvidenza e retta ragione; essa si manifesta differentemente in relazione a ciascun tipo di essere: nell'uomo il principio direttivo coincide con la ragione (lógos). L'ordine razionale che permea l'universo si manifesta anche in sede etica: la legge morale è una legge naturale. La filosofia neoplatonica svaluta il concetto di n.: fra le ipostasi che procedono dall'Uno, attraverso l'Intelletto e l'Anima, fino alla materia, considerata non-essere, la n. rappresenta l'Anima rivolta verso la materia. Questa concezione influenzerà il pensiero cristiano successivo che, fondandosi sulla distinzione fra creatore e creato, considera la n. inferiore e imperfetta rispetto a Dio creatore e, come realtà temporale, in opposizione a quella trascendente. Da qui la distinzione scolastica fra n. naturans (causa prima identificata con Dio) e n. naturata (l'insieme delle cose create). Per il Cristianesimo primitivo, la n. non rappresentava una realtà nettamente separata dalla dimensione soprannaturale: l'uomo, caduto per il peccato originale in un mondo caratterizzato dal bisogno e dal lavoro, con le sue forze, e sorretto dal dono divino della grazia, aveva la possibilità di costruire sulla terra lo stesso regno dei cieli, non più posto come un'astrazione, ma considerato, in una visione unitaria della n., dunque dell'essere, attuabile nel tempo, nella storia del mondo. Ruggero Bacone è il primo a considerare la n. una realtà da trasformare mediante l'attività e l'educazione dell'uomo. La rivalutazione della n. come realtà che, in quanto creata, ha una sua propria dignità, prosegue con Tommaso d'Aquino: se Dio è la causa prima di tutto ciò che accade, la n. va considerata come il complesso organico delle cause seconde. In età rinascimentale, questa valutazione positiva della n. subisce una forzatura nel senso di una sua identificazione con Dio stesso; la n. viene considerata un organismo, dotato di anima e di vita attraverso cui si manifesta direttamente la divinità: da qui lo sviluppo dell'occultismo e dell'astrologia, che si spiega con il bisogno di unire il celeste al terreno, il macrocosmo al microcosmo, per consentire all'uomo di operare nella n. e di influire su di essa. Nel XVII sec., anche in seguito al recupero della tradizione pitagorica, che per prima aveva concepito l'universo come un cosmo ordinato e misurabile, dunque conoscibile, Galileo Galilei considera la n. una grande macchina creata secondo leggi matematiche che l'uomo, attraverso il metodo sperimentale, può imparare a dominare. Egli distingue nettamente i compiti della scienza da quelli della rivelazione, sostenendo l'esistenza di due ordini diversi di verità, legati a fini diversi, da raggiungere per vie diverse. Il dominio della scienza sulla n. si ottiene riducendo quest'ultima ad una realtà astratta, indagabile con gli strumenti matematici. Questa concezione meccanicistica e materialistica, formatasi proprio grazie allo sviluppo delle scienze, opera lungo tutta l'età illuministica con l'identificazione di n. e ragione, di ciò che è materiale con ciò che è razionale. Parallelamente la concezione vitalistica e animistica della n. viene rielaborata da Giordano Bruno: egli considera la n. uguale in ogni sua parte, ritenendo che non vi è nessuna distinzione fra mondo celeste e mondo sublunare, che ciascun punto dell'universo è, al tempo stesso, centrale e periferico e che quindi l'uomo, proteso verso l'infinito, si deve dissolvere in tale infinità, ritrovandosi in Dio, ma perdendo così se stesso. Da qui la necessità, per il ricercatore, di separarsi dal "tutto", per poterlo osservare oggettivamente. Spinoza, riprendendo la distinzione scolastica fra n. naturans e n. naturata, identifica la n. in un'unica sostanza divina che, di volta in volta, può essere considerata come unità, oppure nei suoi molteplici aspetti. Lungo questo stesso filone, Schelling intende la n. come uno dei due aspetti, insieme allo spirito, dell'Assoluto; essa rappresenta la preistoria dello spirito che, prima di raggiungere l'autocoscienza, si rivela come n. inconsapevole. Proponendosi di mediare fra posizioni idealistiche e meccanicistiche, Kant parte dalla considerazione della n. come l'insieme di tutti i fenomeni sensibili collegati da leggi di causalità e necessità; rovesciando, tuttavia, il rapporto tradizionale tra la realtà sensibile del mondo dell'esperienza e il pensiero, egli considera il mondo della n. non come una realtà assoluta, indipendente da noi, ma una realtà che ci appare così com'è, perché il nostro pensiero la dispone in questi termini, secondo l'esigenza organizzativa che gli è propria. L'ordine che le scienze naturali scoprono a posteriori non appartiene alla n. in sé, ma è aprioristicamente determinato dall'intelletto umano. La contrapposizione della n. allo spirito rappresenta una costante del pensiero filosofico dell'Ottocento e del Novecento, in polemica con il meccanicismo proposto dal Positivismo. In questo senso, la filosofia romantica oppone decisamente alla concezione meccanicistica una rivalutazione della spontaneità e creatività insite nella n., riprendendo la distinzione fra ciò che è per n. e ciò che è per convenzione. Jean-Jacques Rousseau considera la n. come l'indole originaria dell'uomo non ancora corrotto dalla società. Hegel, rifacendosi a motivi neoplatonici, concepisce la n. come la negazione dell'Idea, il regno della cieca necessità e accidentalità. Un grande contributo al filone materialistico è quello di Marx: fondandosi sulla concezione della struttura economica come realtà naturale, indica nel lavoro dell'uomo lo strumento per trasformare la n. di cui egli stesso fa parte. In una condizione di lavoro "alienato", però, l'uomo non può affermare se stesso, non può svolgere la propria energia fisica e spirituale; soltanto in una condizione di lavoro "non alienato" muterebbe il rapporto dell'uomo con se stesso, con il suo lavoro, con il mondo sensibile e sociale. Indirizzi della filosofia contemporanea che, pur accogliendo le tesi evoluzionistiche, rifiutano un'interpretazione rigidamente meccanicistica fanno riferimento a C. Lloyd Morgan e a H. Bergson, che vedono nella n. la capacità di organizzare la materia in forme sempre nuove e originali. La teoria einsteiniana della relatività postula che in n. non può esistere un principio di riferimento assoluto, così come lo sviluppo di nuovi campi di ricerca (l'elettromagnetismo, la teoria quantistica, la fisica atomica, ecc.) determina la crisi del modello meccanicistico. La tendenza prevalente, abbandonato il progetto di individuare un unico principio che costituisca la n. di tutte le cose, è quella di ricondurre tutti i fenomeni che costituiscono l'intero mondo umano a leggi non teleologiche e matematicamente formulabili. ● Teol. - Il complesso delle cause create da Dio e mantenute in essere da un atto della sua volontà. Essa è compresa nel soprannaturale, a cui è gerarchicamente inferiore e di cui presenta le tracce; gode di una potentia oboedientis, che è la capacità di ricevere il soprannaturale, per atto di libera volontà divina, senza annullarsi in esso. In particolare, secondo Tommaso d'Aquino, tutto ciò che è naturale è libero di espandersi secondo il proprio intrinseco statuto, senza limitazioni né controlli estrinsecamente imposti. La n., in quanto creata, porta l'innata aspirazione al soprannaturale che la grazia, quale libero dono divino, perfeziona. ║ La controversia cristologica, sulle caratteristiche della n. di Cristo, riguarda i primi secoli del Cristianesimo. A partire dal III sec. si confrontano diverse tesi; alcuni teologi come Ario, Teodoto, Paolo di Samosata, Luciano di Antiochia sostenevano che Cristo non è uguale, nella sostanza, al Padre e non è Figlio di Dio in senso naturale (Arianesimo). Nel V sec. Nestorio, patriarca di Costantinopoli, avversando la consuetudine per cui Maria veniva chiamata Theotókos (Madre di Dio), sostenne che le due nature di Cristo incarnato erano rimaste inalterate e distinte nell'unione (Nestorianesimo). Al monaco Eutiche (V sec.) risale la tesi secondo cui in Cristo sussisteva una sola n., quella divina, che dopo l'incarnazione aveva assorbito l'umana (Monofisismo). Il Concilio di Calcedonia del 451 stabilì che nell'unica persona di Cristo coesistono due nature. ║ La teologia morale distingue nella n. umana vari stati: quello di n. pura, in cui l'uomo ha in sé tutto e solo quello che corrisponde alla sua stessa n.; lo stato di n. integra, in cui l'uomo ha i doni preternaturali dell'immortalità, dell'impassibilità, dell'immunità dalla concupiscenza; lo stato di n. elevata, in cui avrebbe i doni soprannaturali della grazia e della predestinazione alla gloria. Dopo il peccato originale, l'uomo si è ritrovato nello stato di n. decaduta, con la perdita, cioè, di tutti i doni e l'incapacità di resistere alle passioni; grazie alla redenzione operata da Gesù Cristo, riacquista uno stato di rinnovata amicizia con Dio (n. riparata).