Relativo a Napoli. ● St. -
Repubblica n.:
V. PARTENOPEA, REPUBBLICA. ● Arte -
Scuola n.: termine che nella storia dell'arte indica il complesso delle
manifestazioni artistiche sviluppatesi a Napoli dal XIV sec. all'inizio del XX
sec. I primi segni di un carattere specificamente locale si palesano in seguito
all'attività
n. di Giotto. Il primo esponente di una tendenza
pittorica locale è il cosiddetto Maestro della Cappella Barrile (forse
Antonio Cavarretto), che nelle sue opere (decorazioni della Cappella Palatina in
Castel Nuovo, 1330; affreschi della Cappella Barrile, 1334) mostra di rifarsi al
cromatismo giottesco, dedicando un'attenzione inconsueta e personale ad
espressioni più riposte e segrete della realtà. Gli indirizzi e le
peculiarità della scuola
n. si vanno meglio delineando e
precisando nel Maestro di Santa Elisabetta (S. Maria Donnaregina, Napoli), in
cui è evidente l'influsso non solo della scuola giottesca, ma anche del
Cavallini della Cappella Brancaccio (San Domenico, Napoli); la produzione
artistica del Maestro, contraddistinta da una ricerca spaziale e luministica che
accentua la vivacità narrativa, segna l'inizio del periodo pittorico
angioino. In quest'ambiente, dominato da scuole toscane e romane, si sviluppa la
personalità più eminente del Trecento
n., Roberto
D'Oderisio. Partendo dall'esempio di Giotto e del fiorentino Maso di Banco, in
quegli anni attivo a Napoli, egli adatta il colorismo giottesco a una concezione
dello spazio più aperta e dilatata. Il passaggio dagli Angioini agli
Aragonesi (1443) comporta un crescente, vivo interesse degli artisti
n.
per la cultura figurativa dell'Europa settentrionale, a partire dal probabile
soggiorno
n. di Fouquet. È soprattutto in Colantonio (polittico di
San Vincenzo Ferrer, San Pietro Martire, Napoli, 1462), maestro di A. da
Messina, che si riscontra una consapevole e matura assimilazione di elementi del
linguaggio pittorico del fiammingo J. Van Eyck. Dopo Colantonio, nel periodo
precedente l'inizio del viceregno spagnolo (1503), la scuola
n. esprime
personalità minori (A. Antonelli da Capua, A. Arcuccio, P. Befulco), con
la parziale eccezione del Maestro del polittico di San Severino, di forte
ascendenza fouquettiana innestata su componenti iberico-valenzane. Nel primo
Cinquecento spicca la figura di Andrea Sabatini da Salerno, nella cui
produzione, oltre alla lezione di pittori lombardi attivi nel Mezzogiorno, come
Cesare da Sesto e lo Pseudo Bramantino, si manifesta con chiarezza l'apporto
raffaellesco. In quegli anni, artisti come R. Quartararo, A. Solario, S. Sparano
danno vita a un linguaggio figurativo originale, inteso a una rappresentazione
più introspettiva della realtà, effetto della compresenza della
cultura raffaellesca di Andrea da Salerno con quella antirinascimentale di A.
Aspertini. Il manierismo
n. cinquecentesco, per mancanza di
personalità locali eminenti, risulta dapprima una sorta di elaborazione
più o meno originale del manierismo tosco-romano, introdotto a Napoli da
G.F. Penni, Leonardo da Pistoia, Polidoro da Caravaggio (1524 e 1527-28), dal
Vasari stesso a partire dal 1544 e poi da P. de Rubiales e dal senese M. Pino
nel 1557. È con S. Buono che il manierismo
n. esprime una propria
originalità: l'artista riuscì ad armonizzare gli apporti romani
con gli influssi nordici, addolcendo la severità controriformistica
mediante componenti naturalistiche di stampo fiammingo (
Pietà,
Napoli, Museo di Capodimonte). I contatti con il mondo pittorico nordico vengono
ulteriormente rafforzati dalla venuta a Napoli del fiammingo T. d'Errico (1574).
La fine del secolo registra la presenza di filoni eterogenei: il decorativismo
di B. Corenzio, la produzione contoriformistica e devozionale di F. Santafede,
il barocchismo di ascendenza senese di G. Imparato e I. Borghese e, infine, il
manierismo emotivo e misticheggiante di F. Curia, il massimo pittore
n.
dell'ultimo Cinquecento, derivante dal michelangiolismo di M. Pino e
caratterizzato da grande vivacità cromatica (
Incoronazione della
Vergine, Santa Maria la Nova, Napoli, 1603). Al sorgere del XVII sec. i
giovani artisti della scuola
n. sono toccati in modo indelebile dalla
personalità di Michelangelo da Caravaggio, presente due volte a Napoli
(1606 e 1609). Nella
Visione di santa Candida (Sant'Angelo a Nilo,
Napoli, 1614), C. Sellitto si dimostra precursore nell'assimilazione della
lezione caravaggesca, segnando il superamento del manierismo. L'autorità
del Caravaggio si manifesta più estesamente nella produzione di B.
Caracciolo (
Battesimo di Cristo, Quadreria dei Gerolamini, Napoli), dove
in ultimo si nota però uno stile che già può dirsi barocco
(
San Gennaro fra i vescovi, Certosa di San Martino, Napoli). Nella scuola
caravaggesca
n. sono stati individuati due filoni principali: l'uno,
guidato da J. Ribera, tendente alla scomposizione della compattezza materica di
Caravaggio; l'altro, di cui è caposcuola M. Stanzione, tendente alla
condensazione, alla coesione della struttura pittorica caravaggesca. Al primo
appartiene il Maestro dell'Annuncio ai Pastori; al secondo, A. Falcone. F.
Guarino da Solofra (
Avviso della fuga in Egitto, Collegiata di Solofra)
può essere considerato come il punto di incontro tra le due scuole,
avvicinandosi alla lezione caravaggesca, al modo del Maestro dell'Annuncio ai
Pastori, e di quei pittori naturalisti che nelle loro rappresentazioni hanno
lasciato sincere testimonianze della vita rurale. La prima metà del
secolo si caratterizza per la presenza sia di esperienze naturalistiche, come
quelle di F. Vitale e P. Finoglia, estranee ai due filoni sopra ricordati, che
di tendenze classiciste, insieme a residui di cultura tardomanierista. Nel 1622
Guido Reni soggiorna brevemente a
N., dal 1634 vi è attivo
Domenichino e, dopo il 1635, si fa sentire l'influsso della pittura di Rubens e
della sua scuola. Tra coloro che risentono della lezione fiamminga è B.
Cavallino. Nel XVII sec. si diffonde, inoltre, la pittura di genere, favorita da
una forte committenza cittadina. Ad A. Falcone, figura di grande spicco e
seguito nell'ambito della scuola
n., si deve tra l'altro il genere della
battaglia; la natura morta, il cui successo proseguirà fino agli inizi
del secolo successivo, ha a Napoli alcuni dei suoi migliori e più
specializzati interpreti (L. Forte, P. Porpora, G.B. e G. Recco, G.B. Ruoppolo).
Il passaggio dal Naturalismo al Barocco si realizza con L. Giordano che, con gli
affreschi di Palazzo Medici Riccardi a Firenze (1682), con quelli all'Escorial
(1692-1702) e con la decorazione della cappella del Tesoro di San Martino a
Napoli (1704), travalica la dimensione locale per attingere a un linguaggio
pittorico di respiro europeo che, per l'estrema levità della forma e del
colore, anticipa la stagione Rococò. I suoi allievi G. Mastroleo e P. de
Matteis, chiamati a Parigi nel 1702, contribuirono a diffondere la fama della
scuola in Europa. Con F. Solimena si attua, invece, il definitivo passaggio dal
Barocco al Rococò. Attento al momento
n. di M. Preti (1656-60),
quando l'artista si trovava al culmine della sua ricerca di esiti altamente
drammatici, Solimena esprime una pittura accademica magniloquente e solenne
(crociera del duomo di Napoli) che avrà risonanza internazionale e
sarà di importanza fondamentale per gli sviluppi della scuola
n.
Tra gli allievi di Solimena figura C. Giaquinto, che dal 1752 al 1762 è
in Spagna, direttore dell'Accademia di San Fernando. Il Rococò
n.,
come reazione al purismo accademizzante, è rappresentato anche da F. De
Mura, il più geniale degli allievi di Solimena, che negli affreschi della
chiesa dei Santi Severino e Sossio (1738-46) consegue risultati di estrema
raffinatezza formale e di delicata preziosità cromatica. Contrapponendosi
al sovrabbondante decorativismo dell'arte ufficiale, la pittura di G. Bonito si
propone di rappresentare in chiave caricaturale il nascente mondo borghese,
mentre con G. Traverso si entra già in un clima preilluminista, per il
piglio con cui l'artista satireggia la società
n. settecentesca
(
Concerto in salotto, Museo di Capodimonte, Napoli). Nella seconda
metà del Settecento, la scuola
n. si perpetua con una serie di
abili e talvolta geniali decoratori delle regge borboniche e dei palazzi dei
nobili
n.: I. Cestaro, G. Starace. G. Diano, F. Falciatore, P.
Bardellino, F. Fischetti. L'accademismo che caratterizza gli ultimi decenni del
Settecento e che si prolunga anche nel secolo successivo per l'influenza di
maestri tedeschi come J.Ph. Hackert, H.F. Füger e altri, presenti a Napoli
in gran numero, viene infine superato verso il 1830 con la nascita della
cosiddetta scuola di Posillipo, ispirata dall'opera dell'olandese Antonio Pitloo
e poi di Giacinto Gigante. Il movimento esprime una pittura di paesaggio basata
sulla diretta ripresa del dato naturale nei suoi valori di luce e colore. Il
realismo ha i suoi principali esponenti nei Palizzi e in Domenico Morelli,
mentre subito dopo l'Unità d'Italia pittori come M. Cammarano, G. Toma,
A. Mancini e scultori come V. Gemito tentano, attraverso esperienze e soluzioni
personali, l'analisi di alcuni aspetti della realtà sociale di Napoli.
Nell'Ottocento la scuola
n. consegue risultati modesti che la confinano
in un ambito provinciale, rimanendo così sostanzialmente estranea alle
esperienze artistiche che si andavano maturando nel frattempo in Europa;
è, però, in questo secolo che inizia a farsi strada la coscienza
del carattere unitario della pittura locale e che viene elaborato il concetto di
scuola
n.