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Menzini, Benedetto.

Poeta e letterato italiano. Di povera famiglia, poté studiare grazie all'interessamento del marchese Giovan Vincenzo Salviati. Presi gli ordini sacri, ricoprì la cattedra di Eloquenza alle università di Firenze e Prato. Si trasferì quindi a Roma, dove ottenne protezione e aiuto presso Cristina di Svezia (1685-89) e Innocenzo XII (1695), il quale lo nominò suo cameriere personale e gli fece ottenere una prebenda canonicale a Sant'Angelo in Peschiera. Nel 1701 fu nominato assistente del cardinale Brugueres alla cattedra di Eloquenza italiana della Sapienza di Roma. Fu accademico della Crusca (1702), membro dell'Arcadia, dell'Accademia fiorentina e di quella degli Apatisti. M. sviluppò una delle prime critiche argomentate nei confronti del Secentismo e rappresentò l'inizio di un nuovo rapporto, che egli giustificò teoricamente, fra letteratura, cultura ed erudizione, tra animo poetico e animo morale, alla luce di una visione della poesia che ha nella saggezza e nel buon gusto i suoi postulati contenutistici e formali. La critica del barocchismo, in M., si accompagna alla semplice eleganza tipica dell'Arcadia. Il contributo che M. diede alla storia della letteratura italiana è più teorico, nella ricerca di nuove forme espressive, che poetico. Tra le sue opere ricordiamo: Costruzione irregolare della lingua italiana (1679); Poesie liriche (1680), che gli valse l'epiteto di "salvatore della poesia toscana"; Dell'arte poetica (1688), cinque libri in terza rima tesi a superare la poesia barocca in nome di una nuova fondata sul "buon gusto"; Il Terrestre Paradiso (1691), tre libri in ottave sulla cacciata dell'uomo dall'Eden; L'Accademia tuscolana (1705), romanzo pastorale in versi e prosa; Satire (1718, postume) (Firenze 1646 - Roma 1704).