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Meinecke, Friedrich.

Storico tedesco. Di famiglia conservatrice, studiò a Berlino sotto la guida di Droysen e qui si laureò nel 1886. Dal 1887 al 1901 fu collaboratore di von Sybel all'Archivio di Stato prussiano, dove affinò il suo metodo filologico. Dal 1895 fu direttore del giornale "Historische Zeitschrift", che sotto la sua guida divenne una delle riviste storiche più importanti del mondo, e ne mantenne la direzione fino al 1935, quando il Governo nazista lo costrinse ad abbandonare la rivista. Fu docente di Storia moderna in varie università tedesche, a Strasburgo nel 1901, a Friburgo nel 1906 e a Berlino dal 1914 all'avvento del Nazismo (1928). Dopo la guerra fu designato docente e poi rettore onorario della Libera Università di Berlino Ovest. Fu socio straniero dell'Accademia dei Lincei (1950). Figura di primo piano della cultura tedesca del XX sec., M. è considerato uno dei maggiori rappresentanti della storiografia idealista. Approfondì la storia tedesca del XIX sec. e la storia delle dottrine politiche, rivolgendo la sua attenzione soprattutto al problema del rapporto tra politica e morale. Proprio questo interesse per il conflitto tra kratos ed ethos, tra politica intesa da un lato come violenza e dall'altro come istanza morale e momento dello spirito, lo attrasse a studiare i momenti della storia che erano particolarmente rappresentativi di esso. Tutta la sua opera appare ispirata dall'idea di un ritorno all'idealismo tedesco classico. Nel periodo precedente la prima guerra mondiale, scrisse opere sulla storia tedesca dell'Ottocento, riflettendo in particolare sul ruolo che nella formazione dello Stato tedesco aveva avuto lo Prussia quale forza unificatrice rispetto alla rimanente Germania, intesa come entità storica e culturale (L'epoca della rinascita tedesca 1799-1815, 1906; Prussia e Germania nel XIX e XX sec., 1918). Punto di partenza della sua dottrina è quindi la critica della politica di Bismarck, in quanto si fondava sulla ragion di Stato contro gli ideali tradizionali: il realismo di Bismarck aveva spento nell'anima tedesca gli ideali di Stein e dei combattenti di Lipsia. La sconfitta tedesca nel primo conflitto mondiale lo spinse ad approfondire la riflessione su Stato nazionale e cosmopolitismo, tema già affrontato in Cosmopolitismo e Stato nazionale (1908), in cui opponeva al cosmopolitismo illuministico il concetto, di derivazione romantica, della individualità dello Stato e della sua piena libertà di far valere il suo diritto di affermazione. L'esperienza della guerra perduta tuttavia fece sentire a M. la necessità di porre un limite alla idea di potenza. La sua seconda grande opera, L'idea della ragion di Stato nella storia moderna (1924), traccia un quadro del pensiero politico europeo negli ultimi secoli e vede lo Stato come una realtà ibrida, per metà elementare natura destinata alla violenza e per metà spirito. La ragion di Stato costituisce il ponte tra istinto di potenza e responsabilità morale. M. fu acceso sostenitore della Repubblica di Weimar. Dopo l'ascesa al potere di Hitler, scrisse Le origini dello storicismo (1936), nella quale pose in evidenza il tragico rischio della negazione dei valori spirituali; contro lo storicismo hegeliano, egli sostenne un diverso tipo di storicismo, rappresentato soprattutto da Goethe. In esso il rapporto tra storia e assoluto, insolubile su un piano puramente razionale, rimanda a una fede che assume aspetti quasi religiosi. L'ideale di una cultura liberatrice, europea e tedesca insieme, animata dallo spirito goethiano di una comunità cristiano-occidentale, è riaffermata anche nell'opera da lui scritta alla fine della seconda guerra mondiale, La catastrofe tedesca (1948), in cui lo storico si propose di scagionare la classe dirigente della Repubblica di Weimar dalla responsabilità di aver consentito l'ascesa di Hitler al potere (Salzwedel, Sassonia 1862 - Dahlem, Berlino Ovest 1954).