Uomo politico filippino. Intrapresi gli studi di Legge, li completò in
carcere, poiché nel 1935 fu arrestato con l'accusa di aver ucciso un
avversario politico di suo padre; affrontò e vinse il suo primo processo,
che lo vedeva nella duplice veste di imputato e difensore di se stesso.
Scarcerato, partecipò alla seconda guerra mondiale nelle file
dell'esercito degli Stati Uniti e divenne un eroe della resistenza contro il
Giappone. Nel 1949, quando le Filippine avevano ormai ottenuto l'indipendenza,
fu eletto deputato al Congresso per il Partito liberale e iniziò una
rapida carriera politica; senatore dal 1959, fu presidente del Senato dal 1963
al 1965. Divenuto il Partito liberale minoritario,
M. passò a
quello nazionalista, riuscendo a proporsi come candidato alla presidenza della
Repubblica. Vincitore sul presidente uscente, il liberale Macapagal, nelle
elezioni del novembre 1965, cercò immediatamente di guadagnarsi
l'appoggio, oltre che del tradizionale elettorato conservatore, anche della
burocrazia e del sottoproletariato, affermando di voler porre tutte le risorse
disponibili al servizio dello sviluppo nazionale e impostando un ambizioso piano
di lavori pubblici, tendente a migliorare i collegamenti all'interno
dell'arcipelago filippino mediante la costruzione di strade, ponti, ferrovie,
porti. Richiamandosi a questo programma, nel 1969 chiese e ottenne, con un'ampia
maggioranza, un nuovo mandato presidenziale.
M. approfittò di
questa conferma per consolidare la propria posizione, assumendo poteri
semidittatoriali in un Paese in cui, sin dall'immediato dopoguerra, di fronte al
prevalere delle correnti conservatrici e alla mancata realizzazione delle
riforme, gruppi di partigiani si erano rifiutati di deporre le armi, continuando
la guerriglia. Per fronteggiare il malessere del Paese (povertà,
ineguaglianza sociale, tensioni etniche e religiose, arretratezza delle
strutture agricole) e combattere gli oppositori filocinesi e islamici,
M.
nel 1971 sospese l'
habeas corpus, nel 1972 impose la legge marziale e,
con l'avvicinarsi della scadenza del secondo e ultimo mandato presidenziale a
lui consentito dalla Costituzione, fece elaborare una nuova Carta
Costituzionale, che promulgò nel 1973. Il consenso ottenuto e l'arresto
di moltissimi avversari non servirono però a rendere inattiva
l'opposizione. Rieletto presidente nel 1981 a suffragio popolare,
M.
conseguì un mandato di sei anni. All'interno del Paese egli
proseguì la lotta contro l'opposizione, mentre la politica
internazionale, gestita sempre con la collaborazione della moglie Imelda
Romualdez, nominata governatore di Manila, continuò a essere
caratterizzata da un'impronta filostatunitense, anche se venne attuato un
tentativo di recupero dei rapporti con il Giappone, per favorirne gli
investimenti nelle Filippine. Nel 1983, tuttavia, dopo l'assassinio del leader
dell'opposizione Benigno Aquino, sul quale gravava il sospetto fondato di
responsabilità governative, la situazione precipitò e il regime di
M. subì pesantissime sconfitte. Infatti alle elezioni politiche
del 1984 l'opposizione conquistò un terzo dei seggi, nonostante gli
episodi di violenza e i brogli. Alle presidenziali del 1986, il Parlamento
dichiarò ufficialmente eletto
M., ma Corazon Aquino, vedova del
leader dell'opposizione ucciso, si autoproclamò a sua volta presidente,
con l'appoggio della Chiesa, di gran parte della popolazione e dei militari.
M., quindi, anche a causa delle pressioni esercitate dagli Stati Uniti
che fino a quel momento l'avevano sostenuto per poter mantenere basi militari
nel Nord-Est asiatico, si vide costretto a rinunciare alla presidenza e a
rifugiarsi alle Hawaii, da dove mantenne sempre contatti con i suoi sostenitori
in patria, autori di ripetuti tentativi di colpo di Stato.
M. fu
incriminato nel 1988, insieme alla moglie, per aver sottratto alle Filippine e
trasferito in modo illecito negli Stati Uniti ingenti somme di denaro;
gravemente ammalato, morì in esilio senza che i processi a suo carico si
concludessero (Sarrat, Luzon 1917 - Honolulu 1989).