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Manfredi.

Re di Sicilia. Figlio naturale dell'imperatore Federico II di Svevia e di Bianca Lancia dei conti di Busca, legittimato alla morte del padre (1250), sposò (1247) Beatrice, figlia di Amedeo IV di Savoia, da cui nacque la figli Costanza. Abile combattente, M. non ebbe però la statura morale del padre, e soccombette alle stesse forze centrifughe e disgregatrici che avevano progressivamente minato gli ultimi anni del Regno di Federico II ed erano rese più pressanti dal nuovo assetto economico e politico che andava determinandosi in Italia. Alla morte del padre, fu investito del principato di Taranto (lasciatogli in testamento) e delle contee di Tricarico e Gravina, divenendo nel contempo, a soli 18 anni, reggente del Regno di Sicilia in nome del fratello maggiore Corrado IV che si trovava in Germania. I possessi dell'Italia meridionale, che per molti secoli avevano sofferto sia della depauperante amministrazione bizantina, sia delle razzie musulmane, non erano stati fusi in quella unità spirituale che avrebbe dovuto farne una potenza economica e produttiva tale da rivaleggiare con le regioni centrali e settentrionali della penisola, dove la potenza imperiale era in progressivo declino, mentre aumentava l'importanza feudale e comunale; ciò apparve subito chiaro a M. quando cercò di difendere i diritti del fratello, insidiati dagli stessi feudatari tedeschi stanziati in Lombardia, come Berchtold von Hohenburg, e italiani, come Pietro Ruffo, grande maresciallo del morto imperatore e feudatario delle Calabrie, i quali cercavano tutti di destreggiarsi in modo da conservare i propri possessi e di rendersi indipendenti anche di fronte al papato. Dietro suggerimento dello zio Galvano Lancia, pare che M. tentasse accordi diretti con papa Innocenzo IV il quale, però, insisteva nel pretendere la restituzione integrale degli Stati concessi dalla Chiesa (papa Leone IX) ai Normanni in un momento particolarmente difficile per il pontefice, allorché, dopo la battaglia di Civitate (1053), lo stesso papa era stato fatto prigioniero dal normanno Guglielmo Braccio di Ferro, nonché quelli del vicariato apostolico concesso (1061) a Roberto il Guiscardo quando questi era riuscito a scacciare gli Arabi dalla Sicilia, terre sulle quali l'imperatore Federico II aveva posto la sua sovranità. Sospettando di M., nella paura che quegli volesse soppiantarlo, Corrado IV, appena giunto in Sicilia, bandì i Lancia e relegò il fratello in una posizione di umiliante inferiorità, che ne sminuì il prestigio: sicché, quando alla morte di Corrado (1254), avvenuta improvvisamente, il governo ricadde su M. scoppiarono ovunque insubordinazioni gravi, alimentate e aggravate dalla scomunica e M. dovette piegarsi (pur avendo ereditato dal padre la potenza imperiale) ad accettare, onde avere perdono dalla Chiesa, l'investitura papale dei suoi feudi e il vicariato di Basilicata e di Puglia. Questa sua accettazione scatenò l'ostilità fra i suoi aderenti e quelli del papa, uno dei quali, Borrello di Anglano, venne ucciso; dell'accaduto fu ritenuto colpevole lo stesso M. che, dopo aver tentato invano di discolparsi, si rifugiò a Lucera, fra i Saraceni, colà raggruppati dal defunto imperatore Federico e fedeli alla memoria di questi, del quale custodivano il tesoro: essi lo acclamarono re (1254). Forte di uomini e di mezzi, M. riprese rapidamente il controllo della situazione, batté le forze della Chiesa guidate da Hohenburg, e fu dai baroni, raccolti a Palermo, proclamato re (1258). Cercò allora presto e abilmente di ridare alle fortune imperiali l'antico prestigio: strinse patti con Venezia e Genova, con i comuni ghibellini contro i feudatari guelfi: sostenne Asti contro Alessandria, Pisa contro Lucca, Siena contro Firenze, dando il suo contributo alla battaglia di Montaperti (1260). Ma, dopo il breve e debole pontificato di Alessandro VI, Urbano IV, che gli successe, riprese (1261) un'energica azione antisveva, investendo ufficialmente del Regno di Sicilia Roberto d'Angiò, e interessando all'impresa i grandi finanzieri toscani (specie di Firenze) e lombardi. Nonostante i successi dei capitani di M. (Pietro di Vico, Percivalle Doria) ottenuti nella Tuscia e in Toscana, Roberto d'Angiò riuscì a sbarcare presso Roma (1265), città il cui popolo, e soltanto esso, aveva il diritto di disporre della dignità imperiale e al quale M. si era invano rivolto per essere incoronato imperatore. La presenza delle forze angioine, sebbene dibattentisi in difficoltà economiche, provocò un rapido rovesciamento politico nella mutevole situazione italiana: mentre città ghibelline passavano in campo guelfo e si accordavano con il papa, i capitani imperiali, come Guido Novello e Buoso da Duera, non impedivano la marcia, via terra, degli Angioini e anche i baroni della Sicilia patteggiavano con Roberto d'Angiò, disertando le schiere di M. che, assottigliate e malfide, furono agevolmente battute, nonostante l'eroismo di pochi fedeli, nella battaglia di Benevento, in cui M. preferì affrontare la morte sul campo (1232 - Benevento 1266).