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Malebranche, Nicolas de.

Filosofo francese. Oratoriano, ossia appartenente alla congregazione dell'Oratorio, fu ordinato sacerdote nel 1664. La sua ricerca filosofica muove dal problema cartesiano della relazione tra res cogitans e res extensa. Egli però riconduce il cartesianesimo alla teologia agostiniana, giungendo a una concezione teocentrica. Del razionalismo cartesiano M. accetta la svalutazione critica dell'esperienza sensibile: sensazioni e immagini non sono proprietà del reale, bensì modificazioni della nostra anima. Esse non traggono in inganno in quanto tali, ma siamo noi a essere tratti in errore quando crediamo che esse siano rappresentative della realtà: il loro valore è pratico, in quanto servono alla conservazione del nostro corpo. Solo l'intelletto puro ci fa uscire da noi stessi e ci mette a contatto coi veri oggetti della nostra conoscenza, distinti da noi. Delle idee chiare e distinte, quella di estensione (intelligibile) ci fa conoscere la natura dei corpi. Tale idea, però, non deriva dalle cose sensibili, per quanto si accompagni alle "sensazioni": neppure essa è nostra produzione, dato che l'io umano non è "creatore", né è pensabile sia contenuta in noi, data la natura ricettiva del nostro pensiero. Essa pertanto è esclusivamente in Dio, centro di tutte le eterne idee, mentre noi, che le intuiamo, siamo e pensiamo in Dio che, in quanto "luogo degli spiriti", è onnipresente e assomma in sé tutti gli esseri pensanti. La vera conoscenza consiste in una "visione intellettiva" delle cose in Dio. Quanto all'estensione sensibile dei corpi, è possibile ammetterla solo per fede, poiché la creazione divina è assolutamente libera e, inoltre, il peccato originale, offuscando il nostro intelletto, ci induce a credere con maggiore facilità al sensibile piuttosto che all'intelligibile. Quanto al nostro io, anche se siamo in grado di affermare l'esistenza con un sentimento interiore (coscienza), non siamo in grado tuttavia di conoscerne l'essenza, dato che non abbiamo di esso un'idea obiettiva. Ancor meno possiamo conoscere la natura di Dio, benché l'idea dell'infinito che possediamo ci consenta di provare, a priori, la sua esistenza. Dio solo è inequivocabile causalità: il nostro pensiero è pura ricettività, l'estensione è passività. La natura, ossia la forza che anima ciascuna cosa, è volontà divina: "una causa naturale non è dunque una causa vera e reale, ma solo una causa occasionale che l'Autore della natura induce ad agire in questo o quel modo, in questa o quella circostanza". Tuttavia, M. non annulla la libertà del volere umano e considera la volontà come la facoltà attiva che aspira al Bene. Sue opere principali: Ricerca della verità (1674); Meditazioni sull'umiltà e la penitenza (1677); Trattato della natura e della grazia (1680); Meditazioni cristiane e metafisiche (1683); Trattato di morale (1683); Dialogo di un filosofo cristiano e di un filosofo cinese sull'esistenza di Dio (1708) (Parigi 1638-1715).