Filosofo francese. Oratoriano, ossia appartenente alla congregazione
dell'Oratorio, fu ordinato sacerdote nel 1664. La sua ricerca filosofica muove
dal problema cartesiano della relazione tra
res cogitans e
res
extensa. Egli però riconduce il cartesianesimo alla teologia
agostiniana, giungendo a una concezione teocentrica. Del razionalismo cartesiano
M. accetta la svalutazione critica dell'esperienza sensibile: sensazioni
e immagini non sono proprietà del reale, bensì modificazioni della
nostra anima. Esse non traggono in inganno in quanto tali, ma siamo noi a essere
tratti in errore quando crediamo che esse siano rappresentative della
realtà: il loro valore è pratico, in quanto servono alla
conservazione del nostro corpo. Solo l'intelletto puro ci fa uscire da noi
stessi e ci mette a contatto coi veri oggetti della nostra conoscenza, distinti
da noi. Delle idee chiare e distinte, quella di estensione (intelligibile) ci fa
conoscere la natura dei corpi. Tale idea, però, non deriva dalle cose
sensibili, per quanto si accompagni alle "sensazioni": neppure essa è
nostra produzione, dato che l'io umano non è "creatore", né
è pensabile sia contenuta in noi, data la natura ricettiva del nostro
pensiero. Essa pertanto è esclusivamente in Dio, centro di tutte le
eterne idee, mentre noi, che le intuiamo, siamo e pensiamo in Dio che, in quanto
"luogo degli spiriti", è onnipresente e assomma in sé tutti gli
esseri pensanti. La vera conoscenza consiste in una "visione intellettiva" delle
cose in Dio. Quanto all'estensione sensibile dei corpi, è possibile
ammetterla solo per fede, poiché la creazione divina è
assolutamente libera e, inoltre, il peccato originale, offuscando il nostro
intelletto, ci induce a credere con maggiore facilità al sensibile
piuttosto che all'intelligibile. Quanto al nostro io, anche se siamo in grado di
affermare l'esistenza con un sentimento interiore (coscienza), non siamo in
grado tuttavia di conoscerne l'essenza, dato che non abbiamo di esso un'idea
obiettiva. Ancor meno possiamo conoscere la natura di Dio, benché l'idea
dell'infinito che possediamo ci consenta di provare, a priori, la sua esistenza.
Dio solo è inequivocabile causalità: il nostro pensiero è
pura ricettività, l'estensione è passività. La natura,
ossia la forza che anima ciascuna cosa, è volontà divina: "una
causa naturale non è dunque una causa vera e reale, ma solo una causa
occasionale che l'Autore della natura induce ad agire in questo o quel modo, in
questa o quella circostanza". Tuttavia,
M. non annulla la libertà
del volere umano e considera la volontà come la facoltà attiva che
aspira al Bene. Sue opere principali:
Ricerca della verità (1674);
Meditazioni sull'umiltà e la penitenza (1677);
Trattato della
natura e della grazia (1680);
Meditazioni cristiane e metafisiche
(1683);
Trattato di morale (1683);
Dialogo di un filosofo cristiano e
di un filosofo cinese sull'esistenza di Dio (1708) (Parigi 1638-1715).