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Maistre, Joseph de.

Pensatore, scrittore e diplomatico savoiardo. Laureatosi in Legge a Torino, percorse tutti i gradi della magistratura e, nel 1788, fu nominato senatore. Convinto di poter giungere, attraverso la massoneria, all'instaurazione di un'unica Chiesa, quella cattolica, aderì dapprima alla Loggia di rito inglese Trois Mortiers, poi a quella di rito scozzese, detta della Sincérité. In un primo tempo non avversò il moto di rinnovamento francese, ma quando questo assunse un orientamento decisamente rivoluzionario ne divenne un irriducibile oppositore. Quando la Savoia venne occupata dalle truppe rivoluzionarie, si rifugiò ad Aosta. Ritornato in patria per evitare la confisca dei beni, rifiutò di sottomettersi al nuovo regime, che avversò sia sul piano dottrinario che politico. Nel 1793 dovette nuovamente lasciare la Savoia e riparare in Svizzera, a Losanna. Ritornato a Torino nel 1797, fu poi a Venezia e nel 1799 fu nominato reggente della Cancelleria reale di Sardegna, ma i contrasti col viceré Carlo Felice indussero Vittorio Emanuele I a nominarlo nel 1802 ministro plenipotenziario in Russia. Fu molto bene accolto dalla corte zarista, tanto da indurre nel 1812, lo zar Alessandro I a proporgli di passare al suo servizio, offrendogli un alto incarico che egli però rifiutò. Questo rifiuto, unitamente alla sua polemica antiortodossa filocattolica, gli alienò le simpatie dello zar che, nel 1817, sollecitò il suo richiamo a Torino. Nominato capo della Gran Cancelleria e ministro di Stato, trascorse gli ultimi anni a portare a termine e a rivedere le opere scritte durante i quindici anni trascorsi in Russia. Nel periodo della Restaurazione, M. fu il massimo esponente, insieme con L. De Bonald, di quella corrente tradizionalista che avversava l'Illuminismo e che collegava la suprema necessità dell'ordine alla monarchia legittimista e al potere pontificio, riproponendo l'autorità della tradizione. Per un certo periodo sembrò persino che le sue brillanti polemiche potessero demolire le idee e le organizzazioni del liberalismo. Egli rimproverava all'Illuminismo la fiducia nella ragione e riprendeva l'innatismo cartesiano contro l'empirismo. Secondo la concezione di M., l'uomo non può raggiungere la verità che inchinandosi alla Provvidenza divina e a quelli che sono i suoi strumenti terreni: Chiesa e Stato. Non solo egli giustificava, sul piano teorico, la restaurazione cattolica e monarchica, ma considerava la forma monarchica di governo come la massima garante della sovranità, proveniente al sovrano direttamente da Dio. Egli attribuiva al Papa un'autorità superiore a quella dei principi tale da potersi assumere l'autorità di deporli e di sciogliere i sudditi dal giuramento di fedeltà. Secondo M. la storia è governata dalla Divina Provvidenza e i disegni di questa sono imperscrutabili. In politica, avversò l'Austria in quanto contraria all'espansione del Piemonte in cui egli vedeva il nucleo costitutivo dell'unità d'Italia. Opere principali: Lettere di un realista savoiardo (1793); Considerazioni sulla Francia (1776); Saggio sul principio generatore delle costituzioni politiche (1808); Del papa (1819); Le serate di San Pietroburgo, ovvero Colloqui sul governo temporale della Provvidenza (1821); Esame della filosofia di Bacone, postuma (1826) (Chambéry 1753 - Torino 1821).