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Luigi XVI.

Re di Francia e poi, dal 1791, re dei Francesi. Figlio del Delfino Luigi e di Maria Giuseppina di Sassonia, sposò nel 1770 Maria Antonietta, figlia dell'imperatore Francesco I e di Maria Teresa d'Austria, e nel 1774 successe al nonno Luigi XV. D'animo mite e di carattere profondamente onesto, non contaminato dall'atmosfera di corte, privo di regalità nei modi, cresciuto all'osservanza religiosa, ma non avvezzo ai problemi di governo, L. XVI si dimostrò incapace di prendere decisioni lungimiranti in campo politico e di portare avanti le riforme in campo sociale, mentre si abbandonò volentieri a coltivare la sua passione per l'artigianato meccanico (specie l'orologeria e l'arte del fabbro). In principio, L. XVI seppe circondarsi di ministri disinteressati e capaci, ma le loro proposte (abolizione della tortura, riorganizzazione militare, stato civile ai protestanti, libera circolazione dei grani, soppressione delle corporazioni) vennero bocciate dalla Corte: il pericolo che le concessioni avrebbero potuto sovvertire l'ordine costituito, spinse il re a licenziare dopo un paio di anni gli stessi ministri da lui stesso nominati. Allontanò così dapprima il triumvirato di ministri Terray-Maupeou-d'Aiguillon che avevano aperto la via ad un dispotismo illuminato e poi congedò il controllore generale Turgot. La precaria situazione finanziaria (Luigi XV aveva lasciato molti miliardi di debiti nell'erario) affidata nel frattempo al banchiere ginevrino J. Necker, si andava aggravando, soprattutto per le esigenze della guerra nord-americana, a fianco degli appena costituiti USA, nella quale la Francia era intervenuta sotto la pressione dell'opinione pubblica; la crisi finanziaria sarebbe stata sanabile solo cambiando sistema, non modificandolo e Necker lo denunciò pubblicamente dimettendosi (1781), pare a causa dell'ostilità della regina. Le difficoltà finanziarie crebbero, al punto che, di fronte all'atteggiamento della nobiltà, e al rifiuto del piccolo Parlamento di ratificare nuovi crediti, L. XVI, consigliato da Necker intanto richiamato, dovette convocare gli Stati Generali che si radunarono a Versailles (5 maggio 1789). Dinanzi all'ostruzionismo della nobiltà (Primo Stato) e del clero (Secondo Stato), il Terzo Stato (borghesia e classi lavoratrici) si riunì per proprio conto, nell'aula della pallamano, rivendicando a sé la rappresentanza della nazione. Dapprima sostenuto dal consiglio della Corona, il re annullò le decisioni di queste riunioni, ma dinanzi al loro rifiuto di sciogliersi si vide obbligato a intimare agli altri due Stati di riunirsi al terzo ricostituendo gli Stati Generali. Le correnti di Corte insinuarono allora nell'animo di L. XVI il sospetto che fosse Necker a istigare le pretese del Terzo Stato e lo obbligarono al definitivo congedo del ministro che era molto popolare. Le notizie di un concentramento di truppe nei dintorni della capitale fecero scoppiare la rivolta e il popolo assalì (14 luglio 1789) e poi demolì la Bastiglia aiutato dalla guardia nazionale da poco costituita: era scoppiata la Rivoluzione Francese. L. XVI identificò nel Terzo Stato l'Assemblea nazionale, la quale votò una costituzione che il sovrano fu obbligato a riconoscere (11 settembre 1789): ugualmente cedette alle minacce del popolo che aveva invaso Versailles e si trasferì con tutta la famiglia alle Tuileries. Segretamente egli aveva tentato contatto con il conte H.G. Mirabeau, partigiano della monarchia costituzionale, mentre non aveva potuto esimersi dal dichiarare guerra all'Austria, ciò che acuì l'indignazione popolare contro Maria Antonietta. Morto Mirabeau, L. XVI capì che la situazione era insostenibile e tentò la fuga all'estero, fuga che, male preparata e tardi eseguita, naufragò a Varennes (20 giugno 1791). L'Assemblea nazionale votò la sospensione delle prerogative reali fino al suo giuramento alla nuova costituzione, giuramento che avvenne nel settembre 1791; a questa data L. XVI assunse il nuovo titolo di "re dei Francesi". Il sovrano fu però subito in conflitto con l'Assemblea, rifiutandosi di ratificare la legge sulla laicizzazione del clero e le misure di confisca contro gli emigrati. Gli estremisti dell'Assemblea (giacobini) organizzarono una sollevazione popolare che invase le Tuileries: i "sanculotti" parigini sfilarono dinanzi alla famiglia reale e coprendola di insulti. Una nuova invasione del palazzo obbligò il re e la sua famiglia a cercare la protezione della stessa Assemblea, ma questa lo dichiarò sospeso dalle sue funzioni e decretò il suo arresto. L. XVI fu rinchiuso prima al Louvre e poi alla prigione del Tempio. L'Assemblea convocò la convenzione per emettere un nuovo statuto e per giudicare il sovrano deposto. Il processo si concluse con la condanna a morte, decretata il 17 gennaio 1793. Il re affrontò il patibolo quattro giorni dopo con grande coraggio e dignità (Versailles 1754 - Parigi 1793). • Arte - Stile L. XVI: articolazione del tardo Luigi XV che anticipa le soluzioni completamente neoclassiche dello stile Direttorio. Predomina la sobrietà lineare, i motivi ornamentali si alleggeriscono e prendono ispirazione dall'arte classica (viticci, foglie d'acanto, rosette): tutti i tipi di mobile in uso nel regno di Luigi XV si fanno più semplici, leggeri, cedendo il passo ad una ritrovata funzionalità; caratteristiche le gambe diritte, cilindriche e appena scanalate a ricordo delle colonne classiche. Le sedie hanno schienale rettangolare, "a medaglione" o a forma di lira, intagliato che va a sostituire il motivo della conchiglia prima in auge. Per quanto riguarda gli interni, le tappezzerie seriche si fanno rare, così come le stoffe ricamate con fili di seta, che lasciano volentieri spazio a tele più sobrie, dai colori tenui, decorate con corone di fiori e sottili rigature verticali. I maggiori ebanisti del periodo furono: G. Jacob, R. Dubois, G. Guillaume, J.F. Leleu e J.C. Delafosse.