Psichiatra e antropologo italiano. Nominato professore di Psichiatria a Pavia
nel 1862, nel 1871 assunse la direzione dell'ospedale psichiatrico di Pesaro e
nel 1876 la cattedra di Medicina legale e Igiene pubblica nell'università
di Torino. Successivamente (1905), nella stessa università, occupò
la cattedra di Antropologia criminale. Appartenne a quel gruppo di scienziati
che, sul finire del secolo scorso, cercarono di trarre conclusioni speculative
dallo studio di discipline quali la medicina, la fisiologia, la biologia, ecc.;
egli operò anche nell'ambito della ricerca filosofica e i suoi scritti
ebbero una notevole influenza sul movimento positivistico. Promotore degli studi
di antropologia criminale, enunciò nuove teorie, quali quella secondo cui
il genio sarebbe una forma di pazzia, oggi completamente scaduta, o l'altra che
affermava la natura atavica del delinquente (il "delinquente nato"), gravato da
uno stato di inferiorità organica; quest'ultima è stata smentita
dalle più recenti ricerche biologiche e sociologiche. Condusse inoltre
studi e ricerche sul cretinismo e spaziò in ogni campo della medicina
sociale. Tra le opere principali:
Genio e follia (1864);
Studi per una
geografia clinica italiana (1865);
L'uomo delinquente (1876);
Il
delitto politico e le rivoluzioni (1890);
La donna delinquente, la
prostituta e la donna normale (1893) (Verona 1835 - Torino 1909).