Facoltà di esprimersi attraverso la parola e, più in generale,
attraverso altri segni. Due sono le grandi direzioni di indagine per lo studio
del
l.: una interna e l'altra esterna. La prima è seguita da
coloro che si occupano del
l. in generale e da coloro che si occupano
della struttura del
l., ossia dei rapporti tra le parole, dal punto di
vista grammaticale, sintattico, logico, lessicografico, ecc.
(V. LINGUISTICA). La seconda consiste nel mettere
il
l. in rapporto con fattori estranei, non linguistici, ossia storici,
economici, psicologici, biologici, etnologici, sociali, ecc. Questa via è
seguita da coloro che, per spiegare i vari fenomeni linguistici, si servono di
nozioni ricavate da altre discipline: gli storici di una lingua ne spiegano i
mutamenti con riferimento a circostanze esterne (invasioni, conquiste, influssi
culturali, ecc.), gli psicologi attribuiscono l'esistenza di alcuni termini
(parole che si ritrovano nelle lingue più diverse) alle tecniche di
apprendimento linguistico del bambino, gli etnologi mettono in relazione il
l. di un popolo con la sua vita. Ogni
l. è costituito
dall'unione di concetti (significati) e di segni (significanti) che insieme
danno origine ai
segni linguistici. I segni possono essere percepiti dai
diversi sensi: udito (
l. fonico e musicale); vista (scrittura, gesti,
ecc.); tatto (
l. a battute, scrittura per ciechi); olfatto (contrassegni
olfattivi di riconoscimento usati da vari animali). A ogni segno corrispondono
delle forme (parole) che possono essere scomposte in unità più
piccole dotate di significato dette
morfemi (radici, suffissi, prefissi).
A loro volta i morfemi sono suddivisibili in
fonemi o suoni del
l.
(unità minime dotate non più dotate di significato),
caratterizzati da alcune particolarità foniche che li distinguono gli uni
dagli altri (modo di articolazione, tipo di vibrazione prodotta, ecc.). La
tradizione filosofica e scientifica considera il
l. come una
caratteristica peculiare degli esseri umani. Anche gli animali però
comunicano con gli individui della stessa specie mediante l'uso di segni
definibili come
l. Ad esempio, tramite diversi esperimenti, K. von Frisch
ha potuto dimostrare che le api sono in grado di comunicare tra loro variando
alcune caratteristiche del volo come la durata, il ritmo, l'orientamento.
Tuttavia, mentre per il
l. degli animali l'accordo è ereditario e
legato alla specie, per quello umano viene raggiunto attraverso un lungo
processo di apprendimento. Inoltre il
l. umano presuppone il
riconoscimento e l'accettazione, da parte degli individui, di precise norme che
possono anche mutare nel tempo, mutando di conseguenza anche il
l.
• Filos. - Nella storia del pensiero occidentale furono i sofisti a
occuparsi per primi del
l. e a Prodico di Ceo si deve il primo studio
scientifico dei sinonimi. Al problema del
l. si interessò
largamente anche Platone che ad esso dedicò il
Cratilo. Egli si
soffermò soprattutto sulla corrispondenza tra l'oggetto, il segno e il
significato, sostenendo l'esistenza di un legame di tipo convenzionale tra il
segno e la realtà designata. A questa posizione si contrapponevano i
sostenitori della naturalità del legame tra segno e oggetto, i quali
ipotizzavano un'originaria affinità tra il nome e la cosa. Tra questi vi
erano gli stoici e Aristotele il quale, però, individuava la
naturalità del legame in una corrispondenza tra la struttura sintattica
del discorso e l'ordine oggettivo del mondo. Egli dunque affrontò lo
studio del
l. dal punto di vista logico-grammaticale, ponendo così
le basi della logica formale. Il problema della
convenzionalità-naturalità del
l. fu largamente ripreso
anche in età moderna. Il dantesco
De vulgari eloquentia
rappresenta l'opera medioevale di maggior rilievo sul problema del
l. e
la parola venne considerata dall'Alighieri come segno della realtà. In
età rinascimentale lo studio del
l. acquistò una nuova
dimensione estetica alla quale si aggiunse, nel corso del Seicento, anche una
dimensione pratica. Una vera e propria rivoluzione nell'ambito della filosofia
del
l. fu operata da G.B. Vico che, affrontando il vecchio problema della
convenzionalità o naturalità del
l., lo risolse con la tesi
della sua origine spontanea, per il bisogno naturale dell'uomo di esprimersi.
Egli studiò il formarsi del
l. nella storia della civiltà e
descrisse la spontanea costituzione delle lingue mute e figurate, congiungendole
con le poesia e l'arte. Il Romanticismo, in contrapposizione all'Illuminismo che
aveva basato la propria ricerca sulla logica, pose il problema dell'espressione
sul terreno lirico e fantastico. Il contrasto tra l'unicità logica della
lingua e la molteplicità dei
l. si pose come problema-base
all'inizio dell'Ottocento, ampiamente sviluppato poi da A. von Humboldt, secondo
cui da un
l. comune naturale si sono sviluppati e ramificati i vari
l. nazionali. B. Croce, sulla base della concezione di G.B. Vico,
identificò il
l. con l'espressione poetica e di conseguenza,
risolse la linguistica generale nell'estetica. Secondo Croce, l'impressione
intuita dall'artista fa tutt'uno con l'espressione, ossia col
l. che
dà forma all'ancora indefinito contenuto del sentimento, così che,
nell'opera d'arte, contenuto e forma coincidono. Con lo sviluppo del
Neopositivismo e del pensiero scientifico, il problema del
l. si pose
come problema della verifica del significato delle proposizioni logiche, e
particolarmente importanti furono gli studi condotti da L. Wittgenstein, C.
Morris, R. Carnap. In seguito, dal Neopositivismo si separò la cosiddetta
filosofia analitica che estese le problematiche del
l. dal campo
scientifico all'intera varietà dei
l. umani. I maggiori
rappresentanti di questa corrente furono A. Ayer e G. Ryle. Contemporaneamente
vennero svolti importanti studi anche nel campo della semantica (studio del
significato) da C. Morris e da A. Korzybsky. • Psicol. - Per quanto
antichissimo, il problema dell'origine del
l. non è ancora stato
risolto. Non è escluso che le parole siano state precedute da lunghe
sequele di suoni. Si calcola che il patrimonio lessicale di una persona adulta,
con istruzione superiore, vari da ventimila a duecentomila vocaboli, per quanto
circa il 60% della lingua parlata e il 40% di quella scritta si concentri su
poco più di duecento vocaboli. A parità di istruzione,
l'intelligenza influisce sulla maggiore diversificazione dei vocaboli, mentre
gli schizofrenici raggiungono spesso valori molto inferiori alla media. Per
quanto riguarda l'apprendimento del
l., esso è stato oggetto di
numerose ricerche che hanno dato origine a due diverse correnti di pensiero
facenti capo rispettivamente al comportamentismo e alla psicologia cognitiva. I
comportamentisti ritengono che l'apprendimento del
l. sia il frutto di un
condizionamento operante, mentre secondo i cognitivisti esistono nell'uomo delle
strutture innate, caratteristiche della specie umana, che gli consentono di
apprendere il
l. verbale. Lo sviluppo del
l. ha inizio con
l'imitazione da parte del bambino dei suoni uditi ai quali, solo in uno stadio
di sviluppo successivo, viene dato un significato particolare. I vocaboli, a
mano a mano che l'individuo matura, acquistando sempre più carattere
individuale e aumenta la capacità di astrazione. Numerosi sono i reattivi
(test) di intelligenza tendenti a indagare sul patrimonio verbale dell'individuo
sottoposto a esame. Da questi test risulta che il quoziente di intelligenza e il
patrimonio lessicale presentano una correlazione molto alta. Poiché il
l. è espressione del carattere individuale, mediante un'opportuna
analisi dei suoi elementi formali, cioè della melodia, del ritmo,
dell'intensità, del timbro, ecc., può essere possibile compiere un
esame caratterologico. La moderna psicologia ha inoltre svolto importanti
ricerche sui rapporti tra
l. e pensiero. Pur essendo concordi nel
riconoscere strettissimi legami tra i due fenomeni, gli psicologi sono in
disaccordo riguardo alla necessità del
l. ai fini dello sviluppo
del pensiero. Oltre al
l. verbale la psicologia ha come oggetto di studio
anche altre forme di
l. indipendenti dalla parola, come il
l.
mimico (espressioni del viso) e il
l. gestuale (movimenti del corpo).
• Fisiol. - Sotto l'aspetto fisico, il
l. fonico si compone di onde
sonore a diversa frequenza (altezza sonora) e ampiezza (intensità
sonora). La zona del cervello direttamente coinvolta nell'organizzazione e nella
formulazione del
l. è il
centro di Broca o centro motore
del
l. articolato, situato nel giro frontale inferiore dell'emisfero
cerebrale sinistro (per i destrimani) o destro (per i mancini). Dal centro di
Broca partono gli impulsi che, trasmessi ai motoneuroni, mettono in movimento i
muscoli necessari all'articolazione del
l. La pronuncia delle consonanti
esige, più delle vocali, una perfetta padronanza dei muscoli
dell'apparato vocale. A un mese di età, il bambino pronuncia una media di
cinque vocali per ogni consonante e solo a due anni e mezzo viene raggiunto un
rapporto pari nella pronuncia di vocali e consonanti, mentre negli adulti si ha
una netta predominanza delle consonanti. • Med. - Esistono vari disturbi
del
l. che dipendono da lesioni periferiche o centrali del sistema
nervoso. Al primo tipo appartengono quei disturbi che coinvolgono la muscolatura
della laringe, faringe, velopendulo, lingua, labbra, indispensabili nella
meccanica della pronuncia dei fonemi. All'innervazione dei muscoli di ogni lato
partecipano i due fasci piramidali; le lesioni bilaterali di questi come di
alcune strutture extrapiramidali provocano disturbi nell'articolazione della
parola detti
disartria o
anartria. La seconda componente del
l. è la possibilità di usare adeguatamente i simboli
fonetici. L'incapacità di riconoscere il significato delle parole
pronunciate e di esprimere il proprio pensiero attraverso il corretto uso dei
fonemi si chiama
afasia. Il
l. è la risultante di una
integrazione a livello psichico di componenti sensoriali e motori; queste
componenti richiedono l'intervento di vaste zone corticali, però
l'osservazione clinica ha identificato zone nodali indispensabili per queste
integrazioni e la cui lesione provoca afasia. Queste zone nodali si trovano solo
nell'emisfero cerebrale sinistro lungo una fascia che inizia dalle aree visive e
si estende nelle aree uditive terminando nella parte inferiore dell'area
motoria. Lesioni lungo questa fascia provocano afasie con maggiore componente
sensitiva (mancato riconoscimento della parola udita o scritta) o motoria
(difficoltà o impossibilità di esprimere il proprio pensiero
attraverso fonemi) a seconda che la lesione sia più spostata verso l'area
sensitiva sensoriale o verso l'area motoria. I tipi di afasia più comuni
sono:
afasia verbale, in cui il paziente non riconosce la parola udita ma
può parlare;
afasia visiva in cui non si riconosce la parola
scritta ma si può parlare e comprendere quanto viene detto;
afasia
centrale che consiste nella incomprensione della parola parlata associata a
difficoltà ad esprimere il proprio pensiero;
afasia nominale in
cui vi è l'impossibilità di nominare gli oggetti pur conoscendone
le caratteristiche e gli usi;
afasia corticale motoria quando il paziente
non riesce più a esprimere le parole per cui nei casi estremi diviene
silenzioso, limitandosi a negare o affermare spesso erroneamente. Per
alessia si intende invece l'incapacità a comprendere il
significato dei simboli grafici e per
agrafia l'incapacità a
esprimere con simboli grafici la parola pensata od espressa. I disturbi del
l. si rivelano generalmente durante l'età evolutiva, ma possono
determinarsi anche in età adulta. Essi possono dipendere da un difetto
sensoriale (sordità). Tra i disturbi più caratteristici, figura la
balbuzie, consistente nella ripetizione convulsiva di consonanti. Non è
escluso che la sua insorgenza sia legata a una predisposizione ereditaria che
è più spiccata nei maschi. Il disturbo insorge, in genere, prima
dell'ottavo anno di età. D'altra parte, essa rappresenta un fenomeno
normale nella prima fase dello sviluppo linguistico del bambino e può
stabilizzarsi qualora incontri reazioni traumatizzanti da parte degli adulti. In
molti casi, inoltre, essa è determinata da mancinismo e dall'imposizione
dell'uso della mano destra. • Sociol. - Il
l. rappresenta la parte
più manifesta del comportamento globale di una persona e, oltre a essere
uno degli elementi più indicativi delle personalità singole,
è molto importante per stabilire la collocazione sociale degli individui.
La sociologia del
l. prende in considerazione i vari aspetti della lingua
in funzione dei fenomeni sociali. Così, prendendo in esame una
società con un'unica lingua parlata, si osserva che esiste, oltre a un
l. comune che caratterizza l'intera società presa in esame, un
l. particolare che caratterizza i diversi gruppi sociali che compongono
quella società (gergo,
l. specialistico, ecc.). I
l. di
gruppo adempiono all'esigenza di maggiore ricchezza terminologica necessaria per
l'esercizio di una scienza, di una particolare attività, di un mestiere.
Anche l'attività politica comporta una terminologia sempre più
complessa e specialistica e il
l. usato, oltre a distinguere la classe
politica in quanto tale, è indicativo anche del gruppo o partito di
appartenenza. A differenza del
l. specialistico, il
gergo è
un tipo di
l. convenzionale, usato da un gruppo di persone che non
vogliono essere comprese da estranei. La coniazione di nuovi termini è
dovuta in questo caso all'esigenza di sostituire la terminologia comune con
un'altra avente lo stesso significato, ma segreta. Diverso è il
l.
esclusivistico che si ha quando l'uso di termini non appartenenti al
l. comune è determinato dalla volontà di rivelare una
distinzione o dall'appartenenza a un gruppo sociale privilegiato. Per quanto
l'esame del
l. di una persona non fornisca tutti gli elementi necessari
per una valutazione completa di quella persona, esso tuttavia fornisce
indicazioni molto importanti, poiché a un determinato
l.
corrispondono quasi sempre determinate opinioni e atteggiamenti. Un tipo di
osservazione sociologica è quella che prende in considerazione le
caratteristiche di pronuncia, di grammatica, di lessico, quali contrassegni di
una classe, di una casta, di un mestiere. Un altro, quello che prende in esame
il bilinguismo e il multilinguismo, considerando in quale misura l'apprendimento
di una lingua diversa da quella materna è facilitato da buone condizioni
generali di vita, dall'età, ecc. • Inf. - Il
l. inteso come
strumento di programmazione, è il metodo che permette agli uomini di
comunicare con i calcolatori elettronici, indicando loro cosa devono fare e in
che modo. Ogni
l. deve perciò avere una sua grammatica che
definisce le parole che il calcolatore può capire e i comandi che
può eseguire. Esistono tantissimi
l., alcuni molto specifici,
altri di uso generale. Uno dei modi più usati per suddividerli è
quello di prendere in considerazione il livello di astrazione delle singole
istruzioni: si hanno così
l. a basso livello (orientati alla
macchina) e
ad alto livello (cioè orientati verso il problema che
va risolto). Nella prima categoria rientrano i
l. macchina (cioè
quelli composti dalle istruzioni specifiche per ogni singolo calcolatore) e gli
assembler (V.); questi sono gli unici che
un calcolatore può "capire". Nella categoria dei
l. ad alto
livello rientrano tutti gli altri
l. di programmazione ideati dall'uomo:
questi hanno il vantaggio di rendere più facile la programmazione in
quanto molto più simili al
l. umano e adattabili a ogni tipo di
macchina, ma devono sempre essere tradotti in codici macchina prima di essere
eseguiti (V. INTERPRETE e
COMPILATORE). Tra i
l. di programmazione
più diffusi ci sono il
Cobol (gestionale), il
Fortran
(scientifico), il
Logo (didattico elementare), il
Pascal
(didattico avanzato), il
Lisp (progettazione di sistemi intelligenti),
l'
HTML (V.),
XML
(V.),
Java
(V.) (per la programmazione internet).