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Lincoln, Abraham.

Sedicesimo presidente degli Stati Uniti d'America. Nato in una modesta famiglia di contadini quaccheri, esercitò in gioventù vari umili mestieri, tra cui quello di battelliere su una delle chiatte che trasportavano le merci a New Orleans. Nel 1832 partecipò, col grado di capitano, alla guerra contro una tribù indiana e, nello stesso anno, fu candidato liberale (whig) all'Assemblea legislativa dello stato dell'Illinois. Battuto, riuscì a farsi eleggere l'anno seguente, rimanendo in carica sino al 1842. Durante questo periodo non si distinse particolarmente come politico, ma intraprese studi giuridici e, dal 1837, esercitò con successo l'avvocatura. Nonostante la posizione di primo piano conquistata nell'ambito del partito, nel 1843 fu sconfitto nelle elezioni per il congresso federale. Vincitore nel 1846, dedicò la propria attività legislativa soprattutto al problema della schiavitù, opponendosi alla politica portata avanti dall'amministrazione democratica. Allo scadere del mandato parlamentare nel 1849, ritornò all'avvocatura, ma continuò anche fuori dal Parlamento la sua battaglia contro i progetti che intendevano estendere la schiavitù a quei territori che ne erano esenti. Tuttavia, sino alla metà del decennio 1850-60, come uomo politico non si era ancora particolarmente distinto. Quando nel 1854 il Congresso votò il Kansas-Nebraska Act che autorizzava l'espansione della schiavitù in questi due territori, L. rientrò nella vita politica e tenne a Peoria un discorso di netta opposizione al provvedimento che ebbe vasta risonanza. Sconfitto nelle elezioni senatoriali del 1854, fu nuovamente candidato del Partito liberale nel 1858 e contrastò il democratico Douglas sostenendo fermamente le proprie tesi antischiavistiche. Per quanto battuto di stretta misura dall'avversario, aveva ormai guadagnato vasti consensi, figurando tra le personalità politiche di maggior rilievo e prestigio. Diede un contributo decisivo alla nascita del nuovo Partito repubblicano e alla battaglia contro il predominio degli stati schiavisti. L'alta statura, l'espressione bonaria del viso, l'umanità e saggezza velate di umorismo, non mancavano di ispirare fiducia e simpatia e alla convenzione repubblicana del maggio 1860 la sua candidatura alla presidenza si impose su quella di uomini che apparivano inizialmente favoriti. Nelle elezioni del novembre successivo, si impose a grande maggioranza sul candidato democratico. Poiché la sua vittoria appariva scontata, ancor prima di conoscere i risultati, gli stati schiavisti del Sud avevano deciso di abbandonare l'Unione e, in dicembre, sette di essi (Carolina del Sud, Mississippi, Alabama, Georgia, Florida, Louisiana, Texas) proclamarono la secessione. L. confermò i suoi propositi moderati, parlando non di "abolizione", ma di "contenimento" della schiavitù e, pur dichiarandosi intenzionato a salvare l'Unione, non volle prendere l'iniziativa di attaccare i secessionisti, neppure quando si insediò alla presidenza (4 marzo 1861). Quando poi i sudisti scatenarono la guerra (12 aprile 1861), egli mostrò grande abilità e andò gradualmente spostandosi dalle iniziali posizioni moderate, che avevano consentito di evitare la secessione di altri stati schiavisti, verso posizioni più intransigenti e il 1° gennaio 1863 proclamò la liberazione degli schiavi. Nonostante i successi iniziali dei sudisti, la superiorità numerica e la tecnica (industriale e navale) più avanzata, consentirono ai nordisti di avere il sopravvento. Trionfalmente rieletto nel 1864, L. tentò invano di avviare una politica di pacificazione e, pochi giorni dopo la resa dei secessionisti, fu assassinato da un fanatico sudista (14 aprile 1865), mentre assisteva a uno spettacolo nel palco presidenziale del teatro di Washington (Big South Fork, Kentucky 1809 - Washington 1865).
Abraham Lincoln