Sistema economico fondato sull'assoluto non intervento dello Stato
nell'iniziativa privata. Il
l. è basato sui seguenti canoni: gli
uomini lasciati liberi di agire, mossi esclusivamente dal loro particolare
tornaconto, grazie a una legge naturale di solidarietà e interdipendenza,
non contrastano il raggiungimento del bene comune, ma anzi lo promuovono; lo
Stato, limitando il suo intervento al minimo possibile, meno intralcia il libero
svolgimento delle forze naturali. In un ordinamento a base liberista, i cui
presupposti sono: iniziativa privata, tornaconto individuale, proprietà
privata, concorrenza, il governo dell'economia è affidato ai meccanismi
di mercato, supponendo che il sistema dei prezzi, sollecitato dal gioco della
domanda e dell'offerta, assicuri un tendenziale equilibrio del sistema economico
e una diffusione del benessere. Il
l. ebbe inizio con la teorizzazione
fattane dai fisiocrati, in base a talune considerazioni filosofiche, mentre gli
economisti classici inglesi (Say, Smith, Ricardo, ecc.) la sostenevano per
motivi economici. Essi affermavano che il
l. è il sistema che
consente di raggiungere i massimi vantaggi, sia dal punto di vista individuale
sia da quello sociale. Più tardi tale proposizione venne sviluppata dalla
scuola neoclassica (Waltras, Pareto, ecc.) che dimostrava come un regime di
concorrenza fosse l'unico capace di raggiungere un optimum collettivo. Nello
stesso tempo venivano illustrati i vantaggi che si ritraevano dal libero scambio
nel commercio internazionale e veniva sostenuta la necessità che i
diversi Stati si specializzassero in quelle attività produttive nelle
quali godevano il minore svantaggio relativo. Le idee liberistiche, mai
accettate sul piano pratico perché gli Stati si riservarono sempre la
possibilità di esercitare alcune forme d'interventismo, furono oggetto di
varie critiche, anche sul piano teorico, in parte volte a dimostrare come
l'armonia fra interesse individuale e interesse sociale non sempre è
percepita dal singolo e che l'utile proprio non sempre si immedesima nell'utile
altrui; in parte a dimostrare come tale regime non porti necessariamente alla
piena occupazione. Su quest'ultimo punto J.M. Keynes sostenne che le posizioni
di equilibrio in piena occupazione sono da considerarsi l'eccezione; la regola
è che la posizione di equilibrio si realizza ad un livello di maggiore o
minore disoccupazione. Se l'investimento è inadeguato al complesso delle
risorse disponibili, il che avrà per conseguenza una disoccupazione
più o meno estesa, è necessario l'intervento dello Stato. Una
volta raggiunto il livello di piena occupazione non è però da
ritenere che esso possa conservarsi integralmente per forza spontaneo: la scuola
keynesiana non crede che i sistemi economici siano in grado di mantenersi da
soli, indefinitamente, e per tanto sostiene la politica d'interventismo statale
in collaborazione con l'azione dei privati. Tutto ciò ha portato al fatto
notevole che oggi anche coloro che si schierano fra i liberisti ammettono un
intervento pubblico nell'economia di mercato in forme più marcate di
quelle tradizionalmente ritenute compatibili con tale regime. Dopo il 1945,
nell'Europa occidentale vi è stato un graduale ritorno verso il
liberoscambismo (culminato nel MEC), ma associato al protezionismo verso gli
altri Paesi e al controllo e alla programmazione statale dell'economia.