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Liberalismo.

Dottrina etico- politica che afferma la limitazione dei poteri dello Stato in nome dei diritti naturali, individuali, inerenti a ogni uomo in quanto tale (diritti innati). I principi dello Stato liberale furono, per la prima volta, proclamati solennemente nella Dichiarazione dei Diritti degli Stati Uniti d'America e della Rivoluzione francese. I diritti fondamentali che, secondo la dottrina liberale, lo Stato deve garantire si possono raggruppare in due grandi categorie: diritti che riguardano la libertà dallo Stato nella sfera spirituale (libertà di pensiero, di religione, ecc.), diritti relativi alla libertà dallo Stato nella sfera economica (diritti di proprietà, di commercio, ecc.). Quest'ultimo diritto coincide col l. quando presuppone una limitazione dei poteri dello Stato nella sfera economica. In sede politica, la dottrina liberale è l'espressione del più maturo giusnaturalismo. Essa si appoggia all'affermazione che esiste una legge naturale, antecedente e superiore allo Stato e che questa legge attribuisce diritti soggettivi, inalienabili, ai singoli individui, prima del sorgere di ogni società e perciò anche dello Stato, poiché esso si costituisce per volontà degli stessi individui. Ne consegue che lo Stato non può violare questi diritti fondamentali, ma deve anzi garantirne il libero sviluppo. In caso contrario, esso diventa uno Stato dispotico. Il principio liberale trova perciò espressione nella formula: libertà dallo Stato. Al centro di questa formula vi era il postulato fondamentale relativo alla natura del "valore". Si tratta del postulato espresso da Kant quando afferma che moralità è trattare gli uomini come fini e non come mezzi. I principi filosofici ai quali il l. si ispira sono quelli dell'individualismo razionalistico, proprio dell'Illuminismo. Secondo tali principi, l'uomo è un essere razionale e, in quanto tale, è persona ed ha perciò un valore assoluto, indipendente dal rapporti di interazioni coi suoi simili. Come persona autonoma e originaria, l'uomo è superiore a qualsiasi società, in cui entra per propria volontà. Ne consegue, sulla base della dottrina contrattualistica, che lo Stato altro non è che un prodotto dell'uomo ed è composto da una somma di individui aventi ciascuno la propria sfera di libertà. Principali teorici dello Stato liberale furono il filosofo inglese John Locke, il tedesco Wilhelm von Humboldt, il francese Benjamin Constant. Tra gli scrittori italiani del secolo scorso, il più tipico rappresentante del l. fu Carlo Cattaneo. I principi dell'era rivoluzionaria, esposti chiaramente per la prima volta da Locke, sintetizzavano gli ideali politici concretatisi nell'Ottocento. Essi comprendevano le libertà civili (di pensiero, di espressione, di associazione) e la garanzia della proprietà. Tra la filosofia giusnaturalistica dell'età rivoluzionaria e il l. dell'Ottocento esisteva una profonda differenza di qualità e di spirito. La prima era sostanzialmente un credo rivoluzionario, il secondo si poneva come antitesi alla rivoluzione. Più importante, rispetto a ogni considerazione teorica, fu l'influenza esercitata dai mutamenti che avvenivano nelle prospettive della borghesia commerciale e industriale, a mano a mano che la sua posizione e la sua influenza si consolidavano. Questa classe costituì l'elemento propulsore determinante della riforma politica liberale dell'Ottocento. All'espansione del potere politico della borghesia, strettamente legato allo sviluppo dell'industria e del commercio, corrispose il declino dell'influenza della proprietà fondiaria, mentre il proletariato era posto ai margini, pressoché privo di una coscienza politica di classe e di un'efficiente organizzazione. Col progredire del tempo, la riforma liberale passò sempre più dalla sfera ideologica a quella politico- istituzionale, portando al rammodernamento dell'amministrazione, al miglioramento della procedura legale, alla riorganizzazione delle corti, alla creazione di codici sanitari, ecc., trasformando la filosofia del l. da rivoluzionaria in utilitaria. Durante il periodo di massimo sviluppo, il l. fu soprattutto un movimento avente lo scopo di fare corrispondere il potere politico della borghesia industriale e commerciale all'importanza economica e sociale acquisita da questa classe. La filosofia politica del primo l. tendeva ad essere dottrinaria, generalizzando i concetti aventi un valore limitato e temporaneo, mentre la sua prassi appariva priva di scrupoli e spietata, in quanto dava per scontata una base di sicurezza sociale, senza la quale la libertà politica è impossibile, e trascurava gli effetti negativi che le nuove tecniche industriali avevano sul tessuto sociale. Nel suo insieme, il l. politico fu un movimento che ebbe i suoi sviluppi più caratteristici in Inghilterra, pur essendo presente in tutti i Paesi dell'Europa occidentale e in America. In Germania, la filosofia liberale rimase sostanzialmente accademica, in quanto non profondamente radicata nel pensiero popolare. Verso la metà dell'Ottocento, la questione del costituzionalismo liberale fu messa in ombra in Germania da quella dell'unità nazionale che fu portata a compimento sotto gli auspici illiberali di Bismarck e della casa Hohenzollern. In Francia, il risultato più importante della Rivoluzione del 1789 fu la creazione di alcuni milioni di piccoli proprietari contadini che sentivano i loro interessi coincidere con quelli della borghesia. In opposizione a queste due classi (borghesi, contadini) in Francia si sviluppò presto, e per la prima volta in Europa, un movimento proletario, socialista e radicale, le cui rivendicazioni furono poi incorporate nella dottrina marxista della lotta di classe. Pertanto, il l. francese, coincidendo con gli interessi della borghesia urbana e contadina, tese ad essere sin dall'inizio la filosofia sociale di una classe. In Inghilterra, invece, anche nella sua fase iniziale, il l. fu la dottrina del "bene comune", per cui esso raggiunse la posizione, insieme, di filosofia nazionale e di politica nazionale. Per quanto all'inizio esso rappresentasse chiaramente gli interessi borghesi, fornì le basi per un'ordinata e pacifica transizione, prima alla piena libertà dell'industria e all'emancipazione della classe media, poi all'emancipazione della classe lavoratrice e alla sua protezione contro i rischi del lavoro industriale. Ciò fu possibile in quanto la divisione tra le classi sociali ed economiche in Inghilterra non coincise mai perfettamente con le divisioni dei partiti politici. Come movimento politico vero e proprio il l. inglese si avvalse di elementi costitutivi diversi, senza troppo preoccuparsi dell'accordo ideologico, ma creando una base di accordo per fini specifici. Sin dalle sue origini, il l. politico inglese fu infatti assai meno dottrinale della sua teoria e, col progredire del tempo, la conciliazione di interessi diversi divenne parte dichiarata della sua filosofia. La caratteristica che contraddistingue la storia del l. inglese fu la sua trasformazione, da una filosofia che s'identificava all'inizio esclusivamente con gli interessi della borghesia, nella filosofia di una comunità nazionale che si proponeva come ideale la protezione e la conservazione degli interessi di tutte le classi. ║ Dottrina filosofica, giuridica ed economica: la filosofia sociale del primo l. consisteva sostanzialmente in un programma di riforme legali, politiche ed economiche derivanti dal principio della massima felicità per il maggior numero. Tale principio era considerato l'unica guida razionale, sia per la morale privata che per l'ordine pubblico. Nessuno dei pensatori liberali, compreso lo stesso G. Bentham, si distingueva per originalità filosofica e il loro apporto fu assai più di carattere pratico che teorico. La dottrina politica benthamiana fu meno importante della giurisprudenza dello stesso Bentham e dell'economia classica, e ciò in quanto, per attuare la riforma giuridica ed economica, era necessario abbattere il monopolio politico goduto nel Parlamento inglese dagli interessi fondiari. Secondo un calcolo effettuato da James Mill, alla Camera dei Comuni venivano eletti i membri di circa duecento famiglie cui si aggiungeva l'alto clero e i magistrati. Non c'era pressoché nessuna differenza tra i due partiti politici esistenti, ed entrambi rappresentavano una ristretta classe dirigente costituita dalla grande proprietà fondiaria, con una piccola infiltrazione di interessi capitalistici. Lo stesso Mill proponeva come rimedio semplicemente quello di estendere la rappresentanza a tutta la comunità, in particolare alla borghesia industriale. Le parti originali della prima dottrina politica utilitaria furono tutte suggerite dalla giurisprudenza di Bentham. Egli accettava la completa sovranità legale del Parlamento, poiché la sovranità politica doveva risiedere nel popolo e soltanto così gli interessi statali potevano coincidere con l'interesse generale. Egli credeva che l'interesse del popolo potesse essere espresso attraverso il suffragio universale al quale si doveva pervenire gradualmente, sinché l'educazione non avesse creato un corpo elettorale illuminato. La sua fede nell'illuminismo era tale che egli escluse una possibile tirannia da parte della maggioranza. Le idee di J. Mill non differivano molto da quelle di Bentham, ma egli espose più chiaramente la base filosofica del l. Nel pensiero politico di Mill, come in quello economico classico, si fondevano la teoria egoistica dei moventi individuali e la fiducia nell'armonia naturale degli interessi umani. Il l. filosofico fu una forza intellettuale di grande importanza nella politica dell'Ottocento e contribuì a eliminare idee e metodi politici antiquati e a rinnovare la legislazione e l'amministrazione pubblica. Carattere distintivo del l. inglese fu di diventare, da portavoce degli interessi della borghesia, movimento politico nazionale. Una profonda revisione del primo l. fu attuata da John Stuart Mill e da E. Spencer, cui si aggiunse, successivamente, il gruppo di pensatori noti come "idealisti di Oxford", in particolare T. Hill Green. Negli Stati Uniti, un analogo movimento filosofico ebbe il suo più noto rappresentante in G. Royce. Anche il pragmatismo di J. Dewey fu un ulteriore sviluppo dell'idealismo liberale. Il principio centrale dell'etica di Green era la reciprocità di rapporto tra l'individuo e la comunità sociale alla quale egli appartiene ("la persona è una persona sociale"). Secondo Green, il governo si fonda sulla volontà e non sulla forza, e una società veramente liberale non può avere altro scopo che di dare a tutti gli uomini il diritto all'autodeterminazione e alla dignità morale, condizione e diritto della personalità. Una comunità morale è quella in cui l'individuo limita le sue istanze di libertà alla luce di interessi sociali generali. La rienunciazione del l. fatta da Green eliminò la rigida divisione tra politica ed economia, per cui i più vecchi liberali avevano escluso lo Stato dall'interferire nelle operazioni di un libero mercato. Il vecchio l. considerava con sospetto l'intervento dello Stato e ne aveva ristretto l'attività, attraverso tutta una serie di garanzie costituzionali. Il nuovo l., teorizzato da Green, accettava invece lo Stato come un mezzo positivo per contribuire al benessere generale e il suo l. aveva punti in comune con il socialismo liberale di tipo fabiano. Anche i teorici della società fabiana, costituitasi nel 1884, sostenevano infatti che il loro programma altro non era che uno svolgimento del l. Teorici quali Sidney Webb e Sidney Oliver, nei Saggi fabiani del 1889, asserivano che "l'aspetto economico dell'ideale democratico è, di fatto, il socialismo stesso" e che "il socialismo altro non è che l'individualismo razionalizzato". Attualmente il termine l. viene usato in due sensi opposti. Da un lato, esso viene identificato con la filosofia sociale della borghesia industriale, ed è in questo senso che viene usato dalla critica marxista. Dall'altro lato, il suo significato viene fatto coincidere con ciò che nel linguaggio- politico comune viene indicato come "democrazia". In questo senso, è sottinteso che un governo liberale presuppone una comunità che consente, nel proprio ambito, la presenza di tutta una serie di comunità e organizzazioni minori, largamente autonome nella sfera dei doveri e dei diritti imposti dallo Stato nell'interesse dell'intera comunità. In questo senso, l'antitesi del l. è il totalitarismo.