Partito politico italiano. Il primo sorgere di un movimento liberale organizzato
su scala nazionale si ebbe nel 1925 quando, in relazione alla legge elettorale
fascista (31 dicembre 1923) che prevedeva premi elettorali per i partiti
numericamente più consistenti, vennero confluendo in un unico gruppo le
correnti della cosiddetta "opposizione costituzionale" capeggiate da Giovanni
Amendola e Carlo Sforza e quelle dei liberali di centro che avevano come
esponenti di maggior spicco Benedetto Croce, Luigi Einaudi e vecchi responsabili
della politica italiana prefascista come Vittorio Emanuele Orlando, Giovanni
Giolitti e Antonio Salandra. Tuttavia l'accentuarsi del totalitarismo fascista,
evidenziato dalle leggi liberticide del 1926, impedì il coagularsi
organico di queste forze. Fu solo nel 1943, con la caduta del regime e l'inizio
della lotta antifascista, che si venne organizzando un vero e proprio partito
liberale che fece la sua prima apparizione ufficiale al Congresso di Bari dei
partiti antifascisti e dove venne decisa la costituzione dei Comitati di
Liberazione Nazionale (CLN). L'analisi della situazione che il partito andava
facendo in questo periodo era basata sulla visione del fascismo come
"rivoluzione" che aveva interrotto il corso della democrazia prefascista, alle
cui strutture era in ogni caso necessario rifarsi per costruire un rinnovato
apparato statale. Basandosi su questa linea di condotta, il
PLI fece
parte di tutti i governi che si succedettero sotto l'egida del CLN.
Successivamente i liberali misero in crisi questa formula negando la fiducia al
governo presieduto da Ferruccio Parri (novembre 1945) ed entrando poi nel primo
ministero De Gasperi. Sulla questione istituzionale, il partito non prese
ufficialmente posizione sebbene al suo interno prevalessero gli elementi
filomonarchici. In seguito a questa indicazione di massima all'interno del
partito avveniva una scissione a sinistra di elementi che manifestavano una
tendenza filorepubblicana. Malgrado il tentativo di organizzarsi su scala
nazionale e di ottenere un consenso di massa, il
PLI uscì
sostanzialmente sconfitto alle elezioni per l'Assemblea costituente che si
tennero il 2 giugno 1946; ottenne infatti il 6,8% dei voti, nonostante la
confluenza nelle liste dell'unione democratica nazionale. Il sostanziale
allontanamento di ampi strati di piccola e media borghesia dall'ideologia
liberale provocava un'ulteriore crisi nelle file del partito, che alle elezioni
del 1948 si presentavano con liste comuni con quelle del movimento dell'Uomo
Qualunque guidato da Guglielmo Giannini, nonostante l'opinione contraria di B.
Croce. La crisi fu confermata da un nuovo scacco elettorale del partito che
ottenne una percentuale di voti oscillante attorno al 4%. Non poteva essere
sufficiente a mascherare questa crisi l'elezione di un esponente liberale, Luigi
Einaudi, alla presidenza della Repubblica, che era il risultato più del
prestigio dell'illustre economista che della sua fede politica. L'elezione di
Villabruna alla segreteria del partito (1948) portò ad una modificazione
di rotta nella politica del movimento liberale italiano che di lì a poco
si apriva ad una collaborazione con la Democrazia Cristiana, con il Partito
Repubblicano e con il Partito Socialdemocratico dando vita ai governi cosiddetti
"centristi". Malgrado un nuovo scacco elettorale subito nel 1953, la nuova
direzione politica del partito, assunta nel 1954 da Giovanni Malagodi, decideva
di non mutare indirizzo politico mantenendosi su posizioni di centro- destra e
di continuare la collaborazione governativa. Questa decisione veniva però
contestata dalla sinistra del partito che, nel 1956, sotto la guida di
Carandini, decise la scissione fondando così il partito radicale. La
collaborazione governativa del
PLI continuò fino all'inizio degli
anni Sessanta quando, sotto la pressione di forti tensioni sociali e politiche,
la Democrazia Cristiana decideva di varare un governo insieme con il Partito
Socialista, dando vita ai primi governi di centro- sinistra. Questo cambiamento
di linea sospingeva i liberali all'opposizione. Nel 1963 essi raccolsero il
frutto dello sbandamento determinatosi in alcuni settori intermedi per le prime
scelte del centro- sinistra (nazionalizzazione dell'energia elettrica,
attuazione programmata delle regioni) e ottennero un forte consenso elettorale
pari circa al 7% degli elettori. Tuttavia un quinquiennio di opposizione finiva
per logorare il partito che doveva anche incassare dure sconfitte come
l'attuazione degli Istituti regionali e l'inizio di una politica di
programmazione economica. Questo logoramento divenne evidente nelle elezioni
politiche del 1968 che videro il
PLI perdere terreno rispetto ai
risultati conseguiti precedentemente. Il progressivo deteriorarsi dell'alleanza
governativa di centro- sinistra, dovuto alle lotte sociali succedutesi dopo il
1969, riapriva però spazi di manovra politica al
PLI che, se non
era stato in grado di tramutarli in forza elettorale nelle elezioni anticipate
del 7 maggio 1972 (anche per la concorrenza a destra del Movimento Sociale
Italiano), rientrava a far parte del governo nel secondo ministero Andreotti.
Nell'ultimo decennio la segreteria del partito veniva affidata dapprima ad
Agostino Bignardi, poi a Valerio Zanone, mentre Malagodi, malgrado l'opposizione
alla sua linea da parte di elementi di sinistra, teneva la presidenza del
PLI. Dopo aver assunto una politica di "opposizione costruttiva" negli
anni della solidarietà nazionale, il
PLI partecipava costantemente
ai governi che da allora si succedevano nel Paese. Il nuovo volto moderno ed
europeo del partito e il suo programma, attento alla questione morale e ai
diritti civili, consentivano ai liberali di cogliere significativi successi
nelle consultazioni elettorali svoltesi a partire dal 1979 al 1983. Il Congresso
di Torino, del 1984, confermava Zanone alla guida del partito. La prima alleanza
con i repubblicani, in occasione delle elezioni europee, nel corso dello stesso
anno, non aveva successo, malgrado le aspettative favorevoli. Nel 1985 veniva
eletto segretario Alfredo Biondi, a cui però subentrava l'anno seguente
Renato Altissimo, in seguito a un accordo tra la sua corrente e quella di Egidio
Sterpa, nuovo vicesegretario. Le elezioni politiche del 1987 facevano registrare
una lieve flessione. Per le elezioni europee del 1989 veniva presentata una
nuova alleanza con i repubblicani, aperta anche ad alcuni esponenti radicali.
Nel 1990 il
PLI era tra i pochi partiti ad appoggiare l'idea della
repubblica presidenziale, promossa a più riprese dai socialisti, prima
che venisse definitivamente abbandonata per il precipitare degli scandali
politici. I sei referendum proposti da Mario Segni e da M. Severo Giannini nel
1991 raccoglievano il consenso di gran parte della compagine liberale. Dopo le
elezioni dell'aprile 1992 il
PLI doveva fare i conti con un elettorato
sempre più esiguo. Riconfermato comunque quale forza di governo nel
quadripartito (con DC, PSI e PSDI) sotto la presidenza di Giuliano Amato, il
PLI doveva fronteggiare una crisi interna comune a tutti i partiti
storici, risultati invischiati negli scandali di "Tangentopoli"
(V.). Tra gli inquisiti spiccavano i nomi dell'ex
ministro liberale della Sanità Francesco De Lorenzo e dell'ex segretario
del partito Renato Altissimo. In occasione delle elezioni politiche del marzo
1994, le prime in Italia con sistema maggioritario uninominale, alcuni esponenti
del
PLI si candidavano per l'Unione di Centro (UdC) nelle liste del Polo
delle Libertà, uno schieramento comprendente Forza Italia, Lega Nord e
Alleanza Nazionale.