Insieme delle teorie elaborate da N. Lenin sulla base della dottrina di Marx e
perciò detto anche
marxismo-l. Lenin considerò sempre la
teoria come una guida all'azione e il
l. non rappresenta pertanto un
insieme di dottrine statiche, ma idee applicabili a situazioni concrete e
modificabili nell'applicazione pratica, qualora lo richieda la realtà
contingente. Secondo la definizione datane da Stalin, il
L. "è il
Marxismo dell'epoca dell'imperialismo e della rivoluzione proletaria"
(
Principi del leninismo, 1924). Pertanto, l'opera di Lenin consistette
nell'aggiornare il Marxismo, tenendo conto dell'evoluzione del capitalismo dopo
Marx, e nel riformularne la teoria e la tattica alla luce dei suoi successivi
sviluppi e dei cambiamenti determinati dalla rivoluzione sovietica. Il
socialismo pre-marxista sviluppatosi in Russia era di tipo agrario e umanitario
(populismo), basato sulla convinzione che in Russia il socialismo si sarebbe
sviluppato dal comunitarismo del
mir, cioè del villaggio
contadino, senza passare attraverso gli stadi di sviluppo sociale caratteristici
dell'industrialismo. I marxisti invece ritenevano che lo sviluppo capitalistico,
quale stadio di transizione al socialismo, fosse necessario in Russia come in
ogni altro Paese e che perciò la base costitutiva della rivoluzione
socialista fosse il proletariato urbano, minimizzando la parte affidata ai
contadini nella rivoluzione. Lenin non aderì mai pienamente a questa
tendenza, consapevole che nessuna rivoluzione avrebbe potuto avere successo in
un Paese scarsamente industrializzato come la Russia, senza l'adesione dei
contadini o con la loro neutralizzazione. Un altro problema fondamentale che
Lenin prese presto in considerazione riguardava l'organizzazione del partito e
anche in questo caso, come per la questione della terra e dei contadini, era
necessario dare un'impostazione nuova rispetto a quella della teoria marxista
classica. Marx ed Engels, dal 1850, avevano rotto ogni rapporto con i fautori
della tattica cospirativa, favorendo la nascita di grandi formazioni operaie. Ma
in Russia, sotto il regime zarista, era impossibile adottare la linea strategica
e tattica dei grandi partiti marxisti occidentali e Lenin propose sin dal 1902
un tipo particolare di organizzazione. La sua concezione del partito
costituì il perno della lunga polemica che divise i marxisti russi nei
quindici anni che precedettero la rivoluzione sovietica e che vedeva da una
parte i menscevichi e dall'altra i bolscevichi, ossia i seguaci di Lenin.
║
Il Partito: secondo la concenzione leninista, il nucleo del
partito doveva essere costituito da un gruppo di rivoluzionari di professione,
rigidamente disciplinati e rigorosamente organizzati, che agisse come
avanguardia di tutti gli elementi potenzialmente (ma non effettivamente)
rivoluzionari delle organizzazioni operaie. La questione organizzativa del
partito fu trattata nel saggio
Che fare?, pubblicato nel 1902 sulla
rivista "Iskrà" (La scintilla) e che rappresenta la prima importante
opera teoretica di Lenin. In esso egli afferma che "un piccolo nucleo compatto,
formato da lavoratori fidati, esperti e rigidi, con agenti responsabili nei
principali distretti, e legato da tutte le norme di uno stretto segreto alle
organizzazioni rivoluzionarie, può, con l'aiuto di vaste masse e senza un
elaborato complesso di norme, compiere tutte le funzioni di un'organizzazione
operaia". Mentre Marx aveva affermato che l'emancipazione dei lavoratori doveva
essere opera dei lavoratori stessi, Lenin sosteneva che, spontaneamente, i
lavoratori non diventano socialisti, ma solo sindacalisti, accontentandosi di
miglioramenti parziali. Pertanto, secondo Lenin, il socialismo dev'essere
portato loro dal di fuori, dai rappresentanti dell'
intellighenzia
rivoluzionaria. Ciò non era in contrasto con l'ideologia marxista, ma
allargava, sino ad includervi lo stesso proletariato, l'ambito della concezione
marxista secondo cui la piccola borghesia e i contadini sono politicamente
impotenti, a meno che non seguano il proletariato o la borghesia. Secondo Lenin,
infatti, un movimento operaio non può sviluppare da sé
un'ideologia rivoluzionaria e solo un partito costituito da quadri
intellettuali, da professionisti del Marxismo, può creare un'ideologia
rivoluzionaria. Pertanto, nella concezione di Lenin, il partito è un
corpo scelto, costituito da un'elite accuratamente selezionata e rigidamente
addestrata in modo da farne coincidere i fini con quelli della rivoluzione. Il
partito rappresenta l'avanguardia del proletariato, la parte della classe
operaia più consapevole e, insieme, la più devota e più
disposta al sacrificio. Coerentemente con le definizioni datene nei saggi
Che
fare? (1902) e
Un passo avanti e due indietro (1904), nel 1920 Lenin
definiva il partito comunista "una parte della classe operaia, la sua parte
più avanzata, consapevole e perciò più rivoluzionaria (...)
la forza politica organizzata per mezzo della quale la parte più avanzata
della classe lavoratrice conduce tutte le masse proletarie e semiproletarie
nella giusta direzione". Le critiche più accese a questa concezione del
partito e della sua funzione vennero dall'interno dello stesso movimento
marxista rivoluzionario, in particolare da Rosa Luxemburg secondo cui quella che
Lenin definiva la
disciplina proletaria altro non era che la disciplina
del Comitato centrale del partito che si sostituiva alla disciplina imposta al
proletariato dallo Stato capitalista, così da mantenere intatte le
abitudini all'obbedienza e al servaggio della classe operaia, mentre compito del
socialismo dovrebbe essere quello di estirpare alla radice tali abitudini.
║
Il materialismo dialettico: nella sua opera di maggiore impegno
teorico,
Materialismo ed empiriocriticismo, pubblicata nel 1909, Lenin,
rifacendosi all'
Anti-Düring di Engels, affermava che ogni ideologia
è storicamente condizionata e che nella filosofia, nell'economia e nella
politica, l'imparzialità o il distacco scientifico altro non sono che un
pretesto per nascondere una difesa dei diritti acquisiti. Nel quadro del
materialismo dialettico ci sono due sistemi di scienza sociale: l'uno prodotto
dall'interesse della classe media, l'altro nell'interesse del proletariato. La
superiorità della scienza sociale proletaria non consiste nella sua
maggiore esattezza formale o nel fatto che il proletariato dimostra di essere la
classe in ascesa, alla testa del progresso sociale, mentre la borghesia è
impegnata in una lotta disperata per impedire il passaggio inevitabile dal
capitalismo al comunismo e perciò la sua scienza è reazionaria o,
quantomeno, statica. Proletario o borghese che sia, ogni studioso di scienze
sociali è partigiano, anche quando non ne sia consapevole o non lo voglia
ammettere. Quanto è vero per lo studio scientifico della società
lo è anche per i rapporti reciproci tra gruppi sociali, partiti, governi.
La politica di un partito, nei suoi rapporti con gli altri partiti o di una
nazione nei rapporti con le altre nazioni, deve essere dedotta dalla lotta di
classe. Questa rappresenta un principio fondamentale che può essere
temporaneamente oscurato, ma mai del tutto accantonato, e ciò deriva
dalla dialettica stessa. ║
Capitalismo e imperialismo: sin dallo
scoppio della prima guerra mondiale, l'attenzione di Lenin era stata
pressoché interamente rivolta alle questioni interne del socialismo
russo. La guerra e la defezione di buona parte dei socialisti dalla loro fede
internazionalista e antipatriottica, lo indussero a considerare la dottrina
marxista in un ambito più vasto, a dare un'interpretazione della guerra
come guerra imperialistica e a formulare la dottrina del capitalismo
imperialistico. A differenza della maggior parte dei leader socialisti
occidentali che avevano assunto posizioni patriottiche, egli accettò come
desiderabile la sconfitta del proprio Paese e affermò che tutte le
nazioni belligeranti erano dominate dallo stesso genere di ragioni economiche e
che la guerra era soltanto una fase dell'evoluzione capitalistica. Pertanto, la
tattica dei partiti socialisti doveva basarsi sulla possibilità di
"trasformare la guerra imperialistica in una guerra civile", ossia nella
rivoluzione proletaria su scala internazionale. Lo stadio imperialistico del
capitalismo trovava una parte del proletariato alleata della borghesia: tra il
1871 (anno della Comune di Parigi) e il 1914 (inizio della guerra
imperialistica) i partiti socialisti occidentali avevano raggiunto con mezzi
legali un'ampiezza tale da poter operare con metodi parlamentari. Ciò
aveva comportato delle infiltrazioni da parte di elementi della piccola
borghesia e l'assorbimento della loro mentalità, per cui la tattica delle
unioni operaie aveva sostituito quella rivoluzionaria. Inoltre, nelle nazioni
capitalistiche più sviluppate, l'espansione dei mercati e l'aumento della
produzione aveva dato la possibilità a una parte di operai, in
particolare a quelli specializzati, di migliorare la loro posizione economica e
ciò aveva prodotto un riflusso della lotta di classe, mentre si
verificava la collusione di una parte dei lavoratori privilegiati coi
capitalisti nello sfruttamento della massa dei lavoratori non specializzati e
soprattutto di quelli dei Paesi arretrati e delle colonie. Rifacendosi alla
teoria marxista dell'accumulazione del capitale, Lenin spiega lo stadio
imperialistico del capitalismo, osservando che, sviluppandosi sempre più,
il mercato diventa mondiale, le unità industriali diventano monopoli e,
nell'ambito delle unità nazionali, cessa quasi la concorrenza. Con la
formazione delle combinazioni industriali, il controllo passa dalle mani dei
produttori in quelle dei finanzieri e delle banche. La continua richiesta di
mercati più vasti e la domanda di materie prime si trasforma in una lotta
per la conquista dei territori non sfruttati e per il dominio dei popoli
arretrati. Pertanto, nell'ambito della politica internazionale, diventa di
vitale importanza, tra le potenze capitalistiche, il problema della ripartizione
dei territori e dei popoli da sfruttare, mentre nell'ambito della politica
interna il controllo capitalistico sulle istituzioni politiche diventa sempre
più diretto, riducendo la democrazia parlamentare a un puro inganno.
Fondamentalmente il capitalismo monopolistico-finanziario è il risultato
logico della concorrenza capitalistica; l'imperialismo politico è la
logica conseguenza del capitalismo monopolistico; la guerra è la logica
conseguenza dell'imperialismo. Pertanto, l'imperialismo altro non è che
il "capitalismo giunto a quella fase di sviluppo in cui si è formato il
dominio dei monopoli e del capitale finanziario, l'esportazione di capitale ha
acquistato grande importanza, è cominciata la ripartizione del mondo tra
i trust internazionali ed è già compiuta la ripartizione della
superficie terrestre tra i maggiori Paesi capitalistici". Ciò posto, la
dottrina marxista degli stadi dell'evoluzione capitalista esigeva una nuova
analisi della "sovrastruttura" ideologica ed istituzionale basata su di essa e
l'enunciazione di una teoria dello svolgimento della società europea
sotto il capitalismo. Secondo questa teoria, tra la Rivoluzione francese e il
1871 il capitalismo era stato in piena ascesa e la borghesia si presentava come
una classe progressista rispetto alla classe feudale cui si sostituiva. In
questo periodo, essa aveva prodotto conseguenze sociali e politiche molto
importanti, in primo luogo la democratizzazione del governo e la formazione di
Stati nazionali. Durante questo periodo, il proletariato era in via di
formazione e perciò subordinato al potere crescente della borghesia. Il
periodo successivo rappresenta invece l'età della dominazione del
capitale e della sua incipiente decadenza: nei paesi più progrediti la
lotta di classe viene messa in ombra da una falsa apparenza di armonia e
l'organizzazione capitalistica assume caratteristiche monopolistiche e
imperialistiche. Da progressista, la borghesia diventa una classe decadente e
reazionaria, dedita unicamente alla salvaguardia dei propri interessi.
Perciò la politica della classe operaia deve consistere nel rovesciamento
rivoluzionario del capitale internazionale. La teoria di Lenin sull'imperialismo
rinnovò il Marxismo come filosofia della rivoluzione sociale, integrando
ed estendendo l'analisi del capitalismo fatta da Marx e rifiutando le obiezioni
dei revisionisti di destra. ║
La dittatura del proletariato: in
Stato e rivoluzione (1917), Lenin ripropone il Marxismo come filosofia
della rivoluzione sociale, liberandolo dalle deviazioni del socialismo
revisionista e fornendo alla rivoluzione sovietica una dottrina dello Stato.
Egli ribadisce che ogni forma statale riflette unicamente la lotta di classe e
che questa è inevitabile in una società classista. Poiché
lo Stato capitalista è sostanzialmente usato dalla classe dominante per
consolidare i propri interessi, è impossibile che esso possa essere
rovesciato senza il ricorso alla forza. Perciò appare illusoria ogni
teoria di pacifica rivoluzione sociale e ogni politica volta a conciliare gli
interessi di classe. Egli ammetteva il fatto che il nuovo Stato, prodotto dalla
rivoluzione proletaria, era anch'esso, all'inizio, uno strumento di potenza e di
repressione, per mezzo del quale il proletariato, organizzato come classe
dirigente, crea un proprio apparato per imporsi sugli elementi non proletari e
semiproletari della società. I lavoratori, infatti, non possono fare la
loro rivoluzione assumendo le forme esistenti della democrazia borghese, ma
debbono distruggerla. I due fini che la dittatura del proletariato deve
raggiungere sono: 1) mantenere soggetta la classe sfruttatrice la cui resistenza
aumenta una volta che essa sia rovesciata, in modo da prevenire ogni tentativo
controrivoluzionario; 2) organizzare il nuovo ordine sociale ed economico. Lenin
distingue due stadi della società comunista. Il primo (stadio inferiore o
socialista) coincide col periodo della dittatura del proletariato, in cui viene
sostanzialmente eliminato lo sfruttamento e ogni forma di lotta di classe, come
anche ogni conflitto di interessi tra le varie categorie di lavoratori. Il
principio del socialismo è "da ciascuno secondo la sua capacità, a
ciascuno secondo il suo lavoro". Nel secondo stadio (superiore o comunista) ogni
forma di coercizione viene a cadere, si ha la dissoluzione dello stesso apparato
statale e si realizza l'ideale comunista indicato nella formula "da ciascuno
secondo la sua capacità a ciascuno secondo i suoi bisogni". In questa
nuova società, ogni distinzione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale
è destinata a scomparire e con essa scompare una delle principali fonti
della diseguaglianza sociale. Tracciando questo schema di società
socialista e indicando le premesse per l'estinzione dello Stato nel comunismo,
da attuarsi su scala mondiale, Lenin manteneva intatto il sistema marxista, pur
ribadendo l'importanza del primo stadio, quello socialista e della dittatura del
proletariato che esige "il più rigoroso controllo da parte della
società e dello Stato della qualità del lavoro e della
qualità del consumo".