(voce russa, der. del turco-tataro
kulak: pugno; in senso figurato,
avaro, incettatore. Pl.
kulaki). In URSS il termine era usato per
indicare i contadini ricchi che si servivano del lavoro di braccianti agricoli e
che sfruttavano il lavoro di altri contadini.
K. vennero definiti dal
governo sovietico coloro che possedevano mezzi di produzione per un valore
superiore ai 1.600 rubli e assumevano braccianti per più di 50 giornate
l'anno; coloro che possedevano più di 800 rubli e assumevano braccianti
per più di 75 giornate l'anno; coloro che possedevano beni per un valore
superiore ai 400 rubli e assumevano braccianti per più di 150 giornate
l'anno. Secondo i dati del censimento del 1926, coloro che rientravano in queste
categorie costituivano il 4% dei contadini sovietici. Le ostilità contro
i contadini possidenti erano cominciate sin dal 1917-18, quando, assunto il
potere, i bolscevichi si erano venuti a trovare di fronte a una crisi
catastrofica negli approvvigionamenti di grano alle città e promossero
una campagna di confische forzate nei confronti dei contadini, cercando di
ostacolare il commercio privato illegale di derrate alimentari. Sin dall'inizio
il Partito bolscevico cercò di farsi alleati i contadini poveri
(
beduyaki) e di assicurarsi la benevola neutralità di contadini
medi (
serednyaki). In realtà l'intento di istituire una "solida
alleanza" tra il proletariato e i contadini poveri non riuscì a
concretarsi neppure durante le fasi più calde della guerra civile,
rimanendo invece aperta la contrapposizione tra città e campagna.
L'attacco decisivo contro i
k. fu sferrato da Stalin quando, liquidata la
guerra civile e superata la drammatica situazione economica dei primi anni della
rivoluzione grazie alla Nuova Politica Economica leninista, la NEP, fu deciso di
avviare un rapido processo di collettivizzazione per l'effettiva costruzione del
socialismo in una società ancora per gran parte pre-capitalistica. La NEP
aveva costituito una sosta temporanea nella politica rivoluzionaria di
collettivizzazione e, in pratica, aveva restaurato lo stimolo del guadagno
personale, quale invito a una produzione maggiore. Si era trattato di una
necessità per difendere e salvare la Rivoluzione, tenuto conto che il
Partito bolscevico si trovava a operare in una società prevalentemente
pre-capitalistica, a grande maggioranza contadina, e in cui la Rivoluzione non
sarebbe potuta riuscire finché non fosse stato avviato e portato a
termine un massiccio processo di collettivizzazione e di industrializzazione. Si
trattava di modificare i rapporti economici e il sistema di produzione agricola,
e questo non poteva avvenire senza lo smantellamento della tradizionale
proprietà contadina. Pertanto, la liquidazione dei
k. nel 1927-28
fu giudicata un preparativo indispensabile per la collettivizzazione
dell'agricoltura. Nell'estate del 1928 le abitazioni dei
k. vennero
perquisite e i loro raccolti confiscati. Nel dicembre successivo, Stalin
annunciò che era necessario passare da una politica di "limitazione" a
una politica di "liquidazione dei
k. come classe", e nel febbraio 1930 fu
autorizzata la completa espropriazione dei loro beni e la deportazione di coloro
che avessero opposto resistenza. Il progetto di collettivizzazione e di
massiccia industrializzazione non fu né facile né indolore e
comportò eccessi e massacri.