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Kollontaj, Aleksandra Michajlovna.

Rivoluzionaria e diplomatica sovietica. Figlia di un generale aiutante dello zar, studiò in Svizzera dove verso il 1890 aderì al movimento socialista, e soggiornò successivamente a Parigi e negli Stati Uniti. Fu delegata del Partito socialdemocratico russo ai congressi dell'Internazionale socialista del 1907, 1910, 1912. Aderì alla corrente menscevica, assumendo posizioni di deciso internazionalismo. Rimase tuttavia assai vicina a Lenin che ebbe sempre per lei molta stima e durante la guerra collaborò coi bolscevichi, unendosi ufficialmente a essi nel 1917. Nel febbraio di quell'anno era rientrata in Russia e rappresentò le organizzazioni militari bolsceviche nel Soviet di Pietroburgo, svolgendo un'intensa attività di propaganda rivoluzionaria tra i soldati e i marinai della flotta del Baltico. Figura di primo piano nella Rivoluzione d'Ottobre, ricoprì importanti incarichi nel partito e nel governo. Fece parte (1920-1922) del comitato centrale del partito, fu commissario del popolo (ossia ministro) per l'assistenza, responsabile del lavoro femminile del partito e segretaria dell'ufficio internazionale delle donne presso il Comintern. Dotata di grande fascino personale e di un notevole potere di persuasione, fu oratrice brillante e polemista di forza considerevole. Quale esponente dell'ala sinistra del partito capeggiò (1920-1921) il gruppo dell'"Opposizione operaia", denunciando l'involuzione burocratica del regime e il distacco degli organismi statali e di partito dalle masse. Ella espose le sue idee, in nome dell'"Opposizione operaia", in innumerevoli discorsi attraverso il Paese, raccogliendole poi in un vigoroso opuscolo (Rabočaja oppozitsija; trad. it. L'opposizione operaia in Russia, 1962) che pubblicò nel marzo 1921. In esso esprimeva tutta la propria irritazione contro le gerarchie del partito, che soffocavano ogni iniziativa di base, e la propria avversione contro la burocrazia. Denunciava la perdita della fiducia del partito nella classe lavoratrice e la contaminazione di principi borghesi insita nell'abolizione della direzione collettiva delle industrie a favore della direzione industriale da parte di specialisti. La K. osservava che, mentre l'"essenza del comunismo" era nell'organizzazione dell'industria da parte dei lavoratori, la percentuale dei lavoratori in posti direttivi superava di poco il 17% e il partito era dominato di elementi della classe media e da contadini. Pertanto, a nome della sinistra, chiedeva il controllo dell'industria da parte dei sindacati e la direzione delle amministrazioni locali da parte degli operai, denunciava la paura che il partito aveva delle critiche (da cui l'azione repressiva della burocrazia) e affermava che "non ci può essere attività autonoma senza libertà di pensiero e di opinione", per cui, solo adottando metodi diversi di direzione, solo attuando una politica "in cui tutte le questioni più importanti del Partito e della politica sovietica siano sottoposte al giudizio delle masse e solo dopo di ciò vengano affidate per l'attuazione ai dirigenti" sarebbe stato possibile risanare la burocrazia. Queste critiche e il successivo tentativo di ottenere l'appoggio della Terza Internazionale contro il Comitato Centrale, rischiarono di costare alla K. l'espulsione dal partito. Comportarono in ogni modo l'allontanamento nel 1923 da tutte le alte cariche politiche ricoperte e l'assegnazione di incarichi di rappresentanza diplomatica presso le ambasciate di Norvegia, Messico, Svezia. Nel 1940 s'impegnò per la firma della pace tra URSS e Finlandia. Rientrò definitivamente in Unione Sovietica nel 1945 (Pietroburgo 1872 - Mosca 1952).