Filosofo tedesco. Allievo del Collegium Fridericianum nella sua città, si
iscrisse poi alla facoltà di Filosofia, dove seguì le dottrine
razionalistiche di Wolff, e gli studi fisici e matematici, interessandosi alla
teoria di Newton. Tra il 1746 e il 1755 si dedicò all'insegnamento
privato, e nel 1756 ottenne la libera docenza nell'università di
Königsberg. Da questo momento nacque in lui un accentuato interesse
speculativo che lo portò, da un lato, a trascurare le ricerche
scientifiche sulla natura e, dall'altro, ad un'opera di revisione del
razionalismo leibniozwolfiano determinata soprattutto dallo studio attento e
profondo degli empiristi inglesi, Bacone, Locke, Hume, e delle opere di
Rousseau, specie dell'
Emilio. Nel 1770 divenne titolare di Logica e
Metafisica all'università di Königsberg e già nella
prolusione
De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis,
si nota il preannunzio del nuovo indirizzo criticistico che
K.
darà in seguito alla sua filosofia. A dieci anni di distanza, infatti,
nel 1781 pubblicò la
Critica della Ragion Pura, prima delle sue
opere fondamentali che vedranno la luce, a distanza di tempo, fino al 1790. Nel
1793 pubblicò
La Religione nei limiti della Ragione, che l'anno
successivo gli valse un ordine di gabinetto del re di Prussia, Federico
Guglielmo II, con il quale gli venne intimato di non occuparsi più di
argomenti religiosi con criteri che non fossero compatibili con la tradizione e
con l'ortodossia cristiana.
K. dignitosamente si sottomise
all'ingiunzione, ma nel 1796 lasciò l'insegnamento. Dopo aver pubblicato
le opere composte nell'ultimo periodo della sua vita, periodo di raccoglimento e
di meditazione,
K. morì nella sua città natale. ║
Opere: il nuovo orientamento determinato nel pensiero kantiano dalla
lettura degli empiristi inglesi, si espresse nelle opere pubblicate tra il 1762
e il 1766:
La falsa sottigliezza delle quattro figure sillogistiche
(1762),
L'unico argomento possibile per una dimostrazione dell'esistenza di
Dio (1763),
Tentativi d'introdurre nella filosofia il concetto delle
quantità negative (1763),
La ricerca sull'evidenza dei
principî della teologia naturale e della morale (1764),
I sogni di
un visionario illustrati con i sogni della metafisica (1766), in cui espone
la sua sfiducia nella metafisica, accomunando in un'unica condanna i sogni dei
metafisici e quelli dello Swedenborg, visionario svedese assai noto a quei
tempi. La prima grande opera di
K. è la
Critica della Ragion
Pura (1781) sul problema della conoscenza. Vengono poi i
Prolegomeni ad
ogni metafisica futura che voglia presentarsi come scienza (1783); la
Fondazione della Metafisica dei costumi (1785) sui caratteri essenziali
della moralità; i
Primi principii metafisici della scienza della
natura (1786) e la seconda edizione della
Ragion Pura (1787). Con la
Critica della Ragion Pratica (1788), il problema morale viene risolto in
base ai concetti ed ai precetti del criticismo e con la
Critica del
Giudizio (1790) espone le finalità della natura e la finalità
estetica. La
Religione nei limiti della ragione (1793), interpreta
razionalisticamente i punti fondamentali della dottrina cristiana. Negli ultimi
anni,
K. pubblicò la
Metafisica dei costumi (1797), in due
parti:
Primi principii metafisici della dottrina del diritto e
Primi
principii metafisici della dottrina della virtù; e le lezioni di
Antropologia (1798). ║
Il pensiero: i due indirizzi
fondamentali della filosofia moderna prima di
K. erano il razionalismo e
l'empirismo. Il razionalismo, da Cartesio a Leibniz aveva avuto carattere
dommatico, in quanto l'
a - priori veniva considerato razionale
arbitrariamente, perché non era stata giustificata la pretesa che fosse
valido per la conoscenza di una realtà distinta dal soggetto. La
matematica, la fisica e la metafisica, costituite su tale base arbitraria, erano
esse stesse arbitrarie né avevano valore obiettivo. L'empirismo dal canto
suo aveva portato allo scetticismo: negando validità a quanto non era
possibile ricondurre alle esperienze sensoriali, non si poteva spiegare come si
ponessero i legami tra i dati sensoriali, fino a far risultare da questi
l'esperienza, legami che non sono essi stessi dati, ma ordinamento di dati.
L'empirismo, inoltre, non si spiegava la universalità e necessità
della matematica e della fisica, e quanto alla metafisica affermava che essa era
impossibile.
K. di fronte a questa situazione, tenendo conto del
progresso innegabile della nuova scienza della natura, e dell'esigenza del
soprasensibile assai viva nello spirito umano, considera necessario sottoporre
ad analisi l'esperienza, per trovare le condizioni che rendono possibili una
conoscenza obiettiva della natura. Occorre cioè esaminare per quali vie
la ragione giunge a dimostrare la sua potenza conoscitiva; in altre parole
occorre fare la critica della ragione stessa. Perciò la filosofia
kantiana assume il nome di
criticismo, in opposizione al dommaticismo dei
razionalisti e allo
scetticismo degli empiristi. Egli osserva, contro
l'empirismo, che nelle nostre cognizioni vi sono elementi indipendenti
dall'esperienza (forme
a priori); ciò che vi è di
universale e di necessario nella cognizione non può venire
dall'esperienza particolare e contingente, ma viene dalle nostre stesse
facoltà. Contro il razionalismo, egli che osserva noi conosciamo le cose
non come sono in sé (
noumeni) ma come ci appaiono
(
fenomeni); il dato empirico ci fornisce la
materia delle nostre
cognizioni, lo spirito ce ne dà la forma. Bisogna concludere, afferma
K., che l'ordine naturale esiste nella misura in cui la coscienza lo
costruisce nell'atto stesso in cui conosce. La conoscenza è
sintesi a priori: sintesi, perché dà connessione ai dati
del conoscere (che ne sono altresì la
materia, come vogliono gli
empiristi);
a priori, perché tale connessione è operata
dalla coscienza che agisce secondo le sue leggi, e perciò di valore
universale, che sono modi di dar
forma alla materia dell'esperienza
(secondo l'esigenza razionalista).
K. distingue tre gradi nel processo
del conoscere, l'
intuizione, l'
intelletto, la
ragione. Le
forme a priori dell'intuizione sono lo spazio e il tempo, esigenze a priori
della coscienza, che accompagnano ogni sensazione che venga ad impressionarci.
L'intelletto, poi, unifica quelle impressioni che trova in uno spazio e in un
tempo indefiniti, e ne costituisce gli oggetti definibili per quel che ciascuno
è in se stesso e rispetto agli altri. I modi di funzionamento
dell'intelletto sono definiti da
K. categorie.
Io penso è
la categoria suprema, capace di organizzare secondo regole universali tutte le
rappresentazioni che impressionano le coscienze empiriche (
io
trascendentale). Posto l'
io quale legislatore della natura, deriva
che la matematica e la fisica pongono il loro fondamento
nell'universalità e necessità che l'
io pone tra i dati
sensoriali e che noi conosciamo i fenomeni e non le cose in sé. La nostra
scienza è limitata all'esperienza, cioè alla sistemazione dei
fenomeni. Sebbene tale sistemazione non sia mai compiuta, tuttavia la mente
vorrebbe pervenire a delle conclusioni definitive, spinta da un'esigenza che
K. chiama
ragione le cui espressioni, o
idee, sono l'anima,
il mondo, Dio. Ma, mentre il contenuto dei concetti puri (categorie) trova
riscontro nell'esperienza, ogni loro affermazione ha valore soltanto ipotetico.
Da ciò si giunge all'affermazione che la metafisica è impossibile.
I limiti della nostra conoscenza sono segnati dall'esperienza; perciò,
come già si è detto, possiamo conoscere solo i fenomeni e non i
noumeni. Nella
Critica della Ragion pratica,
K. pone il
problema morale ed afferma che l'io è sottoposto alla legge del dovere o
imperativo categorico. Imperativo, in quanto sottintende il concetto di
comando, categorico in quanto comanda un'azione valida di per se stessa e senza
riferimento ad altro fine. Il dovere infatti non impone nessun fine determinato,
ma che ogni fine sia voluto nella forma della razionalità. Tale è
il concetto del dovere per il dovere, in cui la libertà è il suo
presupposto:
debbo, dunque
posso. Tre sono, secondo
K. i
postulati della legge morale:
la libertà della volontà
umana, ora detta; l'
immortalità dell'anima, perché non
potendosi raggiungere la perfezione della legge morale nel mondo sensibile,
è necessario considerare l'esigenza nella nostra volontà di un
processo oltre la vita terrena per uniformarsi alla legge morale stessa;
Dio, legislatore morale e autore della natura, ad un tempo, che è
base e fondamento alla nostra speranza di una possibile felicità assoluta
quale premio, in un mondo noumenico, alla realizzazione del bene morale.
L'esigenza della nostra coscienza morale, infine, ci portava a dare al mondo
della natura un'interpretazione non soltanto meccanicistica, ma anche
teleologica, cioè finalistica. E indipendentemente da questa esigenza
appare chiaro che il coordinamento delle parti negli organismi viventi
presuppone il tutto, non considerato, però, soltanto come risultato
meccanico della somma delle parti. Tale considerazione teleologica, secondo
K. non è una nuova forma di conoscenza che si aggiunge a quella
meccanica, propria della scienza. Perché la conoscenza è
interpretazione di un fenomeno relativamente a un altro fenomeno secondo la
categoria della causalità, mentre la considerazione teleologica è
riferimento di un oggetto al sentimento. Questo riferimento è detto
giudizio riflettente (l'altro era il
giudizio determinante)
perché parte dalla intuizione del particolare su cui la mente riflette
per collegarlo a un fatto universale che non esiste come concetto ma nella sfera
del sentimento. Nella
Critica del giudizio,
K. critica appunto
questa specie di giudizio. Di pari passo con quella del giudizio teleologico,
svolse la trattazione del giudizio estetico che pone anch'esso il suo fondamento
nel sentimento. Il giudizio estetico esprime il nostro godimento nel contemplare
un oggetto quando non vi sia l'intento di conoscerlo concettualmente, né
di soddisfare ad un bisogno pratico. Perciò l'oggetto
bello
è quello che significa al sentimento quell'idea del soprasensibile che
abbiamo visto determinarsi praticamente nel concetto morale. Il bello è,
in conclusione, il
simbolo del bene morale; l'arte è la
realizzazione del bello per opera dell'uomo (Königsberg, Prussia Orientale
1724-1804).
Immanuel Kant