Pseudonimo di
L.B. Rosenfeld. Rivoluzionario e uomo politico russo.
Militante del Partito socialdemocratico russo, aderì all'ala bolscevica
divenendo a Ginevra uno dei più stretti collaboratori di Lenin. Rientrato
in Russia nel 1913, fu arrestato e deportato in Siberia dove rimase sino al
febbraio del 1917; prima del rientro in Russia di Lenin, assunse il controllo
del Partito bolscevico insieme con Stalin. Uomo colto, profondo conoscitore
dell'ideologia marxista e fornito inoltre di un'eccellente conoscenza dei
problemi economici, disponeva anche di buone capacità di organizzazione
politica e riuscì a farsi un vasto seguito nell'apparato del Partito a
Mosca. Entrò in aperto contrasto con Lenin sin dal maggio 1917, quando si
oppose alle proposte del leader bolscevico alla Settima Conferenza Panrussa del
Partito. In opposizione alla tesi leninista, sosteneva che, poiché la
rivoluzione borghese non era ancora ultimata, alle masse dovevano essere
affidati compiti concreti che dovevano assumere la forma di vigile controllo
sulle attività del Governo. La sua opposizione si intensificò nei
mesi seguenti e lo portò a votare contro varie risoluzioni del Comitato
Centrale di cui era membro. In quanto marxista ortodosso,
K. non aveva
accettato la dottrina leninista secondo cui i tempi erano maturi per consentire
il passaggio dalla democrazia borghese alla rivoluzione socialista, e anche
nella riunione del 18 ottobre 1917 votò contro la decisione finale dei
Bolscevichi di uscire dal Consiglio della Repubblica a scopo dimostrativo.
Ciò che egli proponeva e intravedeva, insieme con G. Zinoviev, era una
vittoria parlamentare, non una vittoria rivoluzionaria, e perciò si
dimise dal Comitato Centrale non condividendone la decisione di un'immediata
insurrezione armata e, a rivoluzione avvenuta, continuò a svolgere un
ruolo di opposizione di "destra". Insieme con A. Ioffe (poi sostituito da
Trotskij) fu a capo delle delegazione sovietica incaricata di condurre i
negoziati coi tedeschi per la pace di Brest-Litovsk. Membro della Segreteria del
Partito (il Politburo), nonostante le divergenze con la linea leninista (nel
1921 aveva proposto l'ammissione al Governo di altri partiti socialisti), fu
riconfermato nell'incarico dal X Congresso del Partito (marzo 1921), insieme con
Lenin, Trotskij, Zinoviev e Stalin. Nella lotta per il potere che seguì
alla malattia e alla morte di Lenin nel 1924, fu dapprima, insieme con Zinoviev,
a fianco di Stalin contro Trotskij. Successivamente, affiancò Trotskij
contro Stalin, sostenitore della politica del "socialismo in un solo Paese",
contro la dottrina trotskista della "rivoluzione permanente", ossia di
un'incessante attività rivoluzionaria a dimensione internazionale.
Allontanato dal Politburò nel 1926, nel corso dell'anno successivo fu
estromesso dai vari organismi direttivi del partito e inviato come ambasciatore
a Roma, dove però rimase solo pochi mesi. Nonostante la sottomissione al
regime stalinista e la riammissione nel Partito, fu coinvolto nelle grandi
epurazioni del 1935-36 e accusato, insieme con Zineviev, di avere complottato
nel 1932 per attentare alla vita di Stalin con l'aiuto dei servizi segreti di
polizia tedeschi e di avere preso parte a un complotto per separare l'Ucraina
dall'URSS. Condannato a cinque anni di carcere, venne nuovamente processato
nell'agosto 1936 davanti al Tribunale militare supremo e condannato a morte
(Mosca 1883-1936).