(voce giapponese da
ju: dolce e
dò: metodo). Lotta
giapponese diffusasi in tutto il mondo ed ammessa nel programma olimpico in
occasione dei Giochi di Tokyo 1964. Il
J. ha origine dal
Ju-jitsu,
antico metodo di lotta giapponese inteso come studio di movimenti per colpire e
danneggiare l'avversario, mentre il moderno
J., il cui creatore fu il
professore di educazione fisica Jigoro Kano, è un metodo di lotta inteso
a sfruttare la direzione dell'impulso dell'avversario per portarlo in una
posizione dalla quale è più facile costringerlo alla caduta ed
all'immobilizzazione. Il
J. si basa sullo studio dell'equilibrio del
corpo e del rapporto forza-equilibrio per trarre il maggior vantaggio dallo
squilibrio in cui si riesce a portare il corpo dell'avversario. Perciò il
Ju-jitsu, divenuto
J., conserva nella sua applicazione agonistica
due forme: la proiezione e l'immobilizzazione a terra. I lottatori si dividono
in due categorie: i
kiy (numero) o
cinture allievi, che sono sei
cinture colorate (bianca, gialla, arancione, verde, azzurra e marrone) le quali
stabiliscono il grado di miglioramento cui l'allievo è arrivato: e i
dan (grado) o
cinture nere, che stabiliscono il grado di classe
del lottatore che può portare la cintura nera. È sorta la
necessità di suddividere in gara i judoisti, a seconda del peso
personale, in tre categorie: i leggeri, sotto i 69 kg; i medi, dai 68 agli 80
kg; i massimi, oltre gli 80 kg. Nei tornei la suddivisione viene fatta anche per
gruppi di cinture o per gradi
dan. Nel programma dei campionati mondiali
ed europei è stata istituita anche una categoria libera agli atleti di
tutte le categorie per l'aggiudicazione del titolo assoluto. Le gare di
J. possono essere individuali e a squadre. I combattimenti sportivi di
j. si svolgono su di un tappeto verde (
tatami) ricoperto di un
telone in modo da formare una superficie liscia. La superficie utile di
combattimento deve essere non inferiore a 4 x 4 m e lo spessore del tappeto deve
essere di almeno 10 cm. La direzione del combattimento è affidata
esclusivamente alle cinture nere in funzione di arbitri. Considerato che il
j. è l'arte del combattere corpo a corpo senza armi, il
combattimento sportivo è contenuto in regole che vietano qualsiasi azione
possa recare danni fisici. I judoisti combattono scalzi e, per dar modo
all'arbitro di poterli distinguere facilmente, uno di essi, designato dalla
commissione di gara, cinge una cinta di colore rosso. Nello svolgimento della
lotta in piedi il colpo di lancio valevole per l'assegnazione del punto
j. si realizza solo quando uno degli avversari viene intenzionalmente
proiettato al suolo cadendo sul dorso. La lotta a terra comincia quando un colpo
di lancio non ha la dovuta riuscita tecnica richiesta per l'assegnazione del
punto
j. Nello svolgimento di essa, ogni immobilizzazione semplice della
durata di trenta secondi, ogni chiave alle giunture, ogni compressione alla
gola, portate tecnicamente, contano un punto. Le seguenti azioni sono proibite:
lanciare l'avversario sulla testa e sul collo; torcere o piegare le dita, i
polsi, le dita dei piedi, mascelle, testa, spina dorsale; applicare chiavi alle
gambe, comprimere i fianchi e la gola con le gambe, premere sui nervi, dare
colpi in genere; applicare o premere le mani sulla faccia; valersi della propria
forza per tirare a terra l'avversario in modo da dar principio intenzionalmente
alla lotta a terra; applicare le prese con strappi; effettuare prese
internamente alle maniche o ai calzoni. In caso di qualunque azione proibita da
parte dei contendenti, l'arbitro può fermare il combattimento e, secondo
il suo giudizio, decidere in conformità. In caso di parità la
vittoria può essere assegnata per superiorità tecnica.