Italia.
Stato (301.338 kmq; 58.462.375 ab.) dell'Europa mediterranea. Confina a Ovest
con la Francia, a Nord con la Svizzera e l'Austria, a Est con la Slovenia;
nella parte peninsulare e insulare è limitata a Ovest dal Mar Ligure,
dal Mare di Sardegna e dal Mar Tirreno, a Sud dal Mare
di Sicilia e dal Mar Ionio, a Est dal Mare Adriatico. Capitale: Roma.
Città principali: Milano, Napoli, Torino, Palermo, Firenze, Bologna, Genova.
Ordinamento: Repubblica parlamentare. Moneta: fino al 31 dicembre 2001, lira italiana; dal
1° gennaio 2002, euro. Lingua ufficiale: italiano; esistono minoranze
sarde, ladine, friulane, slovene (Friuli-Venezia Giulia), albanesi (Sicilia, Calabria, Molise, Abruzzo,
Campania, Puglia, Basilicata), serbo-croate (Molise), greche (Salento, Aspromonte),
catalane (Alghero); il francese è lingua ufficiale accanto all'italiano nella
Valle d'Aosta e in alcune valli piemontesi (alta Valle di Susa, Val Chisone, Val Germanasca,
Val Varaita, Val Corsaglia); il tedesco è lingua ufficiale accanto all'italiano in
Alto Adige. Religione: cattolica; esistono minoranze di ortodossi, protestanti, testimoni di
Geova, valdesi, mormoni, ebrei, musulmani.
COSTITUZIONE E ORDINAMENTO
Secondo la Costituzione repubblicana,
promulgata il 27 dicembre 1947, ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948,
"l'
I. è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La
sovranità appartiene al popolo, che l'esercita nelle forme e nei limiti
della Costituzione" (art. 1). Strumenti ed espressione di tale sovranità
non sono soltanto la partecipazione alle elezioni e ai referendum, ma anche la
possibilità di un'iniziativa legislativa (mediante presentazione di un
progetto di legge redatto per articoli da parte di almeno 50.000 cittadini
aventi diritto di voto), della presentazione di petizioni, e soprattutto
l'esercizio dei diritti sanciti dalla Costituzione. Massimo oggetto
costituzionale è lo Stato, i cui organi sono: il Parlamento, il
presidente della Repubblica, il Governo. Il Parlamento è a struttura
bicamerale e si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica,
i cui membri sono eletti per cinque anni, a suffragio universale e diretto.
La Camera dei deputati è composta da 630 membri; sono elettori i cittadini che
abbiamo compiuto il 18° anno d'età e sono eleggibili quelli che abbiano raggiunto il
25° anno d'età. Il Senato della Repubblica viene eletto su base regionale: ogni
regione deve avere almeno sette senatori, ad eccezione di Valle d'Aosta, che ne ha
soltanto uno, e Molise, che ne ha due. Sono elettori i cittadini che abbiano raggiunto il 25°
anno d'età e sono eleggibili quelli che hanno compiuto il 40° anno d'età. Ai
senatori elettivi, che sono 315, si aggiungono gli ex presidenti della Repubblica (salvo
rinuncia) e i senatori a vita, nominati in numero non superiore a cinque dal presidente della
Repubblica per i loro altissimi meriti in campo sociale, economico, scientifico, artistico o
letterario. Il 29 settembre 1999, modificando l'art. 48 della Costituzione, è stato
introdotto nell'ordinamento italiano il diritto di voto per gli Italiani residenti all'estero. La
nuova "circoscrizione estero" è suddivisa in quattro ripartizioni (1. Europa, inclusi i territori
asiatici della Federazione russa e della Turchia; 2. America del Sud; 3. America del Nord e
del Centro; 4. Africa, Asia, Oceania, Antartide), ognuna delle quali elegge un deputato e
un senatore, più altri in proporzione al numero di elettori; può candidarsi
solo chi non risiede nella madrepatria.
Prerogativa del Parlamento è la funzione
legislativa, esercitata collettivamente dalle due Camere, ma spettano ad esso
anche il controllo dell'attività del Governo mediante concessione o
rimozione della fiducia, la deliberazione dello stato di guerra, l'approvazione
dei bilanci, la ratifica di trattati internazionali e inoltre la promozione di
inchieste su materia di pubblico interesse. Il Parlamento, in seduta comune dei
suoi membri, elegge il presidente della Repubblica, a maggioranza di due terzi
dell'assemblea (dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza
assoluta). Può essere eletto presidente della Repubblica (ufficio
incompatibile con qualsiasi altra carica) ogni cittadino italiano che abbia
compiuto 50 anni di età. Il presidente della Repubblica rimane in carica
sette anni ed è rieleggibile. Egli è il capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale;
indice le elezioni delle nuove Camere, promulga le leggi e può chiedere,
al riguardo, una successiva deliberazione (se le Camere approvano nuovamente la
legge, questa però deve essere promulgata); ha il comando delle Forze Armate e
presiede il Consiglio superiore della Magistratura. Nessun atto del presidente
della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri
proponenti. Egli non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio
delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla
Costituzione. Attribuzione del presidente della Repubblica è la nomina
del Governo. Egli, infatti, nomina il presidente del Consiglio dei ministri e,
su proposta di questo, i ministri. Il Consiglio dei ministri rappresenta
l'organo generale del Governo ed esplica la funzione esecutiva. Il presidente
del Consiglio è responsabile della politica generale del Governo,
promuove e coordina l'attività dei ministri mantenendo l'unità di
indirizzo politico ed amministrativo; inoltre redige il programma di governo da
sottoporre alle Camere per l'approvazione. Il potere giudiziario è
esercitato dalla Magistratura, che costituisce un ordine autonomo e indipendente
da ogni altro potere e amministra la giustizia in nome del popolo. Organo di
controllo e di garanzia costituzionale di tutte le leggi è la Corte
costituzionale, formata da 15 membri eletti ogni nove anni per un terzo dal Parlamento, per un terzo dalle supreme magistrature ordinarie e amministrative e per un terzo
nominati dal presidente della Repubblica.
La Corte costituzionale svolge la funzione di controllo di costituzionalità delle leggi
e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle regioni; giudica inoltre sui conflitti di
attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le regioni e tra le regioni.
La Costituzione consta di 139 articoli e di XVIII disposizioni
transitorie e finali. Gli articoli sono suddivisi in: Principi fondamentali
(artt. 1-12) e in due parti che trattano dei Diritti e doveri dei cittadini (artt.
13-54) e dell'Ordinamento della Repubblica (artt. 55-139). Nei Principi
fondamentali la Costituzione proclama: l'uguaglianza di tutti i cittadini
davanti alla legge, prescindendo da qualsiasi distinzione di sesso, di razza, di
lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali;
il diritto al lavoro; la libertà di confessione religiosa; stabilisce che
lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e
sovrani e che i loro rapporti sono regolati dal nuovo Concordato stipulato nel
febbraio 1984; che l'
I. ripudia la guerra come strumento di offesa alla
libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali. Nella parte relativa ai Diritti e doveri dei cittadini, la
Costituzione proclama: l'inviolabilità della libertà personale e
del domicilio; la segretezza della corrispondenza; la libertà di
circolazione e di soggiorno in qualunque punto del territorio nazionale; il
diritto alla riunione pacifica, all'associazione, alla professione della propria
fede religiosa; la libertà di parola, di pensiero, di stampa; la
possibilità di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e
interessi legittimi. Nell'ambito dei rapporti etico-sociali, la Costituzione
afferma che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società
naturale fondata sul matrimonio, ne agevola la formazione con misure economiche
e altre provvidenze, protegge la maternità, l'infanzia e la
gioventù, tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e
interesse della collettività. Dichiarata la libertà dell'arte e
della scienza e del loro insegnamento, concesso a enti e privati il diritto di
istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato, considera
la scuola aperta a tutti, stabilisce l'obbligatorietà e la
gratuità dell'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, e che
i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i
gradi più alti degli studi. Per quanto riguarda i rapporti economici e
politici, la Costituzione stabilisce il diritto del lavoratore a una
retribuzione sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza
libera e dignitosa, la parità di diritti della donna lavoratrice, le
provvidenze e l'assistenza sociale a favore dei cittadini inabili al lavoro, la
libertà di organizzazione sindacale e il diritto allo sciopero. La
proprietà è pubblica o privata: la proprietà privata
è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di
acquisto, di godimento e i limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale
e di renderla accessibile a tutti; essa può essere espropriata, salvo
indennizzo, per motivi di interesse generale. Sancisce infine la libertà,
la segretezza e l'uguaglianza del voto il cui esercizio è considerato
dovere civico, e che tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente
in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica
nazionale. Concludono il testo costituzionale le Disposizioni transitorie e
finali che regolano e determinano alcune modalità di attuazione del
dettato costituzionale e stabiliscono, fra l'altro, che: è vietata la
riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista; che i titoli nobiliari non sono riconosciuti, provvedendo
alla soppressione della Consulta araldica; la XIII Disposizione, che stabiliva che i
membri e i discendenti di casa Savoia non potessero essere elettori e ricoprire
uffici pubblici, vietando ai discendenti maschi l'accesso e il soggiorno sul
territorio nazionale, ha cessato i suoi effetti con legge costituzionale 23 ottobre 2002.
Per quanto riguarda la divisione
amministrativa, la Costituzione ha istituito, a fianco dei comuni e delle
province, nuovi enti territoriali chiamati regioni. I comuni e le province sono
enti dotati di autonomia nell'ambito dei principi fissati dalle leggi generali
della Repubblica e sono retti da amministrazioni elettive che dispongono di un
mandato quadriennale. Inoltre sono anche circoscrizioni di decentramento statale
e regionale. Le regioni sono 20 e sono suddivise in regioni a statuto ordinario e a statuto
speciale. La riforma Bassanini (1997-2000) e la legge costituzionale sul federalismo (che
è andata a modificare l'art. 117 della Costituzione e che è stata approvata
in via definitiva il 2 marzo 2001 e confermata con referendum il 7 ottobre 2001) hanno
conferito nuove funzioni e poteri più ampi alle regioni. I loro presidenti, che hanno
mandato quinquennale, sono a capo della Giunta e hanno facoltà di sciogliere il
Consiglio. I Consigli regionali sono autorizzati a stilare il nuovo statuto regionale,
decidendo autonomamente la forma di governo, il sistema elettorale, i principi di
organizzazione e gestione amministrativa. In base alla nuova formulazione dell'art. 117
della Costituzione, allo Stato è riservata la competenza legislativa esclusiva su
alcune materie (politica estera, immigrazione, difesa, moneta, leggi elettorali statali,
provinciali, comunali, ordine pubblico e sicurezza, giustizia, norme generali sull'istruzione,
previdenza, tutela dell'ambiente, rapporti con le confessioni religiose, determinazione dei
livelli minimi dei servizi), mentre per tutte le restanti materie la competenza legislativa
è stata demandata alle regioni, che godono inoltre di autonomia finanziaria di
entrata e di spesa. Le regioni a statuto speciale (Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige,
Valle d'Aosta, Sardegna, Sicilia) sottostanno a forme e condizioni di autonomia differenti, a
causa di diversi fattori storici, politici, territoriali, linguistici. In base alla legge costituzionale
del 25 ottobre 2000, anche in queste regioni il presidente viene eletto direttamente dai
cittadini; per salvaguardare le minoranze linguistiche, nel Trentino-Alto Adige e nella Valle
d'Aosta rimane in vigore il sistema elettorale proporzionale.
Cartina politica dell'Italia
DIVISIONE AMMINISTRATIVA DELL'ITALIA
|
Regioni e province (ab. del capoluogo)
|
Comuni
|
Kmq
|
Abitanti
|
Densità
|
Piemonte Alessandria (91.590)Asti (73.734) Biella
(46.062) Cuneo (54.817) Novara (102.817) Torino
(900.600) Verbano-Cusio-Ossola (Verbania 30.818) Vercelli
(44.692)
Valle d'Aosta
Aosta (34.610)
Lombardia
Bergamo (116.197) Brescia (191.100) Como (83.000) Cremona
(71.313) Lecco (46.900) Lodi (42.748) Mantova
(47.671) Milano (1.308.735) Monza e Brianza (Monza 121.900)
Pavia (71.064) Sondrio
(21.887) Varese (82.800) Trentino-Alto Adige Bolzano
(98.657) Trento (111.044)
Veneto
Belluno (35.859) Padova (210.985) Rovigo (51.081) Treviso
(82.400) Venezia (269.780) Verona (259.380) Vicenza
(114.232) Friuli-Venezia Giulia Gorizia
(36.418) Pordenone (50.926) Trieste (206.058) Udine
(96.678)
Liguria
Genova (620.316) Imperia (40.900) La Spezia (94.263) Savona
(61.766)
Emilia Romagna
Bologna (373.743) Ferrara (132.471) Forlì (112.477)-Cesena (95.000)
Modena (180.469) Parma (175.789) Piacenza
(99.340) Ravenna (149.084) Reggio Emilia (157.388) Rimini
(135.682)
Toscana
Arezzo (95.229) Firenze (366.900) Grosseto (76.330) Livorno
(160.534) Lucca (82.422) Massa-Carrara (Massa 69.399) Pisa
(87.737) Pistoia (85.947) Prato (183.823) Siena
(54.147)
Umbria
Perugia (161.390) Terni (109.569)
Marche
Ancona (101.862) Ascoli Piceno (51.732) Fermo (37.090)
Macerata (42.684) Pesaro e Urbino (Pesaro 91.955)
Lazio
Frosinone (48.600) Latina (112.943) Rieti (47.050) Roma
(2.547.677) Viterbo (60.254)
Abruzzo
Chieti (55.751) L'Aquila (71.989) Pescara
(122.457) Teramo (52.785)
Molise
Campobasso (51.337) Isernia (21.608)
Campania
Avellino (56.928) Benevento (63.026) Caserta (79.432) Napoli
(984.242) Salerno (134.820)
Puglia
Bari (326.915)
Barletta (93.081)-Andria (97.835)-Trani (53.485)
Brindisi (90.439) Foggia (153.650) Lecce
(92.688) Taranto (197.582)
Basilicata
Matera (59.407) Potenza (68.577)
Calabria
Catanzaro (94.612) Cosenza (70.185) Crotone (60.586) Reggio
Calabria (184.369) Vibo Valentia (33.922)
Sicilia
Agrigento (59.111) Caltanissetta (60.519) Catania
(304.144) Enna (28.312) Messina (246.323) Palermo
(670.820) Ragusa (71.969) Siracusa (122.972) Trapani
(70.872)
Sardegna
Cagliari (160.391) Carbonia (30.393)-Iglesias (27.871)
Medio Campidano (Salnuri 8.541 - Villacidro 14.603)
Nuoro (36.567)
Ogliastra (Lanusei 5.760 - Tortolì 10.253)
Olbia (49.082)-Tempio (Tempio Pausania 14.033)
Oristano (32.936)
Sassari (127.893)
ITALIA (Roma)
|
1.206 190 118 82 250 88 315 77 86 74 74 1.546 244 206 *162 115 90 61 70 139
50 190 78 141 339 116 223 581 69 104 50 95 44 98 121 219 25 51 6 137 235 67 67 32 69 341 60 26 30 47 47 48 18 45 20 287 39 44 28 20 35 17 39 22 7 36 92 59 33 246 49 73
40
57 67 378 91 33 73 121 60 305 104 108 46 47 136 84 52 551 119 78 104 92 158 258
10 48 20 64 97 29 131 31 100 409 80 155 27 97 50 390 43 22 58 20 108 82 12 21 24 377 109
23
28
100 23
26
78 90 8.101
|
25.399 3.560 1.511 913 6.903 1.339 6.830 2.255 2.088 3.263 3.263 23.861 2.723 4.784 1.288 1.771 816 782 2.339
2.108
1.982 2.965 3.212 1.199 13.607 7.400 6.207 18.391 3.678 2.141 1.789 2.477 2.463 3.121 2.722 7.855 466 2.273 212 4.894 5.421 1.838 1.156 882 1.545 22.124 3.702 2.632 2.377 2.689 3.449 2.589 1.859 2.293 534 22.997 3.232 3.514 4.504 1.218 1.773 1.157 2.448 965 365 3.821 8.456 6.334 2.122 9.694 1.940 2.087
784
2.774 2.893 17.207 3.244 2.250 2.749 5.352 3.612 10.798 2.588 5.035 1.225 1.950 4.438 2.909 1.529 13.595 2.792 2.071 2.639 1.171 4.922 19.362
1.538 5.138 1.839 7.189 2.759 2.437 9.992 3.447 6.545 15.080 2.391 6.650 1.717 3.183 1.139 25.707 3.042 2.128 3.552 2.562 3.248 4.992 1.614 2.109 2.460 24.090 6.895
1.495
1.516
7.044 1.854
3.397
2.631 7.520 301.338
|
4.166.442 414.384 207.671 187.041 554.992 344.010 2.122.704 158.999 176.641 119.356 119.356 8.922.463 968.723 1.106.373 537.046 334.087 311.122 195.474 375.159
766.941
3.614.108 489.751 176.565 814.055 937.107 460.665 476.442 4.490.586 209.033 845.203 240.102 793.209 800.370 814.295 788.374 1.180.375 136.183 285.409 240.549 518.234 1.560.748 870.553 204.233 215.137 270.825 3.960.549 910.592 342.704 356.327 628.180 384.989 263.309 350.879 453.039 270.530 3.460.835 323.011 927.835 209.295 316.757 364.113 197.411 381.119 268.180 225.672 247.442 815.588 597.470 218.118 1.463.868 447.613 365.216
171.745
301.302 349.373 4.976.184 477.950 489.599 144.597 3.578.784 285.254 1.244.226 379.471 289.853 292.355 282.547 316.548 227.090 89.458 5.652.492 428.314 286.040 853.009 3.009.678 1.075.451 3.983.487
384.293
1.541.314 403.923 677.515 785.969 574.766 595.727 203.063 392.664 1.993.274 367.592 727.267 162.058 563.405 171.952 4.866.202 441.669 272.402 1.040.547 177.291 641.753 1.198.644 292.000 391.515 410.381 1.599.511 749.393
131.890
105.400
260.345 58.389
146.339
149.620 440.153 58.751.711
|
164 116 137 205 80 257 311 71 85 37 37 374 356 231 417 189 381 250 160
2.108
1.823 165 55 679 69 62 77 244 57 395 134 320 325 261 290 150 292 126 1.135 106 288 474 177 244 175 179 246 130 150 234 112 102 189 198 507 150 100 264 46 260 205 171 156 278 618 65 96 94 103 151 231 175
219
109 121 289 147 218 53 669 79 115 147 58 239 145 71 78 59 416 153 138 323 2.570 218 206
250 300 220 94 285 236 60 59 60 132 154 109 95 177 151 189 145 128 293 69 198 240 181 186 167 66 109
88
69
37 31
43
57 59 187
|
*Tra i quali Campione d'Italia (2,6 kmq) in
territorio elvetico
|
GEOGRAFIA Morfologia:
caratteristica dominante del territorio italiano è la grande
varietà di paesaggi su uno spazio relativamente ristretto. Il fattore
principale di tale varietà è il rilievo, costituitosi attraverso
diverse vicende geologiche. Terra di origine recente, l'
I. si è
formata nel corso di oltre mezzo miliardo di anni. Le prime emersioni si ebbero
con l'orogenesi caledoniana, durante la quale ebbe origine un arcipelago al
posto dell'attuale Sardegna. Durante gli ultimi due periodi dell'era paleozoica
si plasmarono i massicci del Gran Paradiso, del Monte Bianco e del San Gottardo,
mentre emergeva dal Mar Tirreno un esteso arcipelago, formando vari rilievi.
Nell'era mesozoica non si verificarono sensibili modificazioni dell'assetto
venutosi a creare precedentemente, mentre verso la fine dell'era cretacea, in
seguito al corrugamento alpino-himalayano, si verificò il sollevamento
delle Alpi e degli Appennini, accompagnato da una vasta sedimentazione terrigena
in bacini litorali e lagunari. Alla fine del Cenozoico gran parte dell'
I.
era emersa. Durante il Neozoico (o era quaternaria) imponenti fenomeni eruttivi,
il modellamento dei ghiacciai e, più tardi, quello delle acque dilavanti,
completarono la fisionomia del Paese, mentre abbondanti depositi alluvionali
formarono le varie pianure. La costituzione dell'attuale profilo costiero venne
determinata anche da numerosi e intensi fenomeni di bradisismo, che si
prolungarono nel periodo post-glaciale continuando, anche se più
lentamente, il processo di formazione del Paese. Come tutti i territori geologicamente
recenti, anche quello italiano è soggetto a processi di assestamento le cui
principali manifestazioni sono costituite appunto dai terremoti e, in misura minore, dal vulcanismo.
Particolarmente interessate all'attività sismica sono sia l'
I. nord-orientale
(Friuli-Venezia Giulia), sia l'
I. centrale e meridionale (Marche, Umbria, Campania,
Molise, Basilicata, Calabria, Sicilia). Per quanto concerne l'attività vulcanica, la
sua manifestazione più imponente è rappresentata dall'Etna, che è
il maggior vulcano attivo d'Europa. Altri vulcani attivi sono Stromboli e Vulcano, nelle Isole
Eolie; il Vesuvio, sovrastante Napoli, che, pur essendo in fase di quiescenza dopo l'ultima
eruzione del 1944, è l'unico vulcano attivo dell'Europa continentale. I rischi
maggiori per il territorio italiano derivano però dalle sue formazioni rocciose,
facilmente soggette a dissesti idrogeologici (frane, smottamenti). ║
Orografia: l'
I. è un Paese costituito per l'80% da colline
e montagne, e solo per il 20% da pianure. Se si eccettua la pianura padano-veneta, unica
grande estensione pianeggiante, non esistono che modeste piane di origine vulcanica
(pianura attorno a Napoli) o piane alluvionali costiere, che, in origine acquitrinose e
malariche, sono state rese abitabili grazie a opere di bonifica e a profondi interventi di
sistemazione idraulica: in Toscana il Valdarno inferiore e la Maremma; nel Lazio l'Agro
Romano e l'Agro Pontino; in Campania la pianura campana e la piana del Sele; il Puglia il
Tavoliere (la più vasta pianura italiana dopo quella padana); in Basilicata la piana
di Metaponto; in Sicilia la piana di Catania; in Sardegna il Campidano. Il territorio italiano
può essere suddiviso in quattro
regioni fisiche: 1) la regione alpina, che costituisce il confine fra il Paese e
l'Europa; 2) la regione padana, che rappresenta l'area di maggiore addensamento
della popolazione e delle attività economiche; 3) la regione appenninica
o peninsulare, che comprende il sistema appenninico, i rilievi periferici e
alcune pianure; 4) la regione insulare, che include la Sicilia, la Sardegna e
le isole minori. Il sistema alpino, lungo circa 1.000 km, è tagliato in
più punti da valichi facilmente transitabili; comprende a Occidente i
più alti gruppi montuosi, con cime permanentemente innevate (Monte Bianco
4.810 m, Monte Rosa 4.609 m, Cervino 4.478 m), nel settore centrale e orientale
si dirama in più catene quasi parallele, che si allargano verso Nord-Est
e verso Sud-Est, formando una massa montuosa di notevole ampiezza, ma degradando
lentamente verso Est. Le Alpi vengono ripartite in: Alpi Occidentali (Liguri, Marittime,
Cozie, Graie), Alpi Centrali (Pennine, Lepontine, Retiche), Alpi Orientali
(Dolomitiche, Carniche, Giulie). Esaminate nel senso trasversale, le Alpi
presentano una sezione esterna (versanti francese, svizzero, austriaco e slavo)
costituita da rocce prevalentemente calcaree e dolomitiche dell'era secondaria;
una sezione mediana costituita da rocce intrusive (graniti), metamorfiche e
sedimentarie antiche; una sezione interna anch'essa formata da rocce calcaree e
dolomitiche presente solamente a Est del Lago di Como (Prealpi Lombarde e
Venete). A contatto con le Alpi troviamo una serie di colline subalpine,
formatesi in era quaternaria, che separano il tratto alpino dalla pianura
padana. La pianura padano-veneta, limitata a Nord dalle Alpi e a Sud dagli Appennini,
è la più vasta d'
I. con i suoi 46.000 kmq di estensione.
Ampia depressione formata dai materiali detritici trasportati a valle da numerosi corsi
d'acqua, è solcata dal fiume Po (da cui trae nome) e da numerosi suoi affluenti, oltre che da altri importanti corsi d'acqua (Adige, Piave, Reno). La
fertilità dei suoli alluvionali, le opere di irrigazione e quelle di
bonifica hanno permesso alla pianura padana di ospitare l'agricoltura più ricca
e più moderna d'
I. A Sud della pianura padana si sviluppa il sistema
appenninico, che si estende per circa 1.200 km dal Colle di Cadibona allo stretto
di Messina da Nord-Ovest a Sud-Est. Gli Appennini sono formati da una serie di
catene che si distinguono da quelle alpine per la minore altezza. L'Appennino
ligure, più ripido di quello adriatico, è formato in prevalenza da
arenarie e calcari, e, pur non essendo molto elevato, si presenta tuttavia compatto
per l'assenza di valli trasversali. Esso separa radicalmente la pianura padana
dalla riviera ligure. L'Appennino tosco-emiliano, costituito soprattutto da
scisti marmosi e argille, ha cime più elevate. I valichi sono frequenti e
relativamente agevoli. Più imponente è l'Appennino Centrale con il
Gran Sasso d'
I. (Corno Grande, 2.912 m) e la Maiella (2.795 m). I massicci abruzzesi, per lo più formati da calcari, costituiscono la sezione più
elevata della catena e la più aspra dell'
I. centrale. L'Appennino
Meridionale è il più eterogeneo per struttura geologica e forma. A
massicci calcarei che toccano i 2.000 m si alternano rilievi più modesti,
formati da terreni terziari e da argille scagliose. Tali contrasti, dovuti a
profonde dislocazioni e a un'intensa azione superficiale, fanno di questa parte
dell'
I. una delle contrade più aspre della penisola. L'
I.
meridionale è anche una delle zone più instabili, toccata sovente
da scosse sismiche, talora gravi. Al sistema principale si accompagnano
l'Antiappennino Tirrenico (Alpi Apuane, Monti Pisani, Colline del Chianti,
Pratomagno, Colline Metallifere, Monte Amiata, Colli vulcanici laziali, Lepini e
Aurunci, Campi Flegrei e Vesuvio) e l'Antiappennino Adriatico (Gargano, Monte
Calvo, Murge), formati da rilievi diversi per origine e per natura geologica. La
regione insulare presenta una notevole individualità orografica nelle
grandi isole. In Sicilia sono
considerati una prosecuzione degli Appennini i rilievi situati nella zona settentrionale
(Monti Peloritani, Nebrodi, Madonie), nei quali spicca il grande cono vulcanico
dell'Etna (3.269 m). Sono invece estranei al sistema montuoso appenninico i rilievi della
Sicilia centrale e meridionale (Monti Erei, Monti Iblei), così come quelli della
Sardegna, dove si susseguono altipiani e massicci di origine antichissima, risalenti a circa
300 milioni di anni fa e formati quasi essenzialmente da rocce granitiche e metamorfiche,
che rappresentano i resti di un'orografia scomparsa, tra cui spiccano i rilievi dell'Iglesiente
e, soprattutto, il massiccio del Gennargentu, in cui si tocca la massima elevazione
dell'isola (1.824 m). ║
Mari, coste e isole: lo sviluppo costiero italiano
è di circa 7.500 km, dei quali oltre la metà spetta alla penisola. Il Mar
Mediterraneo è articolato in vari bacini: a Ovest, Liguria e Toscana sono bagnate
dal Mar Ligure che, a Sud dell'Arcipelago Toscano, sfuma nel Tirreno. Il litorale
occidentale della Sardegna si affaccia sul Mare di Sardegna, mentre quello meridionale
della Sicilia è lambito dal canale di Sicilia. A Est di Calabria e Sicilia si estende lo
Ionio, mentre a Nord del canale di Otranto si dispiega il Mare Adriatico. Le
profondità maggiori si raggiungono nello Ionio (5.000 m) e nel Tirreno (quasi 4.000
m), mentre l'Adriatico non oltrepassa i 200 m fino al promontorio del Gargano, arrivando a
toccare i 1.200 m di profondità solo nel tratto meridionale. Le coste italiane
presentano una morfologia assai varia. Un dato generale che riguarda la maggior
parte dei litorali d'
I. è il progressivo innalzamento del livello marino, ad
eccezione del delta del Po e della costa adriatica che orla la pianura padana.
Le coste rocciose e frastagliate sono tipiche delle zone in cui i rilievi arrivano in
prossimità del mare, con dorsali perpendicolari alla linea di costa; in tal caso sono
frequenti insenature e porti naturali, con spiagge interposte piccole e ghiaiose. Questo
genere di coste è caratteristico della riviera ligure, della Sicilia nord-orientale e di
gran parte della Calabria. Coste alte ma rettilinee, che costituiscono l'orlatura di altipiani
a strapiombo sul mare, si trovano invece nelle Marche, nell'Abruzzo e in alcuni tratti della
Sardegna. Un tipo particolare di costa rocciosa della Sardegna, detta costa a rías,
si ha invece in Gallura: il litorale è intagliato da strette e profonde insenature che
originariamente erano valli fluviali in seguito sommerse dal mare. Sull'Adriatico, in parte
dell'Emilia-Romagna e in Puglia, e sul Tirreno, in Toscana e nel Lazio, le coste sono basse e
sabbiose. I litorali toscani e laziali presentano inoltre per lunghi tratti cordoni sabbiosi
che delimitano al loro interno paludi, acquitrini, laghi costieri, oggi quasi completamente
prosciugati. Talvolta i detriti trasportati a valle da fiumi hanno finito, nel corso dei millenni,
per congiungere alla terraferma alcune isole vicine, formando promontori, come nei casi
dell'Argentario e del Circeo. La zona nord-occidentale dell'Adriatico è infine
caratterizzata da coste basse e lagunose, la più estesa delle quali è la laguna di
Venezia. Anticamente l'intero litorale dell'alto Adriatico, da Trieste fino a Ravenna, era
costellato da lagune, acquitrini, paludi e anche Ravenna era una città lagunare. La
maggior parte di queste lagune si sono interrate naturalmente, a causa del costante
apporto detritico dei fiumi; sono stati invece appositamente prosciugati ampi tratti del delta
del Po, destinati alla coltivazione. Oltre alle due isole principali, Sicilia e Sardegna,
all'
I. appartengono vari gruppi insulari: l'Arcipelago toscano, che include l'Isola
d'Elba, la terza per superficie; le Isole Pontine, Ischia, Capri, Procida, situate di fronte alla
Campania; le Eolie, Ustica, le Egadi, a Nord e a Ovest della Sicilia; le isole dell'arcipelago
della Maddalena e Asinara, tra Corsica e Sardegna, Sant'Antioco e San Pietro a
Sud-Ovest della Sardegna; Pantelleria e le Pelagie (Lampedusa, Linosa), a Sud della
Sicilia; l'arcipelago delle Tremiti, a Nord del Gargano.
║
Idrografia: a causa della sua struttura morfologica, l'
I. presenta
un'idrografia frazionata in bacini fluviali di
modesta estensione. Con la sola eccezione del Po, che scorre nella zona settentrionale
del Paese, tutti gli altri fiumi sono caratterizzati da brevità di corso, scarsità
di acque e modestia dei bacini. Esistono comunque notevoli differenze tra i fiumi
dell'
I. settentrionale e quelli dell'
I. centrale e meridionale. I principali fiumi
dell'
I. del Nord hanno origine dalle Alpi; il loro regime è abbastanza stabile
nell'arco dell'anno, con portate piuttosto abbondanti in autunno e primavera, a causa delle
copiose piogge, e in estate, per lo scioglimento dei ghiacciai e delle nevi, e con una lunga
magra invernale dovuta al gelo. I fiumi del resto d'
I. discendono dagli Appennini,
privi di ghiacciai, e sono caratterizzati da corso breve, bacino limitato e regime di tipo
torrentizio; la loro portata è molto irregolare, in quanto dipende unicamente dalle
precipitazioni. Tali fiumi alternano dunque periodi di piena, che sovente sono causa di
rovinose inondazioni nel periodo delle piogge (autunno, primavera), a periodi di magra
estiva assai accentuata, che può giungere al completo prosciugamento degli alvei
fluviali. I corsi d'acqua di Sicilia e Sardegna presentano caratteristiche simili ai fiumi
appenninici, di cui accentuano i caratteri. Tipiche della Calabria sono le cosiddette
"fiumare", contraddistinte da forte pendenza e da letto largo e ciottoloso, soggetto a
improvvise piene in occasione di precipitazioni e a totale mancanza d'acqua per il resto
dell'anno. Come tutti i corsi d'acqua del Mediterraneo, i fiumi italiani sfociano a delta. Tra i
fiumi alpini, la maggior parte dei quali (con l'eccezione di alcuni brevi corsi d'acqua liguri)
si gettano nell'Adriatico, il più importante per lunghezza (652 km),
portata media ed estensione del bacino idrografico è il Po. Esso discende dal
Monviso, nelle Alpi Cozie, e attraversa l'intera pianura padana, ricevendo numerosi
affluenti alpini (fra cui Dora Riparia e Baltea, Sesia, Tanaro, Ticino, Adda, Oglio e
Mincio), caratterizzati da portate maggiori e più regolari, e altrettanti affluenti
appenninici (Scrivia, Trebbia, Taro, Secchia,
Panaro), che hanno invece un regime irregolare e, generalmente, portate minori. Il delta
del Po ha inizio a 100 km dal mare e vi arriva con cinque rami. Dalle
Alpi Orientali hanno origine l'Adige, secondo fiume
d'
I. per lunghezza (410 km), che sfocia a poca distanza dal Po di cui un tempo era
un affluente, il Brenta, il Piave, il Tagliamento e
l'Isonzo, che scorre anche in Slovenia. I fiumi appenninici si gettano in parte nell'Adriatico
e in parte nel Tirreno. I tributari dell'Adriatico (tra i principali figurano il Reno,
l'Aterno-Pescara e l'Ofanto che scorrono rispettivamente in Emilia-Romagna, Abruzzo e
Puglia) sono piuttosto numerosi, ma, essendo la linea di spartiacque molto prossima al
mare, hanno un corso particolarmente breve. I fiumi del versante tirrenico presentano uno
sviluppo più complesso a causa della maggiore distanza della catena appenninica
dalla costa. Di questi i principali sono il Tevere, terzo fiume italiano per lunghezza (406
km) e secondo per superficie di bacino idrico, che scorre in Umbria e nel Lazio, l'Arno (245
km), il Volturno e il Garigliano. Tributari del Mare Ionio
sono i corsi d'acqua brevi e tipicamente torrentizi della Basilicata e della
Calabria, quali il Bradano e il Basento, che sfociano a breve distanza l'uno dall'altro nel
golfo di Taranto. Tra i corsi d'acqua delle isole il più importante è il Tirso,
che attraversa gran parte della Sardegna. I fiumi italiani sono utilizzati come fonte di
energia idrica, mentre non hanno alcun valore per la navigazione, eccettuati il Po e
il basso corso dell'Adige. L'
I. è ricca di laghi molto diversi fra
loro. Dei numerosi laghi alpini, che generalmente occupano piccole conche tra le rocce,
scavate dai ghiacciai, si citano quelli di Braies e di Carezza, entrambi nel Trentino-Alto
Adige. Il principale distretto lacustre è però compreso nella zona prealpina,
fra il Piemonte e il Veneto, dove si trovano i tre laghi italiani più estesi: il Lago di
Garda (o Benaco), il più grande lago italiano (370 kmq), il Lago Maggiore (o
Verbano) e il Lago di Como (o Lario), il più profondo d'Europa (410 m). Questi e
altri laghi prealpini (tra cui il Lago di Lugano, il Lago d'Orta, il Lago d'Iseo o Sebino) sono
situati nella parte terminale dei bacini vallivi che si aprono verso la pianura padana. La loro
forma allungata e stretta, nonché la loro relativa profondità, derivano dalla
loro origine morenica. Questi laghi assolvono un'importante funzione climatica mitigando i
rigori dell'inverno padano e rendendo possibili, nei territori circostanti, le colture
mediterranee. Gli altri laghi italiani si trovano nella fascia peninsulare. Numerosi sono
quelli di origine vulcanica, che occupano antichi crateri di vulcani spenti, presentano una
caratteristica forma circolare e sono spesso notevolmente profondi. Quasi tutti i laghi
vulcanici sono situati nel Lazio: i principali sono il Lago di Bolsena (114,5 kmq), quinto in
I. per superficie, il Lago di Bracciano, il Lago di Vico e il Lago d'Albano. Origine
diversa ha il Lago Trasimeno (128 kmq), quarto lago italiano, che si trova in Umbria: esso
occupa una vasta conca originariamente percorsa da acque fluviali libere, che vi sono poi
rimaste arginate per un naturale processo di sbarramento dovuto alla sedimentazione dei
depositi alluvionali degli stessi fiumi. Tra i più estesi laghi italiani va menzionato
anche il Lago di Varano in Puglia (60,5 kmq): si tratta di un tipico lago costiero, che ha
avuto cioè origine nei pressi della costa a causa del progressivo accumulo di
cordoni sabbiosi che separano gli specchi d'acqua dal mare aperto. Vi sono
infine laghi di frana, come il Lago di Alleghe nelle Dolomiti, e laghi carsici, come il Lago di
Pergusa in Sicilia. Nelle Alpi e negli Appennini, oltre a numerosi piccoli laghi naturali, se ne
trovano molti altri artificiali, creati per l'irrigazione e la produzione di energia idroelettrica.
║
Clima: compresa nella zona temperata, protetta a Nord
dalle Alpi e interessata dagli effetti mitigatori del mare, l'
I. ha un clima
prevalentemente temperato. In generale gli inverni possono essere freddi, ma senza
eccessivi rigori, e le estati calde, ma non torride; le precipitazioni, in media, non sono
particolarmente abbondanti. Tuttavia data la presenza massiccia sul territorio italiano di
montagne e colline, un importante fattore climatico è rappresentato dall'altimetria.
Le temperature aumentano inoltre con regolarità da Nord a Sud, parallelamente a
un progressivo accentuarsi dei caratteri propriamente mediterranei (aridità,
mitezza del clima) e alla diminuzione delle escursioni termiche annue. Si va quindi dal
clima temperato freddo della zona alpina più a Nord a quello di tipo subtropicale
delle coste più a Sud, con vari passaggi intermedi. Convenzionalmente si possono
distinguere quattro principali regioni climatiche: alpina, padano-veneta, appenninica e,
infine, litoranea e delle isole. Il clima alpino si ritrova al di sopra dei 1.000-1.500 m di
quota, interessando però anche la fascia prealpina è caratterizzato da
inverni lunghi e freddi, con temperature medie al di sotto di 0 °C (le zone più fredde
sono quelle delle Alpi Orientali) e frequenti
precipitazioni nevose; le escursioni sia annue sia diurne sono notevoli. Le estati sono brevi e fresche, con temperature medie sui 15 °C e
precipitazioni abbondanti (1.000-3.000 mm annui), soprattutto in autunno e primavera,
aumentando da Ovest verso Est. Il clima padano-veneto si riscontra, oltre che nella
pianura padana, nelle zone collinari circostanti (Brianza, Langhe, Monferrato, ecc.).
Presenta caratteri più marcati di semicontinentalità, con inverni freddi (di
poco superiori, in media, agli 0 °C), umidi e nebbiosi ed estati calde (con temperature
superiori a 20 °C), sovente afose nelle pianure, ma ben ventilate nelle zone collinari;
mediocri sono le escursioni diurne, ma notevoli quelle annue. Le precipitazioni sono
relativamente abbondanti (800-1.000 mm annui) e sono distribuite nell'arco dell'anno, con
un'accentuazione in autunno e primavera. Le aree circostanti i grandi laghi prealpini
godono di un clima più mite, quasi mediterraneo, a causa dell'influsso esercitato
dalle masse d'acqua dei bacini lacustri (in questo caso si parla di clima insubrico). Il clima
appenninico è tipico degli Appennini, degli altipiani e delle conche interposte.
Presenta caratteri di continentalità che si accentuano verso l'interno, con notevoli
differenze tra estati calde e inverni freddi. Le precipitazioni risultano abbondanti sul
versante tirrenico, raggiunto dalle masse d'aria umide provenienti dall'Atlantico, mentre
nelle zone più elevate e interne (soprattutto di Abruzzo e Molise) sono frequenti e
copiose le precipitazioni nevose. Il clima cosiddetto litoraneo ha rilevanti differenze.
Sull'Adriatico, meno ampio e profondo del Tirreno e che esercita quindi una minore azione
mitigatrice, a parità di latitudine gli inverni sono più rigidi e le estati
più calde e afose; le precipitazioni sono inoltre più scarse di quelle che si
verificano sul versante tirrenico e ligure. Sull'Adriatico settentrionale, dove la catena delle
Alpi, ormai relativamente bassa, offre scarsa protezione contro la massa d'aria fredda,
d'inverno giungono con facilità i venti di Nord-Est, tra cui la bora di Trieste, le cui
raffiche possono raggiungere i 150 km/h. Di contro, sull'Adriatico meridionale si
accentuano la siccità (le precipitazioni sono anche inferiori a 500 mm annui) e le
temperature estive che possono superare anche i 40 °C. In Calabria e nelle isole maggiori
(Sicilia, Sardegna) sono assai evidenti i caratteri di mediterraneità: gli inverni sono
tiepidi e piovosi nelle zone litoranee (ma spesso freddi nell'interno montuoso) e le estati
sono calde e caratterizzate da prolungata siccità. ║
Flora, fauna e parchi
nazionali: i profondi interventi dell'uomo sull'ambiente hanno determinato notevoli
modificazioni sulla flora e la fauna del territorio italiano: gran parte dei boschi che un
tempo ricoprivano quasi tutto il Paese sono stati abbattuti per far posto a coltivazioni, a
costruzioni di uso abitativo e industriale, a strade e ferrovie. In
I. si possono
individuare quattro principali ambienti naturali: alpino, padano-veneto, appenninico,
mediterraneo. Nella zona alpina prevalgono le latifoglie (boschi di castagni, faggi, querce,
noccioli, betulle) fino a 1.000 m di altitudine, mentre nella fascia compresa tra 1.000 e
2.000 m si trovano foreste di conifere (pini, abeti, larici). Ad altitudini superiori si stendono
arbusteti, con mughi striscianti, rododendri, ginepri, ecc., e le praterie ricche di fiori alpini
(stelle alpine, genziane, ecc.). Il piano vegetale più elevato corrisponde all'area dei
muschi e dei licheni, mentre al di sopra dei 3.000 m di quota hanno inizio le nevi perenni.
La fauna è costituita da cervi, caprioli, stambecchi, daini, marmotte, martore, ricci,
ermellini, donnole; nelle Alpi Orientali vivono anche gli orsi bruni. Vi sono inoltre numerose
specie di uccelli, tra cui aquile reali, falchi, poiane, gufi reali, galli cedroni. A tutela
dell'ambiente alpino sono stati istituiti il Parco nazionale del Gran Paradiso, che si estende
tra Piemonte e Valle d'Aosta, quello dello Stelvio, condiviso tra Lombardia e Trentino-Alto
Adige che ospita, oltre a quelle precedentemente citate, numerose altre specie di uccelli
(gracchio corallino, corvo imperiale, cornacchia, picchio, sparviere, gipeto), quello della Val
Grande, in Piemonte, e quello delle Dolomiti bellunesi, in Veneto. L'ambiente
padano-veneto si suddivide in alta e bassa pianura padana.
Nell'alta pianura padana si distinguono: le brughiere del Piemonte e della Lombardia,
caratterizzate da boschetti di betulle e robinie e da una vegetazione a brugo, aquilegie,
ginestre, eliantemi; l'alta pianura del Friuli, dove si trovano pioppi, salici, ginepri, pruni,
eliantemi, centauree; i magredi friulani, ricchi di
Stipa pennata, giunco nero, pioppi,
querce,
Linum flavum e alcuni salici. La bassa padana comprende alcune zone a
boschi di pioppi bianchi e neri, di salici bianchi, di robinie e, più raramente, di
carpini, ontani e farnie. È inoltre presente una vegetazione palustre e acquatica
che si riscontra nei pressi di marcite (trifoglio, avena, loglio), fontanili (muschi d'acqua,
alghe verdi, ranuncoli d'acqua, nasturzi, ecc.) e delle rive dei maggiori laghi.
Profondamente trasformato dall'uomo, l'ambiente padano-veneto in passato era
caratterizzato dall'alternanza tra colture, siepi e filari alberati dove vivevano uccelli, rettili
e insetti, che
instauravano relazioni complesse con gli animali delle aree agricole.
Il paesaggio padano
ospitava dunque agroecosistemi, cioè ecosistemi connessi all'uso agricolo del
suolo, ricchi e diversificati sia a livello paesaggistico, sia a livello ecologico. Gli attuali
orientamenti europei incentivano la reintroduzione delle siepi, funzionali per la protezione
dal vento, dall'erosione e quale ambiente vitale per animali e piante. Nell'ambiente
appenninico la vegetazione, stratificata in base all'altimetria, comprende querce, castagni,
faggi, betulle, ginepri; nelle zone più elevate si trovano pini montani e talvolta
anche specie alpine. Sul massiccio del Pollino e alle quote più alte dell'Appennino
meridionale, in particolare in Basilicata e Calabria, cresce il pino loricato. Il Parco
nazionale d'Abruzzo, il cui simbolo è l'orso marsicano (la Marsica è una
subregione dell'Abruzzo occidentale) che ivi vive, ospita lupi, caprioli, daini, cinghiali, volpi,
gatti selvatici, tassi, scoiattoli, martore, ecc. e, tra gli uccelli, diverse specie di rapaci.
Anche il Parco nazionale della Calabria, originariamente nato a tutela dei boschi della Sila,
tra i più estesi degli Appennini, è un'area di protezione faunistica dove
vivono, tra gli altri, il cinghiale, il gatto selvatico, la lontra e il raro lupo appenninico.
L'ambiente mediterraneo, tipico della fascia costiera della penisola, è
caratterizzato dalla presenza massiccia della macchia, estesa su gran parte del litorale
italiano e costituita dalla compresenza di alberi, di alti arbusti (macchia alta) o di
cespuglieti (macchia bassa); vi crescono querce da sughero, frassini, lecci, pini (domestici
e marittimi), olivi, carrubi (nel Sud), cipressi (in Toscana), ginepri, corbezzoli, roveri,
lentischi, ginestre, rosmarini, timi, allori, lavande (in Liguria), ecc. In prossimità dei
litorali sono sopravvissute alcune zone anfibie, protette, rifugio naturale di fenicotteri e altri
uccelli acquatici. Tra le più importanti si citano l'oasi faunistica della laguna di
Orbetello (Toscana) e, soprattutto, il Parco nazionale del Circeo (Lazio), istituito con
decreto nel 1934 a salvaguardia di un esteso sistema di zone umide praticamente
disabitate e asilo di una flora e di una fauna ricche e rare. Per quanto riguarda le grandi
isole, desta preminente interesse l'ambiente della Sardegna che ha sviluppato
caratteristiche peculiari a causa della sua particolare storia geologica e del lunghissimo
isolamento. Straordinariamente ricca di specie vegetali, l'isola è caratterizzata dalla
notevole estensione della macchia mediterranea e dalla presenza di mufloni, foche
monache, passere sarde, anseriformi, gruiformi, fenicotteri e rapaci (avvoltoi, grifoni e
aquile, rari sul continente); sono invece del tutto inesistenti esemplari di vipere, tassi, orsi,
lupi, mentre altri animali, tra cui le volpi e i daini, presentano caratteristiche diverse dalle
specie continentali.
L'
I. è del tutto priva di artropodi dal veleno mortale. Rappresenta
inoltre un'importante via migratoria per diverse specie di uccelli che sono di passo sulle coste
tirreniche e adriatiche o sulla pianura padana. Interessante è pure la
fauna marina italiana, molto ricca presso il golfo di Napoli, con forme abissali presso
lo stretto di Messina e il Mare Ligure. Abbondanti sono le sardine e le
acciughe delle coste liguri, i tonni della Sardegna e della Sicilia, il pesce
spada dello stretto di Messina. La fauna marina è completata anche da
cernie, dentici, orate, sogliole, cefali, naselli. Nel Mediterraneo vivono
numerose famiglie di cetacei (balenottera comune, balenottera rostrata,
delfino, orca, globicefalo, capodoglio), e una sola specie di
pinnipedi, la foca monaca, presente esclusivamente in qualche punto della costa sarda e
delle Isole Egadi. Le acque dolci sono popolate da circa sessanta diverse specie, molte di
stabile dimora (agoni, coregoni lacustri, trote di torrente e di lago, luccio, carpa, tinca) e
altre migratici, che per riprodursi risalgono i fiumi (storioni) o trascorrono una parte della
loro vita in mare (anguille).
║
Aree protette: tra le aree protette
presenti in
I. (definite con la L. 394/91), figurano parchi nazionali, parchi regionali e
interregionali, riserve naturali e zone umide. I parchi nazionali storici italiani, istituiti tra il
1922 e il 1968, sono il Parco nazionale del Gran Paradiso, il Parco nazionale d'Abruzzo, il
Parco nazionale del Circeo, il Parco nazionale dello Stelvio e il Parco nazionale della
Calabria, a cui, a partire dal 1998 (LL. 67/88, 305/89, 394/91), si sono aggiunti il Parco
nazionale dei Monti Sibillini (ripartito tra Marche e Umbria), il Parco nazionale del Pollino
(esteso tra Basilicata e Calabria), il Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi (Veneto), il
Parco nazionale dell'Arcipelago toscano, il Parco nazionale delle Foreste casentinesi
(Emilia-Romagna), il Parco nazionale dell'Aspromonte (Calabria), il Parco nazionale del
Cilento e Vallo di Diano (Campania), il Parco nazionale del Gargano (Puglia), il Parco
nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga (ripartito tra Abruzzo, Lazio e Marche), il
Parco nazionale della Maiella (Abruzzo), il Parco nazionale della Val Grande (Piemonte), il
Parco nazionale del Vesuvio (Campania), il Parco nazionale della Maddalena (Sardegna),
il Parco nazionale dell'Asinara (Sardegna), il Parco nazionale delle Cinque Terre (Liguria).
Con il decentramento delle competenze in materia di aree protette (D.P.R. 616/77), anche
regioni e province hanno potuto creare proprie aree naturali locali, tra cui si citano il Parco
delle Dolomiti friulane, nel Friuli-Venezia Giulia; i Parchi della Lessina e dei Colli Euganei,
in Veneto; il Parco dell'Adamello-Brenta e dello Sciliar, in Trentino-Alto Adige; il Parco
della Valle del Ticino, il Parco delle Groane, il Parco dell'Adda Sud, in Lombardia; i Parchi
del Ticino e dell'Alpe Veglia, in Piemonte; il Parco di Portofino, in Liguria; il Parco della
Maremma, il Parco delle Alpi Apuane, il Parco di Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli, in
Toscana; il Parco dei Gessi bolognesi, in Emilia-Romagna; il Parco del Monte Conero,
nelle Marche; il Parco del Monte Subasio, in Umbria; il Parco delle Piccole Dolomiti
lucane, in Basilicata; il Parco dell'Etna e il Parco delle Madonie, in Sicilia. In
I.
esistono anche riserve biogenetiche, ossia zone protette caratterizzate da uno o
più habitat, biocenosi o ecosistemi tipici, rari o in pericolo: le più numerose
si trovano in Toscana (boschi da seme, arboreti sperimentali di abete bianco, faggio e pino
domestico) e in Calabria, dove vengono salvaguardati ambienti interessanti per la fauna
che annovera, tra gli altri animali, il lupo, il capriolo e numerosi uccelli stanziali e migratori.
Oltre ai parchi, vi sono altre aree soggette a tutela, tra cui le riserve naturali gestite in parte
dallo Stato, in parte dalle regioni e in parte da associazioni ambientaliste (WWF, FAI,
ecc.). Zone umide protette sono la Riserva orientata Biviere di Gela, in Sicilia, la Riserva
naturale Valle Averto, in Veneto, e gli stagni di Molentargius e di Cabras, in Sardegna. Tra
le più importanti riserve naturali e oasi che salvaguardano la natura italiana,
svolgendo inoltre rilevanti funzioni di educazione ambientale, si citano: l'Oasi faunistica di
Marano Lagunare, ripartita tra Friuli e Veneto; la Riserva di Laghestel di Piné, in
Veneto; la Riserva faunistica di Bolgheri e quella di Orbetello, la foresta dell'Abetone, in
Toscana; la Riserva delle grotte di Frasassi, nelle Marche; l'Oasi biologica di Ninfa, nel
Lazio; la Riserva della biosfera di Collemuccio e Montedimezzo, in Molise; le riserve delle
saline di Margherita di Savoia e delle Murge orientali, il bosco di Tricase, in Puglia; l'Oasi
di protezione dell'isola disabitata di Vivara, in Campania; la Riserva della foce del fiume
Neto, in Calabria; la Riserva dello Zingaro, l'Oasi del fiume Simeto, la foresta demaniale
della Ficuzza-Rocca Busambra, in Sicilia; le riserve dell'Isola di Caprera e di Capo Caccia,
in Sardegna.
ECONOMIA Dal secondo dopoguerra l'economia
italiana subì un mutamento così radicale da avere pochi paragoni al mondo.
Prima di allora, infatti, l'
I. era un Paese eminentemente agricolo in cui
l'industria occupava un ruolo assolutamente marginale, mentre a partire dal
secondo dopoguerra la politica economica italiana si orientò
decisamente verso lo sviluppo dell'industria, aprendosi all'Europa e portando
rapidamente il Paese a entrare nel novero dei più industrializzati del
mondo. A causa sia della carenza di materie prime, sia delle vicende storico-politiche del
Paese, nel XIX sec. l'industria italiana ebbe uno scarso sviluppo, concentrato soprattutto
nel Nord e in alcune città portuali. Solo a partire dalla fine dell'Ottocento in
I.
cominciarono a sorgere industrie private nel settore tessile e, soprattutto a Torino e Milano
(e nelle aree limitrofe), nei settori siderurgico e meccanico, benché realtà
industriali come quella della FIAT, fondata nel 1899, rimasero a lungo casi isolati. Durante
il ventennio fascista si accentuò il carattere autarchico dell'economia, che
favorì le imprese private, e crebbe l'intervento diretto dello Stato in ambito
economico. In particolare nel 1933 nacque l'IRI (V.), istituto destinato a soccorrere o a
sostituire imprese in difficoltà, che divenne il più grande gruppo industriale
del Paese e fu completamente privatizzato solo negli anni Novanta. L'agricoltura, sebbene
figurasse come la principale voce del reddito nazionale, solo in poche aree (Lombardia,
Emilia) si trasformò in un'attività moderna e avanzata, mentre nella gran
parte d'
I., e soprattutto al Sud, le rese produttive rimanevano bassissime. Queste
condizioni di povertà e di arretratezza indussero milioni di contadini italiani a
emigrare nelle Americhe tra la fine del XIX sec. e la prima guerra mondiale e verso il Nord
Europa e il Settentrione d'Italia nel secondo dopoguerra. Realtà intermedia tra il
Nord avanzato e il Sud arretrato era quella dell'
I. centrale, dove erano diffusi il
sistema di conduzione della mezzadria e la coltivazione promiscua (basata sul trinomio
cereali, vite e olivo). Nel secondo dopoguerra il Paese conobbe un rapidissimo sviluppo
economico (definito "miracolo economico italiano"), reso possibile dagli aiuti del Piano
Marshall, ma soprattutto da un'eccezionale volontà di ripresa, da una leva di
imprenditori di notevole spessore e da una decisa politica delle alleanze con gli Stati
dell'Europa occidentale. La prima tappa che segnò l'inserimento dell'
I. nel
contesto economico europeo fu l'adesione nel 1951 alla CECA, premessa della futura
Comunità Economica Europea, nata nel 1957 con il Trattato di Roma,
che pose le basi della moderna economia italiana. Tuttavia a fronte di
un'industrializzazione intensiva del Nord, particolarmente vigorosa nell'area del triangolo
Milano-Torino-Genova, faceva da contraltare l'arretratezza del Sud, a economia ancora
prevalentemente agricola. Per contrastare il declino dell'economia primaria meridionale nel
1950 venne attuata una riforma fondiaria che però, priva di una strategia e di
adeguati investimenti, non diede i frutti sperati. Allo stesso modo ebbe un esito deludente
l'istituzione della Cassa del Mezzogiorno (1950-86), un organismo finanziario statale
apposito per il Sud, che avrebbe dovuto emancipare l'economia del Meridione soprattutto
tramite la realizzazione di industrie statali. Il sostanziale fallimento delle politiche per il Sud
andò a vantaggio del comparto industriale del Nord, che si poté
così avvalere dell'abbondante manodopera fornita dalle masse contadine e dai
disoccupati (del Sud, ma anche delle regioni povere di Centro e Nord). Il repentino
passaggio da una realtà agricola e arretrata alla fabbrica da parte di milioni di
contadini e disoccupati del Sud pose il Paese di fronte a inediti e delicati problemi sociali. Il
periodo definito del "miracolo economico" si concluse nel 1963, con l'instaurarsi di un
rallentamento produttivo seguito da fasi alterne di espansione e ristagno e
culminato nel 1973 in una vera e propria crisi causata dall'aumento vertiginoso
del prezzo del petrolio. Mentre gli altri Paesi colpiti dalla recessione riuscirono a controllare
l'inflazione entro limiti accettabili, in
I. la
situazione si dimostrò grave: negli anni Ottanta i prezzi aumentarono
vertiginosamente e l'inflazione raggiunse tassi superiori al 20%; l'economia
entrò nella fase cosiddetta di "crescita zero" per il ristagno della
produzione e la disoccupazione superò l'8% (nel Sud il 12%) della forza
lavoro. A seguito di questa situazione risultarono evidenti in particolare
due fattori di fragilità del sistema economico italiano, la mancata
ristrutturazione industriale e la mancanza di programmazione generale, che,
uniti all'elevato costo del denaro e all'alto costo del lavoro, portarono i
prodotti italiani a essere sempre meno competitivi sui mercati mondiali
provocando un calo nelle esportazioni e un aumento nei costi di importazione.
Il crescente indebitamento dell'
I. ebbe come conseguenza il crollo della lira e
l'uscita dallo SME (1992), di cui nel 1979 era stata tra i membri fondatori. Negli anni Novanta
grazie a una politica economica di rigore, di risanamento del debito pubblico e di
privatizzazione, condotta soprattutto dal Governo Prodi, l'
I. riuscì ad
adeguarsi ai parametri di Maastricht e a entrare con il "gruppo di testa" nell'Unione
Monetaria Europea, che adottò definitivamente l'euro dal gennaio 2002 (dal 1999 l'euro
era entrato in vigore come valuta di cambio nel commercio elettronico).
Nel nuovo millennio il nostro Paese si fece trovare impreparato di fronte alla "globalizzazione del
mercato" e alla sfida lanciata dai Paesi asiatici, latino-americani e africani che offrono sul
mercato internazionale manufatti a prezzi assai contenuti, dati i costi estremamente
bassi della manodopera. Per riguadagnare competitività, i Paesi come l'
I.,
che hanno costi di lavoro più elevati, dovrebbero razionalizzare al massimo le
tecniche produttive e, soprattutto, incentivare le produzioni ad alta tecnologia aggiunta e i
servizi definiti "superiori" (il terziario avanzato), cioè l'informatica, la ricerca
scientifica, la cultura, le consulenze, l'attività bancaria e finanziaria, ecc., ambiti nei
quali il Paese registra ancora notevoli ritardi. ║
Agricoltura:
il settore agricolo è quello che ha tratto i minori vantaggi dal complessivo sviluppo
economico italiano del dopoguerra, risentendo in modo più pesante della
mancanza storica di una politica di sviluppo, di adeguati capitali, di una razionale
programmazione. Nonostante i numerosi interventi pubblici (contrassegnati tuttavia da
manovre piuttosto occasionali di tipo assistenzialistico) e le molteplici e rilevanti
trasformazioni realizzate anche in quest'ambito, le differenze di produttività e di
redditività con gli altri settori si sono andate accentuando, tanto che l'agricoltura
contribuisce in modo sempre meno rilevante al PIL dell'
I. Le ragioni di questa
arretratezza sono molteplici e possono essere evidenziate soprattutto nell'eccessivo
frazionamento della proprietà fondiaria, che ha impedito la piena attuazione del
necessario ammodernamento tecnologico, oltre che, in seguito all'integrazione europea,
nei condizionamenti imposti dall'Unione europea che, in numerosi casi, penalizza
l'agricoltura con limitazioni produttive riguardanti certi settori, pur offrendo assistenza e
aiuti in altri. Inoltre l'agricoltura italiana, con l'eccezione di Lombardia, Emilia-Romagna e
Veneto, è scarsamente integrata sia con le industrie di trasformazione, sia con le
reti di vendita, limitandosi spesso al consumo immediato e a scambi locali. Per quanto
concerne le forme di gestione, prevale nettamente la conduzione diretta da parte di piccoli
o medi proprietari. La mezzadria è stata abolita nel 1964 e sostituita con l'affitto;
anche la percentuale di salariati è in forte regresso. In Campania e in altre aree del
Meridione è però attivo un bracciantato stagionale (in particolare nel
momento della raccolta dei pomodori), che è ormai quasi esclusivamente costituito
da extracomunitari, perlopiù africani. La nascita di grandi aziende altamente
meccanizzate, con coltivazioni ben razionalizzate e quindi assai produttive, è molto
lenta. Inoltre l'
I., avendo un'agricoltura insufficiente per il fabbisogno interno, deve
ricorrere all'importazione di carni, prodotti lattiero-caseari (burro, formaggi) e cereali. Dal
punto di vista della produttività agricola, l'
I. può essere suddivisa in
tre aree: la montagna, dove vengono svolte prevalentemente attività silvo-pastorali;
le zone collinari, poco rilevanti ai fini delle risorse agricole, adibite soprattutto a
produzioni specializzate (vigneti, frutteti); le pianure irrigue e le altre zone di notevole
fertilità. Il settore più carente è quello della cerealicoltura, praticata
soprattutto nelle regioni del Sud (grano duro) e nella fascia padana (mais). Dei cereali
hanno il primato il frumento e il granturco, la produzione dei quali, però, non è
sufficiente a coprire il fabbisogno totale richiedendo, perciò, il ricorso
all'importazione. Il riso è coltivato solamente nelle province di Novara, Vercelli e
Pavia. L'orzo ha larga diffusione, mentre scarso rilievo hanno altri cereali (avena, segale,
ecc.). Al contrario l'orticoltura e la frutticoltura hanno fatto registrare importanti progressi.
Le leguminose vedono al primo posto le fave da seme, seguite da fagioli, ceci, lenticchie e
piselli. Delle coltivazioni ortive il primato spetta alle patate, cui seguono pomodori (coltivati
soprattutto in Campania, Puglia ed Emilia-Romagna), carciofi, meloni e cocomeri, cavoli e
finocchi. Tra le coltivazioni industriali primeggia la barbabietola da zucchero, mentre più
modeste sono le produzioni di tabacco, canapa, lino e cotone. Un settore particolare
dell'orticoltura è quello delle coltivazioni di fiori, sviluppato soprattutto in Liguria e in
Toscana. La produzione di uva è destinata sia alla tavola sia all'industria vinicola,
nella quale l'
I. alterna con la Francia il primo posto nel mondo. L'olivicoltura
è praticata prevalentemente in Puglia e Calabria, ma anche Toscana, Liguria e il
territorio che costeggia il Lago di Garda offrono oli molto pregiati (l'
I. è,
insieme alla Spagna, il maggior produttore mondiale di olio). Tuttavia la produzione
è insufficiente al fabbisogno nazionale, integrato con oli di semi di importazione.
Fra le coltivazioni legnose di rilievo vi sono meli e peri (Romagna, Alto Adige, Veneto),
peschi (Romagna, Veronese), mandorli (tipici delle zone meridionali), ciliegi, susini,
fichi, noci, noccioli, castagni, albicocchi. Tra gli agrumi hanno la preminenza arance e
limoni, coltivati prevalentemente in Sicilia.
║
Allevamento: le aziende con allevamenti risultano essere in netta
flessione. La zootecnia è praticata soprattutto nella pianura padana, dove i bovini
sono allevati con metodi innovativi e in funzione della produzione di latte per il consumo
urbano e per l'industria casearia. Altrove il settore zootecnico è mal organizzato,
anche se in
I. esistono razze bovine assai pregiate e apprezzate (la chianina
toscana, per esempio). L'allevamento bovino è entrato in crisi nei primi anni del
nuovo millennio a causa del morbo della "mucca pazza", la BSE, e a seguito dei
contraccolpi di una lunga vertenza tra gli allevatori, il ministero per le Politiche agricole e
l'UE sul rispetto delle quote di produzione e il pagamento delle relative sanzioni per
l'eccesso di produzione. L'allevamento suino è piuttosto diffuso e in crescita,
soprattutto in Lombardia ed Emilia-Romagna, regioni che vantano anche una
produzione di insaccati (principalmente salami e prosciutti) di ottima qualità. In
Sardegna, Lazio, Toscana e Sicilia persistono ampie aree adibite ad allevamento ovino.
Una rapida evoluzione hanno avuto gli allevamenti di struzzi.
║
Pesca: a causa della limitata pescosità dei mari italiani (con
l'esclusione dell'alto Adriatico e del canale di Sicilia), la pesca in
I. è rimasta
un'attività complessivamente povera. L'organizzazione del settore, seppur con
qualche eccezione, mantiene un livello poco più che artigianale. Di una certa
importanza è l'allevamento di ostriche e mitili (Mare Piccolo di Taranto, Lago di
Fusaro e di Ganzirri, Olbia). Nell'alto Adriatico
ha un notevole sviluppo la vallicoltura (le Valli di Comacchio sono note per le anguille). La
pesca comprende alici, sarde, sgombri, tonni, pesce spada (pescato lungo le coste
calabresi), ma risulta largamente insufficiente a soddisfare la richiesta del mercato
nazionale, costringendo a ricorrere a massicce importazioni.
║
Risorse minerarie ed energetiche: in
I. le risorse minerarie sono
piuttosto scarse, soprattutto per quanto riguarda i minerali metallici. I giacimenti, inoltre,
anche dove non si sono ancora interamente esauriti, vengono man mano abbandonati (un
esempio è rappresentato dall'estrazione del mercurio dal Monte Amiata, in
Toscana, oggi cessata), in quanto risulta più vantaggioso da un punto di vista
economico importare direttamente i minerali piuttosto che procedere alla loro estrazione.
Tra i minerali metallici ancora estratti si menzionano i giacimenti di ferro nell'Isola d'Elba
(sfruttati fin da epoche antiche) e in Valle d'Aosta, i giacimenti di piombo e zinco in
Sardegna, di manganese in Liguria, di bauxite in Puglia e in Abruzzo, di rame in Toscana.
Relativamente più ricche sono le risorse minerarie non metalliche, tra cui spiccano
salgemma e sale marino (Sicilia, Puglia, Toscana, Sardegna, Calabria) e zolfo (Sicilia;
l'estrazione è tuttavia completamente cessata dal 1986). Di notevole importanza
rimane la produzione di marmi (marmo bianco delle Apuane, rosso di Verona, giallo di
Siena, ecc.), largamente esportati. Riguardo ai minerali energetici, l'
I. è
assai povera di lignite (Toscana, Umbria) e di petrolio (il primato per la produzione tocca
alla Sicilia), ma ricca di gas naturale, o metano, che viene estratto sempre più
frequentemente dai fondali sottomarini, soprattutto nell'alto Adriatico e nel canale di Sicilia.
Tra le regioni produttrici figurano l'Emilia-Romagna, la Puglia, la Basilicata e la Sicilia.
Nonostante la scarsità di minerali energetici, il nostro Paese è tra i
principali produttori di energia elettrica su scala mondiale. La fonte di più antico e
tradizionale sfruttamento è rappresentata dalle risorse idriche, che forniscono un
terzo della produzione elettrica, mentre gli altri due terzi è data dalle centrali
termiche. Tuttavia la disponibilità non soddisfa i crescenti fabbisogni, per cui
è necessario potenziare continuamente la produzione e ricorrere anche
all'importazione. Ancora poco sviluppato risulta essere lo sfruttamento delle fonti
energetiche rinnovabili: assai scarsi sono gli impianti a energia eolica (Sardegna) e solare
(Sicilia). Le centrali nucleari, presenti un tempo a Foce Verde (Latina), San
Venditto-Garigliano (Caserta), Trino (Vercelli) e Caorso (Piacenza), hanno cessato la loro
attività in seguito al referendum antinucleare del 1987.
║
Industria: rispetto ai maggiori Paesi europei e agli Stati Uniti, l'
I. ha
avviato con molto ritardo il processo di industrializzazione della sua economia. Tale
processo, inoltre, ha assunto caratteristiche peculiari, caratterizzandosi per
disomogeneità tra le varie aree produttive sia per quanto riguarda la percentuale
degli addetti in rapporto alla popolazione attiva, sia, soprattutto, per quanto concerne la
partecipazione delle varie regioni alla produzione del reddito nazionale nel settore
secondario, con l'assoluta preminenza assunta dalle zone settentrionali e centrali. La
percentuale media italiana degli addetti all'industria si aggira intorno al 35% della
popolazione attiva e, come in tutti i Paesi a economia avanzata, sta registrando una
contrazione a vantaggio del settore terziario. Riguardo alla distribuzione geografica delle
zone produttive, la massima concentrazione industriale continua ad essere quella del
Nord-Ovest (Lombardia e Piemonte), base dell'industrializzazione italiana, caratterizzata
da imprese di vaste dimensioni e fortemente accentrate (come, per esempio, la FIAT), che
tuttavia presumibilmente non potrà avere ulteriori slanci produttivi, ma solo
decrementi (come è avvenuto per la zona attorno a Genova). Dopo la crisi degli
anni Settanta, il rilancio industriale è passato attraverso un arricchimento del
tessuto produttivo, formato ormai in prevalenza da imprese piccole e medie, sorte
soprattutto nell'Italia centrale (Toscana, Marche) e ancor più nel Nord-Est (Veneto,
Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia). Si tratta di aziende con larga diffusione sul
territorio, a gestione spesso familiare, con pochi dipendenti e quindi deboli conflitti con la
manodopera, inserite in una realtà ricca di infrastrutture, che hanno dato vita ai
cosiddetti "distretti industriali" specializzati (tra i più noti si menzionano i mobilifici
della Brianza, del Basso Veronese e di Pesaro; i distretti vinicoli delle Langhe e del
Monferrato; le seterie di Como; le oreficerie di Valenza Po; i lanifici di Biella e di Prato; i
calzaturifici di Vigevano, Macerata e Barletta; le vetrerie di Venezia e di Empoli; le
ceramiche e le piastrelle di Sassuolo; gli strumenti musicali di Castelfidardo; i marmi di
Carrara; i conservifici di pomodoro a Salerno e in provincia di Napoli), ben integrati nella
società locale, dove si addensano piccole e piccolissime industrie complementari,
che sono andate progressivamente a sostituirsi all'industria pesante. I grandi insediamenti
siderurgici e metalmeccanici (Sesto San Giovanni, Venezia-Marghera, Genova, Bagnoli)
sono stati smantellati; la produzione automobilistica è stata decentrata e
parcellizzata; gli impianti chimici e petrolchimici hanno subito una profonda riconversione.
Dal punto di vista della produzione, in
I. sono particolarmente fiorenti le industrie
manifatturiere, in particolare nel settore tessile, della moda, dell'abbigliamento, delle
calzature, della lavorazione delle pelli e del cuoio (Veneto, Lombardia, Friuli-Venezia
Giulia, Piemonte, Toscana, Campania), del mobile e dell'arredamento (Lombardia, Veneto,
Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Marche, Emilia-Romagna, Puglia). Di notevole importanza
è poi l'industria agro-alimentare. L'industria molitoria è diffusa in tutta
I., mentre i pastifici sono ubicati soprattutto in Sicilia, Campania, Abruzzo, Puglia,
Toscana e l'industria risiera nelle vicinanze delle principali zone di produzione (province di
Vercelli, Pavia e Novara). Specialità italiane sono anche gli ortaggi conservati
(provincia di Napoli, Salernitano), così come l'industria dell'olio
d'oliva, con impianti di estrazione e raffinazione situati soprattutto nelle zone di produzione
(Liguria, Puglia, Toscana, Campania, Calabria, Sicilia), e l'industria enologica, diffusa su
quasi tutto il territorio nazionale. Il settore dei salumifici, addensato nella pianura padana
(Parma, Modena, Reggio Emilia, Cremona), ha un ruolo preminente anche a livello
europeo. L'industria lattiero-casearia è concentrata in prevalenza al Nord, mentre
nel Sud d'
I. si trovano molti caseifici di piccole dimensioni, specializzati in
produzioni tipiche. Risultati di rilievo sono stati ottenuti in numerose produzioni
meccaniche, da quelle automobilistiche (Piemonte, Basilicata, Molise, Campania), alle
industrie che producono elettrodomestici (Veneto, Lombardia, Campania, ecc.), cicli e
motocicli (Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana), macchinari per
l'agricoltura e l'industria, macchine utensili in generale, navi da crociera (Liguria, Veneto,
Toscana, Campania, Sicilia). Fortemente esposti alla concorrenza straniera (in particolare
asiatica) sono invece le produzioni dell'industria di base (siderurgica, metallurgica,
petrolchimica, cantieristica). Da segnalare infine la cospicua produzione italiana di
essenze (Sicilia, Calabria, Liguria, Cuneese, Toscana, Veneto), di carta, con industrie
situate in prossimità dell'arco alpino e appenninico (Fabriano, nelle Marche),
strumenti musicali (Marche, Piemonte, Lombardia), nonché l'importante industria
cinematografica. ║
Terziario: come in tutti i Paesi a economia avanzata,
anche in
I. il
settore terziario è quello che presenta la più alta percentuale di occupati
(oltre il 60%) e che contribuisce in maniera più consistente al PIL. Settore
produttivo assai eterogeneo, esso comprende servizi, sia pubblici sia privati, che rientrano
nell'ambito della pubblica amministrazione, del commercio, del turismo, delle
attività bancarie e finanziarie, della consulenza e delle ricerche scientifiche di ogni
genere. Queste ultime attività sono sempre più frequentemente definite
"terziario avanzato", ambito in cui l'
I. registra un grave ritardo. Il numero degli
addetti del terziario varia da regione a regione: generalmente la percentuale è
inferiore alla media nelle regioni con alto tasso di industrializzazione (Lombardia,
Piemonte, Veneto, dove si attesta intorno al 50%) e superiore nelle regioni ad
amministrazione straordinaria (che in vari ambiti hanno un proprio "Governo" locale) e in
Campania, Calabria e Lazio, dove si riscontra un elevato numero di impiegati nella
pubblica amministrazione. I settori del terziario che raggruppano la più alta
percentuale di addetti sono la pubblica amministrazione e il commercio. In
I.
storicamente lo Stato è un datore di lavoro molto importante: moltissimi sono gli
impiegati nei ministeri, nelle amministrazioni locali, nelle scuole, nella sanità, nelle
poste, nelle ferrovie, nella magistratura, nei corpi di polizia e dei carabinieri, nell'esercito.
Al fine di aumentare la produttività e ridurre i costi del settore, divenuti in certi casi
insostenibili per lo Stato, negli anni Novanta Parlamento e Governo hanno iniziato un tentativo di riforma della pubblica amministrazione introducendo nuovi
caratteri di imprenditorialità, trasferendo parzialmente o totalmente numerosi
servizi pubblici alle aziende private e rafforzando i principi di autonomia degli enti locali,
attraverso il passaggio di molteplici competenze dallo Stato centrale alle amministrazioni
locali (regioni, province, comuni). Per quanto riguarda il commercio, il 60% degli addetti
è costituito da lavoratori autonomi (microimprese commerciali, negozi a
conduzione familiare). Tuttavia anche nel nostro Paese è in atto un radicale
cambiamento dell'attività commerciale, che vede la progressiva flessione dei punti
vendita, soprattutto piccoli e medi, a vantaggio di supermercati, ipermercati e centri
commerciali, ormai presenti in modo massiccio sull'intero territorio nazionale. Una voce
importante dell'economia italiana è rappresentata dal turismo, che fornisce una
percentuale al prodotto nazionale superiore all'agricoltura. I flussi turistici, sia interni sia
esteri, a partire dagli anni Settanta hanno registrato una crescita progressiva. Molti, d'altra
parte, sono i fattori, sia culturali sia naturali, favorevoli all'affermazione in
I. di
questo settore, che ha comunque ancora ampi margini di sviluppo, soprattutto nel Sud del
Paese. L'economia italiana è infine caratterizzata da scambi con l'estero assai
vivaci. La composizione del commercio estero italiano è quella tipica di un Paese
"trasformatore", che importa materie prime (tra cui quelle energetiche e alimentari) e i
semilavorati (tuttavia, l'accresciuto benessere ha determinato un incremento
dell'importazione di prodotti esteri finiti, come televisori e automobili) ed esporta manufatti.
Tra i principali prodotti esportati vi sono quelli dell'industria meccanica (autoveicoli e mezzi
di trasporto, elettrodomestici, macchinari agricoli e industriali, utensili), dell'industria tessile
e dell'abbigliamento (con particolare riguardo per le calzature e il pellame), di gioielli e di
altri articoli di lusso. Assai importante è inoltre l'esportazione, rivolta ai Paesi in via
di sviluppo, di grandi infrastrutture come dighe, porti e arterie stradali. Deficitari sono
invece i settori della chimica, in particolare della farmaceutica (la maggior parte dei
medicinali presenti sul mercato italiano sono prodotti all'estero o in
I. ma su licenza
estera), e dell'alta tecnologia. I maggiori movimenti commerciali del nostro Paese si
svolgono all'interno dell'Unione europea, prevalentemente con Francia e Germania. Al di
fuori dell'UE, gli Stati Uniti sono il più importante partner commerciale. Sono
comunque in aumento gli scambi con la Russia, con i Paesi dell'Est europeo e con i Paesi
extraeuropei, in particolare con quelli asiatici, forti esportatori di materie prime.
STORIA
Preistoria
La presenza dell'uomo paleolitico è abbondantemente attestata in
I. Sono testimoniate le fasi preamigdaloide (Loretello) e amigdaloide
(
I. centrale, meridionale e Sicilia: i centri principali sono Imola,
Perugia, Norcia, Maiella, Gargano, Capri, Salerno). Il Paleolitico medio,
cioè l'industria delle schegge ritoccate (fase mousteriana), occupò la
più vasta zona geografica, comprendendo, oltre a tutte le località
suddette e i loro dintorni, anche la Liguria, le Alpi Apuane, Parma, le Valli
dell'Enza e del Panaro, il Veneto e il Carso triestino, la Toscana, il Lazio, la
Sabina, la Calabria. Ancor più vasta estensione ebbe l'industria delle lame
dell'ultimo Paleolitico (Miolitico), che si estese in tutta la Sicilia,
nell'estrema Puglia e forse anche in Piemonte, mentre mancò completamente in
Sardegna. I resti umani del Paleolitico medio attestano la presenza di
antichissimi uomini del tipo di Neanderthal (Sassopastore e Circeo) e di tipo
più progredito, come quello negroide, quello di Cro-Magnon (Liguria) e
quello con spiccati caratteri mediterranei (Abruzzo e Sicilia), che sarebbe stato
il tipo umano esclusivo del successivo Neolitico. Questi uomini abitavano per lo
più in caverne, avevano il culto dei cadaveri che seppellivano, talora
con ricco corredo, nel luogo stesso ove dimoravano; tentavano, sia pur
rozzamente, l'arte della ceramica. Gli oggetti litici dell'ultimo periodo
dimostrano due
facies fondamentali talora sovrapposte, l'una
settentrionale, affine all'aurignaciana media, l'altra meridionale, che era
più diffusa, di netta derivazione africana (capsiana). Si nota anche
qualche punto di contatto di queste industrie italiane con quelle della valle
danubiana (cultura willendorfiana). L'età neolitica fu in gran
parte la continuazione della precedente cultura miolitica. Il clima migliorato e
la scomparsa della fauna pleistocenica (mammut, orso speleo, ecc.) favorirono
lo sviluppo civile: alla pastorizia si unì sempre più
frequentemente l'agricoltura; pur perdurando l'abitazione in grotte e ripari
naturali, si diffusero sempre più l'uso della capanna e il
raggruppamento delle capanne in villaggi, spesso difesi da trincee e da muri; il
culto dei morti fu sempre più accuratamente praticato. Il cadavere
veniva per lo più deposto nella terra rannicchiato nella posizione che aveva
nel grembo materno; talvolta era sepolto entro capanne trasformate in
tombe, oppure in grotte. Il tipo umano era ovunque quello mediterraneo
nelle sue varietà, sempre mescolate anche nello stesso ambiente, con
prevalenza di forme dolicocefale e mesocefale; la statura tendeva a elevarsi.
Abbastanza uniformi erano i manufatti; venivano mantenute molte forme arcaiche; le armi
erano prevalentemente di pietra verde, sempre meglio levigate; la ceramica era sempre
più progredita ed elegante; sviluppata era anche l'industria cornea, quasi assente
o alquanto rozza nel Paleolitico. Pur nella presenza di tanti caratteri comuni
si nota tuttavia una varietà regionale e tribale nei particolari, e
l'evidente apporto di elementi di altre culture, segno indubbio di frequenti
relazioni commerciali e forse di afflussi esterni di popoli di comune origine
mediterranea e di antica provenienza africana che, via via, popolarono tutte le
coste del Mediterraneo. Ai popoli neolitici d'
I. le antiche tradizioni
letterarie diedero il nome di Liguri e di Siculi, abitanti i primi
a Nord, i secondi a Sud. Le fonti letterarie parlano di migrazioni di Siculi
sempre più verso le zone del Sud: tali migrazioni trovano qualche conferma nei
reperti del terreno, ma nel contempo si nota un risalire di manufatti
d'ispirazione elladica dalla Sicilia verso l'
I. meridionale e centrale.
Accanto ai Liguri e ai Siculi vi erano i Liburni, abitanti sulle coste
orientali dell'Adriatico settentrionale, emigrati poi sulle coste occidentali
(Marche) e spintisi con qualche colonia fin sul Tirreno (Livorno). Ad essi si
deve la più antica toponomastica d'
I. (Alba, Albula, Albano e
simili; Ticino, Tisino, Tesino, Tessuino e simili). La prima comparsa di oggetti
metallici (asce e pugnali triangolari di rame, qualche raro monile d'argento e
qualcuno rarissimo d'oro) caratterizzò l'era di transizione fra l'età
della pietra e quella dei metalli che prese il nome di periodo eneolitico,
una fase più progredita di quella neolitica. Immutati restarono il rito
inumatorio (che si arricchì di nuove forme di tombe), il tipo d'abitazione
(ancora in grotte o, più spesso, in villaggi di capanne, che avevano
maggiore varietà di forme), nonché le molteplici forme delle
ceramiche; sempre più pulite erano le armi litiche. I traffici commerciali fra
tribù abitanti la penisola e oltre il mare, già solcato da navi,
specialmente di popoli dell'Egeo e dell'Iberia, si infittirono. Si accentuarono
però le differenziazioni regionali. Alla fine di questo periodo accadde un
fatto nuovo: nell'
I. settentrionale (a Est dell'Oglio) si diffuse l'uso
delle abitazioni lacustri su palafitte (civiltà di Polada, dal
nome di una località presso Desenzano ove avvenne un importante
ritrovamento). Tale uso, durato poi nella successiva età del bronzo,
testimonia probabilmente l'infiltrazione di popolazioni svizzere che già
nel Neolitico avevano tale foggia di abitazione. Secondo tutti i dati
archeologici, queste popolazioni, inumatrici, appartenevano alle stesse stirpi
(Liguri), di provenienza africana, già abitanti in
I. Genti arie
(indoeuropee) comparvero in
I. soltanto nell'età del bronzo, della
cui lavorazione tecnica furono maestre. I primi nuclei erano rappresentati dalle
popolazioni delle terramare lombarde ed emiliane. Le terramare erano
costruzioni di villaggi su palafitte non in riva a fiumi o laghi, ma sulla
terraferma. La cultura e l'origine etnica dei palafitticoli lombardi e dei
terramaricoli lombardo-veneto-emiliani erano sostanzialmente diverse. Si trattava
popoli di agricoltori e di guerrieri, ben organizzati, forse su basi
collettivistiche, nei loro villaggi, il cui livello di vita materiale non
era tuttavia alto, come rivelano i manufatti assolutamente privi di fantasia e di gusto
artistico, già tanto sviluppati nei neolitici d'
I. Essi non
seppellivano i morti, ma li bruciavano e ne riponevano le ceneri in urne sepolte
le une accanto alle altre, talvolta entro fosse ben delimitate e rivestite di
pietre. I terramaricoli, specialmente dell'Emilia, furono abili fonditori del
bronzo e di oggetti bronzei; esercitarono un attivo commercio in tutta
I. Intorno al 1000 improvvisamente la cultura terramaricola scomparve: si
pensa che i terramaricoli abbiano emigrato e si siano espansi nell'
I. centrale
e meridionale. I terramaricoli non furono i soli Indoeuropei penetrati in
I. nell'età enea. Accanto e frammisti ad essi, altri vissero in
normali villaggi non sostanzialmente dissimili da quelli delle popolazioni
neolitiche ed eneolitiche d'
I.
L'Italia nel 1000
Queste stazioni dell'età enea
vennero convenzionalmente chiamate
extra-terramaricole. Non è
sempre facile distinguere le indoeuropee da quelle degli indigeni mediterranei,
e soltanto le necropoli degli incinerati sono documento sicuro dei loro
stanziamenti. La civiltà extra-terramaricola, oltre che quella
palafitticola di tipo Polada, assunse diverse caratteristiche regionali: aspetti
propri ebbero le stazioni extra-terramaricole della valle padana, quelle
appenniniche, con una tipica ceramica a traforo, frequenti nell'Imolese, nelle
Marche, in Umbria, in Toscana, in Abruzzo, in Campania e Lucania, quelle della
Puglia ove si rinvennero anche
dolmen e
menhir. Aspetti ancor più
originali ebbero le culture enee in Sicilia, dominata da influssi egei che vennero trasmessi
al continente, e in Sardegna ove si impose la civiltà nuragica nella quale
confluirono influssi egei, iberici e baleari. Coincidono con gli albori
dell'età del ferro l'improvvisa scomparsa delle civiltà terramaricole e
palafitticole e la migrazione delle genti arie dalle prime sedi terramaricole nell'
I.
centrale. Intanto nuove stirpi arie penetravano a ondate dalle Alpi. Campi di
urne vennero alla luce in molti luoghi. Gli Indoeuropei, per ragioni tuttora incerte,
scesero nell'età del ferro lungo l'Adriatico e lungo il
Tirreno, almeno fino alle Paludi Pontine; si civilizzarono a poco a poco a
contatto con i più evoluti indigeni che erano in continui rapporti
commerciali con i popoli egei e con gli Illirici e gli Iberici e da tempo
avevano approfittato della benefica influenza della grande civiltà
elladica, e furono da essi assorbiti. Della loro cultura pressoché nulla
rimase all'infuori della lingua. I dialetti degli invasori indoeuropei
appartenevano al gruppo di lingue varie (di tipo
centum) che chiamiamo
italico. Tali dialetti erano molti e raggruppabili in due gruppi fondamentali:
umbro-falisco e osco-sabellico. Pure da riferire a popolazioni
arie, civilizzate dall'influsso etrusco, è la civiltà di Villanova
(con rito funebre a incinerazione) che fiorì nell'Umbria, in Toscana, a
Bologna, e si estese anche nella stessa area già occupata dai
terramaricoli. Dal punto di vista paletnologico, gli aspetti della prima
civiltà del ferro in
I. si possono distinguere in nove gruppi
culturali ben differenziati: 1) Ticinese o di Golasecca; 2) Veneto-istriano; 3)
Villanoviano-bolognese; 4) Villanoviano-tosco-umbro; 5) Laziale; 6) Piceno; 7)
Sannita-campano; 8) Bruzio-lucano; 9) Apulo-messapico. In Liguria e nel Piemonte
le popolazioni liguri, strette fra i nuovi venuti, contro i quali opposero
fierissima resistenza, restarono come tagliate fuori dalle correnti culturali e
rimasero in uno stato di grande arretratezza (abitazioni trogloditiche, cultura
quasi esclusivamente litica). Intanto dall'Oriente, sulla via dei mercanti,
continuavano a giungere, a piccoli gruppi, coloni su tutte le coste
dell'
I. peninsulare. In Sicilia e in quella che fu poi la Magna Grecia,
una colonizzazione elladica precedette la colonizzazione ellenica; altri sicuri
documenti di afflusso di popolazioni furono forniti dagli scavi a Novilara, a
Spina e in altri punti della costa adriatica, delle Marche e del Veneto. Una di
queste migrazioni fu quella dei Rasena, che i Greci chiamarono
Tirreni e i Romani Etruschi. Gli Etruschi si affermarono tra i
secc. VIII e VII a.C. nel territorio tra il Tevere e l'Arno (attuale Toscana),
espandendosi in seguito nella pianura padana, nel Lazio e nella Campania. Essi diedero
vita a una civiltà articolata e complessa il cui
declino, nel V sec. a.C., fu determinato dalla reazione dei Greci nell'
I.
meridionale, dall'ascesa di Roma e dall'arrivo dei Galli, popolo
indoeuropeo del gruppo celtico, nella pianura padana.
Popoli preromani e origine del nome "Italia"
All'inizio del IV sec. a.C., con l'avanzata degli
Osco-Umbri nell'
I. meridionale,
si raggiunse un assetto pressoché definitivo degli stanziamenti dei popoli nella penisola. Nell'
I. settentrionale, i Liguri si stabilirono in tutto il territorio fra
il Po e il Mar Ligure fino all'Appennino e all'Arno; i Galli, dopo aver respinto gli Etruschi,
occuparono il territorio restante fino al Garda, divisi in molte tribù (di esse le
più importanti erano gli Insubri, stanziati fra e sotto il Lago Maggiore e il Lago di
Como; i Cenomani, ubicati fra il Lago d'Iseo e il Lago di Garda e il Po; i Lingoni, che
vivevano lungo il corso inferiore del Po; i Boi, localizzati al di sotto del Po fino a Rimini; i
Senoni, che abitavano da Rimini a Senigallia); i Veneti si stanziarono fra le Alpi, l'Adriatico,
l'Adige e l'Isonzo; gli Istri nell'Istria. Gli Etruschi, ricacciati dai Galli, occuparono ormai la
sola Toscana e, per breve tempo, ancora un tratto della costa tirrenica, fra il Volturno e il
Silaro; altri nuclei rimasero isolati fra il Garda e l'alto corso del Tagliamento nelle valli
tridentine e nel Veronese. Nel resto dell'
I. centrale si trovavano le popolazioni dette
italiche: gli Umbri, che abitavano la costa adriatica dal Foglia al Potenza e si insinuarono
nell'interno occupando i territori di Gubbio, Perugia, Amelia; i Picenti o Piceni, ubicati fra
l'Adriatico e gli Appennini, fra il Potenza e il Pescara (distinti nelle tribù dei Firmani,
Ascolani, Cuprensi, Truentini, ecc.); i Sabini, che stavano nel cuore dell'Appennino,
pressappoco nell'attuale provincia di Rieti; al di sotto, nell'interno, vi erano gli Equi, gli
Ernici, i Marsi, i Peligni; sul versante tirrenico dal Tevere al Volturno i Latini, i Volsci, i
Campani, gli Ausoni; sul versante adriatico i Vestini e i Marrucini. Sulla costa, fino al Lago
di Lesina, abitavano i Sanniti, che nell'interno occupavano tutto
l'Appennino molisano, campano e lucano. Nella penisola calabrese erano stanziati i
Lucani e gli Enotri, che estendevano il loro dominio dal golfo di Policastro al golfo di
Taranto, e, nell'estrema punta, dalla Sila in poi, i Bruzi. Le coste adriatiche e
ionie della moderna Puglia, dal Gargano in poi, erano occupate dagli
Iapigi di origine illirica (divisi in Apuli, Dauni e Peucezii a Nord, e Messapi, Salentini e
Calabri a Sud). In Sicilia vi erano i Siculi, i Sicani e gli Elimi. I Corsi
abitavano la Corsica e l'estreme coste settentrionali della Sardegna, che per il
resto era dei Sardi. Occorre tuttavia precisare che già in questo periodo
tutte le coste calabre sul Tirreno e sullo Ionio fino a Taranto, le coste
orientali e meridionali della Sicilia e un tratto della costa settentrionale
erano dominate dai Greci, così come la Sardegna era nelle mani dei Fenici
cartaginesi, i quali avevano stazioni anche nella Sicilia occidentale. La nostra penisola,
che i Greci chiamavano
Esperia, cioè "terra d'Occidente", prese il nome di
Italia molto più tardi.
Originariamente il nome indicava solo l'attuale Calabria, dove si erano stanziate genti del gruppo latino che adoravano come simbolo religioso un vitello: questi
Viteloi o
Itali finirono col dare il nome dapprima alla sola Calabria e quindi al Meridione; il nome assunse il significato che ha conservato fino ai giorni nostri solo in età augustea, quando tutti gli abitanti della penisola, dalle Alpi allo stretto di Messina, ottennero la cittadinanza romana.
L'età romana
Tutti questi popoli in circa quattro secoli furono
sottomessi e unificati da Roma. Nell'età regia (753-509 a.C.), Roma si
assicurò gradualmente un ruolo di predominio sul Lazio, suscitando
l'ostilità di alcune città latine che, nel V sec. a.C., costituirono
una lega militare contro i Romani. La guerra, che vide vittoriosi questi ultimi, si
concluse con il
foedus cassianum (493 a.C.), un patto che riconosceva
parità di diritti e di doveri fra i Romani e i Latini, pur garantendo a
Roma una posizione di preminenza nella federazione latina. Nel 396 a.C. Roma
conquistò Veio, potente città etrusca, e diede così inizio
al suo predominio nell'
I. centrale. Poco dopo, dovette però
fronteggiare l'invasione dei Galli - che nel 390 a.C. saccheggiarono la città
- e la ribellione di alcune città latine che tentarono di staccarsi
dall'alleanza. Solo dopo lunghe lotte i Romani riuscirono a ristabilire la
propria supremazia nel Lazio. A metà del IV sec. a.C. scoppiò il
conflitto coi Sanniti, che tentarono di contrastare l'espansione romana. Dopo
tre lunghe guerre, essi furono completamente sottomessi nel 291 a.C. Nell'ultima
guerra sannitica (298-290 a.C.), i Romani riportarono una decisiva vittoria sui
maggiori popoli italici (Galli Senoni, Etruschi, Sabini, Umbri), alleatisi con i
Sanniti (battaglia di Sentino, 295 a.C.). Assicuratasi il predominio sull'
I.
centrale, Roma estese la sua egemonia all'
I. del Sud. Taranto, minacciata
da Roma, chiese aiuto a Pirro, re dell'Epiro che, dopo alcune vittorie, fu
sconfitto dai Romani presso Benevento (274 a.C.). Roma, pur controllando tutta la
penisola, parte col sistema delle colonie, parte con trattati di alleanza,
rispettò le autonomie locali - sul piano amministrativo, economico,
religioso, linguistico - dei popoli entrati nella sua orbita. Cercava in
questo modo di creare una coscienza unitaria tra i federati sotto la sua
egemonia, riconoscendo loro uguaglianza economica sui mercati e privilegi
giuridici. Roma estese gradualmente il suo controllo anche sui mari, suscitando
l'ostilità di Cartagine, la più forte potenza marittima e
commerciale del Mediterraneo occidentale; il conflitto tra Romani e Cartaginesi scoppiò nel 264 a.C.
Dopo alterne vicende, i Cartaginesi furono sconfitti (guerre puniche): la
Sicilia, la Sardegna e la Corsica divennero province romane. Domati i Galli e i
Liguri al Nord, anche l'
I. settentrionale, tranne alcuni modesti
territori ai piedi delle Alpi, passò sotto il dominio di Roma. Si
affermava ora una politica di decisa supremazia romana sul mondo mediterraneo;
di qui le conquiste in Oriente e in Occidente e la distruzione di Cartagine con
la terza guerra punica (149-146 a.C.). Due problemi si imposero in modo grave tra la
fine del II sec. e l'inizio del I sec. a.C.: la questione agraria e il problema dei
federati italici, che esigevano la concessione della piena cittadinanza romana.
Le guerre avevano depauperato la classe dei piccoli proprietari terrieri,
decimati e ridotti in miseria; la piccola proprietà veniva così
assorbita nei latifondi. La soluzione del problema fu tentata da Tiberio Gracco
(133 a.C.) e da suo fratello Gaio (123-122 a.C.), che proposero una ridistribuzione delle
terre. Ma l'aristocrazia senatoria reagì con violenza, uccidendo i due
fratelli. D'altra parte, i federati incominciavano a sentirsi minacciati nei
loro diritti dal Governo di Roma, la cui oligarchia senatoria diveniva sempre
più egoista; l'aspirazione alla piena cittadinanza, più volte
respinta da Roma, sfociò in una guerra aperta (guerra sociale, 91-89 a.C.).
Roma, pur vincendo la guerra, concedette la cittadinanza. La vastità
raggiunta dall'Impero, la necessità di estenderne ancora i confini
(occupazione della Gallia da parte di Cesare, organizzazione dell'Oriente
mediterraneo) per la difesa degli interessi economici e politici, resero sempre
più evidente la profondità della crisi sociale e della crisi
costituzionale, già da tempo avvertite. In questo contrasto fra la
necessità di rinnovamento e lo spirito conservatore della classe
dominante, si inserirono le lotte civili: da Mario e Silla al governo di Pompeo,
alla rivolta di Catilina ai triumvirati e alla fondazione del principato per
opera di Ottaviano. Il ristabilimento dell'autorità dello Stato si
accompagnò a una notevole prosperità economica e a una fioritura
letteraria e culturale, che fece di Roma e dell'
I. il centro di
irradiazione della civiltà del mondo occidentale. Ma lo sviluppo
dell'Impero diminuì a poco a poco il primato dell'
I. La
cittadinanza romana fu gradualmente estesa alle province, pienamente con
l'Editto di Caracalla (212 d.C.): la classe dirigente dell'Impero, così
come l'esercito, finì per essere costituita da provinciali, dai quali
provenivano i senatori, i governatori delle province e gli stessi imperatori.
Verso la fine del III sec. d.C. l'
I. venne posta sotto l'autorità
di un
corrector, allo stesso livello di un qualsiasi altro territorio
dell'Impero. Analogo criterio fu seguito da Diocleziano, che fece dell'
I.
una delle dodici diocesi dell'Impero. L'importanza dell'
I. diminuì
maggiormente con Costantino, che creò una nuova capitale nell'antica
Bisanzio e trasferì lì la residenza imperiale, e, nel IV sec. d.C.,
quando fu unita all'Africa in una medesima prefettura (per una più
esauriente trattazione di questo periodo V. ROMA).
Medioevo
Tra il IV e il V
sec., l'
I. fu più volte assalita e occupata dai barbari
(Visigoti, Vandali, Unni). Nel 476 il re barbaro Odoacre depose l'ultimo
imperatore d'Occidente Romolo Augustolo segnando la fine dell'Impero romano
d'occidente. Odoacre, accontentandosi del titolo di patrizio, si mise al
servizio dell'imperatore d'Oriente Zenone. Successivamente, la pretesa di
Odoacre di rendersi maggiormente indipendente dal potere imperiale
suscitò la reazione di Zenone che gli mosse contro il re degli Ostrogoti,
Teodorico. Calato in
I. nel 489, Teodorico vinse in tre anni la
resistenza di Odoacre e, dopo essersi impadronito dell'
I., giurò
fedeltà all'imperatore d'Oriente facendosi anch'egli nominare patrizio.
La politica di Teodorico consistette principalmente nella ricerca di un
equilibrio fra l'elemento gotico e quello romano: egli riuscì così
a convincere la maggior parte della classe dirigente romana a collaborare
all'opera di governo della penisola. Tra i suoi principali collaboratori vi
furono uomini di grande esperienza amministrativa e di raffinata cultura, come
Severino Boezio e Aurelio Cassiodoro. L'equilibrio raggiunto da Teodorico venne
spezzato dall'avvento al trono d'Oriente della dinastia macedone (Giustino e
soprattutto suo nipote Giustiniano) che, con il tentativo di riattirare
nell'orbita imperiale l'aristocrazia romana, provocò la reazione del re
goto, il quale diede inizio a un periodo di persecuzioni contro i Romani. Dopo
la morte di Teodorico (526) i Bizantini, guidati dai generali Belisario e
Narsete, riportarono l'
I. sotto il dominio dell'Impero (guerra gotica,
535-53). L'
I., desolata e spopolata dalla guerra, dalle carestie e dalle
epidemie, poté godere di un breve periodo di tranquillità; ma
questo assetto di pace fu sconvolto, nel 568, dall'invasione di un nuovo popolo
germanico: i Longobardi, che devastarono dapprima l'
I. settentrionale e quindi
l'Umbria e la Toscana. Suddivisi in bande armate, i Longobardi ebbero facilmente la
meglio sui Bizantini, finché nel 603 stipularono con Bisanzio un accordo di pace
che ripartiva il territorio italiano in due zone: la cosiddetta Romania (Calabria, Puglia,
Sardegna, Corsica, Roma e il suo territorio, Ravenna, le Marche settentrionali) controllata
dall'Impero bizantino d'Oriente; la Longobardia, che includeva il resto dell'
I.,
dominata appunto dai Longobardi. Successivamente i Longobardi riuscirono a sottrarre a
Bisanzio i territori adriatici dell'Esarcato di Ravenna e della Pentapoli marittima e gran
parte dell'
I. meridionale, dando vita a un Regno che ebbe come capitale Pavia.
Come quasi tutti i popoli germanici, i Longobardi erano di religione ariana e percepivano
come una minaccia la Chiesa cattolica, potenza economica e culturale in un'epoca di crisi
generalizzata. Il processo di assimilazione e di conciliazione con l'elemento romano
avvenne in seguito all'accordo che i Longobardi sottoscrissero con la Chiesa e, ancora di
più con la conversione del popolo germanico al Cristianesimo; artefice di questo
processo fu la Chiesa romana, in particolare papa Gregorio Magno, a dimostrazione del
prestigio del Cristianesimo, che andava assumendo una sempre maggiore forza politica e
spirituale. Le consuetudini giuridiche dei Longobardi furono
raccolte per la prima volta per iscritto nel 643 nell'Editto di Rotari.
Nell'VIII sec., di fronte al tentativo dei re longobardi Liutprando, Astolfo,
Desiderio, di completare la conquista della penisola, i papi chiesero aiuto alla
potente Monarchia cattolica dei Franchi. Astolfo occupò Ravenna, la
Pentapoli, il Ducato spoletino, avvicinandosi sempre più a Roma. Pipino
il Breve, primo dei Carolingi, intervenne cacciando i Longobardi da
Ravenna e dal territorio circostante (Esarcato, Pentapoli), che consegnò al pontefice
come "patrimonio di San Pietro". Da questa cessione, configurata come
"restituzione" di terre legittimamente appartenenti alla Chiesa, secondo la
donazione di Costantino, ebbe origine l'embrione del futuro Stato della Chiesa. Nel
774, con la definitiva vittoria di Carlo Magno
contro Desiderio, ebbe fine la dominazione dei Longobardi. Riuscì a
mantenere una certa indipendenza dai Franchi il Ducato longobardo di Benevento,
mentre la Calabria, parte della Puglia, la Sicilia, la Sardegna e Venezia
restarono ai Bizantini. Il vecchio territorio bizantino dall'Umbria al Lazio e
alla Campania settentrionale era controllato dal papa. Carlo, intitolatosi re
dei Franchi e dei Longobardi, riorganizzò il Regno, ribattezzato Regno
italico, secondo l'ordinamento franco. Dopo l'incoronazione imperiale di Carlo,
celebrata a Roma nell'anno 800, il Regno divenne parte integrante dell'Impero
romano, il primo Impero cristiano della storia, ricostituito in Occidente. Alla fine del IX sec.,
l'
I. del Sud subì l'invasione degli Arabi, che si stabilirono in Sicilia, divenuta
base per le incursioni nel Mediterraneo dei pirati saraceni, per secoli autentico flagello
delle popolazioni rivierasche. Con il disfacimento dell'Impero carolingio,
l'
I. cadde in balia dei grandi feudatari italiani e stranieri
(Berengario I, Rodolfo II di Borgogna, Ugo di Provenza, Berengario II),
finché non passò agli imperatori germanici. A riorganizzare l'Impero fu
Ottone I di Sassonia, che nel 962 fu incoronato imperatore dal papa.
Egli, messo a capo di un territorio esteso dalla Germania all'
I. settentrionale,
promosse una comunanza di valori della civiltà tedesca e di quella romana, sotto
l'egida della fede cristiana. A Ottone I si deve l'istituzione dei vescovi-conti, cioè
di un'alta feudalità ecclesiastica ossequiente all'Impero, con ampi
poteri giurisdizionali. La gerarchia ecclesiastica si trovò così
sempre più legata agli interessi temporali e alla struttura feudale della
società. Ottone I cercò di unificare la penisola annettendosi il
Mezzogiorno: negoziò, infatti, le nozze di suo figlio Ottone con la
principessa bizantina Teofano, che avrebbe dovuto portare in dote i territori
meridionali dell'
I. Il suo progetto, tuttavia, non si realizzò.
Alla fine dell'XI sec., si aprì una lunga lotta tra la Chiesa e l'Impero
per la questione delle investiture (1076-1122). Oggetto della contesa era il
diritto di conferire le investiture ecclesiastiche, episcopali e abbaziali, che
il papa rivendicava come appartenente a lui soltanto, escludendo l'imperatore.
Il conflitto si concluse con il Concordato di Worms (1122) che, pur accordando
all'imperatore precisi diritti nella creazione dei vescovi-conti, riservava
esclusivamente al papa l'investitura spirituale. L'inizio del secondo millennio
registrò un consistente incremento demografico, la ripresa dell'economia agraria e
lo sviluppo delle città quali centri di coordinamento del territorio. I
conseguenti mutamenti sociali incrinarono i tradizionali rapporti gerarchici
dell'ordinamento feudale, minacciati da richieste di libertà e di
privilegi. Nel frattempo, nell'
I. meridionale e in Sicilia si imposero
i Normanni, una popolazione di straordinari navigatori discendente dai Vichinghi che si era
convertita al Cristianesimo. Tra i re normanni si distinsero Roberto il Guiscardo, suo
fratello Ruggero I e Ruggero II che arrivò a fondare (1130) un Regno
comprendente l'intero Mezzogiorno. Le crociate e l'impossibilità da parte degli
imperatori germanici di occuparsi direttamente delle questioni italiane a causa della lotta
per le investiture, favorirono lo sviluppo autonomo dei comuni italiani, vere e proprie
città-Stato, e delle Repubbliche marinare. Amalfi, Pisa, Genova e Venezia
rifornirono uomini, armi e mezzi per sostenere le crociate, ottenendo in cambio
importanti privilegi commerciali; diventarono così punti di riferimento
obbligati per il commercio tra Oriente e Occidente. In particolare Venezia, potendo contare
su un esteso territorio e su una moderna flotta mercantile e militare, riuscì ad
acquisire il dominio dell'Adriatico, monopolizzando poi gli scambi con l'Oriente, grazie al
controllo di un gran numero di isole e delle località marittime più importanti
dell'Impero bizantino e dando origine, dopo la quarta crociata (1202-04) a un potente
Impero marittimo. Altri comuni italiani che assunsero un ruolo preminente furono Firenze,
cuore del nuovo sistema bancario nato con il fiorire dell'economia monetaria e con
l'intensificarsi degli scambi mercantili in Europa, e Milano, situata al centro di un'economia
artigianale tra le più progredite del continente. Inevitabile fu lo scontro tra
comuni e Impero: nel 1154 l'imperatore Federico
I di Svevia, detto Barbarossa, scese per la prima volta in
I. deciso a
reimporre l'autorità imperiale. Nel 1162 distrusse Milano, ma la
durezza del governo imperiale e l'esosità dei suoi funzionari suscitarono
fra i comuni l'esigenza di unirsi per difendere la loro
autonomia: nel 1167 i comuni del Nord costituirono la Lega Lombarda che, nel
1176, sconfisse a Legnano il Barbarossa, costringendo l'imperatore a firmare la Pace di
Costanza (1183), che concedeva ampie autonomie ai comuni in cambio del
riconoscimento dell'alta sovranità imperiale. L'imperatore riuscì a
conservare il proprio controllo sull'
I. anche grazie al matrimonio del
figlio Enrico con Costanza d'Altavilla, ultima discendente dei Normanni di
Sicilia. La politica del Barbarossa venne continuata da suo nipote Federico II,
che tuttavia non riuscì a piegare la resistenza dei comuni del
Nord e, alla sua morte, consegnò ai successori una situazione
incontrollabile. Nel 1266 il papato chiamò in
I. il principe
francese Carlo d'Angiò che occupò l'
I. meridionale ma, nel
1282, ne venne scacciato dalla rivolta dei Vespri Siciliani (V. VESPRO) che permise agli Aragonesi di Spagna d'impadronirsi della Sicilia e della Sardegna. Gli Angioini rimasero a
Napoli e tentarono successivamente di interferire nelle vicende dell'
I.
settentrionale. Nuovi fermenti sociali si agitavano intanto nell'
I.
comunale. La maggior parte dei comuni italiani era lacerata da lotte interne: i
ricchi artigiani, i mercanti, i finanzieri, fino ad allora esclusi dal potere,
miravano ad affermarsi politicamente. Il conflitto tra ceti nobiliari e
borghesi, il timore dell'ascesa delle classi inferiori, il potere crescente di
gruppi familiari rese ingovernabili molti comuni italiani. Sorta
l'esigenza di una maggiore stabilità istituzionale, in molti comuni il
controllo politico venne assunto da una sola famiglia. Si formarono così
le signorie e i principati, che rappresentarono il passaggio dalle autonomie
comunali agli Stati regionali nei quali una città egemone ne controllava
numerose altre. A Milano, per esempio, nel corso dei secc. XIV-XV si impose la signoria
dei Visconti, che riuscirono a ricostruire quasi totalmente l'antico Regno dei Longobardi e
ai quali nel 1450 subentrarono gli Sforza, che diedero vita al Ducato di Milano. Tra i
numerosi principati dinastici i più importanti erano quelli presenti in Piemonte con i
Savoia, in Toscana con i Medici, nelle Marche con i Montefeltro di Urbino. Il panorama
politico dell'
I. all'alba dell'era moderna presentava anche altre forme istituzionali: lo
Stato della Chiesa, sede di una sovranità politico-religiosa di dimensione mondiale;
le Repubbliche, tra cui primeggiava Venezia, guidata da un'oligarchia patrizia.
L'espansione delle signorie continuò per tutto il XIV sec., favorita
anche dall'esilio avignonese dei papi che privò l'
I. di un potere
centrale e di un valido punto di riferimento spirituale. I nuovi Stati,
segnatamente Milano, Genova e Firenze, riuscirono per un quarantennio a trovare
un equilibrio politico, grazie anche all'accorta opera di mediazione di Lorenzo
De' Medici. Alla sua morte (1492), tuttavia, gli Stati italiani non seppero
opporsi all'invasione (1494) del re francese Carlo VIII che riuscì a raggiungere
il Regno di Napoli senza trovare praticamente resistenza.
L'età moderna
La spedizione del re francese dimostrò alla
Francia e alla Spagna la reale debolezza delle compagini statali italiane,
incapaci di trovare un accordo stabile e di opporsi validamente a un nemico
proveniente dall'esterno. Tra queste due potenze iniziò nel 1500 una
lotta per il predominio europeo che ebbe l'
I. come terra di scontro e che
si concluse nel 1559 con la Pace di Cateau-Cambrésis. Questa consegnava
alla Spagna la pianura padana, lo Stato dei Presidi (Piombino e località
minori), il Regno di Napoli e la Sicilia. Il predominio spagnolo, unito alla
presenza del papato, spiega l'estraneità dell'
I. al
moto protestante europeo: ogni manifestazione di allontanamento dall'ortodossia
fu duramente stroncato. Vi furono, tuttavia, numerosi intellettuali italiani ed
esponenti di diversi strati sociali che aderirono alla Riforma. D'altra parte,
il papato, riaffermato il tradizionale patrimonio dottrinale, si impegnò
in una vasta opera di riforma interna, volta a moralizzare la vita del clero.
A partire dal Concilio di Trento (1545-63) e per almeno tre secoli, la storia dell'
I., cuore
del Cattolicesimo, fu influenzata dalla Controriforma, che impose, oltre a valori morali,
canoni estetici e culturali, permeando con un'impronta marcatamente clericale ogni settore
della società italiana. La Spagna, inoltre, esercitò la sua
egemonia gravando pesantemente sui sudditi e spegnendo ogni iniziativa politica
locale. Tuttavia, malgrado la decadenza politica ed economica, l'
I.
riuscì a tenere alto il proprio prestigio culturale: figure come quelle
di Torquato Tasso, Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Galileo Galilei,
Niccolò Machiavelli non mancarono di manifestare il loro dissenso
politico e religioso. Il sentimento antispagnolo, estremamente diffuso, si
espresse in violente rivolte come quelle di Masaniello a Napoli (1647) e di
Giuseppe Alessi a Palermo (1647). In generale il Seicento in
I. fu caratterizzato da
incertezza e crisi, scandito dalla guerra dei Trent'anni (1618-48) e dalle ondate di ribellioni
del mondo contadino, dalle rivolte politiche e sociali e dalle spaventose epidemie di peste,
fenomeni che provocarono una regressione economica e la ripresa del feudalesimo. In
seguito alla guerra di Successione spagnola, che pose fine alla dinastia che fino ad allora
aveva governato la Spagna sostituita dalla dinastia francese dei Borboni, in
I. si
ebbe una serie di mutamenti, culminati nei Trattati di Utrecht (1713) e
Rastadt (1714): gli Asburgo si sostituivano agli Spagnoli in Lombardia, nel
Regno di Napoli e in Sicilia; i Savoia ottenevano, con la Sardegna, la corona di
re.
L'Italia nel 1714 – I Savoia
Le ulteriori guerre di Successione (polacca e soprattutto austriaca)
determinarono nuovi assestamenti territoriali, sanzionati dalla Pace di
Aquisgrana del 1748. L'
I. risultò politicamente divisa in tre
zone: una controllata direttamente (il Milanese) o indirettamente (Firenze con
la nuova dinastia degli Asburgo-Lorena, Modena con gli Asburgo-Este)
dall'Austria; una seconda sotto i Borboni di Spagna (Napoli-Sicilia,
Parma-Piacenza); infine l'
I. dei vecchi Stati, tra cui si distingueva
quello sabaudo. Tale assetto rimase sostanzialmente immutato fino alla venuta di
Napoleone in
I. La seconda metà del XVIII sec. ci presenta in
I., così come nel resto dell'Europa, il governo dei
sovrani
illuminati, impegnati a operare numerose riforme sul piano amministrativo,
giuridico, economico, ecclesiastico (giurisdizionalismo), sostenute dagli
intellettuali del tempo. Tale movimento riformistico operò in modo
disuguale nei vari Stati italiani. Nei Paesi soggetti all'Austria e ai Borboni
furono introdotte numerose riforme. In Lombardia, l'imperatrice
Maria Teresa e ancor di più il figlio Giuseppe II riorganizzarono
l'amministrazione, fecero eseguire il censimento,
fecero ripartire in modo eguale le imposte, incoraggiarono l'economia e abolirono
l'Inquisizione, la censura e il diritto d'asilo. Anche nel Granducato di Toscana
venne avviata una notevole opera riformatrice sotto la guida di un altro figlio di Maria
Teresa, Leopoldo I (1765-90), che stabilì il principio dell'uguaglianza di tutti i
cittadini nei confronti del sistema fiscale, bonificò la Maremma e, primo fra i
sovrani europei, abolì la pena di morte e la tortura. Nel Ducato di Parma e nel
Regno di Napoli vennero promosse importanti riforme e provvedimenti di carattere
ecclesiastico che limitarono i privilegi e la potenza del clero. Gli Stati e le
dinastie più antiche della penisola (Repubbliche di Genova e Venezia,
casa Savoia, Estensi) si mostrarono indifferenti o ostili al movimento
riformatore. La penisola divenne uno dei centri della cultura illuministica:
uomini come Cesare Beccaria, Pietro Verri e Pietro Giannone condussero una vasta
opera di rinnovamento culturale, attraverso numerosi studi di carattere
economico e sociale. Di fronte alla Rivoluzione Francese, nei diversi Stati italiani si
formarono gruppi di giacobini che, in accordo con le idee dei rivoluzionari parigini,
prospettavano l'eliminazione dell'assolutismo e la formazione di Stati democratici; di
contro, i reggenti si impegnarono nella lotta contro le
nuove idee.
L'età napoleonica
Nel 1796 la Rivoluzione
sopraggiunse con le armate di Napoleone Bonaparte: il generale
iniziò infatti la campagna d'
I., che
avrebbe portato gran parte della penisola sotto il controllo francese. Occupata Nizza e la
Savoia, Napoleone sconfisse Austriaci e Piemontesi, occupò la Lombardia e parte del Veneto,
promuovendo la formazione di una serie di Repubbliche ispirate agli ideali rivoluzionari.
Nel 1797 sottoscrisse con gli Austriaci il Trattato di Campoformio, con cui il
Veneto venne ceduto all'Austria, mentre le province di Crema, Bergamo e Brescia, le
province lombarde a Nord del Po e la Valtellina furono unite nella Repubblica Cisalpina. A
essa fu annessa la Repubblica Cispadana, costituita dalle ex legazioni pontificie di
Bologna e Ferrara e dai Ducati di Parma e Reggio, e sorta nel 1796. Con notevole
rapidità e grazie alla collaborazione tra giacobini italiani e armate napoleoniche,
nacquero la Repubblica Ligure, la Repubblica Romana (1798), che comprendeva i territori
dello Stato Pontificio, la Repubblica Partenopea (1799) e i Governi repubblicani in
Piemonte e in Toscana (1798-99).
La Campagna d'Italia (1796-1797)
Tale assetto ebbe però breve durata.
Una coalizione europea guidata da Austria, Russia e Inghilterra abbatté tutte le
nuove Repubbliche, riportando sul trono gli antichi sovrani. Tuttavia, Napoleone
riuscì a organizzare la controffensiva e nel 1800, nella battaglia di Marengo,
sconfisse gli alleati facendo rinascere la Repubblica Cisalpina, che nel 1802 fu
trasformata, con l'annessione anche dei territori veneti, conquistati in seguito alla battaglia
di Austerlitz (1805), in Repubblica italiana, presieduta dallo stesso Napoleone e con la
vicepresidenza di Francesco Melzi d'Eril. Nel 1805 la Repubblica italiana fu proclamata
Regno da Napoleone, che si fece incoronare re dal papa. Il Granducato di Toscana,
divenuto Regno d'Etruria (1801-07), fu dunque annesso alla Francia insieme allo Stato
Pontificio (nel 1808 Napoleone, dichiarato abolito il potere temporale dei papi,
deportò Pio VII a Fontainebleau), come già era accaduto a Liguria,
Piemonte e al Ducato di Parma; costituito nuovamente in Ducato nel 1809, vi fu posta a
capo Elisa Bonaparte, già principessa di Lucca, Massa e Carrara. Nel Regno di
Napoli fu incoronato re (1806) Giuseppe Bonaparte, il quale si fece promotore di una serie di
riforme (tra cui l'eliminazione della feudalità) proseguite poi dal suo successore
Gioacchino Murat. Solamente la Sardegna e la Sicilia, assoggettate rispettivamente ai
Savoia e ai Borboni, rimasero estranee al dominio francese, potendo contare sulla
protezione navale della Gran Bretagna. Fino al 1813 l'
I. napoleonica godette di
stabilità politica e territoriale, malgrado il Regno fosse completamente dipendente
dal Governo francese. L'intento di Napoleone non era infatti quello di fare dell'
I. uno Stato
indipendente, ma di assoggettare completamente la penisola alla Francia. Se il Regno
d'
I. poté godere durante il governo napoleonico di alcuni vantaggi
amministrativi ed economici (unificazione della legislazione, ordine
amministrativo, sviluppo economico, opere di pubblica utilità), il
dispotismo francese si rivelò però oppressivo per la pressione
fiscale, le leve militari, le prepotenze. Nel 1813 una nuova coalizione europea
sconfisse Napoleone a Lipsia. Gli Austriaci rientrarono in possesso dei
territori strappati loro dai Francesi. Fallito il tentativo di Gioacchino Murat
di fare dell'
I. un Regno indipendente, il Congresso di Vienna (1815)
definì per l'
I., oltreché per l'Europa, un nuovo assetto
territoriale. In base al principio della legittimità, ripresero il potere i sovrani scalzati
da Napoleone o i loro discendenti. Gli Austriaci si installarono nell'
I.
centro-settentrionale riacquisendo la Lombardia, ottenendo il Veneto, imponendo sovrani
legati alla dinastia asburgica in Toscana, a Parma e a Modena. Scomparvero
definitivamente le antiche Repubbliche di Genova e di Venezia: la prima fu unita al Regno
di Sardegna; la seconda diede origine a una provincia nel Regno asburgico del Lombardo-
Veneto. Nel Centro della penisola lo Stato Pontificio non subì variazioni territoriali.
Nel Meridione il Regno delle Due Sicilie fu di nuovo nelle mani dei Borboni. Nel territorio
italiano solo il Regno di Sardegna, costituito da Piemonte, Liguria, Sardegna, la Savoia e
Nizza, poteva svolgere una politica relativamente autonoma. Inoltre gran parte delle
molteplici riforme introdotte in epoca napoleonica furono cancellate: in Lombardia e nelle
Venezie il Governo austriaco abolì tutte le istituzioni
napoleoniche e, accentrando fortemente il potere a Vienna, privò di
autorità le autonomie locali; in Piemonte venne ristabilita l'antica
legislazione e l'antico diritto penale. L'unico Stato che mantenne una parte
degli ordinamenti francesi fu la Toscana che, sotto Ferdinando III,
riuscì anche a conservare un certo grado di autonomia dal Governo
austriaco.
L'età risorgimentale
In questo clima
reazionario incominciarono a diffondersi, soprattutto tra la borghesia e in
alcuni elementi nobiliari, gli ideali di indipendenza, di libertà, di
unità. I primi gruppi di patrioti, sottoposti a strettissima sorveglianza
dalle autorità, si riunirono in società segrete, la principale
delle quali fu la Carboneria. Sorta nell'
I. meridionale con carattere
antifrancese, si diffuse poi nello Stato Pontificio e nel Settentrione. Il
movimento patriottico e liberale italiano fu strettamente collegato con i
movimenti liberali esteri. Grande ripercussione ebbero così in
I.
gli avvenimenti europei.
L'Italia nel 1800
L'Italia nel 1815
Nel 1820, in concomitanza con la rivoluzione spagnola,
si ebbe a Napoli la prima insurrezione liberale guidata dall'ex generale
Guglielmo Pepe, fallita a causa dell'intervento austriaco. Un analogo tentativo
operato in Piemonte nel 1821, con il larvato appoggio del reggente Carlo
Alberto, fallì per il sopraggiungere delle truppe austriache. In entrambi
i casi si trattò, in sostanza, di un pronunciamento militare al quale non
avevano preso parte né le classi medie né tantomeno il popolo. Nel
1824 venne sventata dalla polizia austriaca una congiura alla quale avevano
preso parte numerosi intellettuali ed esponenti della nobiltà lombarda,
tra i quali Federico Confalonieri e Silvio Pellico. Nel 1830, lo scoppio della
Rivoluzione di Luglio in Francia suscitò nei liberali italiani la
speranza di un appoggio francese contro l'Austria. Nel 1831, i patrioti
insorsero a Bologna e nel Ducato di Modena, ma nuovamente l'esercito austriaco
riuscì facilmente a soffocare il moto. Tale rivoluzione segnò la
definitiva sconfitta della Carboneria, dimostratasi incapace di definire un
programma organico e di esprimere dirigenti validi e capaci. Ad opera del
genovese Giuseppe Mazzini sorse allora una nuova organizzazione politica
segreta, la Giovine Italia (1831) con un programma e un'organizzazione ben
definiti. Suo obiettivo era l'unità d'
I. sotto un governo popolare
repubblicano. La Giovine Italia promosse in Piemonte e in Lombardia una serie
d'insurrezioni che però fallirono per mancanza di preparazione e per
l'incapacità dei loro promotori di coinvolgere le classi popolari.
L'ultimo di questi tentativi fu quello dei fratelli Bandiera che, nel 1844,
effettuarono uno sbarco in Calabria in aiuto di gruppi insorti, ma vennero
catturati e fucilati insieme ai loro compagni. Il fallimento di tutti questi
sforzi spinse gli intellettuali e i patrioti italiani a cercare una nuova strada
attraverso la quale giungere all'indipendenza nazionale. Alla tendenza
rivoluzionaria si sostituì quella riformistica, che ebbe tra i suoi
maggiori esponenti Vincenzo Gioberti. Costui propose la creazione in
I. di una federazione di Stati con a capo il papa e un programma moderato
di riforme sociali e politiche. L'ascesa al soglio pontificio di Pio IX e le
riforme da questi concesse fecero per qualche tempo sperare che la tendenza
riformistica avesse basi reali. Nel 1848 lo scoppio di insurrezioni
antiaustriache spinse alcuni sovrani, tra i quali Leopoldo II di Toscana, il
pontefice e Carlo Alberto, a concedere una serie di Costituzioni che furono
modellate sull'esempio di quella francese. Nel febbraio dello stesso anno la
rivoluzione di Parigi e l'insurrezione di Vienna suscitarono analoghi moti
antiaustriaci a Milano (moto delle Cinque Giornate) e a Venezia, che costrinsero
gli Austriaci a lasciare le due città. Il 23 marzo Carlo Alberto, spinto
dalla pressione dell'opinione pubblica, dichiarò guerra all'Austria
(prima guerra d'indipendenza). La guerra volse dapprima in favore
dell'esercito piemontese, che sconfisse gli Austriaci a Goito e ottenne la
capitolazione di Peschiera. In seguito, le incertezze di Carlo Alberto permisero
agli Austriaci di riorganizzarsi e di passare alla controffensiva. A Custoza (1848) i
Piemontesi vennero sconfitti e costretti a ripassare il Ticino. All'armistizio
firmato dal generale Salasco, fece seguito la ripresa delle ostilità, ma
l'esercito piemontese fu completamente disfatto a Novara dal generale Radetzky,
e in seguito a ciò Carlo Alberto cedette la corona al figlio Vittorio Emanuele II.
Anche a Napoli, in Toscana e a Roma i Governi liberali dovettero capitolare. A
Roma Garibaldi, dopo una tenace resistenza contro le truppe francesi mandate in
aiuto del papa, dovette ritirarsi e permettere il rientro di Pio IX, fuggito a Gaeta poco prima
della proclamazione della Repubblica (1848). In tutti
gli Stati italiani si assistette a un periodo di reazione non dissimile a
quello che aveva seguito il Congresso di Vienna: le truppe austriache garantirono il
ripristino delle dinastie regnanti prima del 1848. Solamente in Piemonte venne
mantenuto lo Statuto concesso da Carlo Alberto e, sotto la guida di Camillo Benso conte di
Cavour, furono avviate riforme politiche ed economiche che ne fecero una delle
compagini statali meglio organizzate d'Europa. Il Piemonte, in vista delle
aspirazioni indipendentistiche italiane, si inserì nella politica delle
grandi potenze alleandosi con Francia e Inghilterra nella guerra antirussa di
Crimea (1854-55), in seguito alla quale Cavour ottenne di presentare il
problema italiano nella Conferenza internazionale di Parigi (1856). Grazie
all'appoggio di Napoleone III, fu possibile riprendere la guerra con l'Austria.
Il conflitto (1859, seconda guerra d'indipendenza) vide la vittoria dei
Franco-Sardi a Solferino e a San Martino. La Lombardia venne ceduta al Piemonte
che, con successivi plebisciti, si annesse anche il Granducato di Toscana e i
Ducati di Modena e Parma. Il Piemonte cedette alla Francia Nizza e la Savoia. Nel
1860 la spedizione dei Mille guidata da Giuseppe Garibaldi liberò il Sud dalla
dominazione borbonica; attraverso i plebisciti le popolazioni meridionali, alla pari di quelle
dei territori pontifici di Marche e Umbria, si espressero a favore dell'annessione al Regno
di Sardegna: il 17 marzo 1861 il Parlamento subalpino proclamò
Vittorio Emanuele II re d'
I.; Roma fu rivendicata come
capitale. A fondamento del nuovo Regno d'
I. fu mantenuto lo Statuto albertino del
1848. Nel 1861 il Regno d'
I., pur essendo tra le maggiori Nazioni d'Europa a livello
di superficie e popolazione, nasceva sotto il segno della divisione, ereditando dal passato
differenze economiche, politiche e culturali che ostacolavano la costruzione di uno Stato
unitario. Particolarmente evidenti erano le contraddizioni tra le zone settentrionali,
coinvolte in processi di rapida modernizzazione, e le zone meridionali, dove permaneva
una situazione statica e arcaica. Nelle campagne, inoltre, i contadini erano rimasti
estranei, e in alcuni casi persino ostili, al Risorgimento.
Il Regno d'Italia nel 1861
Tra il 1861 e il 1865 i Borboni
sfruttarono il malcontento delle popolazioni del Sud, che si ribellarono alla nuova
dominazione. Il Governo fu costretto a intervenire attuando una durissima repressione
militare contro il brigantaggio (V.), sviluppatosi come reazione violenta ed esasperata dei
contadini contro la borghesia liberale e il Governo centrale. Il nuovo Stato era infatti nato
su un'impronta centralista: al re spettavano ampi poteri in politica interna ed estera e su di
lui si concentravano alcune leve fondamentali del potere (esercito, burocrazia, giustizia,
Senato, i cui rappresentanti, a differenza dei deputati della Camera, erano di nomina
regia). Nel 1861 l'artefice dell'unificazione italiana, Cavour, morì e al suo posto
come primo ministro del Regno fu nominato Bettino Ricasoli, che proseguì la linea
del suo predecessore, all'insegna del liberalismo moderato. Uno dei principali problemi del
nuovo Stato, oltre al brigantaggio e al risanamento del bilancio, era la questione romana,
che si traduceva nell'ostruzionismo di papa Pio IX, il quale non aveva riconosciuto il nuovo Regno e
si era rifiutato di trattare per cedere Roma all'
I. Il Governo italiano tentò la
via diplomatica, mentre mazziniani e garibaldini premevano per una soluzione di forza, che
Garibaldi mise in atto nel 1862, venendo tuttavia fermato dall'esercito piemontese. Nel
1864 il Governo stipulò un accordo con la Francia, le cui truppe difendevano lo
Stato Pontificio, in base al quale i Francesi avrebbero ritirato i loro soldati entro due anni,
in cambio dell'impegno italiano a non violare militarmente lo Stato della Chiesa. Una
clausola dell'accordo prevedeva inoltre il trasferimento della capitale da Torino a Firenze
(1865). Nel 1866 l'
I. prese parte al conflitto austro-prussiano, alleandosi con la
Prussia (terza guerra di indipendenza). Le vittorie degli alleati, che fecero passare in
secondo piano le sconfitte dell'esercito italiano (Custoza, Lissa), procurarono all'
I.
l'acquisizione del Veneto. Dopo la conclusione della guerra si venne aggravando il conflitto
con il papa che, non rassegnandosi alla perdita del potere temporale, aveva scomunicato
Vittorio Emanuele. L'annessione di Roma avvenne nel 1870,
quando, scoppiata la guerra franco-germanica, Napoleone III, tradizionale protettore del
pontefice, dovette ritirare le sue truppe da Roma e, caduto il Governo
imperiale, l'
I. ebbe mano libera su Roma. Il 20 settembre le truppe
italiane entrarono a Roma per la breccia di Porta Pia. In seguito al trasferimento della
capitale del Regno a Roma, nel luglio del 1871, i rapporti tra Stato e Chiesa si fecero
più tesi. Il Governo italiano decise così di emanare la Legge delle
Guarentigie (1871), con cui al pontefice fu riconosciuto lo status di sovrano straniero e
assegnato un territorio (l'attuale Stato del Vaticano).
Gli anni successivi al compimento dell'unità furono caratterizzati dallo sforzo delle
classi dirigenti per far fronte alle difficoltà di carattere economico. La Camera del
Regno d'
I., i cui deputati erano eletti
soltanto dal 2% dell'intera popolazione della penisola, era divisa in due
schieramenti: la Destra, composta da liberali conservatori e moderati, e la
Sinistra, costituita dai democratici e dai liberali più progressisti, che sostenevano la
necessità di moderate riforme e di un intervento dello Stato nell'economia a difesa
dei ceti più deboli. Dal 1861 al 1876 al Governo si succedettero uomini della
Destra storica che si ritenevano eredi politici di Cavour. Gli esponenti di maggior spicco
politico e intellettuale furono il fiorentino Bettino Ricasoli, il bolognese Marco Minghetti e il
piemontese Quintino Sella. In campo economico l'emergenza era costituita dal deficitario
bilancio dello Stato, che il ministro delle Finanze Sella, con una severa azione fiscale, che
comportò il ripristino della tanto odiata tassa sul macinato (1869), riuscì
tuttavia a risanare. La Destra attuò inoltre misure per il libero scambio e diede
avvio alla costruzione della rete ferroviaria nazionale. Le elezioni del 1876, che
decretarono la vittoria dei candidati della Sinistra, portarono a un parziale ricambio della
classe dirigente. I primi Governi della Sinistra, presieduti da Agostino De Pretis,
introdussero l'istruzione elementare obbligatoria dai sei ai nove anni. Inoltre nel 1882
vararono una riforma elettorale tramite cui si attuò un allargamento del corpo elettorale, con
un'estensione dei diritti politici alla piccola borghesia, agli operai e ai piccoli proprietari
terrieri. Dal 1887 al 1896, eccetto un'interruzione di due anni, primo ministro fu Francesco
Crispi, il quale promosse un'opera di adeguamento dello Stato alle nuove realtà
sociali ed economiche, con il varo del codice sanitario, della riforma degli enti locali e del
Codice Penale (1890), che dal suo estensore prese il nome di Codice Zanardelli. Crispi fu
inoltre fautore di una politica autoritaria (riduzione delle libertà di sciopero
e di associazione) e imperialista (costituzione della colonia eritrea e della
Somalia italiana). Tuttavia la sconfitta subita dall'esercito italiano ad Adua (1896), che
bloccò l'espansionismo coloniale italiano, unita all'aggravarsi
della crisi finanziaria determinarono le dimissioni di Crispi.
Nel frattempo nel Paese si andavano diffondendo i primi nuclei del movimento socialista,
sfociati nella nascita del Partito Socialista Italiano (PSI), fondato nel 1892 a Milano da
Filippo Turati. Il PSI, fino all'avvento del Fascismo, fu il principale referente del mondo
operaio (in forte crescita tra la fine del XIX e l'inizio del XX sec. a causa dell'avvio anche in
I. del processo di industrializzazione) che alla fine del secolo mise in atto una serie
di scioperi, a cui il Governo rispose con una dura repressione. Il culmine si toccò
nel 1898 a Milano, dove il generale Bava Beccaris fece aprire il fuoco sulla folla che
reclamava lavoro e pane. Subito dopo la strage, che costò la vita ad alcune
centinaia di dimostranti, la polizia arrestò i dirigenti socialisti, chiuse i giornali
dell'opposizione e le sedi dei partiti operai. La difficile situazione italiana faceva paventare
l'avvento di un Governo reazionario.
L'età giolittiana
La situazione in
I. si fece ancora più
tesa allorché nel 1900 Umberto I venne ucciso
a Monza da un anarchico. D'altra parte alcuni settori della società italiana
(borghesia industriale) e i partiti di sinistra (socialisti, repubblicani, radicali) auspicavano
una svolta democratica, che si verificò nel 1901, quando il nuovo re Vittorio
Emanuele III affidò l'incarico di formare il Governo a Giuseppe Zanardelli, di area
liberale. Ma la personalità di spicco di quell'Esecutivo era Giovanni Giolitti,
ministro degli Interni, il quale assunse la carica di primo ministro nel 1903,
mantenendola fino al 1913, salvo brevi interruzioni. L'età giolittiana fu
caratterizzata da una forte crescita economica, soprattutto nel settore dell'industria, con
conseguente aumento del reddito degli Italiani. Tuttavia, gli indici altrettanto elevati
dell'emigrazione all'estero confermavano i radicati squilibri tra Nord e Sud del Paese.
Giolitti portò avanti la modernizzazione dello Stato liberale e attuò
importanti riforme di carattere sociale, il tutto in un clima di distensione e collaborazione
con i settori moderati del Socialismo. Delle due anime del PSI, quella riformista e quella
massimalista, fautrice quest'ultima di uno scontro sociale e politico senza mediazioni,
prevalse dunque la prima, anche grazie alla linea politica di Giolitti, che si
caratterizzò per un nuovo atteggiamento di neutralità governativa nei
conflitti di lavoro, la cui risoluzione veniva lasciata alle parti in causa, industriali e operai.
Con gli Esecutivi Giolitti furono varate le prime leggi speciali per lo sviluppo del
Mezzogiorno, vennero statalizzate le ferrovie (1905) e nel 1912 fu concesso il suffragio
maschile quasi universale (potevano votare tutti i maschi sopra i 30 anni; sotto i 30
bisognava aver prestato servizio militare, o disporre di un determinato reddito, o svolgere
una professione statale) e venne inaugurata la moderna
legislazione sociale, con l'introduzione delle pensioni di invalidità e di vecchiaia
per i lavoratori. Giolitti stipulò inoltre con
l'elettorato cattolico (che, obbediente alle direttive ecclesiastiche, non partecipava alle
elezioni politiche e non riconosceva lo Stato italiano, distruttore del potere
temporale del papa) il cosiddetto Patto Gentiloni, dal nome del deputato che lo propose. In
base a tale accordo i cattolici assicuravano il loro voto ai candidati liberali (contro i
socialisti) a patto che questi si impegnassero a rispettare le istituzioni religiose, si
opponessero a ogni legge sul divorzio e avviassero l'insegnamento della religione
nelle scuole elementari. In politica estera, pur mantenendo fede alla Triplice Alleanza
(stipulata nel 1882 con Austria e Germania), Giolitti strinse buoni rapporti con la Francia,
con cui sottoscrisse un accordo coloniale (1902), in base al quale l'
I. riconosceva ai
Francesi libertà di intervento in Marocco in cambio di un analogo atteggiamento
francese verso le pretese italiane sulla Libia. Alle crescenti pressioni dei nazionalisti, che
si erano risvegliati in seguito all'annessione della Bosnia-Erzegovina da parte dell'Austria
(1908), Giolitti rispose con l'invio di una spedizione militare in Libia (1911). Ebbe
così inizio la guerra italo-turca che si concluse nel 1912 con la vittoria dell'
I.
e con la firma di un trattato di pace che riconosceva la sovranità italiana sulla Libia,
su Rodi e altre isole del Dodecaneso occupate nel corso del conflitto. Le elezioni del 1913
registrarono un'avanzata delle opposizioni, sia dei socialisti, sia dei clerico-moderati.
Giolitti, indebolito dal risultato delle consultazioni oltre che dalla crisi economica, perse la
base parlamentare e sociale e fu costretto alle dimissioni. Al suo posto venne nominato
Antonio Salandra, il cui Governo represse le agitazioni antimilitariste del giugno 1914, che
nelle Marche e in Romagna assunsero una dimensione insurrezionale (la cosiddetta
"settimana rossa", 7-14 giugno). Salandra inoltre, nonostante il diffuso sentimento
neutralista del Governo, favorì l'organizzazione di manifestazione in appoggio a un
intervento militare contro l'Austria (le "radiose giornate di maggio"), che fecero da
premessa a quel clima bellico che avrebbe travolto l'
I. e il resto d'Europa
all'indomani dell'attentato di Sarajevo (28 giugno 1914), causa scatenante il primo conflitto
mondiale.
La prima guerra mondiale
Nel 1914, al momento dello scoppio
del conflitto mondiale, l'
I. dichiarò la propria neutralità. Ma accanto
ai neutralisti (liberali, cattolici, socialisti), numerose forze premevano per
l'intervento del Paese in guerra: gli irredentisti, che speravano di
liberare il Trentino, Friuli e Trieste, governati dall'Austria, i nazionalisti e alcuni socialisti.
Nel 1915, spinto da grandi manifestazioni interne, il Governo italiano segretamente
stipulò con la Triplice Intesa (Francia, Gran Bretagna e Russia) il Patto di Londra
ed entrò in guerra. Nelle trattative che precedettero l'ingresso
dell'
I. in guerra, Vienna si era rifiutata di cedere Trento e Trieste;
mentre Londra aveva promesso il Trentino, l'Alto Adige fino al Brennero, Trieste
e l'Istria, parte della Dalmazia esclusa Fiume. Sotto il comando del generale Luigi Cadorna l'esercito combatté una logorante guerra di trincea nelle Dolomiti, nel Carso e sulla linea dell'Isonzo. Dopo la lenta avanzata verso il
Trentino e Trieste, nel 1917 l'esercito italiano venne travolto a Caporetto da
una violenta controffensiva austro-tedesca arrestata, con gravissime perdite, sul Piave.
Nel 1918 fu possibile passare all'attacco e, in concomitanza con il crollo degli Imperi
centrali sugli altri fronti, l'esercito italiano al comando del generale Armando Diaz, che
aveva sostituito Cadorna, sconfisse gli Austriaci a Vittorio
Veneto. Dopo la conclusione della guerra, emersero le fragilità del sistema
economico italiano che, chiamato alla riconversione dalla produzione bellica a quella civile,
doveva affrontare il risanamento di un debito pubblico salito alle stelle e porre rimedio
all'inflazione e alla disoccupazione, ereditate dal conflitto. Inoltre le decisioni prese dalla
conferenza di pace, tra cui la mancata cessione di Fiume e la Dalmazia all'
I.,
ingenerarono nell'opinione pubblica il mito della "vittoria mutilata". Nell'aprile 1919 i ministri
plenipotenziari Vittorio Emanuele Orlando e Sidney Sonnino, in segno di protesta,
abbandonarono la Conferenza di Parigi, facendovi ritorno poco dopo per la firma dei
trattati conclusivi, che sancirono la cessione all'
I. di Trento, Trieste e l'Istria. In
questo clima di delusione, i nazionalisti si sentirono legittimati a far sentire la loro protesta
e a sostenere l'occupazione di Fiume effettuata nel settembre 1919 da volontari guidati da
Gabriele D'Annunzio. A partire dal 1919 gli operai nelle fabbriche e i braccianti nelle
campagne, ispirati dalla Rivoluzione d'Ottobre, scesero in sciopero per rivendicare
aumenti salariali e migliori condizioni di vita. La lotta del movimento popolare, sostenuto
da sindacati e Partito Socialista, toccò il suo culmine nel 1920 con l'occupazione
delle fabbriche del Nord; dopodiché ebbe un rapido declino. Negli anni del primo
dopoguerra nacquero nuove formazioni politiche: nel 1919, sotto gli auspici della Chiesa,
fu fondato da don Luigi Sturzo il Partito Popolare Italiano; nello stesso anno ebbe origine il
movimento fascista, sorto col nome di Fasci Italiani di Combattimento per iniziativa di
Benito Mussolini il quale, facendo leva sulla preoccupazione di una rivoluzione comunista
e parlando soprattutto agli ex combattenti e ai ceti medi, diede vita a una forza
extraparlamentare di matrice nazionalista e radicalmente antisocialista; nel 1921 dalla
scissione della corrente massimalista e rivoluzionaria del PSI nacque
il Partito Comunista Italiano (PCI), il cui leader teorico fu Antonio Gramsci. Nel 1920 la
carica di primo ministro fu assunta nuovamente da Giolitti che, per esperienza e prestigio,
si pensava potesse allentare le tensioni sociali e ricomporre i contrasti politici. Egli risolse
la questione di Fiume sottoscrivendo con la Jugoslavia il Trattato di Rapallo (novembre
1920), in base al quale all'
I. venivano cedute alcune aree della Dalmazia (Cherso,
Lussino, Zara, Lagosta) e Fiume diventava una città libera (lo sarebbe stata fino al
1924, quando, con il Trattato di Roma, passò sotto il dominio italiano). Le maggiori
difficoltà per Giolitti si verificarono sul fronte interno: nei ceti medi e dei possidenti,
preoccupati dalle vittorie dei socialisti alle elezioni amministrative, cresceva infatti il
desiderio di una risposta autoritaria, mentre i moderati guardavano con timore ai disordini
e alle violenze generate da quanti, all'interno del movimento operaio, tentavano di creare
una situazione rivoluzionaria, sull'esempio della rivoluzione russa del 1919.
L'avvento del Fascismo e la seconda guerra mondiale
Con l'esaurimento del "biennio rosso" (1919-21), caratterizzato dalle lotte
operaie e contadine, Mussolini riuscì a catalizzare le frustrazioni della piccola
borghesia (classi medie, industriali) e i desideri di rivalsa dei grandi detentori di ricchezze
(agrari, in primo luogo). Le violenze perpetrate dalle squadre di volontari fascisti (le
camicie nere) contro le sedi e i rappresentanti del movimento operaio e
socialista, vennero ottusamente assolte dalla maggior parte dell'opinione pubblica come
funzionali a un auspicato "ritorno all'ordine". Le elezioni politiche del 1921 registrarono
l'avanzamento del Partito Nazionale Fascista, che ottenne 35 deputati, un numero ancora
inferiore a quello dei socialisti, ma sufficiente a segnare la sconfitta dei partiti democratici,
assai disgregati tra loro. Il 27 ottobre 1922, organizzate le camicie nere in formazioni di
carattere militare, Mussolini si diresse su Roma ("Marcia su Roma" del 28 ottobre),
chiedendo le dimissioni del primo ministro Luigi Facta e del suo Governo. Facta
esortò il re a proclamare lo stato d'assedio e a sciogliere la manifestazione. Vittorio
Emanuele III non solo si oppose, ma diede a Mussolini l'incarico di formare un nuovo
Esecutivo. In questo modo, tramite una sorta di colpo di Stato attuato con l'appoggio degli
apparati statali, Mussolini si pose a capo di un Governo composto da una coalizione di
liberali e popolari a lui favorevoli, avviando inoltre quel processo di fascistizzazione
dell'apparato statale che avrebbe in breve tempo portato l'
I. alla
dittatura. Il passaggio dallo Stato parlamentare al regime totalitario si attuò nel giro
di quattro anni, scandito da alcune tappe fondamentali: nel 1923 furono emanate leggi che
limitavano la libertà di stampa, in modo da mettere a tacere le opposizioni e
servirsi dei giornali come strumenti di propaganda; nello stesso anno venne presentata la
Legge Acerbo che modificava il sistema elettorale, in modo da assicurare alla lista
governativa la maggioranza dei deputati. L'instaurazione della dittatura avvenne non solo
tramite il varo di leggi illiberali, ma anche ricorrendo a minacce e violenze contro gli
oppositori. Nel 1924 venne assassinato il deputato socialista Giacomo
Matteotti, che in un discorso al Parlamento aveva denunciato le violenze e i brogli elettorali
operati dai fascisti nelle consultazioni politiche di quell'anno. Di fronte all'efferato omicidio
di Matteotti, l'opinione pubblica chiese le dimissioni di Mussolini, mentre la gran parte dei
deputati in segno di protesta abbandonò i lavori del Parlamento ("secessione
dell'Aventino"). Mussolini, dimostrando di non temere l'opposizione antifascista, il 3
gennaio 1925 pronunciò alla Camera un discorso in cui si assunse tutta la
responsabilità delle azioni illegali dei fascisti, procedendo inoltre all'esautoramento
del Parlamento a vantaggio del Governo e soprattutto del presidente del Consiglio,
responsabile solo davanti al re, proclamando la transizione dallo Stato liberale a quello
totalitario. Tappe successive comportarono l'allontanamento dal Governo dei cattolici e
quindi dei liberali. Alla dittatura si arrivò in seguito all'introduzione delle "leggi
fascistissime" del 1925-26, attraverso le quali furono sciolte le opposizioni, espulsi dalla
Camera i deputati antifascisti, messi al bando i sindacati, vietato il diritto di sciopero;
venne inoltre approvata una nuova legge elettorale che prevedeva una lista unica,
governativa, mentre, dal punto di vista giuridico, fu introdotta la pena di morte e istituito il
Tribunale speciale per la difesa dello Stato, incaricato di reprimere ogni forma di dissenso.
A tale scopo dal 1927 entrò in funzione anche una speciale polizia
segreta politica, l'OVRA (V.). Nel 1929 il Fascismo conseguì un importante
successo sottoscrivendo con Pio XI i Patti Lateranensi, che ponevano fine al conflitto tra
Stato italiano e Chiesa cattolica, insorto nel 1870: lo Stato italiano riconosceva il Vaticano
quale Stato indipendente; la Chiesa otteneva che la religione cattolica venisse dichiarata
religione di Stato. Fu inoltre stipulato un Concordato in base al quale venne introdotto
l'insegnamento della religione cattolica nelle
scuole medie e dato valore civile al matrimonio religioso. L'opposizione
manifestata dall'Azione Cattolica nei confronti del Fascismo, determinò
tuttavia momenti di tensione tra il regime e la Santa Sede. Sul piano economico, per
contrastare la crisi del 1929, il Governo adottò misure di difesa della produzione
nazionale, all'insegna dell'autarchia. Promosse inoltre un piano di opere pubbliche e di
risanamento dell'agricoltura (bonifica delle Paludi Pontine, fondazioni di città
rurali), sperimentando anche nuove forme di intervento statale nell'industria con la
creazione dell'IRI (V.); le relazioni tra industria e sindacati furono regolate dalle
Corporazioni (V. CORPORATIVISMO), nate nel 1933, a cui era obbligatorio affiliarsi da
parte delle varie figure della produzione. La politica sociale del Fascismo ebbe importanti
sviluppi con le pensioni per gli operai, la settimana di 40 ore, il sabato festivo, il dopolavoro
per i dipendenti, l'assistenza alla maternità e all'infanzia. La politica culturale
fascista fu gestita attivamente da un organismo burocratico, il ministero della Cultura
popolare (MINCULPOP), che vigilava su stampa, cinema e radio, sottoposte anche a una
censura passiva, tramite cui veniva impedita la circolazione di notizie che potessero ledere
l'immagine del regime. Il Governo fascista si preoccupò da un lato di condizionare,
servendosi delle moderne tecniche (radio, film di propaganda, manifestazioni, parate), il
modo di pensare e di agire delle masse, dall'altro di inquadrare rigidamente gli strati
popolari in associazioni ufficiali giovanili (come per esempio l'Opera Nazionale Balilla),
sportive, paramilitari, dopolavoristiche, senza lasciare il benché minimo spazio
all'iniziativa autonoma. Tra gli oppositori politici del Fascismo, alcuni furono eliminati fisicamente (come
Giovanni Amendola e Piero Gobetti che morirono in seguito alle bastonature fasciste), altri
furono costretti all'esilio (come don Luigi Sturzo, Pietro Nenni, Palmiro Togliatti, Gaetano Salvemini,
Filippo Turati), altri furono mandati al confino o incarcerati (come Sandro Pertini, Emilio Lussu
e Antonio Gramsci), altri ancora decisero di
lasciare l'
I. per emigrare all'estero, soprattutto a Parigi, dove diedero vita ad
associazioni come Giustizia e Libertà, di ispirazione liberale e socialista, che ebbe
il suo principale animatore in Carlo Rosselli, assassinato nel 1937, insieme al fratello
Nello, per ordine dei capi fascisti. Migliaia di oppositori, soprattutto comunisti e socialisti,
intellettuali e artisti, accusati di reati d'opinione o di attività antigovernativa furono
condannati al carcere o al confino. Di contro alcuni uomini di cultura guardarono
favorevolmente al Fascismo: oltre ai futuristi e ai nazionalisti, che aderirono fin da subito al
movimento, altri, tra cui Giovanni Gentile, lo approvarono come realizzatore dei principi
dello "Stato etico" di cui erano sostenitori, mentre alcuni scienziati e artisti si accorsero del
pericolo costituito dal regime fascista solo dopo l'introduzione delle leggi antisemite e si
rifugiarono all'estero (fu il caso del fisico Enrico Fermi, emigrato negli Stati Uniti nel 1938).
In politica estera, il Fascismo, dopo un primo periodo tendente alla moderata revisione dei
trattati di pace che avevano concluso la prima guerra mondiale,
intensificò la sua presenza nei Balcani, determinando una
cronica tensione con la Jugoslavia e con la Francia, preoccupata per le mire
espansionistiche di Mussolini e interessata a mantenere lo status quo. Se i rapporti
dell'
I. fascista rimasero inizialmente amichevoli con Inghilterra e Stati Uniti, le
relazioni con la Germania nazista furono tese, nonostante le affinità tra i partiti che
dominavano nei due Paesi. Nel 1936, occupata militarmente l'Etiopia e costretto il negus
Hailé Selassié all'esilio, Mussolini poté proclamare
la nascita dell'Impero dell'Africa orientale italiana (AOI), la cui corona fu assunta da Vittorio
Emanuele III. Dopo l'impresa africana, il regime fascista fu avversato dalla Società
delle Nazioni, mentre l'inasprimento dei rapporti con
Francia e Gran Bretagna spinse Mussolini nell'orbita tedesca: con Adolf Hitler, sostenitore,
in quegli anni, di una forte politica di riarmo e di espansione
territoriale, Mussolini sottoscrisse un'intesa (Asse Roma-Berlino nel 1936, preludio all'alleanza militare del 1939). L'avvicinamento fra le due dittature si manifestò nel
comune intervento nella guerra civile spagnola (1936-38) al fianco del Governo
nazionalista del generale Franco e divenne fu totale nel 1938, anno in cui furono
promulgate anche in
I. le leggi antisemite "per la difesa della razza", che
determinarono l'estromissione degli Ebrei italiani dalla pubblica amministrazione, dalla
scuola, dall'esercito. Nel 1938
le truppe tedesche occuparono l'Austria, la Cecoslovacchia, la Boemia e la
Moravia. L'anno successivo, Mussolini decise di invadere l'Albania.
Scoppiata la seconda guerra mondiale con l'aggressione tedesca della Polonia
(settembre 1939), l'
I. dichiarò inizialmente lo stato di non-belligeranza a
causa dell'assoluta impreparazione militare del Paese e della contrarietà alla
guerra di buona parte della classe dirigente. Tuttavia, nel giugno 1940, la
convinzione che il conflitto si sarebbe risolto in poco tempo e la speranza di conseguirne
vantaggi internazionali spinsero Mussolini a
dichiarare guerra a Francia e Gran Bretagna. Le prime operazioni militari dell'esercito
italiano si svolsero in zone marginali del conflitto (Sud-Est della Francia, Grecia).
L'impreparazione a sostenere uno scontro in cui contavano i grandi mezzi aero-navali e
dimensioni strategiche intercontinentali fu la causa principale delle numerose sconfitte
dell'
I. sia sui fronti balcanico e africano, sia in mare. La disastrosa partecipazione
alla campagna di Russia (1941-43) condusse infine il Paese al tracollo militare e
decretò la sconfitta dello schieramento dell'Asse.
Cominciò così a diffondersi
in
I. la convinzione che la guerra fosse ormai perduta,
mentre il popolo manifestava insofferenza nei confronti del regime
fascista. Ciò favorì la ripresa dell'attività clandestina
dei partiti antifascisti, che, sotto il comando di Ferruccio Parri, si unificarono nei Comitati di
Liberazione Nazionale (CLN), con i quali ebbe inizio il movimento della Resistenza (V.).
Nel marzo 1943 una serie di scioperi nell'
I. settentrionale diede il segnale
d'allarme al Fascismo. Dopo lo sbarco degli Anglo-Americani in Sicilia (luglio 1943), il re
esautorò Mussolini (25 luglio), messo in minoranza nell'ultima seduta del Gran
Consiglio del Fascismo, lo fece arrestare e al suo posto pose il maresciallo Pietro Badoglio. L'8
settembre venne firmato l'armistizio con gli Alleati e, dopo il disfacimento
dell'esercito, l'
I. rimase divisa in due zone rispettivamente controllate
dai Tedeschi (
I. settentrionale e centrale) e dagli Anglo-Americani (
I. del
Sud). Nelle zone occupate dai Tedeschi gli esponenti più oltranzisti del regime
fascista appena crollato diedero vita alla Repubblica Sociale
Italiana (RSI), con sede a Salò. In tutto il territorio della RSI si venne
sviluppando il movimento della Resistenza che si rivelò determinante per la
rapida liberazione del Paese e la cacciata dei Tedeschi. La Resistenza
contrastò con azioni di guerriglia le comunicazioni nazi-fasciste,
suscitando, d'altra parte, feroci rappresaglie ad opera dei Tedeschi. La liberazione di
Milano (25 aprile 1945) e la fucilazione di Mussolini (28 aprile 1945) da parte dei partigiani
segnarono la definitiva scomparsa del Fascismo come regime di governo. Alla fine della
guerra in l'
I. venne ripristinata la democrazia: all'indomani della liberazione, in base
all'accordo già intervenuto tra i partiti che appoggiavano il Governo Bonomi, la
guida del Paese fu assunta da Ferruccio Parri, che presiedette un Esecutivo composto da
una coalizione che era l'espressione dell'unità dei
partiti antifascisti (giugno-dicembre 1945). La conferenza di pace del 1947, presieduta
dalle quattro potenze vincitrici della guerra (Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione
Sovietica) delineò i nuovi confini nazionali:
l'
I., oltre alla perdita delle colonie (conservò l'amministrazione fiduciaria
della Somalia sotto l'egida dell'ONU, fino al 1960) e dell'Albania, dovette restituire alla
Grecia le Isole del Dodecaneso, cedere alla Francia Briga e Tenda, cedere alla Jugoslavia
parte della Venezia Giulia, l'Istria, Fiume, Zara, mentre il territorio di Trieste e di una parte
dell'Istria venne proclamato territorio libero e fu sottoposto a un'amministrazione
internazionale (Trieste sarebbe tornata sotto la sovranità dell'
I. nel 1954).
La Repubblica
Il 2 giugno 1946 si tenne il referendum popolare sulla
forma istituzionale (Monarchia o Repubblica) da dare all'
I.: le votazioni sancirono la
vittoria della Repubblica con il 54% dei voti. Il re Umberto di Savoia fu dunque costretto
all'esilio. Il 2 giugno il popolo italiano fu anche chiamato a eleggere, con sistema
proporzionale e a suffragio universale per la prima volta esteso anche alle donne, i
rappresentanti dell'Assemblea Costituente, incaricata di stendere una nuova Costituzione.
Il partito che ottenne la maggioranza dei voti fu la Democrazia Cristiana (DC), erede del Partito Popolare di don Sturzo, guidata da Alcide De Gasperi. Buoni risultati conseguirono anche il PSI (allora PSIUP) di Pietro Nenni e il PCI di Palmiro Togliatti. Questi e altri partiti minori, tra cui il Partito Repubblicano Italiano (PRI) e il Partito Liberale Italiano (PLI), che a quel tempo aveva come presidente Benedetto Croce e tra i suoi membri Luigi Einaudi, collaborarono alla redazione della Costituzione italiana, che fissò i lineamenti istituzionali dello Stato (V. COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA, LA). Elessero inoltre quale presidente provvisorio dell'
I. Enrico De Nicola. Nella carica di capo della Repubblica a De Nicola seguirono: Luigi Einaudi (1948), Giovanni
Gronchi (1955), Antonio Segni, (1962), Giuseppe Saragat (1964), Giovanni Leone
(1971), Sandro Pertini (1978), Francesco Cossiga (1985), Oscar Luigi Scalfaro
(1992), Carlo Azeglio Ciampi (1998). Il 1° gennaio 1948 venne promulgata la nuova Costituzione che, frutto dell'incontro tra il pensiero cattolico-democratico, democratico-liberale e marxista, riconobbe tutti i diritti individuali e collettivi ignorati o soppressi dal
regime fascista. Dal 1948 agli anni Sessanta, la Democrazia Cristiana associò al
Governo i partiti laici minori: il Partito Socialdemocratico (PSDI), fondato da Giuseppe
Saragat in seguito a una scissione dal PSI; il PRI di Ugo La Malfa; il PLI di Giovanni
Malagodi. Dal Governo rimasero escluse le altre forze politiche, sia di destra, il Partito
Monarchico e il Movimento Sociale Italiano (MSI), sia di sinistra (PCI, PSI). Nelle elezioni
del 18 aprile 1948, la DC si affermò come partito di maggioranza assoluta e pose a
capo del Governo De Gasperi, che fu primo ministro fino al 1953, guidando le scelte
essenziali per la ricostruzione dell'
I. Gli Esecutivi democristiani impostarono la
ripresa economica italiana, favorita dagli aiuti concessi dagli Stati Uniti nell'ambito del
Piano Marshall. Grazie all'afflusso di capitali e di merci statunitensi si crearono le
condizioni per la ricostruzione economica nazionale, che si attuò nell'ambito
dell'inserimento dell'
I. nel blocco dei Paesi occidentali, contrapposto a quello dei
Paesi comunisti: nel 1949 l'
I. entrò a far parte della NATO, nel 1952
aderì alla CECA, primo organismo della futura Unione europea, nel 1955 fu
ammessa all'ONU. Nei primi anni Cinquanta, lo schieramento centrista capeggiato dalla
DC entrò in crisi, a causa soprattutto della debolezza dei partiti minori. All'interno
della Democrazia Cristiana cominciarono a delinearsi posizioni favorevoli a un'apertura
verso sinistra, allo scopo di assicurare Esecutivi più stabili e autorevoli e
intraprendere una serie di riforme sociali ed economiche. In questo nuovo assetto politico
si inserisce l'avvicinamento della DC al Partito Socialista, che, dopo i fatti accaduti in
Ungheria nel 1956, si era allontanato dal PCI e aveva accettato di buon grado l'adesione
alla NATO. L'alleanza DC-PSI si concretizzzò negli anni Sessanta per iniziativa di
Amintore Fanfani e Aldo Moro. Inizialmente i socialisti entrarono nella maggioranza
parlamentare, poi, dal 1963, presero parte direttamente al Governo, inaugurando la fase
del centro-sinistra che, con momenti alterni e qualche intervallo, sarebbe durata per oltre
un decennio. L'avvento del centro-sinistra coincise con la trasformazione dell'
I. da
Paese agricolo a Paese industriale: i traguardi raggiunti furono tali da consentire
all'
I. di inserirsi tra le prime dieci potenze industriali al mondo. Tra i provvedimenti
varati sotto il Governo DC-PSI, vi furono la riforma della scuola media (unificazione e
obbligo fino a 14 anni), la nazionalizzazione dell'energia elettrica e il sostegno
all'economia del Mezzogiorno.
Dal '68 alle elezioni del 1979
Tra il 1967 e il 1970 il Paese fu attraversato da una grande
mobilitazione degli operai del Nord, che chiedevano salari più elevati e migliori
condizioni di lavoro, a cui nel 1968 si associarono le contestazioni degli studenti, in
sintonia con i movimenti pacifisti e le rivolte scoppiate nelle università di Stati Uniti,
Francia e Germania - V. MOVIMENTO STUDENTESCO (MS). Le rivendicazioni degli
operai, organizzati nei sindacati, sortirono importanti conquiste, tra cui, oltre a incrementi
di reddito, l'approvazione nel 1970 dello Statuto dei Lavoratori (V. LAVORATORI,
STATUTO DEI), strumento fondamentale per la difesa della dignità e della
libertà del lavoratore dipendente. Nel 1970 il Parlamento approvò la legge
che istituiva il divorzio (nel 1974 si sarebbe tenuto un referendum abrogativo di tale
istituto, che vide il 59,3% dei votanti favorevoli al suo mantenimento, con profonda
indignazione dei cattolici). Nel frattempo l'economia italiana, risentendo degli effetti della
crisi internazionale, subì una forte battuta d'arresto. La crisi petrolifera del 1973, con
l'aumento dei prezzi del greggio, significò per l'
I. svalutazione della lira, inflazione a
livelli record, caduta della produttività. A partire dalla fine degli anni Sessanta, oltre alla
difficile situazione economica, ebbe inizio una stagione di sangue e terrore per il Paese,
sconvolto da quella che sarebbe passata alla cronaca come "strategia della tensione". Tra
gli attentati terroristici che insanguinarono l'
I., costando la vita a centinaia di
persone, ricordiamo la strage di Piazza Fontana a Milano (1969), dove una bomba
esplose alla Banca nazionale dell'Agricoltura, l'attentato di Piazza della Loggia a Brescia
(1974), perpetrato nel corso di una manifestazione sindacale, l'attentato alla stazione di
Bologna (1980), dove perirono 92 persone, la bomba sul treno Milano-Napoli (1984).
Nonostante la responsabilità penale di molti degli attentati terroristici di quegli anni non sia
mai stata completamente accertata, è ormai da tempo evidente che fu voluta e perseguita
da gruppi di potere politico, militare ed economico che, in un quadro internazionale ancora
dominato dalla "guerra fredda", volevano impedire o quantomeno ostacolare
l'affermazione dei partiti di sinistra. In base alle indagini e ad alcune sentenze definitive, si
sa che in molti casi gli esecutori materiali furono militanti di gruppi di estrema destra e vi fu
implicato quel complesso sistema di potere occulto che aveva le sue ramificazioni in
settori dei servizi di sicurezza, in associazioni segrete, quali, per esempio, le logge
massoniche, nelle istituzioni. A partire dagli anni Settanta si registrò anche la nascita di
gruppi clandestini di sinistra, le Brigate Rosse e altre formazioni analoghe, che
inizialmente agirono effettuando sequestri di persona e successivamente passarono a
compiere attentati veri e propri, con ferimenti e assassini di magistrati, uomini politici,
giornalisti, poliziotti, sindacalisti, professori universitari. Lo scopo che si prefiggevano
questi gruppi era quello di innescare una rivoluzione anticapitalista. La crisi economica,
l'emergere di trame reazionarie, il conflitto all'interno della coalizione e, soprattutto,
l'avanzata del maggior partito d'opposizione, il PCI, nelle elezioni politiche del 1976, fecero
entrare in crisi il centro-sinistra. In quel delicato momento, per assicurare stabilità di
governo e coesione nazionale e unire le forze per contrastare l'incalzante pericolo del
terrorismo, per l'
I. repubblicana si aprì una nuova stagione, contrassegnata dal
tentativo di avvicinamento tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista, fortemente voluto
dal democristiano Aldo Moro e dal segretario del PCI Enrico Berlinguer. Maggioranza e
opposizione si accordarono dunque per la formazione di due Esecutivi di solidarietà
nazionale a guida democristiana (primo ministro fu Giulio Andreotti) che si ressero il primo
(1976) sull'astensione di comunisti e socialisti, il secondo (1978) sull'appoggio esterno del
PCI e di altri partiti. Nel 1978 si consumò il sequestro e l'omicidio di Aldo Moro da parte
delle Brigate Rosse. L'episodio segnò il momento culminante ma anche l'inizio della crisi
del terrorismo, che riuscì ad essere estirpato grazie a un'efficace azione repressiva
condotta da polizia e carabinieri che, per smantellare le organizzazioni clandestine armate,
si servirono anche delle confessioni di terroristi pentiti. Tuttavia con l'assassinio di Moro
ebbe fine anche la fase di solidarietà nazionale. Nel gennaio 1979 il PCI usciva dalla maggioranza; il governo entrava in crisi anche per il successivo distacco del PSI e, dopo inutili tentativi di formare una maggioranza, a luglio gli elettori venivano chiamati nuovamente alle urne. Il risultato del voto vedeva una stabilità dei partiti di governo mentre il PCI perdeva il 4% del suo elettorato; significativa risultava l'affermazione del Partito Radicale che conquistava il 3,4% dei suffragi. Nel 1980 un'immane tragedia distolse
l'opinione pubblica dalle vicende politiche: un terremoto sconvolse Campania e Basilicata
provocando la morte di 3.000 persone e la distruzione di interi Paesi. L'opera di soccorso
mise in luce l'impreparazione e l'inefficienza delle strutture statali. Un importante
referendum aprì gli anni Ottanta: gli Italiani, chiamati a pronunciarsi sull'aborto,
riconobbero la liceità dell'interruzione volontaria della gravidanza, purché avvenisse entro i
primi 90 giorni dal concepimento (legge approvata nel 1978).
Dal punto di vista politico, gli
anni Ottanta videro il raggiungimento di una certa stabilità: al potere ritornò il
centro-sinistra, che dal 1981 aprì anche al Partito Liberale, dando vita a una coalizione
pentapartitica (formata, oltre che da DC, PSI e PLI, dal Partito Socialdemocratico e dal
Partito Repubblicano), che rimase al Governo per oltre un decennio. Durante questo
periodo si verificò il superamento dell'egemonia democristiana: nel 1981, per la prima volta
nella storia dell'
I. repubblicana, la carica di primo ministro fu assunta da un
esponente politico non appartenente alla DC. Capo del Governo fu infatti nominato
Giovanni Spadolini, repubblicano, cui fecero seguito, tra il 1983 e il 1987, due Esecutivi
guidati dal socialista Bettino Craxi, che fu sicuramente l'uomo-simbolo della politica italiana
di quegli anni. I Governi pentapartito riuscirono, all'inizio del decennio, a sconfiggere il
terrorismo e ad avviare il Paese verso un favorevole periodo di benessere economico. Si
ebbe anche un ritorno dell'
I. sulla scena politica internazionale con presenze militari
in Libano (1982-84), nel Sinai (1982-86), nel Golfo Persico (1988) e nella guerra del Golfo
(1991). Gli anni Ottanta furono caratterizzati anche dall'affermazione nelle consultazioni
elettorali di nuove formazioni politiche estranee ai partiti tradizionali, tra cui i Verdi e le
leghe regionali, queste ultime presenti soprattutto in Lombardia e Veneto. Alcuni di questi
movimenti riuscirono a interpretare e far propria l'insofferenza che gli Italiani cominciavano
sempre più spesso a provare verso la degenerazione della vita politica del Paese, che
coinvolgeva i partiti tradizionali e che si manifestava in modi diversi: dal clientelismo,
all'intreccio politica-affari, al dilagare dell'influenza di centri di potere occulto (come la
loggia massonica P2) e della delinquenza organizzata (mafia, camorra e 'ndrangheta). Agli
inizi degli anni Novanta il quadro politico italiano subì profondi sconvolgimenti. Innanzitutto
la caduta del Muro di Berlino, il fallimento del Comunismo sovietico e il conseguente crollo
dei regimi comunisti nell'Europa dell'Est ebbero una ripercussione immediata in
I. Il
PCI, che già da tempo aveva intrapreso un processo di revisione ideologica, sotto la guida
del segretario Achille Occhetto si diede un nuovo orientamento in senso socialdemocratico
e mutò il proprio nome in Partito Democratico della Sinistra (PDS). Tuttavia la svolta
operata da Occhetto non trovò d'accordo una cospicua minoranza del partito, che si
staccò immediatamente dal PDS e diede vita al Partito della Rifondazione Comunista.
Tangentopoli e la fine della prima Repubblica
Nel febbraio 1992 in
I.
ebbe inizio l'inchiesta su "Tangentopoli" (V.), così chiamata in riferimento a una serie
di indagini condotte da magistrati di Milano che evidenziarono come ogni aspetto della vita
e dell'economia pubblica italiana fosse governato da un sistema di corruzione e tangenti, nel quale
erano coinvolti politici, imprenditori, amministratori. L'operazione, denominata "Mani Pulite"
(V. MANI PULITE, OPERAZIONE), ben presto da Milano si estese al resto della penisola,
mettendo a nudo l'intreccio tra politica e affari, che per anni aveva permesso ai partiti di
ricevere finanziamenti illeciti e alle imprese di godere di favori nell'assegnazione degli
appalti. Nel giro di due anni, le inchieste di Mani Pulite sconvolsero il mondo politico e
determinarono il crollo della vecchia classe dirigente e la disgregazione dei partiti
tradizionali. I partiti che risultarono maggiormente coinvolti furono quelli di Governo, in
particolare la DC e il PSI, che persero la fiducia dell'elettorato, indignato per gli scandali.
Nel 1994 la DC decise di rinnovarsi completamente, sostituendo la vecchia dirigenza e
mutando il nome in Partito Popolare Italiano (PPI), ma non riuscì a conservare la
precedente forza elettorale e di lì a poco si scisse in diverse formazioni minori: oltre al PPI,
si costituirono il Centro Cristiano Democratico (CCD), nato anch'esso nel 1994, e il partito
dei Cristiani Democratici Uniti (CDU), sorto nel 1995. Il PSI, dopo essersi frantumato,
scomparve; dalle sue ceneri sarebbero nati nel 1998 i Socialisti Democratici Italiani (SDI) e
nel 2001 il Nuovo Partito Socialista, presieduto dal figlio di Bettino Craxi, Bobo. Il
disfacimento dei due maggiori partiti tradizionali, sommato alla sfiducia e alla disaffezione
della gente verso la politica, contribuirono all'affermazione della Lega Nord, un movimento
nato nel 1991 dalla fusione della Lega Lombarda con analoghe formazioni regionaliste.
Nelle elezioni politiche del 1992, la Lega Nord, facendosi portavoce delle regioni più ricche
contro il malgoverno del Paese, lo spreco di denaro pubblico, l'allargarsi del deficit dello
Stato, ottenne un'affermazione storica, attestandosi come la quarta forza politica
nazionale. La sua avanzata proseguì anche nel 1993, quando, in occasione delle elezioni
amministrative, insediò i suoi sindaci in molte città dell'
I. settentrionale, tra cui
Milano, Varese e Como. Nelle consultazioni politiche del 1994 per la prima volta si votò
con il nuovo sistema uninominale maggioritario, adottato in seguito a un referendum
dell'anno precedente, in cui gli Italiani avevano affermato la loro volontà di cambiare la
formula del voto. La riforma elettorale introdusse maggior dinamismo nel panorama
politico, spingendo partiti e movimenti a ridefinire la loro collocazione e incentivando una
semplificazione del quadro politico, tanto che per le elezioni del 1994 si presentarono tre
sole coalizione: i "Progressisti", schieramento che comprendeva PDS, Rifondazione
Comunista, Verdi, settori socialisti e altri movimenti di recente nascita; la Lega Nord e il
Polo delle Libertà, formato quest'ultimo da Alleanza Nazionale (AN, cioè l'ex MSI che dal 1995 aveva
rinunciato alle posizioni neofasciste, modificando anche il proprio nome), da un gruppo di
ex democristiani e da Forza Italia, una nuova formazione politica dal carattere fortemente
liberista, sorta nel 1993 per iniziativa dell'imprenditore Silvio Berlusconi; il Patto per l'Italia,
una coalizione di centro, costituita dal PPI e da alcune componenti cattoliche minori,
facenti parte dell'area della sinistra democristiana. A ottenere la maggioranza dei voti fu il
Polo delle Libertà guidato da Berlusconi, a cui il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro diede l'incarico di formare il Governo. L'Esecutivo ebbe tuttavia vita breve,
indebolito dai contrasti interni, alimentati soprattutto dalla Lega che, nel dicembre 1994,
presentando una mozione di sfiducia insieme alle opposizioni, decretò la caduta del
Governo Berlusconi. In attesa di un nuovo confronto elettorale, venne nominato un
Governo di tecnici, presieduto dall'economista Lamberto Dini, che poté contare
sull'appoggio della sinistra e della Lega Nord. Nel frattempo, nel 1995, le forze
progressiste uscite sconfitte dalle consultazioni del marzo 1994, si costituirono in un nuovo
movimento politico denominato Ulivo, che si formò sulla base di un programma comune.
Vi aderirono PDS, PPI, Verdi e altre formazioni minori di matrice cattolica, laico-liberale e
socialista. Alle elezioni del 1996 si presentarono i due schieramenti del Polo delle Libertà,
guidato sempre da Berlusconi, e dell'Ulivo, con a capo Romano Prodi, docente
universitario di economia ed ex manager dell'industria pubblica. La Lega Nord corse da
sola, portando avanti il suo progetto di secessione, ossia di separazione di alcune aree
settentrionali dallo Stato italiano. A prevalere, in quell'occasione, fu l'Ulivo. Si costituì così
un Governo di centro-sinistra presieduto da Prodi, che poté fare affidamento sul sostegno
esterno di Rifondazione Comunista. La coalizione guidata da Prodi concentrò i suoi sforzi
nel tentativo di risanare il debito pubblico e di soddisfare le condizioni poste dal Trattato di
Maastricht per consentire all'
I. l'ingresso nell'Unione Monetaria Europea (UME) con
il gruppo di testa. Tale obiettivo venne raggiunto nel maggio del 1998, grazie a
un'imponente manovra finanziaria messa a punto dall'Esecutivo, che aveva imposto un
drastico taglio della spesa pubblica e un eccezionale prelievo fiscale. Nel frattempo il
Parlamento aveva istituito una Commissione Bicamerale, fortemente voluta dal segretario
dei PDS Massimo D'Alema, chiamata a formulare un radicale progetto di riforma della
Costituzione per dare alla cosiddetta "seconda Repubblica" (quella cioè nata dopo
"Tangentopoli") un nuovo assetto politico-istituzionale. Tuttavia, l'articolata proposta
presentata dalla Bicamerale, che fu approvata nel giugno del 1998, non venne mai
discussa dal Parlamento a causa della rottura dell'accordo tra le forze politiche. Nel
dicembre 1998 Rifondazione Comunista tolse il proprio appoggio al Governo Prodi,
determinandone la caduta. Nella convulsa situazione che si venne a creare, con il
centro-sinistra privo di una maggioranza parlamentare e con il centro-destra che chiedeva
elezioni anticipate, il mandato di formare un nuovo Esecutivo venne affidato a D'Alema,
leader del maggior partito della coalizione ulivista, che divenne il primo politico ex
comunista ad assumere la guida di un Governo occidentale. Il nuovo Gabinetto poté
reggersi grazie all'appoggio di due nuove formazioni politiche, il Partito dei Comunisti
Italiani (PDCI), nato dalla scissione avvenuta in seno a Rifondazione Comunista, e l'Unione
Democratica per la Repubblica (UDR), un raggruppamento formatosi intorno alla persona
dell'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga e comprendente parlamentari eletti
in entrambe le coalizioni. Nonostante l'aspra dialettica politica tra Governo e opposizione,
il 13 maggio 1999 il Parlamento elesse alla prima votazione e con ampia maggioranza
Carlo Azeglio Ciampi a capo dello Stato. A distanza di una settimana, in un clima reso
incandescente dalla partecipazione italiana all'offensiva della NATO in Serbia e Kosovo, si
riaffacciò in
I. l'incubo del terrorismo: Massimo D'Antona, un importante
collaboratore del ministero del Lavoro, venne assassinato in un attentato rivendicato dalle
Brigate Rosse. Nelle elezioni europee del 1999 il Polo delle Libertà ottenne una buona
affermazione, confermata dalle consultazioni amministrative che si tennero l'anno
successivo e che decretarono la caduta del Governo D'Alema, il quale si dimise dall'incarico
di primo ministro. Alla guida del Paese fu posto Giuliano Amato, che guidò un Esecutivo di
centro-sinistra, rimanendo in carica fino alla fine della legislatura. Nel complesso, i Governi
di centro-sinistra avviarono un processo di privatizzazione di industrie, banche, società di
servizi, passate dalla proprietà pubblica alle forme private della gestione capitalistica, che
modificò radicalmente il settore delle telecomunicazioni (venne privatizzata la Telecom, la
licenza per la telefonia mobile fu assegnata a cinque diversi gestori). Tuttavia anche i
settori dell'energia (gas, luce), dei trasporti, della sanità e della scuola cominciarono ad
aprirsi sempre di più all'intervento dell'impresa privata. Sotto il centro-sinistra, inoltre,
l'
I. vide crescere il proprio prestigio internazionale: oltre a una maggiore stabilità
politica e alle capacità mostrate nel rispettare i severi parametri di Maastricht, il Governo
italiano poté contare su una più solidale affinità con gli Esecutivi dei Paesi dell'Unione
europea, per la maggior parte di orientamento socialdemocratico, che guardavano con
apprezzamento e interesse all'esperimento e al programma politico dell'Ulivo. La stessa
nomina di Romano Prodi a capo della Commissione europea (maggio 1999), al posto del
dimissionario Jacques Santer, fu un importante segnale di dimostrazione di quanto la
considerazione internazionale verso l'
I. fosse aumentata. L'ultimo anno della
legislatura del centro-sinistra trascorse sotto il segno di un duro conflitto politico. Mentre il
Polo, portando dalla sua parte la Lega Nord, riuscì a mostrarsi unito di fronte all'elettorato,
creando inoltre un ampio consenso intorno a una forte idea di cambiamento, l'Ulivo rimase
a lungo invischiato in una grave crisi politica e d'identità.
Il Duemila
Verso la fine del 2000 la
coalizione di centro-sinistra si ricompattò intorno alla candidatura per le elezioni del 2001
di Francesco Rutelli, sindaco uscente di Roma e leader di una nuova formazione politica,
comprendente le forze moderate dell'Ulivo, denominata Margherita. La campagna elettorale, tra
le più conflittuali della storia repubblicana, fu segnata dal famoso "Contratto con gli Italiani" che
Berlusconi stipulò in diretta televisiva, annunciando pubblicamente che, nel caso avesse
conquistato la maggioranza dei voti, nei cinque anni di Governo si sarebbe impegnato a
realizzare i seguenti punti: abbassamento della pressione fiscale, lotta alla criminalità,
aumento a un milione al mese delle pensioni minime, creazione di un milione e mezzo di
posti di lavoro, realizzazione di almeno il 40% del piano decennale per le opere pubbliche.
Berlusconi dichiarò inoltre che, nei primi "cento giorni" di Governo, si sarebbe occupato di
alcune priorità, tra cui la risoluzione del conflitto d'interesse che vedeva implicato
nel duplice ruolo di eventuale presidente del Consiglio e di imprenditore.
Nonostante la preoccupazione espressa dai più quotati giornali economici internazionali
per un'eventuale vittoria della Casa delle Libertà (CDL, nuovo nome assunto dal Polo delle
Libertà), la coalizione di centro-destra nelle elezioni del 13 maggio 2001 si impose di
misura sull'Ulivo, venendo tuttavia premiata nella distribuzione dei seggi dal sistema
maggioritario. L'ampio consenso ottenuto dalla CDL e, in particolare, da Forza Italia, fu
determinato anche dalla debolezza e dalla frammentarietà dell'opposizione: l'Ulivo, infatti,
non essendo riuscito a raggiungere né un accordo programmatico, né un patto elettorale
con altre formazioni ostili alla Casa delle Libertà, tra cui Rifondazione Comunista e il
movimento Italia dei Valori, fondato nel 2000 dall'ex magistrato Antonio Di Pietro, aveva
compromesso l'efficacia della sua azione. Il Governo Berlusconi si insediò a giugno e a
luglio dovette subito affrontare il primo ostacolo rappresentato dall'organizzazione del
vertice dei capi di Stato e di Governo del G8 a Genova. L'incontro, preceduto da
polemiche tra maggioranza e opposizione, si svolse in un clima di tensione altissima,
prospettandosi l'arrivo di decine di migliaia di Italiani e stranieri per il controvertice
organizzato dal Genoa Social Forum (GSF), un organismo comprendente centinaia di sigle
dell'associazionismo di base, sindacali e politiche, laiche e religiose. Nonostante le
imponenti misure di sicurezza, il 20 luglio scoppiarono violenti disordini, culminati
nell'uccisione di un giovane manifestante, Carlo Giuliani, da parte di un carabiniere. Il
giorno seguente si verificarono nuove violenze sia durante la manifestazione pomeridiana,
sia in seguito all'irruzione notturna alla scuola Diaz da parte delle forze dell'ordine. Nei
giorni successivi alcuni funzionari di polizia furono costretti alle dimissioni, mentre per
accertare le responsabilità dei gravi fatti la magistratura genovese aprì un'inchiesta sulle
forze dell'ordine e il Parlamento istituì una Commissione d'indagine, le cui conclusioni
vennero però respinte dall'opposizione. I primi "cento giorni" del Governo Berlusconi
trascorsero in un clima di acceso scontro politico. L'Esecutivo approvò a colpi di maggioranza
l'abolizione della tassa di successione, pene meno severe per il reato di falso in bilancio e
la legge sulle rogatorie internazionali, che prevedeva, con efficacia retroattiva, maggiori
vincoli formali per questo tipo di atti, pena la loro invalidità. In seguito agli attacchi
terroristici dell'11 settembre, il Governo italiano espresse la sua solidarietà agli Stati
Uniti e offrì il suo appoggio alla campagna "Enduring Freedom" (Libertà duratura) lanciata da
Washington contro il terrorismo internazionale e iniziata il 7 ottobre con i bombardamenti
contro l'Afghanistan dei talebani, spalleggiatori di Osama Bin Laden. L'
I. inviò una
portaerei nel Mare Arabico e prese parte ad azioni militari in Afghanistan, mentre, per
fronteggiare il pericolo del terrorismo internazionale, il Governo varò una legge
antiterrorismo. Il 2002 si aprì con le fortissime tensioni tra Governo e sindacati, in
particolare la CGIL, sulla questione dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (che vieta
il licenziamento senza giusta causa in aziende con più di 15 dipendenti), che la
maggioranza aveva proposto di abolire per rendere più flessibile il mercato del lavoro.
Sergio Cofferati, in difesa dell'articolo 18, indisse per il 23 marzo una manifestazione dei
lavoratori, a pochi giorni dalla quale un nuovo fatto di violenza scosse la vita politica
italiana: dopo Massimo D'Antona, un altro consulente del ministero del Lavoro, Marco
Biagi, venne ucciso a Bologna dalle Brigate Rosse. La polemica tra maggioranza e
opposizione si fece rovente: mentre il centro-sinistra accusava il Governo di aver tolto la
scorta a Biagi, non proteggendo la vita di un uomo minacciato, il centro-destra si scagliò
contro Cofferati, ritenuto responsabile di aver avvelenato il clima politico e di aver
estremizzato lo scontro sociale dando adito all'emergere di azioni violente da parte di
organizzazioni clandestine armate. La manifestazione di Roma del 23 marzo, in cui confluirono
3 milioni di lavoratori, fu l'occasione per il sindacalista di ribadire non solo la
difesa dell'articolo 18, ma anche la lotta contro ogni forma di terrorismo. Il 16 aprile fu
indetto dalla CGIL uno sciopero generale che ebbe un'ampia adesione. Un altro sciopero,
quello dei magistrati, in giugno, evidenziò lo stato di grave malessere nel mondo della
magistratura di fronte a un progetto governativo di riforma dell'organizzazione giudiziaria,
che paventava la separazione delle carriere di giudici e magistrati. Per far sentire la
propria voce soprattutto in materia di giustizia, di uguaglianza sociale e di libertà di
espressione (il Governo Berlusconi fu ritenuto responsabile del licenziamento dei
giornalisti Enzo Biagi e Michele Santoro e del comico Daniele Luttazzi da parte della RAI),
la società civile diede vita a numerosi movimenti, tra cui si distinsero i Girotondi, che si
mobilitarono in segno di protesta contro numerosi provvedimenti governativi. Nel corso del
2002 l'Esecutivo approvò la nuova legge sull'immigrazione, la cosiddetta Bossi-Fini (V.
IMMIGRAZIONE), che introdusse norme più severe per l'ingresso e la permanenza in Italia
degli immigrati. Nel 2003 lo scontro politico non accennò a scemare. A marzo, il Parlamento
approvò il nuovo ordinamento scolastico, messo a punto dal ministro dell'Istruzione Letizia
Moratti. Sul piano internazionale, il Governo diede il proprio sostegno alla guerra
(iniziata il 20 marzo 2003) che gli Stati Uniti intrapresero contro l'Iraq per abbattere
il regime di Saddam Hussein, nonostante la forte contrarietà dell'opinione pubblica,
che era culminata nell'imponente manifestazione per la pace del 15 febbraio tenuta
a Roma (e contemporaneamente in tutte le principali città del mondo). Le polemiche
relative all'appoggio italiano al conflitto si acuirono dopo la fine delle ostilità
in Iraq (1° maggio), allorché ebbe inizio una lunga serie di attentati rivolti non
solo a soldati anglo-americani (per cui era previsto il permanere in Iraq, insieme
ad altre forze militari della coalizione, fino a completa normalizzazione del Paese)
ma a obiettivi internazionali. Anche l'
I.
fu presa di mira: il 12 novembre 2003 un'esplosione nella base dei Carabinieri
di stanza a Nassiriya provocò la morte di 19 Italiani (17 tra militari e Carabinieri
e 2 civili) e 9 Iracheni, mentre numerosi furono i feriti. Intanto in giugno erano
sorte nuove polemiche tra maggioranza e opposizione allorché in Parlamento venne
discussa la reintroduzione dell'immunità per i politici, il cosiddetto Lodo Maccanico,
modificato dal forzista Schifani, che secondo il centro-sinistra rappresentava
una legge su misura per Berlusconi, implicato in due processi. La legge, che
prevedeva l'immunità per le cinque principali cariche istituzionali (presidenti
della Repubblica, del Consiglio dei ministri, di Camera, Senato e della
Consulta), venne approvata dal Parlamento a giugno, ma fu dichiarata incostituzionale
dalla Corte Costituzionale nel gennaio 2004. Sempre a giugno si tennero le
elezioni amministrative, che segnarono una netta avanzata del centro-sinistra. Si votò
inoltre il referendum, proposto da Rifondazione Comunista, per estendere l'articolo
18 anche alle aziende con meno di 15 dipendenti. Le maggiori forze politiche si
schierarono per l'astensione e il referendum non raggiunse il quorum. A luglio
ebbe inizio l'undicesimo semestre europeo italiano, preceduto da polemiche
amplificate dai principali giornali europei, che avanzavano dubbi sull'idoneità
del premier italiano a ricoprire la carica di presidente del Consiglio europeo.
Il semestre italiano si concluse a fine dicembre 2003 con la mancata realizzazione del nuovo
progetto della Costituzione europea, a causa della discordanza tra i membri Ue. Sul fronte
della guerra in Iraq, il 13 aprile 2004, nei pressi di Falluja, quattro guardie private
italiane (Maurizio Agliana, Umberto Cupertino, Salvatore Stefio, Fabrizio Quattrocchi),
alle dipendenze di una ditta statunitense, vennero sequestrate dalle Falangi di Maometto
che, in cambio della loro liberazione, chiedevano al Governo italiano di ritirare le truppe
dall'Iraq e di liberare i detenuti iracheni in
I., invitando inoltre il premier
Berlusconi a porgere scuse ufficiali per le offese rivolte all'Islam e ai musulmani.
Il giorno seguente la Tv araba al-Jazeera annunciò di aver ricevuto un video con le immagini
dell'uccisione di uno dei quattro ostaggi (Quattrocchi). Per ottenere la liberazione degli
altri rapiti, oltre al Governo italiano si attivarono la Croce Rossa ed Emergency. Nel mese
di maggio, lo scandalo delle torture dei prigionieri iracheni perpetrate nel carcere di Abu
Ghraib da soldati statunitensi e britannici spinse l'opposizione di centro-sinistra a
chiedere con maggiore vigore il ritiro delle truppe italiane dall'Iraq. Le pressioni sul
Governo si fecero ancora più insistenti dopo la morte del militare italiano Matteo Vanzan a
Nassiriya, cinta d'assedio dai miliziani dell'imam sciita Al Sadr. In giugno, alla vigilia
delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo e delle votazioni amministrative,
i tre ostaggi ancora nelle mani dei rapitori iracheni vennero liberati dalle forze
della coalizione. Le consultazioni tenutesi il 12 e 13 giugno 2004 fecero registrare il
forte calo di Forza Italia alle europee e l'affermazione dei candidati appoggiati dal
centro-sinistra nelle amministrative. Il mancato ritiro delle truppe italiane dall'Iraq
rinforzò la strategia dei sequestri contro l'
I. da parte dei terroristi islamici:
il 20 agosto fu rapito il giornalista italiano Enzo Baldoni, ucciso il 27 agosto; il
7 settembre vennero sequestrate due operatrici di pace italiane, Simona Torretta e
Simona Pari, liberate il 28 settembre. Il 4 febbraio 2005 fu rapita la giornalista del
"Manifesto" Giuliana Sgrena; subito dopo il suo rilascio (4 marzo), nel tragitto verso
l'aeroporto di Baghdad il funzionario del SISMI Nicola Calipari, mediatore per la
liberazione della Sgrena, perse la vita sotto i colpi esplosi da un blindato statunitense.
La lotta contro le forze di occupazione e i collaborazionisti si estese dall'Iraq
all'Afghanistan e il 16 maggio la volontaria Clementina Cantoni fu sequestrata a Kabul,
dove lavorava per l'organizzazione umanitaria Care International.
La liberazione delle due operatrici umanitarie Simona Pari e Simona Torretta
Nel frattempo le
elezioni regionali tenutesi in
I. il 3 e 4 aprile 2005 decretarono il trionfo della
coalizione di centro-sinistra, denominata L'Unione (V. UNIONE, L'). La cocente sconfitta
del centro-destra culminò nella richiesta, da parte dei partiti della maggioranza AN e
UDC, di un cambiamento di squadra e programma governativi. Il premier Berlusconi fu
costretto a rassegnare le dimissioni (21 aprile), ponendo fine al Governo italiano più
duraturo della storia della Repubblica. Spinto dalla volontà di tenere insieme la
coalizione per arrivare alla fine della legislatura, nell'arco di una settimana (30
aprile) costituì il suo terzo Gabinetto, caratterizzato da un minimo cambiamento di
ministri. Nel corso dell'estate il mondo economico-finanziario italiano fu investito
dallo scandalo della scalata alla Banca Antonveneta, che vide coinvolti il governatore della
Banca d'Italia (V.) Antonio Fazio (V. FAZIO, ANTONIO), l'amministratore delegato della
Banca Popolare Italiana Giampiero Fiorani, nonché nomi dell'alta finanza nostrana.
Indagato per abuso d'ufficio, Fazio rassegnò le proprie dimissioni da Bankitalia
nel mese di dicembre, mentre Fiorani, accusato di associazione per delinquere,
aggiotaggio e appropriazione indebita, fu posto agli arresti. Nei giorni 9 e
10 aprile 2006, al termine di una campagna elettorale dai toni aspri e accesi,
giocata soprattutto sui temi del fisco, della giustizia, del ruolo dei mezzi
di comunicazione di massa, si tennero le elezioni politiche per il rinnovamento
del Parlamento. Caratterizzate da un'alta affluenza alle urne (83,6%), le
consultazioni terminarono con un'esigua vittoria della coalizione di centro-sinistra
dell'Unione, guidata da Romano Prodi, che conseguì il 49,8% di consensi alla Camera (348
seggi), contro il 49,7% della Casa delle Libertà (281 seggi), e il 48,9% al Senato (158
seggi), contro il 50,2% (156 seggi) del centro-destra. Al Senato, la vittoria dell'Unione
fu determinata dalla nuova legge elettorale proporzionale (approvata dal solo centro-destra
nell'ottobre 2005), che a Palazzo Madama attribuiva il premio di maggioranza su base
regionale, e dal voto degli Italiani all'estero. All'indomani dei risultati delle
votazioni, la Casa delle Libertà avanzò sospetti di irregolarità nelle operazioni
di conteggio delle schede nulle, che vennero tuttavia fugati dal riesame dei
verbali elettorali effettuato dalla Corte di Cassazione. In seguito alla designazione
di Fausto Bertinotti alla presidenza della Camera e di Franco Marini a quella del
Senato, a maggio il Parlamento in seduta plenaria elesse a presidente della
Repubblica il senatore a vita Giorgio Napolitano, che subentrò a Ciampi. Napolitano,
primo ex comunista a salire al Colle, investì ufficialmente dell'incarico di primo ministro
il leader dell'Unione Prodi, il quale, non senza difficoltà interne, riuscì a formare
la sua squadra di Governo, che ottenne la fiducia di Camera e Senato con i soli voti del
centro-sinistra e dei senatori a vita. Il secondo Esecutivo guidato da Prodi (il suo
primo Governo era durato dal maggio 1996 all'ottobre 1998) pose come priorità assolute
il risanamento del bilancio dello Stato, lo sviluppo del Paese e il ritiro delle truppe
italiane dall'Iraq (tema, quest'ultimo, di tragica attualità dopo l'attacco terroristico
che a fine aprile aveva provocato la morte, a Nassiriya, di quattro soldati italiani).
Il 25-26 giugno si votò per il referundum confermativo del testo di legge costituzionale
sulla devolution del novembre 2005, che istituiva il Senato federale della Repubblica,
riduceva il numero complessivo dei parlamentari, snelliva l'iter di approvazione delle
leggi, attribuiva maggiori poteri al premier e dava alle regioni competenza legislativa
esclusiva in materia di sanità, scuola e polizia locale. Le consultazioni registrarono
la netta vittoria dei "no" (61,7%). Nel corso della crisi scoppiata nel periodo di
luglio e agosto tra Israele e Libano, l'
I., nella persona del ministro degli
Esteri Massimo D'Alema, giocò un importante ruolo di mediazione, appoggiando la
risoluzione 1701 del Consiglio delle Nazioni Unite, che portò alla sospensione delle
ostilità tra i due contendenti, e prendendo parte, con 2.500 militari, alla forza
di interposizione dell'ONU stanziata nel Sud del Libano. In novembre, il Consiglio dei
ministri procedette alla riforma dei vertici dei servizi segreti, coinvolti, nei mesi
precedenti, in una serie di scandali (il direttore del SISMI Nicolò Pollari, insieme
al suo vice Marco Mancini e al funzionario Pio Pompa erano stati indagati per la vicenda
legata al rapimento da parte della CIA dell'imam di origini egiziane Abu Omar, risalente
al febbraio 2003; funzionari del SISMI erano risultati implicati nel caso delle intercettazioni
illegali messe in atto da alcuni dirigenti e collaboratori di Telecom). Nel febbraio 2007, dopo
poco più di nove mesi di azione governativa volta in
I. all'approvazione della
legge Finanziaria e a una serie di liberalizzazioni che suscitarono malcontento in vari settori
del ceto medio, del commercio e delle professioni, l'Esecutivo Prodi
fu attraversato da una grave crisi allorché il Senato non approvò la mozione sulla
politica estera presentata dal ministro D'Alema. Prodi rassegnò quindi
le proprie dimissioni al
presidente della Repubblica, il quale, dopo aver consultato le diverse forze politiche del
Parlamento, affidò nuovamente l'incarico al leader dell'Unione. Il Governo Prodi, che non
cambiò composizione ministeriale, ottenne la fiducia del Senato il 28 febbraio con
162 voti a favore e 157 contro. Novità di rilievo fu il fatto che l'ex segretario
dell'UDC, il senatore Marco Follini (ora alla testa della nuova formazione centrista
L'Italia di Mezzo) accordò il suo voto a Prodi, passando così dalla precedente opposizione parlamentare
a un cauto sostegno alla maggioranza di centro-sinistra uscita vincitrice dalle elezioni del 2006.
A fine luglio 2007 il Sud Italia venne travolto da violenti incendi di origine dolosa: le regioni più
colpite furono Puglia, Calabria, Sicilia e Abruzzo. Il nostro Paese ricevette gli aiuti di Francia e Spagna.
Nel mese di agosto Silvio Berlusconi fondò un nuovo partito, il Partito della Libertà (PDL) con l'obiettivo
di unificare sotto uno stesso tetto i moderati italiani divisi tra AN, Forza Italia, UDC e Lega: ancor
prima della notizia ufficiale si diffusero le reazioni di forte malcontento degli alleati della CDL. L'8
settembre 2007 si svolse, in moltissime piazze italiane, il V-Day, una manifestazione di protesta organizzata
dal comico Beppe Grillo: lo scopo era di raccogliere firme per una legge di iniziativa popolare
che vieti a chi è stato condannato in via definitiva (o in primo e secondo grado in attesa di giudizio)
di candidarsi in Parlamento e stabilisce che nessun cittadino italiano possa essere eletto in Parlamento
per più di due legislature, aggiungendo inoltre che i candidati al Parlamento devono essere votati dai
cittadini con preferenza diretta. Il V-Day ebbe uno straordinario successo, con la raccolta di oltre 300.000
firme: tale esito scosse tanto il governo quanto l'opposizione.<br>
In dicembre scoppiò una nuova emergenza rifiuti in Campania,, dove il blocco di
alcune discariche determinò l'accumulo di quantità immani di immondizia nel
capoluogo e la violenta reazioni dei cittadini abitanti nei pressi degli
impianti chiamati a gestire l'emergenza. Le immagini dei roghi d'immondizia per
le strade di Napoli fecero il giro del mondo e indussero il governo a
intervenire nominando un commissario straordinario, Gianni De Gennaro, con
compiti specificamente destinati a superare l'emergenza. Oltre ad affrontare
l'opposizione degli abitanti delle zone limitrofe alle discariche interessate
dall'emergenza, il commissario De Gennaro dovette considerare anche le
connessioni esistenti fra la situazione di degrado del territorio e gli
interessi delle cosiddette eco-mafie, associazioni a delinquere che offrono alle
industrie convenienti scorciatoie per smaltire i residui nocivi della loro
produzione.
Tra la fine del 2007 e l'inizio del 2008 l'esecutivo presieduto da Prodi vacillò
ripetutamente, dapprima per le dichiarazioni del presidente della Camera
Bertinotti sull'inefficacia dell'azione governativa, poi per la vicenda in cui
fu coinvolta la moglie del ministro della Giustizia Clemente Mastella, posta
agli arresti domiciliari per concussione dal GIP di Santa Maria Capua Vetere. La
precedente approvazione della legge Finanziaria 2008 e la provvisoria verifica
di maggioranza di inizio anno non sottraggono il premier dalla bufera politica
scatenata dalle indagini sui coniugi Mastella. Il ministro di Grazia e Giustizia
si dimise il 16 gennaio, annunciando pochi giorni dopo che l'UDEUR ritirava
l'appoggio esterno alla maggioranza. Di conseguenza il presidente del consiglio
pose la questione di fiducia ai due rami del parlamento, conscio che al Senato
non godeva più di numeri sufficienti. Il 23 gennaio 2008 la Camera confermò con
un buon margine la fiducia a Prodi (326 sì e 275 no); ma il giorno successivo,
dopo un acceso dibattito, il Senato pose in minoranza l'esecutivo (161 no, 156
sì), costringendo Prodi a recarsi al Quirinale per rassegnare le proprie
dimissioni.
Le elezioni politiche, svoltesi il 13 e il 14 aprile 2008, videro la coalizione di centro-destra -
costituita dal nuovo partito del Popolo delle Libertà, dalla Lega Nord e dal siciliano Movimento per l'Autonomia -
ottenere una netta vittoria, sia alla Camera dei Deputati che al Senato. Nel nuovo quadro politico, l'opposizione,
costituita dalla coalizione tra Partito Democratico e Italia dei Valori, nonché dall'Unione di Centro
(UDC, Rosa per l'Italia e altri partiti minori), ammise la sconfitta. L'attribuzione dei seggi risultò decisamente
sbilanciata a centro-destra (344 su 630 alla Camera, 174 seggi su 315 al Senato), mentre le estreme (la Sinistra
Arcobaleno di Bertinotti e La Destra-Fiamma Tricolore della Santanchè) rimasero fuori dallo schieramento
parlamentare, a causa dello sbarramento posto al 5%. Per la prima volta nella storia della repubblica, dunque,
le forze politiche ispirate apertamente all'ideologia comunista e (meno direttamente) a quella fascista rimasero
fuori dai due rami del Parlamento. In un clima di
inedita collaborazione tra le forze politiche, tutte d'accordo sulla necessità
di avviare una stagione di profonde riforme istituzionali, il 7 maggio 2008 Silvio Berlusconi
accettò l'incarico di governo affidatogli dal presidente della Repubblica Napolitano, presentando
contestualmente la lista dei ministri. I dicasteri più delicati furono affidati a: Franco Frattini
(Forza Italia, Esteri), Roberto Maroni (Lega Nord, Interni), Angelino Alfano (Forza Italia, Giustizia),
Ignazio La Russa (Alleanza Nazionale, Difesa), Giulio Tremonti (Foeza Italia, Economia), Maria Stella Gelmini (
Forza Italia, Pubblica Istruzione).
Fin dai primi giorni dopo l'insediamento, il quarto governo Berlusconi affrontò
i problemi ritenuti più urgenti: l'emergenza rifiuti in Campania, l'ondata di
criminalità legata all'immigrazione clandestina e l'impoverimento di una fascia
crescente di famiglie italiane. A questo proposito, il Ministero dell'Economia
abolì definitivamente l'imposta comunale sulla prima casa e adottò provvedimenti
per alleviare la situazione delle famiglie messe in difficoltà dai mutui a tasso
variabile, d'accordo con l'ABI (Associazione Bancaria Italiana). Le elezioni europee 2009, svoltesi il 6-7 giugno, furono caratterizzate da un netto calo di affluenze rispetto alle precedenti elezioni europee del 2004 (il calo risulterebbe ancora maggiore se confrontato con le elezioni politiche nazionali 2008). Il PdL ottenne il 35,3% e 29 seggi, il PD il
26,1% e 21 seggi, la Lega Nord, dopo il pieno di voti delle elezioni politiche del 2008, consoldò il suo risultato ottenedo il 10,2% e 9 seggi,
l'Italia dei Valori, in costante crescita, ottenne il 8% e 7 seggi, l'UDC si dimostrò anche in queste elezioni così come in ogni tornata il
partito più stabile ed equilibrato con il 6,5% di voti e 5 seggi. RC e PdCI mostrarono segnali di
ripresa elettorale dopo l'incredibile sconfitta del 2008 non ancora sufficienti per superare lo sbarramento del 4%. Contemporaneamente all'elezioni
europee si svolsero anche le prime tornate delle amministrative che si colnclusero il 20 e 21 giugno 2009 con i ballottaggi e il referendum sulla legge elettorale.
Il turno dei ballottaggi evidenziò una sostanziale tenuta del PD, soprattutto nelle sue roccaforti, non perdendo la guida di città da sempre legate al
centrosinistra come Bologna e Firenze, o come anche la provincia di Torino. Il centrodestra espugnò però la presidenza di province di rilievo come Milano,
Venezia e Belluno. Significativi anche gli esiti, anch'essi favorevoli al centrodestra, dei ballottaggi per i comuni di Cremona, Prato e Foggia. Il referendum
non raggiunse il quorum per nessuno dei tre quesiti; secondo i dati diffusi dal Viminale, l'affluenza alle urne fu del 23-24%. Nel marzo 2010 iniziarono le celebrazioni per il 150° anniversario dell'unità d'Italia, imperniate su un fitto calendario di eventi culturali e istituzionali che trovarono ampio spazio sui mass media. Ciò malgrado i contrasti fra maggioranza e opposizione si acuirono, soprattutto in vista delle elezioni amministrative del 29 e 30 maggio e del Referendum del 12 e 13 giugno 2011. Le elezioni comunali, che interessarono alcune delle maggiori città italiane, segnarono una netta vittoria del centro-sinistra. I ballottaggi sancirono la vittoria di Giuliano Pisapia a Milano, di Luigi De Magistris a Napoli, di Massimo Zedda a Cagliari e di Roberto Cosolini a Trieste; ancor più nette furono le vittorie di Piero Fassino a Torino e di Virginio Merola a Bologna, passati al primo turno. La sfida finì con 29 tra città e province conquistate dal centro-sinistra e solo 12 dal centro-destra. Anche i referendum del 12 e 13 giugno confermarono la rimonta dei partiti di centro-sinistra, tutti schierati sul "sì" rispetto ai quesiti sulla privatizzazione dell'acqua, sui profitti sull'acqua, sull'energia nucleare e sul legittimo impedimento. La buona affluenza (circa del 57%) determinò anche una netta inversione della tendenza che aveva visto, fra il 1997 e il 2009, ben 24 quesiti referendari bocciati per mancato raggiungimento del quorum. Nel luglio del 2010, una rottura tra il presidente del consiglio Berlusconi e il presidente della Camera G. Fini determinava una rottura all'interno della maggioranza e la formazione di un gruppo parlamentare autonomo, Futuro e Libertà. Anche nel PD avveniva una piccola scissione, con la nascita di Alleanza per l'Italia, partito di orientamento centrista. Nel novembre del 2011 dopo il voto alla Camera dei Deputati sul rendiconto dello Stato, approvato solo grazie all'astensione dell'opposizione, preso atto delle difficoltà della maggioranza e a causa del grave momento di crisi finanziaria ed economica, interna e internazionale, Berlusconi si dimetteva dalla carica di presidente del Consiglio. L'incarico veniva assunto dall'economista Mario Monti che formava un nuovo esecutivo di tecnici per fronteggiare la grave crisi politica ed economica.
Risultati delle elezioni provinciali del giugno 2009
Affluenza alle urne nelle elezioni del giugno 2009
Risultati delle elezioni europee del giugno 2009 (dati italiani)
Risultati delle elezioni europee del giugno 2009 (dato complessivo)
GOVERNI ITALIANI DAL 1860 AL 2008
|
1860-61 Camillo Benso di Cavour 1861-62 Bettino Ricasoli 1862
(marzo-dic.) Urbano Rattazzi 1862-63 Luigi Carlo
Farini 1863-64 Marco Minghetti 1864-66 Alfonso La Marmora 1866-67
Bettino Ricasoli (II) 1867 (apr.-ott.) Urbano Rattazzi
(III) 1867 (ott.-dic.) Federico Luigi Menabrea 1868-69
Federico Luigi Menabrea (II) 1869-73 Giovanni Lanza 1873-76 Marco
Minghetti (II) 1876-77 Agostino Depretis 1877-78 Agostino Depretis
(II) 1878 (marzo-dic.) Benedetto Cairoli 1878-79 Agostino
Depretis (III) 1879 (lug.-nov.) Benedetto Cairoli
(II) 1879-81 Benedetto Cairoli (III) 1881-83 Agostino Depretis
(IV) 1883-84 Agostino Depretis (V) 1884-85 Agostino Depretis
(VI) 1885-87 Agostino Depretis (VII) 1887 (apr.-lug.)
Agostino Depretis (VIII) 1887-91 Francesco Crispi 1891-92 Antonio di
Rudinì 1892-93 Giovanni Giolitti 1893-96 Francesco Crispi
(II) 1896 (marzo-lug.) Antonio di Rudinì (II) 1896-97
Antonio di Rudinì (III) 1897-98 Antonio di Rudinì
(IV) 1898 (giu.) Antonio di Rudinì (V) 1898-99 Luigi
Gerolamo Pelloux 1899-1900 Luigi Gerolamo Pelloux (II) 1900-01
Giuseppe Saracco 1901-03 Giuseppe Zanardelli 1903 (giu.
nov.) Giuseppe Zanardelli (II) 1903-05 Giovanni Giolitti
(II) 1905 (marzo dic.) Alessandro Fortis 1905-06 Alessandro
Fortis (II) 1906 (febbr.-mag.) Sidney Sonnino 1906-09
Giovanni Giolitti (III) 1909-10 Sidney Sonnino (II) 1910-11 Luigi
Luzzatti 1911-14 Giovanni Giolitti (IV) 1914 (marzo-nov.)
Antonio Salandra 1914-16 Antonio Salandra (II) 1916-17 Paolo
Boselli 1917-19 Vittorio Emanuele Orlando 1919 (genn.-giu.)
Vittorio Emanuele Orlando (II) 1919-20 Francesco Saverio Nitti 1920-21
Giovanni Giolitti (V) 1921-22 Ivanoe Bonomi 1922
(febbr.-ott.) Luigi Facta 1922-25 Benito Mussolini 1925-43
Benito Mussolini (dittatura) 1943-44 Pietro Badoglio 1944-45 Ivanoe
Bonomi (II)
1945 (giu.-dic.) Ferruccio Parri 1945-46 Alcide De
Gasperi
|
1946-47 Alcide De Gasperi (II) 1947 (febbr.-mag.)
Alcide De Gasperi (III) 1947-48 Alcide De Gasperi (IV) 1948-50 Alcide
De Gasperi (V) 1950-51 Alcide De Gasperi (VI) 1951-53 Alcide De
Gasperi (VII) 1953 (lug.-ago.) Alcide De Gasperi
(VIII) 1953-54 Giuseppe Pella 1954 (genn.-febbr.) Amintore
Fanfani 1954-55 Mario Scelba 1955-57 Antonio Segni 1957-58 Adone
Zoli 1958-59 Amintore Fanfani (II) 1959-60 Antonio Segni
(II) 1960 (marzo-lug.) Fernando Tambroni 1960-62 Amintore
Fanfani (III) 1962-63 Amintore Fanfani (IV) 1963
(giu.-nov.) Giovanni Leone 1963-64 Aldo Moro 1964-66 Aldo
Moro (II) 1966-68 Aldo Moro (III) 1968 (giu.-dic.)
Giovanni Leone (II) 1968-69 Mariano Rumor 1969-70 Mariano Rumor
(II) 1970 (marzo-ago.) Mariano Rumor (III) 1970-72 Emilio
Colombo 1972 (febbr.-giu.) Giulio Andreotti 1972-73 Giulio
Andreotti (II) 1973-74 Mariano Rumor (IV) 1974 (marzo-ott.)
Mariano Rumor (V) 1974-76 Aldo Moro (IV) 1976 (febbr.-ago.)
Aldo Moro (V) 1976 Giulio Andreotti (III) 1978 Giulio Andreotti
(IV) 1979 Giulio Andreotti (V) 1979-80 Francesco Cossiga 1980
Francesco Cossiga (II) 1980-81 Arnaldo Forlani 1981 Giovanni
Spadolini 1982 Giovanni Spadolini (II) 1982-83 Amintore Fanfani
(V) 1983-85 Bettino Craxi 1986 Bettino Craxi (II) 1987 Giovanni
Goria 1988 Ciriaco De Mita 1989-90 Giulio Andreotti (VI) 1991
Giulio Andreotti (VII) 1992-93 Giuliano Amato 1993 Carlo Azeglio
Ciampi 1994 Silvio Berlusconi 1995 Lamberto Dini 1996-98 Romano
Prodi 1998-2000 Massimo D'Alema 2000-2001 Giuliano
Amato 2001-2005 Silvio Berlusconi (II) 2005-2006 Silvio Berlusconi (III)
2006-2008 Romano Prodi (II)
2008-2011 Silvio Berlusconi (IV)
2011- Mario Monti |
ANTROPOLOGIA Andamento demografico. In
relazione agli eventi politico-sociali, dall'Impero romano alla fine del
Medioevo l'indice demografico della popolazione italiana ha fatto registrare
fasi alterne di crescita e decremento, segnalando una ripresa costante, prima
graduale nel Seicento (13 milioni di ab.), successivamente più rapida nel
primo Ottocento (18 milioni di ab.). Dal primo censimento, effettuato l'anno stesso della
conseguita unità del Paese (1861), al censimento del 1961, un secolo dopo
l'Unità, la popolazione è risultata più che raddoppiata (50 milioni di
ab.). Nell'ultimo censimento (2001) il valore è stato pari a 56.305.586 di abitanti,
con un decremento di quasi mezzo milione di unità rispetto al censimento del
1991. Questo andamento di iniziale massiccio
accrescimento, seguito da un aumento assai modesto e da una crescita zero, se non da
una vera e propria diminuzione, è comune a tutti i Paesi a economia avanzata. In
I. l'esplosione demografica si è dunque verificata tra la seconda
metà del XIX sec. e la prima metà del XX sec. ed è stata
determinata soprattutto da una alta natalità (superiore alla media europea) e da
una diminuzione netta della mortalità, grazie alle migliorate condizioni economiche
e sociali. Al contrario, a partire dagli anni Ottanta del XX sec., si è verificato un
vero e proprio crollo del numero delle nascite (l'
I. è tra i Paesi al mondo con
minor indice di nascite), da imputare in particolare a fattori economici e sociali. Con il
passaggio da un'economia di tipo rurale a un'economia di tipo industriale, si è
inoltre modificata la struttura della famiglia italiana: alla tradizionale "famiglia allargata",
che comprendeva di norma tre generazioni (nonni, genitori, figli), si è sostituita la
"famiglia nucleare" (genitori e figli o più spesso figlio); è inoltre da
segnalare il crescente fenomeno dei single, cioè di famiglie costituite da un solo
componente, delle coppie di fatto e delle famiglie monoparentali (in cui è presente un solo genitore). Tutti questi fattori si ripercuotono sul tasso di
fecondità, cioè sulla capacità della popolazione di mantenere
positivo il saldo naturale, il cui deficit è tuttavia compensato dall'immigrazione.
Importanti conseguenze delle trasformazioni demografiche recenti sono dunque la
crescente presenza di stranieri in
I. e l'invecchiamento della popolazione, l'aumento
cioè della percentuale di anziani: le migliorate condizioni alimentari e di assistenza
sanitaria hanno portato a un allungamento della "speranza di vita dalla nascita", che
è di 79,1 anni (2001) in media, con 76 anni per gli uomini e 82,5 anni per le donne.
║
Flussi migratori. A causa della scarsità di risorse e dell'arretratezza
economica, l'
I. è stata terra di emigrazione dal 1861 agli anni Settanta del
XX sec. Si calcola che siano espatriati, in cerca di lavoro, circa 22 milioni di Italiani, per lo
più originari del Meridione. Il fenomeno ha toccato punte massime tra il 1901 e il
1913, quando 8 milioni di persone sono emigrate soprattutto verso gli Stati Uniti e i Paesi
dell'America Meridionale (Argentina). Tra la prima e la seconda guerra mondiale i flussi
migratori si sono drasticamente contratti a causa sia delle fortissime restrizioni imposte dal
Governo statunitense in materia di immigrazione, sia della politica del regime fascista,
decisamente contrario a consentire gli spostamenti all'estero. L'emigrazione italiana ha
ripreso vigore dal secondo dopoguerra ed è stata particolarmente intensa tra gli
anni Cinquanta e gli anni Settanta, rivolta soprattutto verso alcuni Stati europei
più ricchi e in forte dinamismo economico (Germania Occidentale, Francia,
Belgio). In quegli anni si sono registrate anche massicce migrazioni interne, dalle zone
montane alle pianure, dove risultavano facilitate le attività economiche più
produttive, dall'entroterra verso le coste, dalla campagna verso le città e,
soprattutto, dal Sud, più arretrato, al Nord (Piemonte, Lombardia, Veneto),
più industrializzato. Dagli anni Ottanta un fenomeno nuovo ha investito l'
I.:
l'arrivo di immigrati, provenienti per lo più dai Paesi in via di sviluppo (Africa,
Paesi arabi), dai Paesi dell'Est europeo, dall'ex Jugoslavia, dall'Albania,
che si andato rafforzando negli anni Novanta e nei primi anni del nuovo millennio, creando
nel Paese problemi di ordine pratico e culturale. Spesso il Sud dell'
I., per le sue
lunghe coste sulle quali è facile sbarcare illegalmente, rappresenta il primo
approdo, in vista di successivi spostamenti in territorio italiano o europeo. La maggior
parte degli immigrati extracomunitari si stabilisce nel Nord d'
I., dove maggiori sono
le possibilità di procacciarsi un lavoro, e nell'area intorno a Roma. Accanto a
coloro che hanno potuto trovare un'occupazione stabile e regolarizzare la loro posizione,
vi sono anche numerosi immigrati illegali, cioè clandestini. Le comunità
più numerose nel nostro Paese sono quelle del Marocco, della ex Jugoslavia e
dell'Albania, della Tunisia, delle Filippine, del Senegal, dell'Egitto e della Cina. La
regolamentazione dei flussi di immigrati è stata un'emergenza primaria per tutti i
Governi che si sono succeduti dagli anni Ottanta in poi: alla legge Martelli del 1989,
è succeduta la legge Turco-Napolitano (1998) a cui nel 2002 è subentrata
la legge Bossi-Fini. ║
La distribuzione della popolazione sul territorio. La
densità della popolazione italiana è elevata: 187 ab. per kmq, superiore a
quella della Francia, ma inferiore a quella di Germania e Gran Bretagna. Bisogna
però tener conto del fatto che l'
I., essendo un Paese prevalentemente
montuoso e povero di pianure e di suoli adatti allo sfruttamento agricolo, non è
particolarmente favorevole all'insediamento umano. Analizzando le densità
regione per regione e, ancora più dettagliatamente, provincia per provincia, si
rilevano differenze assai significative, segnali di un utilizzo fortemente squilibrato del
territorio nazionale e di un'eccessiva concentrazione della popolazione in alcune aree. Le
regioni che in assoluto presentano la più alta densità sono la Campania, la
Lombardia e la Liguria; le regioni a più bassa densità sono la Valle d'Aosta
e, per motivi morfologici analoghi, il Trentino-Alto Adige, la Basilicata, il Molise e la
Sardegna. Le aree più popolose sono la pianura padana, soprattutto la zona
attorno a Milano, la riviera ligure, il litorale adriatico tra Ravenna e Ancona, la fascia
costiera tra Napoli e Salerno. Inoltre il fenomeno dell'urbanizzazione, cioè dello
spostamento dalla campagna alle città, iniziato negli anni Cinquanta e
incrementato negli anni Settanta-Ottanta, ha determinato una forte crescita della
popolazione urbana, con punte massime a Roma, il cui sviluppo è legato al suo
ruolo amministrativo e burocratico di capitale, Napoli, la cui estensione era però
già notevole nel Settecento, quando era capitale dello Stato borbonico delle Due
Sicilie, e Milano, centro economico e finanziario del Paese. Un'osservazione importante
riguarda la rete urbana dell'
I. e la sua distribuzione irregolare: nel Centro-Nord la
trama urbana è fitta e organicamente strutturata, con le maggiori città ben
raccordate con l'intero territorio; nel Centro-Sud, al contrario, le città sono
debolmente interconnesse tra di loro.
LINGUA E DIALETTI I primi documenti di un uso scritto del
volgare riguardano un'area piuttosto estesa dell'
I.: essi sono l'
Indovinello
veronese (VIII-IX sec.), un glossario italo-greco del X sec., il
Placito
di Capua (960), la
Postilla amiatina (1087), l'iscrizione romana di
San Clemente (posteriore al 1084). Già nei primi testi è
chiaramente avvertibile l'aspirazione all'universalità della lingua,
evidente sia nei ritmi Laurenziano e Cassinese (XII-XIII sec.) sia nel mirabile
cantico di San Francesco (1224). La prima lingua d'arte nacque, su uno sfondo di
molteplice cultura (provenzale, latina, francese e araba), alla corte di
Federico II. L'estensione del volgare alla prosa avvenne nel quadro di un
rinnovamento sociale che vide con i comuni l'apparire di una nuova classe
dirigente e di un nuovo pubblico letterario. Dagli scarni libri di conti dei
banchieri fiorentini al fortunato connubio di studi giuridici e di retorica
avvenuto in Bologna, all'opera attivissima dei volgarizzatori, il processo del
volgare divenne sempre più irresistibile. Il predominio del fiorentino
cominciò ad affermarsi alla fine del XIII sec. e divenne assoluto dal Trecento
con l'apparizione di Dante, Petrarca e Boccaccio. Per l'altezza della sua opera
poetica e prosastica e per il suo fecondo tirocinio di artista, Dante può
dirsi a ragione il padre della lingua italiana. Dopo la
Commedia e il
Convivio, le lingue della poesia e della prosa seguirono strade diverse: la
prima raggiunse con Petrarca un grado estremo di perfezione formale, conservando
i suoi tratti essenziali fino alla crisi del vecchio linguaggio poetico italiano
avvenuta dopo l'unificazione politica del Paese; la tradizione narrativa,
iniziatasi col
Novellino, pervenne col
Decameron a una compiuta
strutturazione sintattica. La divisione politica degli Stati italiani non
consentì l'affermazione di un largo uso della lingua comune. L'
I., per
secoli, ebbe soltanto una debole unità culturale. In tal modo si
spiega come, nella prima metà del 1400, in un periodo di stasi letteraria
e poetica del volgare, il grande progresso della latinità umanistica
poté minacciare le posizioni conquistate. La conciliazione, rappresentata
dall'Umanesimo volgare, comportò una rinnovata influenza del latino nel campo
del lessico e della sintassi. I primi decenni del Cinquecento segnarono il
definitivo trionfo dell'italiano letterario. Bembo propose come modelli Petrarca
per la poesia, Boccaccio per la prosa. Il petrarchismo esercitò una funzione
vitale e duratura nella continuità del linguaggio poetico, ma la prosa di
Castiglione, di Machiavelli e di Guicciardini superò i limiti del trecentismo.
La famosa questione della lingua (lingua fiorentina o toscana o
italiana) rappresentò il distacco esistente tra il mondo delle lettere e
il problema concreto dell'espressione rivolta a un pubblico più ampio di
quello della corte. In una lingua letteraria convenzionale e conservativa
è naturale che gli interventi di autorità s'intensifichino e si
regolarizzino: nel 1583 nacque l'Accademia della Crusca. La ricerca di una
nuova musicalità e di una più raffinata e ingegnosa retorica,
propria della poesia del Tasso, segnò un'evoluzione del linguaggio poetico, che
sarebbe continuata nel Seicento, a scapito però di un autentico contenuto
umano. Ma la novità del XVII sec. fu rappresentata soprattutto
dalla prosa scientifica, apportatrice di una nuova terminologia: l'italiano
conquistò con Galilei un campo fino ad allora riservato al latino. Nel Settecento
l'influsso della cultura e della lingua francese modificarono profondamente il
lessico e la struttura sintattica dell'italiano. La letterarietà della
lingua comune è dimostrata dal fatto che Goldoni usò con maggiore
disinvoltura ed efficacia artistica il dialetto. Ancora nella prima metà
dell'Ottocento, l'italiano era soltanto una lingua scritta e conosciuta da
un'esigua minoranza di intelletti. Come strumento di comunicazione esistevano i
dialetti, usati tanto nei rapporti della vita quotidiana, quanto nei tribunali,
nelle chiese, nei salotti e nelle corti. I tentativi di un ritorno al
trecentismo e di un nuovo purismo (A. Cesari, B. Puoti) fallirono. L'ideale
romantico di una letteratura popolare servì invece da stimolo. Al Manzoni
spettò il grande merito di aver creato una nuova lingua della prosa fondata sul
concetto democratico dell'uso; ma solo un avvenimento come l'unificazione
nazionale poté promuovere l'unificazione linguistica. L'urbanizzazione,
l'emigrazione interna ed esterna, la scuola, la burocrazia, la stampa e la radio
diffusero la conoscenza della lingua. Contemporaneamente l'uso dell'italiano
quale lingua di comunicazione comportò la sua evoluzione. Di questa ricordiamo
soprattutto due aspetti tra loro complementari: la riduzione della
letterarietà dell'italiano e l'ampliamento del lessico che si adattò
sempre più alle necessità della vita associata. La maggior parte
delle innovazioni consistette nello sfruttamento del patrimonio autoctono.
L'introduzione di prestiti dalle lingue europee non intaccò il vocabolario base
nell'italiano. Riguardo al dialetto, che nel territorio linguistico italiano
presenta le caratteristiche di una grande frammentazione, si distinguono
(escludendo il ladino e il sardo, che costituiscono non già dialetti, ma
vere e proprie lingue) tre grandi gruppi con proprie caratteristiche:
dialetti settentrionali, dialetti centro-meridionali, dialetti toscani.
LETTERATURA Le
origini e il Duecento. I linguaggi svoltisi dal latino parlato o tardo
latino detti "volgari"- cioè lingue del "volgo", in opposizione al latino
scritto della scuola, del diritto e della Chiesa -, documentati in scritti di
carattere pratico e occasionale a partire dal IX sec., vennero utilizzati a fine
letterario solo dal XIII sec. A lungo si mantenne in
I. l'uso della
lingua latina non solo per le opere teologiche e scientifiche, ma anche per le
cronache e i racconti epico-storici. Il predominio che avrebbe avuto in
I. la cultura classica e la produzione letteraria latina spiega, secondo
alcuni studiosi, il cosiddetto "ritardo" con il quale si affermò la
letteratura italiana rispetto alle maggiori di lingua romanza, provenzale,
francese e castigliana. In realtà, allo sviluppo di una nuova
letteratura, fu di ostacolo soprattutto il carattere della società
italiana del Basso Medioevo, poco sensibile ai valori della civiltà
feudale e cavalleresca - ispiratrice delle nuove forme di poesia presso gli
altri Paesi dell'Europa occidentale - e, d'altra parte, priva di una forza
politica culturalmente unificante. Per tutto il XIII sec. permase l'uso di
numerosi dialetti volgari, cui si aggiunsero il francese e il provenzale.
Quest'ultimo dominò nei componimenti d'amore, mentre il francese fu
utilizzato per prose di carattere narrativo, didattico e storico (
Livres des
merveilles dou monde di Marco Polo,
Cronique des Vénitiens di Martino da
Canale,
Les livres du Trésor di Brunetto Latini) e per poemi
cavallereschi (
Entrée d'Espagne di Menocchio da Padova,
Prise
de Pampelune di Niccolò da Verona). Romanzi e poemi francesi si
diffusero, oltre che nella loro lingua, anche in ibridi adattamenti
franco-italiani. Il più antico documento letterario italiano è il
Cantico delle Creature (
Laudes creaturarum, 1224) di San Francesco
d'Assisi, in cui l'autore, in un linguaggio semplice, accessibile anche agli
illetterati, invita la natura a innalzare un inno di lode al Creatore. Nello
spirito della religiosità popolare sono anche le
laude, canti
religiosi delle confraternite dei Disciplinati, alcuni delle quali in forma
drammatica, preludio alle rappresentazioni sacre. Tra i laudesi, per lo
più anonimi e mediocri rimatori, si distinse, alla fine del XIII sec., fra'
Jacopone da Todi, il "giullare di Dio" che, solo apparentemente rozzo e incolto,
esprime nelle laude un acceso disprezzo dei beni mondani e l'esaltazione quasi
sensuale dell'amore divino. Storicamente la più importante manifestazione
letteraria del Duecento è la scuola poetica siciliana, che si sviluppò
nella prima metà del secolo intorno alla corte di Federico II di Svevia.
I principi della Casa sveva, i cortigiani e i funzionari (Federico II, Enzo di
Sardegna, Manfredi, Pier delle Vigne, Odo delle Colonne, Jacopo da Lentini,
Rinaldo d'Aquino, Giacomino Pugliese) celebrarono l'amore cortese in forme
eleganti e convenzionali, elaborando, con consapevolezza artistica, un volgare
aulico, illustre, di proposito lontano da quello del volgo. Dopo la caduta degli
Svevi (1266) la scuola siciliana si disperse, ma i testi dei poeti si erano
ormai diffusi nel resto d'
I., soprattutto in Toscana. I rimatori toscani
assimilarono l'esperienza poetica siciliana, approfondendo l'introspezione
psicologica in direzione etico-politica (Guittone d'Arezzo) o mistico-simbolica
(Chiaro Davanzati). Ma la più matura e più alta espressione di
poesia lirica del secolo si ebbe a Firenze, ad opera dei poeti del
dolce stil
novo (come Dante li chiamò). Iniziatore di questo nuovo modo di fare poesia fu il bolognese
Guido Guinizelli, che nella sua opera preannunciò temi tipici della poesia stilnovista fiorentina
i cui maggiori rappresentanti furono lo stesso Dante
nella giovinezza, Guido Cavalcanti, Cino da Pistoia, Lapo Gianni, Guido
Frescobaldi, Gianni Alfani. La dottrina d'amore degli stilnovisti esprime un
concetto schiettamente democratico della nobiltà - caratterizzazione
interiore, non di stirpe - e una profonda spiritualità cristiana: le
"donne angelicate", protagoniste delle rime, suscitano in chi le vede
l'aspirazione alla virtù e alla beatitudine celeste. Accanto e in
opposizione all'idealismo dello stil novo, si sviluppò in Toscana una corrente
poetica di tono prevalentemente realistico e scherzoso (poesia
comico-realistica), che annovera, tra i suoi rimatori più
rappresentativi, Cecco Angiolieri, Folgore da San Gimignano, Rustico di Filippo.
Accanto a tali esperienze poetiche notevole sviluppo ebbe la corrente dei poeti
didascalici e morali: Gerardo Patecchio di Cremona, Uguccione da Lodi, Pietro da
Bascapè, il milanese Bonvesin de la Riva (
Libro delle tre scritture,
la Nigra, la Rossa e la Dorata), Giacomino da Verona (
Della Gerusalemme
celeste,
Della infernale città di Babilonia) e Brunetto Latini
(
Tesoretto). Nella prosa duecentesca, meno ricca e varia della poesia, si
distinsero due correnti principali, quella dei prosatori dotti (Guittone
D'Arezzo, Guido Fava, Ristoro d'Arezzo) e quella dei novellieri, tra i quali
eccelse l'anonimo fiorentino autore del
Novellino. ║
Il
Trecento. Il XIV sec. presenta una fisionomia linguistica più
unitaria, per la preminenza che assunse il fiorentino, soprattutto attraverso
l'opera dei tre sommi scrittori del secolo, Dante, Petrarca, Boccaccio. La
creatività poetica e l'elaborazione concettuale di Dante culminarono nelle
opere scritte durante l'esilio. Nel
Convivio e nel
De vulgari
eloquentia Dante propone un nuovo concetto di "volgare illustre", una lingua
letteraria formata con gli elementi più nobili dei quattordici volgari in
uso in
I.; nel
De monarchia sostiene la necessità di una
monarchia universale e, insieme, la reciproca indipendenza del potere spirituale
e di quello temporale, entrambi provenienti da Dio; infine, nella
Divina
Commedia offre una sintesi originalissima della cultura e degli ideali di
vita del Medioevo, rappresentando con una straordinaria plasticità di
invenzioni figurative l'oltretomba cristiano. Profondamente diversa da quella di
Dante fu la personalità di Francesco Petrarca, che tese a chiudersi nella
contemplazione del proprio mondo interiore. Il
Canzoniere petrarchesco
è una lucida analisi dell'interiorità del poeta, lacerato da
un'ansia di assoluto e di pace e, d'altra parte, da ricorrenti inquietudini
terrene. La poesia del
Canzoniere riesce a esprimere in forme nitide e
armoniose il dissidio interiore del poeta. Lo studio critico della letteratura e
della civiltà antica intrapreso da Petrarca, fece di lui l'iniziatore
dell'Umanesimo. Boccaccio presentò nel
Decamerone la nuova società
borghese, dominata dal culto dell'intelligenza, aperta agli impulsi della vita
terrena, esente da ogni preoccupazione religiosa. Profonda è la
diversità di clima storico e spirituale che intercorse tra i tempi di
Dante e quelli di Petrarca e Boccaccio: la passione politica che animò l'opera
dantesca, appena accennata in Petrarca, autore di due canzoni di alta eloquenza
politica, venne meno nell'orizzonte culturale di Boccaccio; così come la
salda fede religiosa di Dante, divenuta in Petrarca tensione irrisolta tra umano
e divino, scomparve definitivamente nell'autore del
Decamerone. Accanto ai
tre grandi, molti altri poeti e prosatori, in prevalenza toscani, proseguirono la
tradizione letteraria del secolo precedente. La lirica amorosa in parte
riprodusse gli schemi dello stil novo (Matteo Frescobaldi, Cino Rinuccini), in
parte riecheggiò influssi danteschi (Fazio degli Uberti) e petrarcheschi;
notevole sviluppo ebbe anche la poesia giocosa (Pieraccio Tedaldi, Niccolò
de' Rossi). Importante rimatore fiorentino fu Antonio Pucci, autore di
serventesi, in cui cantò in modo popolaresco le vicende della sua città,
e di liriche d'argomento eroico e cavalleresco, scherzoso, autobiografico.
Canzoni morali compose il senese Bindo Bonichi. Il genere allegorico-didattico
annovera poemi quali l'
Intelligenza, attribuito a Dino Compagni,
I
documenti d'amore e
Del reggimento e costumi di donne di Francesco da
Barberino, l'
Acerba di Francesco Stabili detto Cecco d'Ascoli, il
Dottrinale di Jacopo Alighieri figlio di Dante, il
Dittamondo di
Fazio degli Uberti, il
Quadriregio di Federico Frezzi. Molto estesa
fu la letteratura devota, dotta e popolare, in forma lirica, narrativa e
drammatica. Tra le opere in prosa ricordiamo i
Fioretti di San Francesco,
versione toscana di un testo latino del XIII sec., gli scritti del domenicano
Domenico Cavalca, le prediche di fra' Jacopo Passavanti (
Specchio di vera
penitenza), le lettere di Santa Caterina da Siena e le compilazioni morali
di Bartolomeo da San Concordio (
Fiore di virtù,
Ammaestramenti
degli antichi). Nella storiografia furono rilevanti la cronaca di Dino
Compagni, racconto delle vicende fiorentine (1280-1312), e quella di Giovanni e
di Matteo Villani, che tratta la storia di Firenze dalle origini al 1364. Autori
di novelle furono il fiorentino Ser Giovanni, Franco Sacchetti e Giovanni Sercambi
da Lucca. Interessante fenomeno culturale del Trecento fu il Preumanesimo
padovano che, affermatosi all'inizio del secolo, ebbe i suoi maggiori maestri in
Lovato de' Lovati, Ferreto de' Ferreti e Albertino Mussato. Nella seconda
metà del secolo, in seguito alla lettura negli studi e nelle chiese del
poema di Dante, si cominciarono a scrivere i primi commenti alla
Commedia.
║
Il Quattrocento. Nel XV sec. ebbe inizio un periodo di grandi
trasformazioni: in tutte le manifestazioni del pensiero e dell'arte si assistette a
un ritorno al mondo classico, nella convinzione che la cultura antica offrisse una
forma autentica e ideale di vita. Nelle testimonianze del passato si ritrovò il
sentimento fortissimo della dignità dell'uomo, l'esigenza di reintegrarlo
nel suo proprio ambito terreno e la consapevolezza del suo essere potenzialmente
perfetto. Questo nuovo atteggiamento intellettuale prese il nome di
Rinascimento, il cui motivo dominante fu l'esaltazione della grandezza
dell'uomo, libero creatore di se stesso e del suo destino. Aspetto e momento del
Rinascimento fu l'Umanesimo, che indicò, in senso stretto, il recupero
degli
studia humanitatis, cioè della conoscenza dei monumenti
letterari, filosofici e artistici delle civiltà classiche, via
privilegiata per la completa formazione dell'uomo. Se la prima metà
del secolo non registrò la fioritura della grande poesia, fu però questa
un'età di appassionati studi critici e filologici. Numerose opere dei classici
latini e greci, riportate alla luce dalle biblioteche dei monaci, vennero trascritte,
interpretate e commentate, al fine di eliminare gli errori accumulatisi nella
tradizione manoscritta e ricostituire così i testi nella loro
integrità originaria. Canone fondamentale della poetica umanistica
fu l'imitazione dei classici, non nel senso di una passiva ripetizione, ma
come ricerca che permettesse all'artista di esprimere il meglio di sé nella
forma più elegante. I principali umanisti italiani furono i filologi
Coluccio Salutati, che restaurò l'insegnamento del greco a Firenze, Leonardo
Bruni, che fu anche un pregevole storico, Poggio Bracciolini, Niccolò Niccoli, Lorenzo Valla, Gasparino
Barzizza, Giovanni Aurispa, i pedagogisti Guarino Veronese e Vittorino
Rambaldoni da Feltre, i filosofi Marsilio Ficino, Pico della Mirandola,
Giannozzo Manetti, l'archeologo Ciriaco dei Pizzicolli d'Ancona, lo storico
Flavio Biondo da Forlì, i poeti Poliziano, Giovanni
Pontano, Jacopo Sannazzaro, Matteo Maria Boiardo, Francesco Filelfo, Basinio da
Parma, Antonio Beccadelli detto il Panormita, Giannantonio Campano, Tito
Vespasiano Strozzi. La letteratura degli umanisti predilesse la prosa rispetto
alla poesia: grande sviluppo ebbero così la trattatistica, la storiografia
e l'epistolografia. Se grande fu il fervore degli studi latini, e quasi
esclusivo l'uso del latino da parte degli artisti maggiori nel primo
Quattrocento, non venne tuttavia meno la letteratura in volgare che, nei primi decenni
del secolo, ripeté senza originalità i temi del secolo precedente: rime
amorose e civili di ispirazione petrarchesca, cronache, novelle, oratoria
religiosa. Tra i rimatori d'ispirazione borghese e popolareggiante il più
significativo fu Domenico di Giovanni detto il Burchiello e, tra i
rimatori petrarchisti, Giusto de' Conti. Tra i novellisti ricordiamo Antonio
Manetti, Giovanni Sabatino degli Arienti e Tommaso Guardati detto Masuccio
Salernitano. Negli ultimi decenni del secolo acquistò di nuovo vigore la
produzione in volgare. Numerosi autori dotti (Leon Battista Alberti, Feo
Belcari, Vespasiano da Bisticci, Alessandra Macinghi Strozzi, Matteo Palmieri)
vagheggiarono un volgare modellato su Cicerone. La seconda metà del secolo
fu dominata da alcuni grandi poeti: Poliziano, che espresse nei suoi versi
la seduzione dell'amore e della giovinezza, insieme alla struggente
consapevolezza della loro caducità; Lorenzo il Magnifico, la cui
eclettica produzione lasciò spazio alle più diverse suggestioni
dell'età umanistica; Matteo Maria Boiardo, autore dell'
Orlando
innamorato, poema in ottave, la cui intima aspirazione è costituita
dall'ideale cavalleresco, sentito come cortesia, valore, amore,
generosità, spirito d'avventura; infine, Luigi Pulci, la cui vena
novellistica e comica ricondusse personaggi e avventure del suo poema, il
Morgante, dal mondo cavalleresco e fiabesco a una sfera di immediato
realismo quotidiano. ║
Il Cinquecento. Nella letteratura
cinquecentesca il volgare toscano venne codificato quale lingua letteraria. La
prima metà del secolo fu caratterizzata da un'intensa produzione
letteraria e artistica, in cui trovarono la loro pienezza le aspirazioni e gli
orientamenti culturali rinascimentali. Ricca di fervore creativo, fu
questa l'età di Ludovico Ariosto, Niccolò Machiavelli e Francesco
Guicciardini, nei quali, superata definitivamente la concezione teologica e
trascendente trasmessa dalla cultura medioevale, ogni valore venne ricondotto
alla misura dell'uomo. Ariosto offrì nell'
Orlando furioso la sintesi
dell'idealità rinascimentale. La materia fantastica, eppure densa di
continui riferimenti storici, è ricca di esperienze cortigiane,
guerresche, mondane, tutte contemplate dall'autore con occhio distaccato e
superiore (ironia ariostesca). Machiavelli fu il fondatore della
scienza della politica: nel
Principe delineò le caratteristiche
necessarie all'uomo di governo per conseguire successo e per creare in
I.
uno Stato unitario e forte. Più pessimista di Machiavelli fu
Guicciardini, che non credette nella possibilità di teorizzare le norme
ideali della realtà politica e assegnò all'uomo politico il compito di
attendere al proprio "particulare". Tra le più importanti correnti della
letteratura cinquecentesca vi fu la lirica amorosa, il cui tono
fondamentale fu dato dal petrarchismo, instaurato da Pietro Bembo che,
nelle
Prose della volgar lingua, teorizza l'imitazione di Petrarca quale
modello per la poesia (Boccaccio per la prosa). Nell'interminabile schiera dei
lirici d'amore di questo secolo ricordiamo Luigi Tansillo, Matteo Bandello,
Annibal Caro, Galeazzo di Tarsia, Michelangelo Buonarroti e, tra le poetesse,
Vittoria Colonna, Gaspara Stampa e Veronica Gambara. Tra i poeti epici,
impegnati a teorizzare le caratteristiche di un poema "regolare", ossia di
stampo omerico e virgiliano, si citano Gian Giorgio Trissino (
L'Italia
liberata dai Goti), Luigi Alamanni, Bernardo Tasso, Giovan Battista Giraldi
Cinzio. Intensa fu la produzione satirica, priva però di un
profondo sentimento morale. Ricordiamo le pasquinate di Pietro Aretino,
le
Satire di Ariosto e, nel quadro della poesia burlesca, la trascrizione
toscana dell'
Orlando innamorato realizzata da Francesco Berni e i poemi
maccheronici di Teofilo Folengo. Poemetti epico-lirici scrissero Francesco Maria
Molza, Bernardo Tasso e Luigi Tansillo; di poemi didascalici furono autori Giovanni Rucellai,
Alamanni, Tansillo. Il teatro, nato nel Duecento e nel Trecento con le sacre
rappresentazioni, proseguito nel 1400 da Poliziano e da Lorenzo il Magnifico, ebbe
notevole sviluppo, soprattutto con la commedia, che trasse la materia dai classici,
dalla novellistica e, in parte, dall'osservazione della realtà
quotidiana. Tra gli autori di commedie vi furono Ariosto, Machiavelli,
(
Mandragola), il cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena
(
Calandria), Lorenzino de' Medici, Giammaria Cecchi, Andrea Calmo, Pietro
Aretino, Angelo Beolco detto il Ruzante e, alla fine del secolo, Giordano Bruno.
Intorno alla metà del secolo incominciò a diffondersi la Commedia
dell'Arte, caratterizzata dall'improvvisazione degli attori su un
"canovaccio" scritto. Tra gli autori di tragedie - ai Greci si sostituì verso
la metà del secolo come modello Seneca - ricordiamo Gian Giorgio Trissino
(
Sofonisba), Giovanni Rucellai, Luigi Alamanni, Giambattista Giraldi Cinzio,
Sperone Speroni, Pietro Aretino (
Orazia). Nella prosa narrativa il genere
caratteristico del secolo fu la trattatistica, per lo più in forma
dialogica, di cui i maggiori rappresentanti furono Baldassarre Castiglione che,
nel
Cortigiano delineò un ideale ritratto dell'uomo di corte, e monsignor
Giovanni Della Casa, autore del
Galateo, esaltazione dell'ideale
rinascimentale del decoro e della misura; inoltre Pietro Aretino, Giovan
Battista Gelli, Anton Francesco Doni, Agnolo Firenzuola. I novellatori imitarono
la struttura boccacciana, accentuandone spesso il tono licenzioso: Matteo
Bandello, Anton Francesco Grazzini detto il Lasca, Luigi da Porto, Gianfrancesco
Straparola, Firenzuola, Giraldi Cinzio. La storiografia, per lo più in latino e
ristretta all'ambito regionale, annovera Iacopo Nardi, Benedetto Varchi, Pier
Francesco Giambullari, Bernardo Davanzati Bostichi, Pietro Bembo, Angelo di Costanzo,
Camillo Porzio. Alla prosa storica sono anche da ascrivere l'autobiografia di
Benvenuto Cellini e le
Vite di Giorgio Vasari. Nella seconda metà
del secolo si esaurì la felice stagione rinascimentale e si posero le basi
dell'età barocca. La
Gerusalemme liberata di Torquato Tasso ben
esprime il contrasto di tale età, combattuta tra il fiducioso sentimento
della dignità e della potenza terrena, proprio del Rinascimento, e il
sentimento della sua fragilità morale, suscitato dalla nuova ansia
religiosa dell'età della Controriforma. ║
Il Seicento. La
letteratura del Seicento, pervasa da un senso di stanchezza per l'orientamento
classicamente composto del secolo precedente, si volse a perseguire il nuovo, il
difficile, l'imprevisto. Nacque così la poetica della "meraviglia": l'arte
deve con tutti i mezzi dare ebbrezza, sensazioni ignote e sempre nuove,
combinando espressioni retoriche, creando metafore, accostando in modo
imprevedibile e bizzarro immagini e giochi di parole (
concettismo). Per
definire polemicamente la grandiosità fastosa della poesia e dell'arte
del Seicento venne coniato alla fine del secolo il termine spregiativo di
Barocco, indicante nella terminologia filosofica un ragionamento appariscente,
pedantesco, artificioso. Il nuovo orientamento culturale fu definito, sul
piano più strettamente poetico, col nome di
marinismo, da Gian
Battista Marino (
La lira, La zampogna, l'
Adone), considerato il
caposcuola. Tra i numerosi imitatori di Marino ricordiamo Girolamo Fontanella,
Marcello Macedonio, Antonio Bruni, Claudio Achillini. Si opposero al marinismo:
la corrente classicistica, rappresentata da Gabriello Chiabrera e Fulvio Testi;
il nuovo genere letterario del poema eroicomico, presentato da Alessandro
Tassoni (
Filippiche,
Secchia rapita) e Francesco Bracciolini
(
Scherno degli dei); infine gli autori di drammi pastorali (Guidubaldo
Bonarelli della Rovere) e, in genere, quelli di tragedie (Federico Della Valle,
Giovanni Delfino e Carlo de' Dottori) e di commedie. Le caratteristiche del
marinismo sono ben evidenti anche nella prosa, soprattutto in quella di oratori
sacri e scrittori di religione (Daniello Bartoli e Paolo Segneri). La grandezza
della letteratura del Seicento si manifestò nella prosa politica (Paolo Sarpi),
filosofica (Tommaso Campanella) e scientifica (Galileo Galilei). A Galileo
Galilei, la più eminente personalità del secolo, si deve il merito
di aver fondato la tradizione della prosa scientifica. Nell'ambito
dell'Accademia della Crusca numerosi scrittori salvaguardarono il patrimonio
letterario precedente arginando il gusto barocco e preparando la restaurazione
classicistica dell'Arcadia. Fondata nel 1690, l'Accademia dell'Arcadia si
oppose alla "barbarie dell'ultimo secolo", proponendo un ritorno alla
naturalezza e alla semplicità dei classici. La riscoperta di una poesia
più semplice e aggraziata condusse i poeti arcadi (Giovan Battista Zappi,
Carlo Innocenzo Frugoni, Paolo Rolli, Lodovico Savioli) a esaltare in misura
eccessiva la componente musicale e cantabile della lirica. L'Arcadia ebbe tuttavia
il merito di indirizzare al gusto del classico le generazioni del secolo dei
lumi. ║
Il Settecento. Nei primi anni del Settecento vennero
pubblicati i testi fondamentali del classicismo arcadico,
Della perfetta
poesia di Ludovico Antonio Muratori (1706) e
La ragion poetica di
Giovan Vincenzo Gravina (1708). La poesia dell'Arcadia diede la sua prova
più convincente con il Metastasio, che restituì dignità
letteraria ai melodrammi, ammirati in tutta Europa. Ma la letteratura del primo
Settecento non si chiuse nei confini dell'Arcadia: nei primi anni del secolo si
assistette infatti a una generale ripresa di interessi culturali che si riflesse in
grandi opere di pensiero e di erudizione. Ricordiamo in ambito filosofico Giovan
Battista Vico, che nella
Scienza nuova indicò il nuovo ideale estetico in
una poesia che sapesse esprimere le più profonde e universali intuizioni
dell'animo umano; nel campo storiografico Ludovico Antonio Muratori, che nelle
sue opere di erudizione e di critica storica raccolse numerosi documenti e
scritti sulla storia d'
I.; in ambito giuridico, Pietro Giannone, che
rivendicò l'autonomia dello Stato nei confronti del potere religioso. Il
rinnovamento culturale avviato all'inizio del Settecento proseguì nella seconda
metà del secolo confluendo nell'Illuminismo. Sviluppatosi dal
razionalismo cartesiano, l'Illuminismo europeo indica nella ragione l'unico
criterio di verità, superiore a ogni autorità e rivelazione,
capace di guidare l'opera di miglioramento delle condizioni di vita e dei
rapporti sociali. Si possono distinguere due gruppi di illuministi italiani: il
gruppo napoletano, essenzialmente speculativo, rappresentato da Francesco Mario
Pagano, Gaetano Filangieri, Antonio Genovesi e Nicola Spedalieri; e il gruppo
lombardo, più orientato verso l'economia, la statistica, l'applicazione
pratica delle dottrine. A Milano, il gruppo illuminista si raccolse intorno al
periodico "Il Caffè" e annoverò tra i suoi maggiori esponenti Pietro e
Alessandro Verri, Cesare Beccaria, i conti Biffi e Porro-Lambertenghi. Tra
Arcadia e Illuminismo si svolse la vita di Carlo Goldoni, riformatore della
commedia. Entrata in una fase di decadenza la Commedia dell'Arte, Goldoni
recuperò il testo scritto e portò sulle scene gli aspetti più sereni e
bonari della società settecentesca, in particolare quella veneziana.
L'adesione all'Illuminismo fu più consapevole in Giuseppe Parini,
la cui poesia, ispirata all'ideale di Classicismo, morale ed estetico, fu
animata da una profonda adesione alle concezioni umanitarie ed egualitarie del
secolo. Nell'ambito della cultura illuminista si insinuò, verso la fine del
secolo, una sensibilità nuova suscitata dalla moda in
I. della
poesia notturna e sepolcrale inglese, diffusa soprattutto dalla traduzione dei
Canti di Ossian di Melchiorre Cesarotti. Negli ultimi anni del secolo
emerse la forte personalità umana e poetica di Vittorio Alfieri, che
anticipò molti aspetti dell'età successiva, quali l'esaltazione
schiettamente romantica dell'individualità e delle passioni; pure,
egli fu figlio del suo tempo nell'impulso libertario di origine illuminista.
Negli anni tra il Settecento e l'Ottocento si impose, dal riesame dei capolavori
dell'arte classica promosso dall'archeologo e storico dell'arte tedesco Johann
Joachim Winckelmann, il gusto neoclassico, il cui maggior rappresentante, sul
piano letterario, fu Vincenzo Monti, nella cui opera il mondo classico
è presente, per lo più, solo come motivo ornamentale. ║
L'Ottocento. Negli ultimi anni del XVIII sec. si affermò in Europa il
Romanticismo, che si diffuse in
I. nei primi anni della Restaurazione.
Il più noto manifesto della scuola romantica italiana è
La
lettera semiseria di Grisostomo di Giovanni Berchet, in cui l'autore
contrappose alla vecchia letteratura tradizionalista e accademica una
letteratura viva e popolare, espressione della società, libera dalle
regole e dall'imitazione dei classici, capace di educare vasti strati di
lettori. Alle tesi romantiche aderì Alessandro Manzoni che, nella lettera a
Cesare D'Azeglio
Sul Romanticismo, condannò la mitologia e le regole
retoriche e sostenne che l'arte debba proporsi come oggetto il "vero". Il
periodo che va dall'età napoleonica alla prima guerra del Risorgimento
fu dominato da tre grandi personalità: Ugo Foscolo, Giacomo
Leopardi, Alessandro Manzoni. L'itinerario spirituale del Foscolo approdò,
dall'impeto alfieriano e romantico delle
Ultime lettere di Jacopo Ortis,
all'ideale neoclassico delle
Grazie, in cui il mondo classico,
intimamente sentito dal poeta come unico rifugio di fronte a una visione
dolorosa della vita, è sublimato nella pura atmosfera della
contemplazione artistica. Nei
Sepolcri Foscolo celebrò con fervore quasi
religioso la validità delle "illusioni", la bellezza, l'amore, l'eroismo,
la pietà, in cui l'uomo trova lo scopo dell'esistenza. La produzione
letteraria di Leopardi sviluppò la tesi di una radicale e insanabile
infelicità dell'uomo, causata dalla natura "matrigna" (pessimismo
cosmico). Da tale concezione nacque la poesia dei
Canti, confessione e
contemplazione dell'interiorità del poeta, nutrita di aspirazioni alla
bellezza, all'amore, a una felicità impossibile. La conversione al
Cattolicesimo segnò l'intera produzione letteraria di Manzoni, dalle prove
liriche, alle tragedie, al romanzo
I Promessi Sposi, nutrito di
profonda meditazione morale e religiosa. Nel campo della narrativa il genere
tipico del Romanticismo fu il romanzo storico, che fiorì sulla scia dei
modelli offerti da Walter Scott e dai
Promessi Sposi. Romanzi storici
scrissero Tommaso Grossi (
Marco Visconti), Massimo D'Azeglio (
La
disfida di Barletta o Ettore Fieramosca), Cesare Cantù (
Margherita
Pusterla) e Francesco Domenico Guerrazzi (
La battaglia di Benevento).
Della seconda metà del secolo sono
Le confessioni di un Italiano
di Ippolito Nievo, caratterizzato da acute analisi psicologiche. Ricca e varia
fu la letteratura politica (Giuseppe Mazzini, Vincenzo Gioberti, Carlo
Cattaneo, Carlo Pisacane), storica (Vincenzo Cuoco, Michele Amari, Carlo Troya,
Pietro Colletta, Carlo Botta, Cesare Balbo, Gino Capponi, Cesare Cantù,
Carlo Cattaneo) e memorialistica (Silvio Pellico, Luigi Settembrini, Massimo
D'Azeglio). La lirica romantica assunse, per lo più, contenuti politici:
si dicono infatti romantici tutti i poeti e gli scrittori liberali e patrioti.
Caposcuola della lirica romantica fu Giovanni Berchet, autore delle
Romanze, di forma popolare e contenuto prevalentemente patriottico; altri
poeti patriottici furono Goffredo Mameli, Samuele Biava, Luigi Carrer, Gabriele
Rossetti, Luigi Mercantini, Arnaldo Fusinato. Ricca di spunti civili e
patriottici è anche la lirica di Giuseppe Giusti, che adattò il
linguaggio toscano a modi prevalentemente scherzosi. Il tema patriottico e,
più frequentemente, sentimentale, caratterizzò anche le novelle in versi,
composte da Bartolomeo Sestini (
Pia de' Tolomei), Tommaso Grossi
(
Ildegonda,
La fuggitiva), Cesare Cantù, Silvio Pellico.
L'esigenza realistica avvertita dai romantici ebbe la sua più significativa
espressione nella poesia dialettale del milanese Carlo Porta, che rappresentò
con sguardo pietoso gli umili e gli oppressi, osservando invece con umorismo e
sarcasmo il mondo nobiliare e clericale, e del romano Giuseppe Gioachino Belli,
che dipinse la società miserabile e superstiziosa del popolo romano con
senso tragico della vita. Alla storia letteraria si dedicarono Luigi Settembrini,
Paolo Emiliani Giudici e Francesco De Sanctis, che teorizzò un nuovo concetto di
"forma" (come sintesi di espressione e contenuto) rinnegando gli schemi della
critica tradizionale che perseguivano un tipo astratto di perfezione formale.
Verso la metà del secolo il movimento romantico declinò: attenuatosi
l'impegno civile e morale del primo Romanticismo, si accentuarono i temi
passionali e patetici con larga effusione di sentimentalismo. Giovanni Prati e
Aleardo Aleardi furono i maggiori esponenti di questa seconda generazione
romantica. Fra il 1860 e il 1870 nell'
I. settentrionale si affermò la
Scapigliatura milanese, rappresentata da Arrigo Boito, Giuseppe Rovani, Emilio
Praga, Cletto Arrighi, Iginio Ugo Tarchetti, Carlo Dossi. Essi, respingendo i
languidi sentimentalismi di Prati e di Aleardi, si accostarono alla realtà
rilevandone gli aspetti più crudamente contrastanti; condannando
l'inettitudine borghese, esaltarono la rivolta e la disperazione dei deboli. Una
reazione antiromantica fu anche quella di Giosue Carducci, che contrappose
all'ormai languente Romanticismo un programma di reazione classicista. Tra i
temi delle sue raccolte, figura soprattutto la celebrazione della storia passata e presente
dell'
I., mentre i toni sono personali e intimi. Affine al Realismo e al Naturalismo
francese, nella seconda metà dell'Ottocento si affermò la corrente del
Verismo, che portò alle estreme conseguenze la tesi romantica del "vero per
soggetto". Il Verismo assunse in
I., per la mancanza di un unico centro
nazionale, una coloritura spiccatamente regionale. Oggetto della narrativa
verista fu la concreta realtà di miseria e di arretratezza delle
plebi contadine, viste con atteggiamento condiscendente e paternalistico, se pur
con sincera pietà. Il maggior esponente del Verismo fu Giovanni
Verga, i cui capolavori, i
Malavoglia e
Mastro Don Gesualdo,
esprimono un pessimismo fatalistico, nella consapevolezza che sia impossibile
per l'uomo modificare le condizioni di vita che il destino gli ha assegnato. Tra
gli altri veristi si possono ricordare Luigi Capuana (
Il marchese di Roccaverdina),
Renato Fucini (
Napoli a occhio nudo), Mario
Pratesi (
L'eredità), Matilde Serao (
Il ventre di Napoli),
Federico De Roberto (
I Viceré). In direzione antitetica, in parte,
al Verismo si pongono i romanzi di Antonio Fogazzaro (
Piccolo mondo antico),
il cui interesse fu rivolto all'analisi di complessi conflitti religiosi e morali e di
tormentate vicende sentimentali. ║
Il Novecento. Gli ultimi decenni
dell'Ottocento e i primi del Novecento furono segnati da nuove esperienze
letterarie, legate al Decadentismo europeo. Varie furono le tendenze insite nel
Decadentismo e i movimenti nei quali esso venne determinandosi. La nuova
poetica, che tese a dare grande peso agli elementi irrazionali della
realtà e della psiche e a sostituire al terreno storico-sociale del
Verismo quello introspettivo-psicologico, offrì l'immagine di un'inquietudine
profonda. Primi esempi di letteratura decadente furono rappresentati dall'opera di
Giovanni Pascoli e di Gabriele D'Annunzio. Tipicamente decadente è la
poetica pascoliana del "fanciullino", fondata sulla scoperta delle piccole cose
della natura, che consentono di pervenire a un'intuizione mistica della
realtà. Il linguaggio pascoliano, dimesso e insieme allusivo, ricco di
simboli, liquidò in modo definitivo il lessico aulico della tradizione lirica
italiana. La vastissima produzione letteraria di D'Annunzio percorse i
principali miti decadenti, soprattutto l'estetismo e il superomismo (
Il piacere),
abbracciando ogni idea e ogni esperienza, spesso in modo superficiale, retorico,
esaltato. In opposizione al dannunzianesimo si espressero i crepuscolari, la cui
poesia dominò nei primi anni del secolo. Loro caratteristica principale fu
la predilezione per gli aspetti dimessi e marginali della quotidianità,
unita al rifiuto di ogni retorica e aulicità e al ripiegamento
ironico-malinconico su se stessi. I maggiori rappresentanti furono Guido Gozzano,
Sergio Corazzini, Marino Moretti, Aldo Palazzeschi. Più vasta eco nel
clima artistico del tempo ebbe il Futurismo, la cui poetica fu enunciata nel
1909 dal celebre manifesto di Filippo Tommaso Marinetti. Temi fondamentali del
movimento furono il culto per il coraggio e l'audacia, l'ammirazione per la
velocità, l'esaltazione della guerra. Dal punto di vista letterario, la
poetica futurista fu fondata sulle "parole in libertà", sciolte da
ogni legame con la punteggiatura e la sintassi e sulla contaminazione fra
immagine e scrittura. Una funzione di rinnovamento culturale ebbero, negli stessi
anni, alcune riviste fiorentine, quali il "Leonardo" (1903-07), fondato da
Giovanni Papini, "Lacerba" (1913-15) di Papini e Soffici, e soprattutto "La
Voce" (1903-16), fondata da Giuseppe Prezzolini. Nel loro ambito ideologico si
collocò l'opera critica di Renato Serra. Nel campo degli studi storici e nella
critica letteraria si pose uno dei maggiori filosofi italiani, Benedetto Croce,
la cui prima edizione de
L'estetica venne pubblicata nel 1902. Secondo Croce la
critica letteraria deve limitarsi a definire la caratteristica psicologica di
un'opera d'arte, rifiutando la componente ideologica e distinguendo così
la poesia dalla non-poesia e le parti poetiche da quelle strutturali. Negli anni
Venti la narrativa presentò alcuni autori che rivoluzionarono la tipologia del
personaggio e la tecnica narrativa: Italo Svevo e Luigi Pirandello. I
protagonisti dei primi romanzi di Svevo sono degli inetti, che rinunciano a
lottare rifugiandosi in una visione onirica dell'esistenza.
La coscienza di
Zeno, costruito su una struttura psicoanalitica, segnò il definitivo
tramonto del mito dannunziano del superuomo. L'angoscia dell'esistenza, il gioco
tra finzione e realtà, la tragedia della follia furono i temi sviluppati
nella produzione narrativa e teatrale di Pirandello. Negli anni Trenta alcuni
romanzieri espressero la condizione di disagio, esistenziale e storico,
attraverso il recupero memoriale: Corrado Alvaro, Vasco Pratolini, Elio
Vittorini. Negli stessi anni si affermò l'Ermetismo che, ripudiando il
linguaggio poetico tradizionale, mirò a recuperare l'essenzialità della
parola ricorrendo all'analogia. Tre furono i maggiori rappresentanti: Giuseppe
Ungaretti che, in versi di rarefetta liricità volti a recuperare l'intima
essenza della parola, espresse la solitudine esistenziale dell'uomo; Eugenio
Montale, la cui produzione lirica ebbe come tema fondamentale una lucida e
disincantata tristezza, colta in una trama di presenze allegoriche del
quotidiano; Salvatore Quasimodo che, dalla prima produzione in cui evoca una
Sicilia mitica e primordiale, passò alla ricerca di valori storico-sociali come
risposta alle speranze del dopoguerra, approdando nelle ultime opere a un
recupero della dimensione interiore. La poetica degli ermetici si diffuse negli
anni Trenta come una moda, annoverando tra i suoi esponenti Alfonso Gatto, Mario
Luzi, Vittorio Sereni, Leonardo Sinisgalli. Isolata fu l'esperienza lirica
di Umberto Saba che ripropose la poetica delle cose umili e semplici, in un
linguaggio piano e discorsivo. Nel periodo fascista si affermarono importanti
riviste letterarie: "La Ronda", che promosse un ritorno ai classici, "La
rivoluzione liberale", "Il Baretti" e "Solaria" che, contro la pretesa fascista
di un'arte asservita al regime, rivendicarono la difesa dei valori letterari. Se
alcuni scrittori furono pienamente coinvolti con il Fascismo (Mario Bontempelli,
Curzio Malaparte), una nutrita schiera si oppose alla cultura ufficiale del
regime: Corrado Alvaro, Alberto Moravia, Elio Vittorini e Cesare Pavese, la cui
narrativa fu tra i prodotti più drammaticamente significativi del
clima esistenziale del secondo dopoguerra. Al tema della guerra e della
Resistenza si richiamò l'opera narrativa di Mario Rigoni Stern (
Il sergente nella neve),
di Primo Levi (
Se questo è un uomo,
La tregua),
di Beppe Fenoglio (
Il partigiano Johnny). Gli anni successivi alla seconda guerra mondiale furono
caratterizzati dall'esigenza di cercare un più stretto rapporto con la
realtà politico-sociale. Nacque così il Neorealismo, che affermò la
superiorità del romanzo sulla poesia e propose soluzioni linguistiche che
valorizzarono il dialetto e la lingua parlata. Si collocano nel Neorealismo
Alberto Moravia (
La romana,
La ciociara,
Racconti romani),
Italo Calvino (
Il sentiero dei nidi di ragno), Elio Vittorini (
Uomini
e no), Carlo Levi (
Cristo si è fermato a Eboli), Francesco
Jovine (
Le terre del Sacramento), Vasco Pratolini (
Cronache di poveri
amanti,
Metello). Al filone meridionalistico appartengono narratori
come Francesco Jovine, Ignazio Silone (
Fontamara), Domenico Rea (
Spaccanapoli),
Leonardo Sciascia (
Il giorno della civetta). Un
orientamento diverso, che privilegia la parola, seguirono altri scrittori,
accomunati da un senso di delusione della storia: Giuseppe Tomasi di Lampedusa
(
Il gattopardo), Giorgio Bassani (
Il giardino dei Finzi Contini),
Carlo Cassola (
Il taglio del bosco,
La ragazza di Bube), Elsa Morante (
La storia),
Antonio Pizzuto. Nel filone surrealistico si pongono gli scrittori Nicola Lisi, Dino
Buzzati e soprattutto Tommaso Landolfi. Negli anni Cinquanta il Neorealismo
attenuò lo slancio iniziale, pur rimanendo per molti scrittori un momento di
formazione e un punto di riferimento importante. Negli anni Sessanta incominciò
a svilupparsi un filone narrativo che mise in primo piano il mondo del lavoro e
in particolare della fabbrica (Paolo Volponi, Goffredo Parise). Una poetica di
rottura fu avanzata dal "Gruppo 63", che assegnò all'opera letteraria il
compito di distruggere l'organizzazione logica e grammaticale del linguaggio
scomponendolo attraverso uno sperimentalismo estremo e ininterrotto. Negli
stessi anni acquisì notorietà Carlo Emilio Gadda, che fece dello
sperimentalismo linguistico un elemento costante della sua produzione narrativa.
Negli anni Settanta si affermarono varie tendenze (ritorno al romanzo di largo
respiro, "letteratura selvaggia", recupero in poesia di una dimensione
discorsiva e prosastica), delle quali la più significativa fu la
grande diffusione della saggistica letteraria. Nei decenni successivi la lirica
oscillò fra sperimentalismo e ritorno al privato (Andrea Zanzotto, Giovanni
Giudici), mentre la narrativa, caratterizzata negli anni Ottanta dall'intreccio
avvincente e dalla valorizzazione del fantastico e del fiabesco, lasciò il
posto, nei primi anni Novanta, al ritorno del romanzo storico. Nell'ambito della
critica letteraria novecentesca sono da ricordare: Eugenio Donadoni, Ernesto
Giacomo Parodi, Attilio Momigliano, Francesco Flora, Luigi Russo, Giuseppe De
Robertis, Natalino Sapegno, Mario Fubini, Umberto Bosco, Gianfranco Contini,
Lanfranco Caretti, Vittore Branca, Giovanni Getto, Walter Binni, Carlo Salinari,
Giuseppe Petronio, Alberto Asor Rosa, Giorgio
Barberi-Squarotti.
ARTE Durante
il I millennio a.C., l'
I., sede di varie civiltà, presenta un
panorama artistico multiforme e complesso (V. arte
italica in ITALICO). L'egemonia romana sulla
penisola favorisce il processo di unificazione artistica fra le varie culture
(V. ROMA). Con l'affermarsi del Cristianesimo si
data tradizionalmente la nascita di un'arte "italiana", di cui le prime
espressioni si ritrovano nella pittura e nella scultura delle catacombe (I-II
sec. d.C.). Il materiale iconografico è tratto generalmente dalle Sacre
Scritture (Cristo Buon Pastore, scene di miracoli, Giona inghiottito dalla
balena), ma vengono rielaborati anche temi pagani. La scultura è
rappresentata quasi unicamente dalla decorazione a rilievo dei sarcofaghi, che
illustra scene bibliche o bucolico-paradisiache. Dal 313, quando l'editto di
Costantino concede ufficialmente la libertà di culto, ha inizio la grande
stagione dell'arte paleocristiana. Sorgono allora le prime basiliche (dette
costantiniane), a forma longitudinale, divise all'interno in tre o cinque
navate da file di colonne, terminanti con l'abside. Giocano un ruolo essenziale
i contrasti chiaroscurali e la diffusione della luce, la cui intensità si
riflette nel prezioso cromatismo dei mosaici che rivestono le volte e i catini
absidali. Ricordiamo le basiliche romane di S. Pietro, di S. Paolo, di S.
Giovanni in Laterano, di S. Sabina, di S. Lorenzo fuori le Mura, di S. Maria
Maggiore. Vengono sperimentati anche edifici a pianta centrale o accentrata: a
Roma il Mausoleo di S. Costanza e il Battistero Lateranense; a Milano la
basilica di S. Lorenzo; a Ravenna il Mausoleo di Galla Placidia. La presenza
della corte dell'Impero d'Occidente a Ravenna (V sec.) crea una cultura
artistica particolare che fonde insieme la tradizione paleocristiana e il gusto
orientale. L'architettura viene smaterializzandosi per lasciare il posto a
superfici capaci di generare luce e colore (basiliche di S. Apollinare Nuovo, di
S. Apollinare in Classe e di S. Vitale). Componenti fondamentali dell'edilizia
religiosa sono i marmi policromi, gli stucchi e nuovi elementi architettonici
quali il pulvino. La pittura ravennate si manifesta soprattutto nella tecnica
del mosaico, ritenuto particolarmente idoneo a esprimere l'assolutezza
trascendente delle figurazioni sacre. La dominazione longobarda introduce
tipologie e accenti stilistici nuovi, evidenti in una ricca produzione di
oggetti ornamentali e di oreficeria. Tra le principali fonti di ispirazione, il
repertorio zoomorfo e vegetale e tessiture di gusto nordico (nastri, intrecci).
La dominazione franca, con la rinascita carolingia e con la cultura ottoniana,
introduce tentativi di sincretismo tra le forme classiche e le suggestioni
oltremontane (altare d'oro e d'argento e smalti di Vuolvinio, Milano, S.
Ambrogio). Tra l'XI e il XIII sec. si afferma lo stile romanico. Dal punto di
vista architettonico, all'indefinito spaziale e alla pittorica trascendenza
bizantina si oppone un robusto senso costruttivo basato sul gioco dei pesi e
delle resistenze, che qualifica forme e spazi in senso plastico e chiaroscurale.
Già dalla metà del X sec. si diffonde in Lombardia un'architettura
provinciale che, seguendo le tradizioni costruttive tardo-ravennati e dei
Maestri Comacini (secc. VII-X) arricchisce le murature esterne di battisteri e
absidi con fasce, nicchie, archetti pensili (abside di Sant'Ambrogio a Milano).
La scultura è strettamente collegata all'architettura, inserendosi con
una tematica ricchissima nei capitelli, nei portali, nelle transenne, negli
amboni. Il Romanico presenta caratteristiche diverse nelle varie regioni
italiane: nell'
I. settentrionale (Romanico lombardo) operano i Maestri
Comacini e Campionesi, autori di monumenti quali S. Ambrogio di Milano, S.
Michele di Pavia, il Duomo di Modena, S. Zeno di Verona; sul versante adriatico
appaiono forti le componenti bizantine (S. Marco a Venezia); in Toscana le nuove
forme sono impreziosite dall'elegante cromatismo dei marmi bianchi, neri e verdi
(S. Miniato al Monte di Firenze, Battistero di Firenze, Duomo di Pisa); le
componenti classiche prevalgono nelle zone laziali e a Roma; in Puglia e in
Sicilia influenze lombarde si mescolano a influenze normanne, musulmane,
bizantine (S. Nicola di Bari, il Duomo di Andria, quello di Barletta, Castel del
Monte, il complesso architettonico di Monreale). I maggiori scultori romanici
sono Wiligelmo, Benedetto Antelami e Maestro Niccolò, attivi soprattutto
nell'
I. settentrionale. La pittura appare condizionata quasi ovunque dal
gusto bizantino e da elementi carolingi, nonché da elementi popolari e
provinciali, legati alle nascenti culture romanze. Solo la Lombardia vede
svilupparsi una vera tradizione di pittura romanica (affreschi del Duomo di
Novara, di S. Pietro al Monte di Civate, di S. Michele di Oleggio). Le strutture
tipiche dell'architettura gotica (coperture a crociera nervate, contrafforti,
archi acuti, guglie) emersi in Normandia, Inghilterra, Ile de France tra la fine
dell'XI sec. e la metà del XII, si diffondono in
I. solo a partire
dall'inizio del Duecento, sviluppandosi in modo originale. Esse sono accolte
soprattutto nel Regno di Napoli, nella Repubblica di Siena e nelle signorie
borghesi del Nord. In generale, l'architettura gotica italiana rimane fedele a
una spazialità ampia e a un criterio di equilibrio: nelle cattedrali
italiane l'altezza delle navate - accentuata nel gotico francese - è in
rapporto proporzionale con la lunghezza e la larghezza. Inoltre la decorazione
non prevarica mai la nitidezza delle strutture architettoniche. L'unico esempio
di gotico italiano riconducibile alle esperienze europee è il Duomo di
Milano, costruito con l'aiuto di maestranze tedesche e francesi. Importanti e
tipici monumenti dell'arte gotica italiana sono le cattedrali di Siena, di
Orvieto, S. Maria del Fiore, S. Croce, S. Maria Novella a Firenze, S. Francesco
in Assisi, S. Francesco e S. Petronio a Bologna, S. Francesco a Ascoli Piceno,
le chiese angioine di Napoli. Caratteristica saliente dell'età gotica
italiana è lo sviluppo dell'architettura profana: monumenti civili,
castelli e palazzi delle magistrature, logge e mercati sorgono in molte
città d'
I. Fra i maggiori architetti citiamo Arnolfo di Cambio,
Giotto, Lorenzo Maitani. La scultura ha i suoi maggiori rappresentanti in Nicola
d'Apulia, che accoglie progressivamente le suggestioni francesi di movimento e
di finezza di resa naturalistica; Giovanni Pisano, che traduce il prezioso
linearismo francese in aspra e contrastata tensione, raggiungendo culmini di
tragico espressionismo; Arnolfo di Cambio, che si ispira a esemplari
dell'antichità rivivendoli con equilibrio tra monumentale saldezza
plastica e tensione gotica. Notevoli sono anche Lorenzo Maitani, Andrea Orcagna,
Tino da Camaino, Goro di Gregorio, Agostino e Agnolo di Ventura, Iacobello e
Pier Paolo delle Masegne. La pittura gotica si esprime, a partire dagli ultimi
decenni del XIII sec., soprattutto in affreschi e in tavole, oscillando tra una
persistente adesione all'iconismo classico e l'intento di superarlo accogliendo
suggestioni francesi. Cimabue segna l'accoglimento dei modelli gotici francesi,
seguito da Duccio di Buoninsegna; in modo del tutto originale partecipa al clima
gotico Giotto, il cui nuovo stile plastico e spazialmente organizzato
condurrà alla grande stagione rinascimentale; al gotico francese si
ricollegano i senesi Duccio e Simone Martini, mentre assorbono elementi
giotteschi Ambrogio e Pietro Lorenzetti. Vanno ricordati inoltre la pittura
della scuola riminese, con tratti arcaizzanti ed echi giotteschi, la miniatura e
la pittura bolognese, animata da estroso realismo, la miniatura e la pittura
lombarda, volta alla poesia della realtà quotidiana e infine Paolo
Veneziano. Con l'espressione Gotico internazionale o cortese si suole indicare
la fase artistica che va dagli ultimi decenni del sec. XIV ai primi quattro
circa del XV, riguardante soprattutto la pittura, la miniatura e le arti
applicate, nelle quali viene portato alle estreme conseguenze il linearismo
ornamentale e il colorismo puro del Gotico. Manifestazioni del Gotico cortese si
ritrovano nei centri dell'area settentrionale italiana, più legati alle
corti d'oltralpe, nella pittura e miniatura lombarda (Giovannino de' Grassi) e
nell'opera di Stefano da Verona, di Antonio Pisano detto il Pisanello, di
Gentile da Fabriano. Agli albori del XV sec. ha inizio l'età del
Rinascimento. Firenze è il centro propulsore del rinnovamento, i cui
protagonisti sono Filippo Brunelleschi nell'architettura, Donatello nella
scultura, Masaccio nella pittura. A Brunelleschi si deve l'elaborazione e
l'attuazione di uno spazio definito prospetticamente e proporzionalmente, in
contrasto con lo spazio indistinto dell'architettura gotica. Teorizzatore e
divulgatore delle invenzioni prospettiche del grande architetto è Leon
Battista Alberti, la cui opera si impone come sintesi e teorizzazione dell'arte
fiorentina del primo Quattrocento. La storia architettonica del Rinascimento
è in gran parte la storia dell'irradiazione dell'arte fiorentina
combinata con il classicismo romano: si pensi all'opera di Michelozzo di
Bartolomeo a Firenze, Pistoia e Milano; Bernardo Rossellino a Pienza; Antonio
Averulino detto il Filarete a Milano; Giuliano da Maiano a Napoli; Mario Coducci
a Venezia; Luciano Laurana a Urbino; Francesco di Giorgio Martini a Siena,
Urbino e Cortona, Giuliano da Sangallo a Roma e in Toscana, Biagio Rossetti a
Ferrara. Nell'architettura rinascimentale lombarda e veneta confluiscono
elementi formali tradizionali e locali. La Cappella Colleoni a Bergamo, la
Certosa di Pavia, il Palazzo Vendramin Calergi e la Scuola di San Marco a
Venezia ne sono i monumenti più tipici. In pittura il disegno prospettico
è applicato per la prima volta da Masaccio. Per tutto il Quattrocento
Firenze rimane il centro dominante della cultura figurativa italiana: Masolino
da Panicale, Beato Angelico, Filippo Lippi, Andrea Del Castagno, Domenico
Veneziano, Paolo Uccello, Piero della Francesca, Benozzo Gozzoli, Antonio del
Pollajolo, Andrea di Cione detto il Verrocchio, Sandro Botticelli, Filippino
Lippi, Domenico Ghirlandaio, Piero di Cosimo. Grandi centri di produzione
artistica del Quattrocento sono anche Perugia e Urbino; tra i pittori: Piero di
Cristoforo Vannucci detto il Perugino, Bernardino di Betto detto il
Pinturicchio, Melozzo da Forlì, Luca Signorelli. Il principale pittore
rinascimentale dell'
I. settentrionale è Andrea Mantegna. In
Lombardia rimane a lungo vivo il tardo Gotico, soprattutto nella miniatura:
Vincenzo Foppa, Ambrogio da Fossano detto il Bergognone, Bernardo Zenale e
Bernardino Butinone. Scarsi fermenti di rinnovamento anche a Venezia, dove hanno
ancora forti radici l'arte gotica e quella bizantina: Jacopo Bellini, Giovanni
Bellini detto il Giambellino, Alvise Vivarini, Carlo Crivelli, Bartolomeo
Montagna, Vittore Carpaccio, Giambattista Cima da Conegliano. L'
I.
meridionale è intimamente legata alla cultura spagnola e fiamminga: il
maggior pittore del Quattrocento è Antonello da Messina. Della scuola
ferrarese sono Cosmé Tura, Francesco Del Cossa e Ercole de Roberti. Nella
scultura Lorenzo Ghiberti mostra il passaggio fra l'arte gotica e quella
rinascimentale. Il maggiore scultore del Quattrocento è Donatello, che
annovera, tra i suoi seguaci, Iacopo della Quercia, Luca della Robbia,
Michelozzo Michelozzi, Bertoldo di Giovanni, Bernardo e Antonio Rossellino,
Benedetto da Maiano, Agostino di Duccio, Desiderio da Settignano. Fioriscono
anche le arti minori e l'arte della ceramica a Firenze, Cafaggiuolo, Deruta,
Urbino e in centri minori. L'arte della miniatura è gradualmente
sopraffatta dalla decorazione dei libri a stampa con legni e più tardi
con rami incisi. L'architettura del Cinquecento si apre con Donato Bramante, la
cui attività è esempio fondamentale per gli architetti del
Cinquecento: Raffaello, Antonio da Sangallo il Vecchio, Baldassarre Peruzzi,
Giulio Romano, Jacopo Tatti detto il Sansovino. Profondamente innovatore
è Michelangelo con la sua concezione dinamica dell'architettura, che
sostituisce il ritmo delle masse al ritmo delle linee. Si riallacciano a
Michelangelo, Antonio da Sangallo il Giovane, Giorgio Vasari, Bartolomeo
Ammannati, Bernardo Buontalenti, Giacomo della Porta, Jacopo Barozzi detto il
Vignola. Il sublime equilibrio fra struttura e decorazione si spezza con Pirro
Ligorio, Girolamo da Carpi, Giulio Mazzoni, Leone Leoni, Galeazzo Alessi,
Federico Zuccheri, in cui prevale l'interesse dell'ornato su quello costruttivo.
Nel Cinquecento la scultura ha inizio con Leonardo e culmina con Michelangelo,
che porta alle estreme conseguenze l'esigenza plastica rinascimentale,
esprimendo nella sua opera la propria passionalità tormentata.
L'influenza di Michelangelo domina gli scultori di ogni regione: Jacopo
Sansovino, Baccio Bandinelli, Giovanni Montorsoli, Alessandro Vittoria,
Benvenuto Cellini. La pittura del Cinquecento si apre con Leonardo, che si volge
non più solo alla figura umana, ma alla natura studiata nelle sue intime
strutture. L'influenza di Leonardo è avvertita in quasi tutti i pittori
del Rinascimento cinquecentesco: Giorgione, Antonio da Correggio, Andrea Del
Sarto, Raffaello. Giorgione instaura a Venezia una nuova visione pittorica,
volta a integrare paesaggio e forma umana. La pittura veneta annovera inoltre
l'opera di Tiziano, di Jacopo Robusti detto il Tintoretto e di Paolo Veronese.
Michelangelo è l'ispiratore delle correnti in cui lo studio della forma
assume aspetti esasperati e drammatici. Legati a Giorgione sono alcuni pittori
che operano tra il Veneto e la Lombardia: Gerolamo Romanino, Giovan Gerolamo
Savoldo, Alessandro Bonvicini detto il Moretto. Alcuni aspetti della cultura
figurativa del Cinquecento sono caratterizzati dal culto quasi ossessivo dello
stile e dell'eleganza formale, da un estremo virtuosismo esecutivo, dalla
ricerca della varietà e della complessità. Si tratta del
Manierismo, affermatosi a Roma tra il 1520 e il 1527 e diffusosi in seguito
anche a Firenze e un po' dovunque in
I. settentrionale. Ricordiamo
l'opera di Polidoro da Caravaggio, Perin del Vaga, Giovanni Battista di Iacopo
detto il Rosso, Francesco Mazzola detto il Parmigianino, Daniele da Volterra,
Francesco Salviati, Jacopino del Conte, Agnolo di Cosimo detto il Bronzino,
Bernardo Buontalenti, Baccio Bandinelli, Bartolomeo Ammannati, Giambologna,
Giorgio Vasari. Aspetti manieristici sono stati rilevati nelle opere di
Michelangelo sin dal primissimo Cinquecento e nelle prove tarde di Raffaello.
Nel Seicento nuovi elementi segnano una svolta decisiva nel gusto e nella
cultura artistica, con l'abbandono dell'idea rinascimentale dell'arte come
rappresentazione della realtà in un rigoroso sistema di rapporti
proporzionali e armonici. L'artista mira principalmente a commuovere e a
suscitare emozioni mediante l'estrema acutezza realistica e sensoriale delle
immagini, effetti scenografici spettacolari, l'interazione fra le parti. La
nuova corrente di gusto, che si definisce Barocco, viene incontro, nelle sue
forme più opulente e fastose, alle esigenze di prestigio e di
ostentazione della società aristocratica del tempo e agli ideali
spirituali della corte papale. Significativi il baldacchino, il colonnato, la
cattedra di S. Pietro e le fontane di Gian Lorenzo Bernini, la facciata da S.
Maria della Pace e l'affresco nella volta del salone di Palazzo Barberini di
Pietro da Cortona, le piazze romane del Popolo, di Spagna, di S. Maria Maggiore,
di Trevi e i complessi del Laterano e del Quirinale. Inscindibilmente legato
all'architettura è un ricchissimo repertorio decorativo, negli stucchi,
negli affreschi, ma applicato anche ai mobili, ai tessuti, alle oreficerie.
Oltre a Bernini altri insigni architetti sono Francesco Borromini, Carlo
Rainaldi, Pietro Berrettini da Cortona, Carlo Fontana, Carlo Maderno, Bartolomeo
Bianco, Vincenzo Scamozzi, Baldassare Longhena, Filippo Juvara, Bartolomeo
Provaglia, Palladio. Nella scultura emergono, prima del Bernini, Stefano Maderno
e Alessandro Algardi. Rinnovatore della pittura è Michelangelo da
Caravaggio, che accoglie il tema pittorico cinquecentesco del luminismo (effetti
notturni, luci di candele, chiaroscuri) caricandolo di contenuto drammatico e
simbolico, unendo allo studio diretto del vero anche una profonda
capacità trasfigurante. Da Caravaggio si sviluppa il filone realista
dell'età barocca: Giovanni Baglione, Battistello Caracciolo, Bartolomeo
Manfredi, Orazio Gentileschi. Immuni o quasi da influenze caravaggesche sono
Guido Reni, il Domenichino, Francesco Albani, Alessandro Tiarini. A Napoli
l'influenza di Caravaggio, di Domenichino e di Reni non impedisce l'affermazione
di modi originali attraverso l'opera di notevoli pittori, quali Luca Giordano,
decoratore e improvvisatore, Salvator Rosa, prestigioso paesaggista e
descrittore di battaglie. Fuori dell'influenza caravaggesca è anche
Alessandro Magnasco, genovese. A Milano operano Giulio Cesare Procaccini, Giovan
Battista Crespi detto il Cerano, Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone,
Francesco Cairo. Il romano Domenico Fetti filtra l'influenza caravaggesca
attraverso l'esperienza dei maestri fiamminghi e olandesi. Il Settecento ripete
nella sua prima metà, variamente elaborandoli, i motivi del Barocco
secentesco. Fra gli architetti ricordiamo Filippo Juvarra e Luigi Vanvitelli. Il
solo scultore che si afferma per una propria forza inventiva è il
veneziano Giovanni Maria Morlaiter; tra le figure minori: Camillo Rusconi,
Giovan Battista Maini, Filippo Della Valle, Pietro Bracci. Nella pittura
italiana di questo secolo occupa un posto di rilievo Venezia, per l'opera di
Giovan Battista Tiepolo, di Antonio Canal detto il Canaletto, di Francesco
Guardi, di Rosalba Carriera e di Pietro Longhi. Le arti minori hanno nel
Settecento straordinaria fioritura; notevoli soprattutto i progressi
dell'incisione (Bartolozzi, Tiepolo, Canaletto, Piranesi, Rosaspina, ecc.). Alla
fine del Settecento si sviluppa un ritorno ai modi e alle forme dell'arte
classica, il Neoclassicismo, sostenuto dalle scoperte archeologiche che in
questo periodo riportano alla luce molte opere della civiltà greca. Roma
è un attivissimo centro neoclassico, punto d'incontro dei maggiori
artisti europei. Tra gli architetti neoclassici ricordiamo Giuseppe Piermarini e
Giuseppe Valadier. Durante il periodo napoleonico diviene predominante la
funzione civile dell'architettura: Giovanni Antonio Antolini, Luigi Cagnola e
Pietro Canonica. Il più tipico interprete dell'aspirazione neoclassica al
bello ideale è lo scultore Antonio Canova. In pittura, le esigenze di
razionalità portano al predomino del disegno rispetto al colore. Il
romano Vincenzo Camuccini segue, con risultati modesti, l'esempio del francese
Jacques-Louis David, il maggior interprete della nuova visione. Di maggior
rilievo è il milanese Andrea Appiani, esaltatore dei fasti napoleonici.
Caduto Napoleone, si torna ad apprezzare l'arte romanica, gotica e del primo
Rinascimento. L'arte romantica trova in
I. tardiva e scarsa accoglienza.
A Milano domina la figura e l'opera di Francesco Hayez, la cui opera pittorica,
eseguita con eccezionale maestria tecnica, è animata dall'idealità
patriottica e religiosa del primo Risorgimento. Il più interessante
episodio dell'arte italiana dell'Ottocento è quello dei pittori
Macchiaioli, parallelo al movimento francese dell'Impressionismo. Essi
propugnano una pittura antiaccademica che riproduca "l'impressione del vero",
superando la tradizionale tematica religiosa e storicista. I maggiori sono
Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Telemaco Signorini, Odoardo Borrani, Raffaele
Sernesi, Giuseppe Abbati, Vincenzo Cabianca. In Lombardia alla fine del secolo
viene avviata una scuola di pittura basata su una tecnica nuova derivata dal
Pointillisme di Seurat, consistente nella divisione dei colori complementari per
ottenere una maggiore luminosità. Teorizzatori principali del nuovo
movimento, chiamato Divisionismo, somo Vittore Grubicy e Gaetano Previati; i
risultati più notevoli sono raggiunti da Giuseppe Pellizza da Volpedo e
da Giovanni Segantini. Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento si
afferma un nuovo stile - Liberty o Floreale - che pone l'attenzione soprattutto
alla linea e alla decorazione. Gli artisti più significativi sono gli
architetti Ernesto Basile, Raimondo D'Aronco e Giuseppe Sommaruga. Complessa
è la storia pittorica del Novecento italiano, per il continuo
intrecciarsi di esperienze e per gli stretti rapporti che si instaurano con i
movimenti d'oltralpe. Tipicamente italiani sono il Futurismo, la pittura
metafisica di De Chirico, Carrà e Morandi e lo Spazialismo di Lucio
Fontana. Nei primi anni del secolo opera a Parigi il toscano Amedeo Modigliani,
da considerarsi artista di piena cultura francese post-impressionista. Nato da
una violenta polemica contro il tradizionalismo culturale, il Futurismo
rivoluziona la cultura italiana. Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi
Russolo e Giacomo Balla compiono una profonda elaborazione della tematica e del
linguaggio pittorico, ispirandosi alla città industriale, al mito della
velocità e rifacendosi ai principi della scomposizione del colore e della
forma derivati dal Divisionismo. Le esperienze futuriste caratterizzano anche la
ricerca di Antonio Sant'Elia, architetto. Dopo la prima guerra mondiale il
Futurismo vive una seconda fase, nella quale si riconoscono numerosi pittori e
architetti a Roma, Milano e Torino. Tra gli scultori del Novecento, non
facilmente riconducibili a precisi correnti, ricordiamo Medardo Rosso, Arturo
Martini, Francesco Messina, Marino Marini Manzù, Lucio Fontana, Alberto
Viani, Luigi Broggini, Mirko, Carmelo Cappello, Luciano Minguzzi, Emilio Greco,
Giò Pomodoro e Arnaldo Pomodoro. Dopo la prima guerra mondiale e le
rivoluzionarie innovazioni del primo ventennio del secolo, si afferma il
movimento del "Novecento", fautore di un ritorno a una maggiore concentrazione
formale e a un più sereno dominio dell'espressione. I pittori del
"Novecento" (Mario Sironi, Ardengo Soffici, Achille Funi) non propongono una
soluzione stilistica unitaria, ma sono accomunati dal gusto per certi soggetti
(natura morta, ritratto e paesaggio) e da una poetica di sublimazione del
quotidiano. Posizioni analoghe a quelle del "Novecento" pittorico sono espresse
da alcuni architetti lombardi di tendenza neoclassica, tra i quali Giovanni
Muzio e Giovanni Ponti. In opposizione al "Novecento", in nome di una più
risentita modernità, è il movimento dei chiaristi lombardi (Angelo
Del Bon, Umberto Lilloni, Francesco De Rocchi, Adriano Spilimbergo); il
movimento che fa capo alla rivista "Corrente" (Giuseppe Migneco, Aligi Sassu,
Renato Birolli, Bruno Cassinari, Ennio Morlotti), animato da un'ansia di
apertura alla moderna cultura europea contro l'isolamento culturale fascista; la
"Scuola Romana", caratterizzata da un'apertura all'espressionismo europeo
(Antoniette Raphael, Scipione, Mario Mafai, Marino Mazzacurati, Giuseppe
Capogrossi); infine, il gruppo degli Astrattisti: Alberto Magnelli, Atanasio
Soldati, Mauro Reggiani, Mario Radice. Negli anni Cinquanta la pittura informale
si pone come espressione di un clima di profonda sfiducia nei valori conoscitivi
e razionali, seguito alla seconda guerra mondiale, imponendo una nuova ricerca
volta a esplorare le possibilità espressive della materia: Alberto Burri,
Emilio Vedova, Afro, Giuseppe Capogrossi, Renato Birolli. Negli anni Sessanta
Mimmo Rotella, Lucio Del Pezzo e Enrico Baj contribuiscono alla formulazione del
Nouveau Réalisme, volto alla sperimentazione di nuovi moduli
espressivi.
MUSICA Dalle
origini al XIII sec.: le esperienze musicali italiane occupano un ruolo di
prestigio nella storia complessiva della civiltà, non solo nell'ambito
del Paese, che trovò nella musica una componente della sua unità
artistica e culturale, prima che storica e politica, ma anche nella prospettiva
europea, dapprima con la fioritura del canto gregoriano, poi con le grandi
scuole teoriche, strumentali e operistiche, i cui insegnamenti venivano diffusi
da compositori ed esecutori ospiti delle principali corti europee. Testimonianze
della più antica vita musicale in
I. possono rintracciarsi
nell'ambito del patrimonio archeologico preromano e nel vasto alveo delle
musiche e danze popolari. Con l'avvento del Cristianesimo fiorirono numerosi
centri di attività musicale, nel più stretto ambito chiesastico o
conventuale, ai quali va riconosciuto il merito di avere diffuso in tutta la
penisola un'arte dei suoni di alta ispirazione spirituale e di larga portata
sociale, in quanto patrimonio di ogni singola comunità. I principali
fulcri di diffusione della musica chiesastica furono Roma e Milano,
rispettivamente con il
canto gregoriano e
ambrosiano (IV sec.).
Fiorirono inoltre scuole di teorici tra i quali Guido d'Arezzo (IX sec.), al
quale si devono la sistemazione dell'esacordo e la definitiva introduzione del
rigo nella notazione, e Gioseffo Zarlino, il più importante trattatista
del sistema armonico. Nel XIII sec. Sordello da Goito e Lanfranco Cigala furono i
massimi esponenti della civiltà trovadorica nell'
I. settentrionale
e in Sicilia, mentre in Umbria, soprattutto, si diffuse il fenomeno delle
laudi. Questi canti monodici in volgare, ispirati a una visione religiosa
di origine francescana, fondevano elementi di ascendenza gregoriana e
inflessioni di carattere più popolare e profano. ║
Il XIV
sec.: risale al XIV sec. la nascita della prima grande scuola musicale
italiana, che prese il nome di
Ars Nova ed ebbe per massimi
rappresentanti Francesco Landino a Firenze e Jacopo da Bologna a Padova e
Verona. La polifonia del Trecento ebbe carattere quasi esclusivamente profano e
si espresse nei generi del
madrigale, della
caccia e della
ballata, forme nelle quali si individua uno stile di grande raffinatezza
espressiva, caratterizzato particolarmente da una fresca e spontanea invenzione
ritmica. Tuttavia, nonostante la predilezione per i generi profani, non
mancarono nel Trecento anche composizioni sacre quali mottetti e parti di messe.
I principali teorici di questo periodo furono Marchetto da Padova e Prosdocimo
de Beldemandis. ║
Il XV sec.: questo secolo vide un temporaneo
affievolirsi della creatività musicale italiana. La produzione si
restrinse sostanzialmente a opere profane di derivazione francese (
virelaix,
rondeaux), in uno stile manieristico e tecnicamente complesso, mentre la
caccia, la ballata e le altre forme vocali trecentesche si strutturarono ed
ampliarono in un discorso contrappuntisticamente più complesso nel quale
primeggiarono, però, musicisti di origine borgognona o fiamminga. ║
Il XVI sec.: solo verso la fine del XV sec., ma soprattutto all'inizio
del XVI sec., nacquero e si affermarono in varie città italiane generi
musicali di stampo genericamente popolaresco, quali
odi, strambotti,
canzoni e
ballate, o più particolarmente autoctono, quali i
canti carnascialeschi, i
trionfi e le
sacre
rappresentazioni a Firenze, la
frottola a Mantova, la
villotta
e la
giustiniana a Venezia, la
villanella a Napoli. Tali generi
ebbero una vastissima diffusione sia in
I. che all'estero, anche grazie
al procedimento di stampa musicale a caratteri mobili realizzato da Ottaviano
Petrucci nel 1501. L'incontro di questa espressione più genuinamente
popolare della musica italiana con i modi e le tecniche della severa prassi
compositiva fiamminga diede origine, intorno al 1530, al
madrigale, la
più importante forma polifonica profana del Cinquecento. Tra i principali
madrigalisti italiani vanno ricordati: Costanzo Festa (1480 circa - 1545),
Francesco Corteccia (1502-1571), Vincenzo Ruffo (1510 circa - 1587), Palestrina
(1525 circa - 1594), Marco Antonio Ingegneri (1547-1592), Orfeo Vecchi
(1550-1605), Luca Marenzio (1553-1599), Gesualdo da Venosa (1560-1613), Adriano
Banchieri (1568-1634) e Claudio Monteverdi (1567-1643), con il quale avvenne il
trapasso della musicalità cinquecentesca a quella barocca. La vita
musicale dell'
I. del Cinquecento fu però anche caratterizzata
dall'affermarsi di diverse scuole, ognuna definita da particolari orientamenti
di gusto e di stile. Le principali furono quelle di Roma e Venezia. A Roma fu
soprattutto la musica sacra a ricevere un grande impulso, risentendo,
però, dei severi principi della Controriforma che, tra l'altro, proibiva
l'uso di tutti gli strumenti tranne l'organo, durante la celebrazione delle
cerimonie sacre. Fiorì, così, la polifonia sacra
a cappella
nella quale si distinsero Costanzo Festa (1480-1545), i fratelli Nanino, gli
Anerio, ma soprattutto Giovanni Pierluigi da Palestrina, le cui composizioni
divennero modello dello stile detto appunto
palestriniano. Si diffuse
inoltre un tipo di lauda polifonica in forma drammatica nella quale si
alternavano il canto delle laudi ed elementi dialogici e narrativi; queste laudi
drammatiche diedero in seguito origine alla forma musicale dell'
oratorio.
A Venezia, invece, gli effetti della Controriforma furono assai meno sentiti e
la musica sacra non ebbe alcuna prevalenza esclusiva. L'impiego di una ricca
strumentazione, della
policoralità, o stile dei
cori
battenti, in cui più cori contrapposti eseguivano contemporaneamente
la propria parte, e la predilezione per lo stile concertato furono le principali
caratteristiche della scuola veneziana, che si distinse per una musica ricca di
effetti coloristici e dagli esiti di solenne e ampia sonorità. Tra i
principali maestri della cappella di S. Marco ricordiamo Cipriano de Rore (1516
circa - 1565), Gioseffo Zarlino (1517-1590), Baldassarre Donati (circa 1530-1603) e
Giovanni Croce (1557-1609), mentre organisti furono Claudio Merulo (1533-1604),
Marco Antonio (1490 circa - 1570), Andrea e Giovanni Gabrieli (1510-1586;
1557-1612). Anche Firenze fu un centro di vita musicale particolarmente attivo
durante il Cinquecento. Accanto a manifestazioni popolari quali i canti
carnascialeschi, infatti, vi fiorirono la
sacra rappresentazione, una
forma di teatro religioso in cui confluirono elementi sacri e profani, e gli
intermedi, forme di intrattenimento teatrale basate sulla musica, il
ballo, il canto, la declamazione, particolarmente apprezzate alla corte medicea.
Inoltre alla Camerata fiorentina si riuniva un gruppo di musicisti, tra i quali
Jacopo Peri (1561-1633), Giulio Caccini (1550-1618), Emilio de' Cavalieri
(1550-1602), che affrontò i problemi relativi all'affermarsi della
monodia, dando vita al melodramma. Altri centri importanti nel XVI sec. furono
Padova, Vicenza e Verona, dove operarono Matteo Asola (1524-1609) e Costanzo
Porta (1529-1601), Brescia e Cremona, dove si svilupparono le scuole degli
organari (gli Antegnati) e dei liutai (gli Amati), Milano, con Vincenzo Ruffo,
Bologna, patria di Orazio Vecchi (1550-1605) e Adriano Banchieri, Ferrara, alla
cui corte furono attivi Nicola Vicentino (1511-1576) e Luzzasco Luzzaschi
(1540-1607), Torino, con i Ferrabosco, Genova, con Simone Molinaro (1565-1615),
Napoli, con Carlo Gesualdo (1560-1613). ║
Il XVII sec.: fu per la
musica italiana un periodo di profondi mutamenti stilistici ed espressivi.
L'esempio più vistoso di questa trasformazione fu la creazione della
monodia accompagnata sostenuta dal basso e, quindi, la sostituzione della
tradizionale polifonia con la melodia solistica accompagnata da accordi. Questo
nuovo stile monodico trovò subito applicazione nei tre generi musicali
più rappresentativi dell'epoca: il
melodramma, l'
oratorio e
la
cantata. Le basi della nascita del melodramma erano già state
poste precedentemente dai musicisti e poeti della Camerata fiorentina i quali,
nella polemica condotta sul filo dell'ideale del "recitar cantando", erano alla
ricerca di uno stile nel quale la parola venisse sillabata correttamente, senza
quel "laceramento della poesia" prodotto dalla polifonia. Il primo esperimento
operistico si tenne a Firenze nel 1600 con la rappresentazione
dell'
Euridice di Iacopo Peri e Giulio Caccini, cui fecero seguito
l'
Orfeo (1607) e l'
Arianna (1608) di Claudio Monteverdi
(1567-1643). Nella seconda metà del secolo si assistette a un'evoluzione
del melodramma con l'introduzione del cosiddetto
recitativo accompagnato,
sostenuto dall'intera orchestra, per sottolineare i momenti di più alta
drammaticità e con il passaggio dal recitativo melodico al
recitativo
secco, sostenuto dal solo basso, nelle parti narrative. Inoltre si
elaborarono schemi strutturali fissi per le forme chiuse (arie, duetti,
terzetti) e si formalizzarono anche le sezioni puramente strumentali (sinfonia e
interludi). Nell'ambito del melodramma i centri di maggiore attività
artistica furono Roma e Venezia. Tra i principali operisti romani, attivi
soprattutto tra il 1620 e il 1660, ricordiamo Luigi Rossi (1598-1653), Stefano
Landi (1590-1639) e Antonio Cesti (1623-1669). La scuola veneziana ebbe invece
come maggiori rappresentanti Francesco Cavalli (1602-1676), Giovanni Legrenzi
(1626-1690) e il sopracitato Monteverdi. Sempre nell'ambiente romano, parallelamente al
melodramma, si affermò nel Seicento anche l'
oratorio, genere
musicale derivato dalla elaborazione della semplice lauda polifonica o monodica,
spesso dialogica, compiuta dai musicisti che nel Cinquecento erano stati vicini
a san Filippo Neri. Con il termine oratorio si venne quindi a indicare una forma
musicale drammatica, cioè nella quale gli elementi principali erano la
narrazione, i personaggi e i dialoghi, ma non rappresentativa, cioè non
implicante un'azione scenica. Inizialmente si svilupparono due varietà di
oratorio, quello
latino e quello
volgare, ma nella seconda
metà del Seicento le due forme confluirono in un unico genere sempre
più simile, nella forma e nello stile, al melodramma. Tra i maggiori
esponenti di questo genere ricordiamo Giacomo Carissimi (1605-1674) a Roma,
Giacomo Antonio Perti (1661-1756), Giovanni Battista Vitali (1632-1692) e
Giovanni Battista Bassani (1647-1716) a Bologna, Giovanni Bononcini (1670-1747)
e Alessandro Stradella (1644-1682) a Modena. Il terzo genere musicale diffusosi
nel Seicento fu la
cantata, forma cameristica legata alla trasformazione
del madrigale. Inizialmente non definita nelle caratteristiche formali, la
cantata si strutturò in seguito nella tipica alternanza di stile
recitativo (attento alla recitazione) e di stile arioso (attento alla melodia).
Anche di questo genere si distinsero varie scuole, ognuna caratterizzata da
particolari scelte tecniche ed espressive, ma il principale esponente fu
Alessandro Scarlatti (1660-1725). Parallelamente alle innovazioni stilistiche,
continuò nel Seicento la tradizione della musica sacra che, accanto allo
stile palestriniano, sviluppò, particolarmente a Roma, la tecnica
policorale impiegando vastissimi organici vocali e strumentali. Inoltre si
applicarono anche alla musica sacra le nuove risorse dello stile monodico e
della scrittura concertante per voci e strumenti. Tra i compositori appartenenti
alla scuola romana sono da ricordare Orazio Benevoli (1605-1672), Pier Francesco
Valentini (1570-1654), Virgilio Mazzocchi (1597-1646); tra gli altri autori di
musica sacra citiamo Ludovico da Viadana (1560-1627), Adriano Banchieri, Claudio
Monteverdi, Giovanni Paolo Colonna (1637-1695). Nel XVII sec. si assistette anche
al grande sviluppo della musica strumentale. Girolamo Frescobaldi (1583-1643) si
impose all'interno della produzione clavicembalistica e organistica del tempo,
ma le maggiori novità in campo strumentale si devono alle produzioni per
strumenti ad arco, in particolare per violino. La musica violinistica, che in
seguito diede origine ad alcuni generi musicali legati al violino (la sonata per
violino e basso continuo, la sonata a tre, il concerto, la suite) si diffuse
inizialmente soprattutto nell'
I. settentrionale, con Gian Paolo Cima,
Biagio Marini (1597-1665), Carlo Farina (1600-1640), e trovò poi un
ulteriore sviluppo con Giovanni Battista Vitali (1632-1692), Giovanni Battista
Bassani (1657-1716), Giuseppe Torelli (1658-1709), al quale è attribuita
l'invenzione del concerto solistico, e Arcangelo Corelli (1653-1713), che si
distinse nell'elaborazione della sonata a tre (due violini e basso continuo) e
del concerto grosso. A queste esperienze si rifece la scuola veneziana tra la
fine del Seicento e il primo Settecento con le composizioni di Tommaso Albinoni,
Benedetto Marcello, Frascesco Antonio Bonporti, culminanti nell'opera di Antonio
Vivaldi. ║
Il XVIII sec.: in questo secolo grande importanza ebbe
ancora il melodramma, che ottenne larga diffusione in tutta Europa. Accanto alla
scuola veneziana, rappresentata da Antonio Caldara (1670-1736), Antonio Lotti
(1666-1740) e Agostino Steffani (1654-1728), si affermò anche quella
napoletana, il cui primo grande rappresentante fu Alessandro Scarlatti, seguito,
tra gli altri, da Nicola Antonio Porpora (1686-1768), Giovanni Battista
Pergolesi (1710-1736), Francesco Feo (1691-1761) e Niccolò Jommelli
(1714-1774). Nei primi decenni del Settecento si assistette a una precisa
riorganizzazione strutturale e formale del melodramma, ad opera di librettisti
quali Apostolo Zeno (1668-1750) e Pietro Trapassi detto Metastasio (1698-1782).
Essi, infatti, procedettero a una semplificazione delle strutture dell'opera,
eliminando i personaggi e gli episodi non direttamente coinvolti nell'azione,
nonché gli elementi spettacolari derivati dal gusto del Barocco. Inoltre
ridussero l'utilizzo del coro, eliminarono le parti buffe, formalizzarono gli
schemi psicologici dei personaggi e portarono le arie alla fine della scena. Dal
punto di vista musicale il melodramma divenne una sequenza di recitativi e di
arie, con sempre meno spazio lasciato ai cori, agli episodi di insieme e alle
parti orchestrali. Le arie, in particolare, acquistarono importanza grazie al
virtuosismo dei cantanti, che portarono la fama della scuola di canto italiana
in tutta Europa, ma soprattutto grazie alla straordinaria bravura dei castrati
(Gaetano Majorano detto Caffarelli e Carlo Broschi detto Farinello). Nel
Settecento fiorì anche l'
opera buffa, di origine napoletana,
caratterizzata da personaggi e soggetti molto più vicini alla
realtà quotidiana di quelli dell'opera seria. Non vi venivano utilizzati
i castrati, il cui timbro vocale risultava troppo artificiale per quel genere
musicale e ai cantanti erano richieste anche notevoli doti recitative. Nel corso
del Settecento l'opera buffa si evolse da genere vicino alla farsa popolaresca a
commedia borghese-sentimentale nella produzione di Niccolò Vito Piccinni
(1728-1800), Giovanni Paisiello (1740-1816) e Domenico Cimarosa (1749-1801).
Accanto alla musica operistica anche la musica strumentale incontrò un
grande favore nel XVIII sec., in particolare proseguirono gli studi sulla musica
violinistica. Nella scuola veneziana si distinsero Tommaso Albinoni (1671-1750),
Benedetto Marcello (1686-1739), Francesco Antonio Bonporti (1672-1749) e Antonio
Vivaldi (1678-1742), a Firenze Francesco Maria Veracini (1659-1733) e Francesco
Geminiani (1680-1762), a Napoli Francesco Durante (1684-1755), Leonardo Leo
(1694-1744) e Alessandro Scarlatti. Giovanni Battista Sammartini (1700-1775) e
Giovanni Platti (1700-1763) posero le basi della sonata e della sinfonia
moderne, Giovanni Giuseppe Cambrini (1746-1825) e Luigi Boccherini (1743-1805)
si dedicarono particolarmente al quartetto per archi, mentre dalla forma
secentesca della sonata a tre con basso continuo si sviluppò il trio per
archi. Per quanto riguarda la musica per clavicembalo, si distinsero Domenico
Scarlatti (1685-1757), Baldassarre Galuppi (1706-1785) e Pier Domenico Paradisi
(1707-1791). Muzio Clementi, invece, si dedicò soprattutto ad
approfondire le possibilità tecniche ed espressive della musica
pianistica. ║
I secc. XIX e XX: per tutto l'Ottocento il
melodramma fu ancora il genere musicale più diffuso e apprezzato in
I. La musica strumentale, infatti, si indebolì sia sul piano
stilistico che su quello espressivo, raggiungendo risultati interessanti solo
con Luigi Cherubini (1760-1842) e Niccolò Paganini (1782-1840), e anche
la produzione strumentale degli operisti si dimostrò di scarso interesse.
Fu solo a partire dalla seconda metà del secolo che anche in
I.
filtrarono le istanze della tradizione musicale europea e in particolare
tedesca, dando quindi l'avvio a un processo di rinnovamento di cui si fecero
promotori Giovanni Sgambati (1841-1914) e Giuseppe Martucci (1856-1909), seguiti
da Franco Faccio (1840-1891), Luigi Mancinelli (1848-1921) e altri strenui
sostenitori dell'opera wagneriana. La svolta decisiva del melodramma
ottocentesco si compì, però, con le opere di Gioacchino Antonio
Rossini (1792-1868), Vincenzo Bellini (1801-1835), Gaetano Donizetti (1797-1848)
e Giuseppe Verdi (1813-1901), che portarono nel linguaggio melodrammatico
soluzioni espressive del tutto nuove. In particolare Verdi portò il
melodramma a inserirsi nel tessuto sociale, trasformando l'opera nello specchio
della coscienza morale e delle aspirazioni risorgimentali dell'
I. del
tempo. Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento si affermò la
scuola del melodramma verista rappresentata da Pietro Mascagni (1863-1945),
Ruggero Leoncavallo (1857-1919), Francesco Cilea (1866-1950), Umberto Giordano
(1867-1948) e Giacomo Puccini (1858-1894), espressione della nuova
I.
post-risorgimentale e piccolo-borghese nel gusto per la vocalità
spiegata, nelle strutture musicali e drammatiche elementari e nel tentativo di
affrontare contenuti nuovi con i mezzi del vecchio melodramma. A questa si
contrapposero Ildebrando Pizzetti (1880-1964), Ottorino Respighi (1879-1936),
Alfredo Casella (1883-1947) e Gian Francesco Malipiero (1882-1973), la
"generazione dell'Ottanta", che cercarono di allontanarsi dalla tradizione
melodrammatica ottocentesca, elaborando un teatro musicale aperto alle influenze
europee e rifacendosi contemporaneamente alla musica italiana rinascimentale e
barocca. La generazione dell'Ottanta fu attiva anche nel periodo tra le due
guerre, insieme ad altri compositori, quali Goffredo Petrassi (1904-2003), Luigi
Dallapiccola (1904-1975) e Giorgio Federico Ghedini (1892-1965), che si
formarono in quegli anni, nonostante il diffuso disinteresse del regime fascista
verso la musica. Dopo la seconda guerra mondiale in
I. si affermò
la musica di avanguardia nella quale di distinsero Luigi Nono (1924-1990), Franco
Evangelisti (1926-1980), Niccolò Castiglioni (1932-1996) e Sylvano Bussotti
(n. 1931). A Milano nel 1955 fu fondato da Luciano Berio (1925-2003) e Bruno
Maderna (1920-1973) il secondo studio di musica elettronica dopo quello di
Colonia.
Roma: il Colosseo
La vetta del Monte Bianco
Alto Adige: panorama della Val Passiria
La chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano (XV sec.)
Valle d'Aosta: il castello di Cly, sopra Chambave
Veduta di Amalfi
Cosenza: veduta dell'antico nucleo della città sul colle Pancrazio
Firenze: il ponte Vecchio sull'Arno