Italia

... trapaninfo.it Tweet

Dizionario A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z Encyclopedia

Italia Territorio Aspetto Fisico Popolazione Società Economia Clima

Italia














Geografia Italia - Indice

Italia

Italia.

Stato (301.338 kmq; 58.462.375 ab.) dell'Europa mediterranea. Confina a Ovest con la Francia, a Nord con la Svizzera e l'Austria, a Est con la Slovenia; nella parte peninsulare e insulare è limitata a Ovest dal Mar Ligure, dal Mare di Sardegna e dal Mar Tirreno, a Sud dal Mare di Sicilia e dal Mar Ionio, a Est dal Mare Adriatico. Capitale: Roma. Città principali: Milano, Napoli, Torino, Palermo, Firenze, Bologna, Genova. Ordinamento: Repubblica parlamentare. Moneta: fino al 31 dicembre 2001, lira italiana; dal 1° gennaio 2002, euro. Lingua ufficiale: italiano; esistono minoranze sarde, ladine, friulane, slovene (Friuli-Venezia Giulia), albanesi (Sicilia, Calabria, Molise, Abruzzo, Campania, Puglia, Basilicata), serbo-croate (Molise), greche (Salento, Aspromonte), catalane (Alghero); il francese è lingua ufficiale accanto all'italiano nella Valle d'Aosta e in alcune valli piemontesi (alta Valle di Susa, Val Chisone, Val Germanasca, Val Varaita, Val Corsaglia); il tedesco è lingua ufficiale accanto all'italiano in Alto Adige. Religione: cattolica; esistono minoranze di ortodossi, protestanti, testimoni di Geova, valdesi, mormoni, ebrei, musulmani. COSTITUZIONE E ORDINAMENTO Secondo la Costituzione repubblicana, promulgata il 27 dicembre 1947, ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948, "l'I. è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che l'esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione" (art. 1). Strumenti ed espressione di tale sovranità non sono soltanto la partecipazione alle elezioni e ai referendum, ma anche la possibilità di un'iniziativa legislativa (mediante presentazione di un progetto di legge redatto per articoli da parte di almeno 50.000 cittadini aventi diritto di voto), della presentazione di petizioni, e soprattutto l'esercizio dei diritti sanciti dalla Costituzione. Massimo oggetto costituzionale è lo Stato, i cui organi sono: il Parlamento, il presidente della Repubblica, il Governo. Il Parlamento è a struttura bicamerale e si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, i cui membri sono eletti per cinque anni, a suffragio universale e diretto. La Camera dei deputati è composta da 630 membri; sono elettori i cittadini che abbiamo compiuto il 18° anno d'età e sono eleggibili quelli che abbiano raggiunto il 25° anno d'età. Il Senato della Repubblica viene eletto su base regionale: ogni regione deve avere almeno sette senatori, ad eccezione di Valle d'Aosta, che ne ha soltanto uno, e Molise, che ne ha due. Sono elettori i cittadini che abbiano raggiunto il 25° anno d'età e sono eleggibili quelli che hanno compiuto il 40° anno d'età. Ai senatori elettivi, che sono 315, si aggiungono gli ex presidenti della Repubblica (salvo rinuncia) e i senatori a vita, nominati in numero non superiore a cinque dal presidente della Repubblica per i loro altissimi meriti in campo sociale, economico, scientifico, artistico o letterario. Il 29 settembre 1999, modificando l'art. 48 della Costituzione, è stato introdotto nell'ordinamento italiano il diritto di voto per gli Italiani residenti all'estero. La nuova "circoscrizione estero" è suddivisa in quattro ripartizioni (1. Europa, inclusi i territori asiatici della Federazione russa e della Turchia; 2. America del Sud; 3. America del Nord e del Centro; 4. Africa, Asia, Oceania, Antartide), ognuna delle quali elegge un deputato e un senatore, più altri in proporzione al numero di elettori; può candidarsi solo chi non risiede nella madrepatria. Prerogativa del Parlamento è la funzione legislativa, esercitata collettivamente dalle due Camere, ma spettano ad esso anche il controllo dell'attività del Governo mediante concessione o rimozione della fiducia, la deliberazione dello stato di guerra, l'approvazione dei bilanci, la ratifica di trattati internazionali e inoltre la promozione di inchieste su materia di pubblico interesse. Il Parlamento, in seduta comune dei suoi membri, elegge il presidente della Repubblica, a maggioranza di due terzi dell'assemblea (dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta). Può essere eletto presidente della Repubblica (ufficio incompatibile con qualsiasi altra carica) ogni cittadino italiano che abbia compiuto 50 anni di età. Il presidente della Repubblica rimane in carica sette anni ed è rieleggibile. Egli è il capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale; indice le elezioni delle nuove Camere, promulga le leggi e può chiedere, al riguardo, una successiva deliberazione (se le Camere approvano nuovamente la legge, questa però deve essere promulgata); ha il comando delle Forze Armate e presiede il Consiglio superiore della Magistratura. Nessun atto del presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti. Egli non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. Attribuzione del presidente della Repubblica è la nomina del Governo. Egli, infatti, nomina il presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri. Il Consiglio dei ministri rappresenta l'organo generale del Governo ed esplica la funzione esecutiva. Il presidente del Consiglio è responsabile della politica generale del Governo, promuove e coordina l'attività dei ministri mantenendo l'unità di indirizzo politico ed amministrativo; inoltre redige il programma di governo da sottoporre alle Camere per l'approvazione. Il potere giudiziario è esercitato dalla Magistratura, che costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere e amministra la giustizia in nome del popolo. Organo di controllo e di garanzia costituzionale di tutte le leggi è la Corte costituzionale, formata da 15 membri eletti ogni nove anni per un terzo dal Parlamento, per un terzo dalle supreme magistrature ordinarie e amministrative e per un terzo nominati dal presidente della Repubblica. La Corte costituzionale svolge la funzione di controllo di costituzionalità delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle regioni; giudica inoltre sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le regioni e tra le regioni. La Costituzione consta di 139 articoli e di XVIII disposizioni transitorie e finali. Gli articoli sono suddivisi in: Principi fondamentali (artt. 1-12) e in due parti che trattano dei Diritti e doveri dei cittadini (artt. 13-54) e dell'Ordinamento della Repubblica (artt. 55-139). Nei Principi fondamentali la Costituzione proclama: l'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, prescindendo da qualsiasi distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali; il diritto al lavoro; la libertà di confessione religiosa; stabilisce che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani e che i loro rapporti sono regolati dal nuovo Concordato stipulato nel febbraio 1984; che l'I. ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Nella parte relativa ai Diritti e doveri dei cittadini, la Costituzione proclama: l'inviolabilità della libertà personale e del domicilio; la segretezza della corrispondenza; la libertà di circolazione e di soggiorno in qualunque punto del territorio nazionale; il diritto alla riunione pacifica, all'associazione, alla professione della propria fede religiosa; la libertà di parola, di pensiero, di stampa; la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. Nell'ambito dei rapporti etico-sociali, la Costituzione afferma che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, ne agevola la formazione con misure economiche e altre provvidenze, protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività. Dichiarata la libertà dell'arte e della scienza e del loro insegnamento, concesso a enti e privati il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato, considera la scuola aperta a tutti, stabilisce l'obbligatorietà e la gratuità dell'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, e che i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. Per quanto riguarda i rapporti economici e politici, la Costituzione stabilisce il diritto del lavoratore a una retribuzione sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa, la parità di diritti della donna lavoratrice, le provvidenze e l'assistenza sociale a favore dei cittadini inabili al lavoro, la libertà di organizzazione sindacale e il diritto allo sciopero. La proprietà è pubblica o privata: la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti; essa può essere espropriata, salvo indennizzo, per motivi di interesse generale. Sancisce infine la libertà, la segretezza e l'uguaglianza del voto il cui esercizio è considerato dovere civico, e che tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Concludono il testo costituzionale le Disposizioni transitorie e finali che regolano e determinano alcune modalità di attuazione del dettato costituzionale e stabiliscono, fra l'altro, che: è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista; che i titoli nobiliari non sono riconosciuti, provvedendo alla soppressione della Consulta araldica; la XIII Disposizione, che stabiliva che i membri e i discendenti di casa Savoia non potessero essere elettori e ricoprire uffici pubblici, vietando ai discendenti maschi l'accesso e il soggiorno sul territorio nazionale, ha cessato i suoi effetti con legge costituzionale 23 ottobre 2002. Per quanto riguarda la divisione amministrativa, la Costituzione ha istituito, a fianco dei comuni e delle province, nuovi enti territoriali chiamati regioni. I comuni e le province sono enti dotati di autonomia nell'ambito dei principi fissati dalle leggi generali della Repubblica e sono retti da amministrazioni elettive che dispongono di un mandato quadriennale. Inoltre sono anche circoscrizioni di decentramento statale e regionale. Le regioni sono 20 e sono suddivise in regioni a statuto ordinario e a statuto speciale. La riforma Bassanini (1997-2000) e la legge costituzionale sul federalismo (che è andata a modificare l'art. 117 della Costituzione e che è stata approvata in via definitiva il 2 marzo 2001 e confermata con referendum il 7 ottobre 2001) hanno conferito nuove funzioni e poteri più ampi alle regioni. I loro presidenti, che hanno mandato quinquennale, sono a capo della Giunta e hanno facoltà di sciogliere il Consiglio. I Consigli regionali sono autorizzati a stilare il nuovo statuto regionale, decidendo autonomamente la forma di governo, il sistema elettorale, i principi di organizzazione e gestione amministrativa. In base alla nuova formulazione dell'art. 117 della Costituzione, allo Stato è riservata la competenza legislativa esclusiva su alcune materie (politica estera, immigrazione, difesa, moneta, leggi elettorali statali, provinciali, comunali, ordine pubblico e sicurezza, giustizia, norme generali sull'istruzione, previdenza, tutela dell'ambiente, rapporti con le confessioni religiose, determinazione dei livelli minimi dei servizi), mentre per tutte le restanti materie la competenza legislativa è stata demandata alle regioni, che godono inoltre di autonomia finanziaria di entrata e di spesa. Le regioni a statuto speciale (Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Valle d'Aosta, Sardegna, Sicilia) sottostanno a forme e condizioni di autonomia differenti, a causa di diversi fattori storici, politici, territoriali, linguistici. In base alla legge costituzionale del 25 ottobre 2000, anche in queste regioni il presidente viene eletto direttamente dai cittadini; per salvaguardare le minoranze linguistiche, nel Trentino-Alto Adige e nella Valle d'Aosta rimane in vigore il sistema elettorale proporzionale. Trapani Cartina politica dell'Italia
DIVISIONE AMMINISTRATIVA DELL'ITALIA
Regioni e province (ab. del capoluogo) Comuni Kmq Abitanti Densità
Piemonte Alessandria (91.590)Asti (73.734) Biella (46.062) Cuneo (54.817) Novara (102.817) Torino (900.600) Verbano-Cusio-Ossola (Verbania 30.818) Vercelli (44.692) Valle d'Aosta Aosta (34.610) Lombardia Bergamo (116.197) Brescia (191.100) Como (83.000) Cremona (71.313) Lecco (46.900) Lodi (42.748) Mantova (47.671) Milano (1.308.735) Monza e Brianza (Monza 121.900)
Pavia (71.064) Sondrio (21.887) Varese (82.800) Trentino-Alto Adige Bolzano (98.657) Trento (111.044) Veneto Belluno (35.859) Padova (210.985) Rovigo (51.081) Treviso (82.400) Venezia (269.780) Verona (259.380) Vicenza (114.232) Friuli-Venezia Giulia Gorizia (36.418) Pordenone (50.926) Trieste (206.058) Udine (96.678) Liguria Genova (620.316) Imperia (40.900) La Spezia (94.263) Savona (61.766) Emilia Romagna Bologna (373.743) Ferrara (132.471) Forlì (112.477)-Cesena (95.000) Modena (180.469) Parma (175.789) Piacenza (99.340) Ravenna (149.084) Reggio Emilia (157.388) Rimini (135.682) Toscana Arezzo (95.229) Firenze (366.900) Grosseto (76.330) Livorno (160.534) Lucca (82.422) Massa-Carrara (Massa 69.399) Pisa (87.737) Pistoia (85.947) Prato (183.823) Siena (54.147) Umbria Perugia (161.390) Terni (109.569) Marche Ancona (101.862) Ascoli Piceno (51.732) Fermo (37.090)
Macerata (42.684) Pesaro e Urbino (Pesaro 91.955) Lazio Frosinone (48.600) Latina (112.943) Rieti (47.050) Roma (2.547.677) Viterbo (60.254) Abruzzo Chieti (55.751) L'Aquila (71.989) Pescara (122.457) Teramo (52.785) Molise Campobasso (51.337) Isernia (21.608) Campania Avellino (56.928) Benevento (63.026) Caserta (79.432) Napoli (984.242) Salerno (134.820) Puglia Bari (326.915)
Barletta (93.081)-Andria (97.835)-Trani (53.485) Brindisi (90.439) Foggia (153.650) Lecce (92.688) Taranto (197.582) Basilicata Matera (59.407) Potenza (68.577) Calabria Catanzaro (94.612) Cosenza (70.185) Crotone (60.586) Reggio Calabria (184.369) Vibo Valentia (33.922) Sicilia Agrigento (59.111) Caltanissetta (60.519) Catania (304.144) Enna (28.312) Messina (246.323) Palermo (670.820) Ragusa (71.969) Siracusa (122.972) Trapani (70.872) Sardegna Cagliari (160.391) Carbonia (30.393)-Iglesias (27.871)
Medio Campidano (Salnuri 8.541 - Villacidro 14.603)
Nuoro (36.567) Ogliastra (Lanusei 5.760 - Tortolì 10.253)
Olbia (49.082)-Tempio (Tempio Pausania 14.033)
Oristano (32.936) Sassari (127.893) ITALIA (Roma)
1.206 190 118 82 250 88 315 77 86 74 74 1.546 244 206 *162 115 90 61 70 139
50 190 78 141 339 116 223 581 69 104 50 95 44 98 121 219 25 51 6 137 235 67 67 32 69 341 60 26 30 47 47 48 18 45 20 287 39 44 28 20 35 17 39 22 7 36 92 59 33 246 49 73 40
57 67 378 91 33 73 121 60 305 104 108 46 47 136 84 52 551 119 78 104 92 158 258
10 48 20 64 97 29 131 31 100 409 80 155 27 97 50 390 43 22 58 20 108 82 12 21 24 377 109 23
28
100 23
26
78 90 8.101
25.399 3.560 1.511 913 6.903 1.339 6.830 2.255 2.088 3.263 3.263 23.861 2.723 4.784 1.288 1.771 816 782 2.339 2.108
1.982 2.965 3.212 1.199 13.607 7.400 6.207 18.391 3.678 2.141 1.789 2.477 2.463 3.121 2.722 7.855 466 2.273 212 4.894 5.421 1.838 1.156 882 1.545 22.124 3.702 2.632 2.377 2.689 3.449 2.589 1.859 2.293 534 22.997 3.232 3.514 4.504 1.218 1.773 1.157 2.448 965 365 3.821 8.456 6.334 2.122 9.694 1.940 2.087 784
2.774 2.893 17.207 3.244 2.250 2.749 5.352 3.612 10.798 2.588 5.035 1.225 1.950 4.438 2.909 1.529 13.595 2.792 2.071 2.639 1.171 4.922 19.362
1.538 5.138 1.839 7.189 2.759 2.437 9.992 3.447 6.545 15.080 2.391 6.650 1.717 3.183 1.139 25.707 3.042 2.128 3.552 2.562 3.248 4.992 1.614 2.109 2.460 24.090 6.895 1.495
1.516
7.044 1.854
3.397
2.631 7.520 301.338
4.166.442 414.384 207.671 187.041 554.992 344.010 2.122.704 158.999 176.641 119.356 119.356 8.922.463 968.723 1.106.373 537.046 334.087 311.122 195.474 375.159 766.941
3.614.108 489.751 176.565 814.055 937.107 460.665 476.442 4.490.586 209.033 845.203 240.102 793.209 800.370 814.295 788.374 1.180.375 136.183 285.409 240.549 518.234 1.560.748 870.553 204.233 215.137 270.825 3.960.549 910.592 342.704 356.327 628.180 384.989 263.309 350.879 453.039 270.530 3.460.835 323.011 927.835 209.295 316.757 364.113 197.411 381.119 268.180 225.672 247.442 815.588 597.470 218.118 1.463.868 447.613 365.216 171.745
301.302 349.373 4.976.184 477.950 489.599 144.597 3.578.784 285.254 1.244.226 379.471 289.853 292.355 282.547 316.548 227.090 89.458 5.652.492 428.314 286.040 853.009 3.009.678 1.075.451 3.983.487
384.293 1.541.314 403.923 677.515 785.969 574.766 595.727 203.063 392.664 1.993.274 367.592 727.267 162.058 563.405 171.952 4.866.202 441.669 272.402 1.040.547 177.291 641.753 1.198.644 292.000 391.515 410.381 1.599.511 749.393 131.890
105.400
260.345 58.389
146.339
149.620 440.153 58.751.711
164 116 137 205 80 257 311 71 85 37 37 374 356 231 417 189 381 250 160 2.108
1.823 165 55 679 69 62 77 244 57 395 134 320 325 261 290 150 292 126 1.135 106 288 474 177 244 175 179 246 130 150 234 112 102 189 198 507 150 100 264 46 260 205 171 156 278 618 65 96 94 103 151 231 175 219
109 121 289 147 218 53 669 79 115 147 58 239 145 71 78 59 416 153 138 323 2.570 218 206
250 300 220 94 285 236 60 59 60 132 154 109 95 177 151 189 145 128 293 69 198 240 181 186 167 66 109 88
69
37 31
43
57 59 187
*Tra i quali Campione d'Italia (2,6 kmq) in territorio elvetico
GEOGRAFIA Morfologia: caratteristica dominante del territorio italiano è la grande varietà di paesaggi su uno spazio relativamente ristretto. Il fattore principale di tale varietà è il rilievo, costituitosi attraverso diverse vicende geologiche. Terra di origine recente, l'I. si è formata nel corso di oltre mezzo miliardo di anni. Le prime emersioni si ebbero con l'orogenesi caledoniana, durante la quale ebbe origine un arcipelago al posto dell'attuale Sardegna. Durante gli ultimi due periodi dell'era paleozoica si plasmarono i massicci del Gran Paradiso, del Monte Bianco e del San Gottardo, mentre emergeva dal Mar Tirreno un esteso arcipelago, formando vari rilievi. Nell'era mesozoica non si verificarono sensibili modificazioni dell'assetto venutosi a creare precedentemente, mentre verso la fine dell'era cretacea, in seguito al corrugamento alpino-himalayano, si verificò il sollevamento delle Alpi e degli Appennini, accompagnato da una vasta sedimentazione terrigena in bacini litorali e lagunari. Alla fine del Cenozoico gran parte dell'I. era emersa. Durante il Neozoico (o era quaternaria) imponenti fenomeni eruttivi, il modellamento dei ghiacciai e, più tardi, quello delle acque dilavanti, completarono la fisionomia del Paese, mentre abbondanti depositi alluvionali formarono le varie pianure. La costituzione dell'attuale profilo costiero venne determinata anche da numerosi e intensi fenomeni di bradisismo, che si prolungarono nel periodo post-glaciale continuando, anche se più lentamente, il processo di formazione del Paese. Come tutti i territori geologicamente recenti, anche quello italiano è soggetto a processi di assestamento le cui principali manifestazioni sono costituite appunto dai terremoti e, in misura minore, dal vulcanismo. Particolarmente interessate all'attività sismica sono sia l'I. nord-orientale (Friuli-Venezia Giulia), sia l'I. centrale e meridionale (Marche, Umbria, Campania, Molise, Basilicata, Calabria, Sicilia). Per quanto concerne l'attività vulcanica, la sua manifestazione più imponente è rappresentata dall'Etna, che è il maggior vulcano attivo d'Europa. Altri vulcani attivi sono Stromboli e Vulcano, nelle Isole Eolie; il Vesuvio, sovrastante Napoli, che, pur essendo in fase di quiescenza dopo l'ultima eruzione del 1944, è l'unico vulcano attivo dell'Europa continentale. I rischi maggiori per il territorio italiano derivano però dalle sue formazioni rocciose, facilmente soggette a dissesti idrogeologici (frane, smottamenti). ║ Orografia: l'I. è un Paese costituito per l'80% da colline e montagne, e solo per il 20% da pianure. Se si eccettua la pianura padano-veneta, unica grande estensione pianeggiante, non esistono che modeste piane di origine vulcanica (pianura attorno a Napoli) o piane alluvionali costiere, che, in origine acquitrinose e malariche, sono state rese abitabili grazie a opere di bonifica e a profondi interventi di sistemazione idraulica: in Toscana il Valdarno inferiore e la Maremma; nel Lazio l'Agro Romano e l'Agro Pontino; in Campania la pianura campana e la piana del Sele; il Puglia il Tavoliere (la più vasta pianura italiana dopo quella padana); in Basilicata la piana di Metaponto; in Sicilia la piana di Catania; in Sardegna il Campidano. Il territorio italiano può essere suddiviso in quattro regioni fisiche: 1) la regione alpina, che costituisce il confine fra il Paese e l'Europa; 2) la regione padana, che rappresenta l'area di maggiore addensamento della popolazione e delle attività economiche; 3) la regione appenninica o peninsulare, che comprende il sistema appenninico, i rilievi periferici e alcune pianure; 4) la regione insulare, che include la Sicilia, la Sardegna e le isole minori. Il sistema alpino, lungo circa 1.000 km, è tagliato in più punti da valichi facilmente transitabili; comprende a Occidente i più alti gruppi montuosi, con cime permanentemente innevate (Monte Bianco 4.810 m, Monte Rosa 4.609 m, Cervino 4.478 m), nel settore centrale e orientale si dirama in più catene quasi parallele, che si allargano verso Nord-Est e verso Sud-Est, formando una massa montuosa di notevole ampiezza, ma degradando lentamente verso Est. Le Alpi vengono ripartite in: Alpi Occidentali (Liguri, Marittime, Cozie, Graie), Alpi Centrali (Pennine, Lepontine, Retiche), Alpi Orientali (Dolomitiche, Carniche, Giulie). Esaminate nel senso trasversale, le Alpi presentano una sezione esterna (versanti francese, svizzero, austriaco e slavo) costituita da rocce prevalentemente calcaree e dolomitiche dell'era secondaria; una sezione mediana costituita da rocce intrusive (graniti), metamorfiche e sedimentarie antiche; una sezione interna anch'essa formata da rocce calcaree e dolomitiche presente solamente a Est del Lago di Como (Prealpi Lombarde e Venete). A contatto con le Alpi troviamo una serie di colline subalpine, formatesi in era quaternaria, che separano il tratto alpino dalla pianura padana. La pianura padano-veneta, limitata a Nord dalle Alpi e a Sud dagli Appennini, è la più vasta d'I. con i suoi 46.000 kmq di estensione. Ampia depressione formata dai materiali detritici trasportati a valle da numerosi corsi d'acqua, è solcata dal fiume Po (da cui trae nome) e da numerosi suoi affluenti, oltre che da altri importanti corsi d'acqua (Adige, Piave, Reno). La fertilità dei suoli alluvionali, le opere di irrigazione e quelle di bonifica hanno permesso alla pianura padana di ospitare l'agricoltura più ricca e più moderna d'I. A Sud della pianura padana si sviluppa il sistema appenninico, che si estende per circa 1.200 km dal Colle di Cadibona allo stretto di Messina da Nord-Ovest a Sud-Est. Gli Appennini sono formati da una serie di catene che si distinguono da quelle alpine per la minore altezza. L'Appennino ligure, più ripido di quello adriatico, è formato in prevalenza da arenarie e calcari, e, pur non essendo molto elevato, si presenta tuttavia compatto per l'assenza di valli trasversali. Esso separa radicalmente la pianura padana dalla riviera ligure. L'Appennino tosco-emiliano, costituito soprattutto da scisti marmosi e argille, ha cime più elevate. I valichi sono frequenti e relativamente agevoli. Più imponente è l'Appennino Centrale con il Gran Sasso d'I. (Corno Grande, 2.912 m) e la Maiella (2.795 m). I massicci abruzzesi, per lo più formati da calcari, costituiscono la sezione più elevata della catena e la più aspra dell'I. centrale. L'Appennino Meridionale è il più eterogeneo per struttura geologica e forma. A massicci calcarei che toccano i 2.000 m si alternano rilievi più modesti, formati da terreni terziari e da argille scagliose. Tali contrasti, dovuti a profonde dislocazioni e a un'intensa azione superficiale, fanno di questa parte dell'I. una delle contrade più aspre della penisola. L'I. meridionale è anche una delle zone più instabili, toccata sovente da scosse sismiche, talora gravi. Al sistema principale si accompagnano l'Antiappennino Tirrenico (Alpi Apuane, Monti Pisani, Colline del Chianti, Pratomagno, Colline Metallifere, Monte Amiata, Colli vulcanici laziali, Lepini e Aurunci, Campi Flegrei e Vesuvio) e l'Antiappennino Adriatico (Gargano, Monte Calvo, Murge), formati da rilievi diversi per origine e per natura geologica. La regione insulare presenta una notevole individualità orografica nelle grandi isole. In Sicilia sono considerati una prosecuzione degli Appennini i rilievi situati nella zona settentrionale (Monti Peloritani, Nebrodi, Madonie), nei quali spicca il grande cono vulcanico dell'Etna (3.269 m). Sono invece estranei al sistema montuoso appenninico i rilievi della Sicilia centrale e meridionale (Monti Erei, Monti Iblei), così come quelli della Sardegna, dove si susseguono altipiani e massicci di origine antichissima, risalenti a circa 300 milioni di anni fa e formati quasi essenzialmente da rocce granitiche e metamorfiche, che rappresentano i resti di un'orografia scomparsa, tra cui spiccano i rilievi dell'Iglesiente e, soprattutto, il massiccio del Gennargentu, in cui si tocca la massima elevazione dell'isola (1.824 m). ║ Mari, coste e isole: lo sviluppo costiero italiano è di circa 7.500 km, dei quali oltre la metà spetta alla penisola. Il Mar Mediterraneo è articolato in vari bacini: a Ovest, Liguria e Toscana sono bagnate dal Mar Ligure che, a Sud dell'Arcipelago Toscano, sfuma nel Tirreno. Il litorale occidentale della Sardegna si affaccia sul Mare di Sardegna, mentre quello meridionale della Sicilia è lambito dal canale di Sicilia. A Est di Calabria e Sicilia si estende lo Ionio, mentre a Nord del canale di Otranto si dispiega il Mare Adriatico. Le profondità maggiori si raggiungono nello Ionio (5.000 m) e nel Tirreno (quasi 4.000 m), mentre l'Adriatico non oltrepassa i 200 m fino al promontorio del Gargano, arrivando a toccare i 1.200 m di profondità solo nel tratto meridionale. Le coste italiane presentano una morfologia assai varia. Un dato generale che riguarda la maggior parte dei litorali d'I. è il progressivo innalzamento del livello marino, ad eccezione del delta del Po e della costa adriatica che orla la pianura padana. Le coste rocciose e frastagliate sono tipiche delle zone in cui i rilievi arrivano in prossimità del mare, con dorsali perpendicolari alla linea di costa; in tal caso sono frequenti insenature e porti naturali, con spiagge interposte piccole e ghiaiose. Questo genere di coste è caratteristico della riviera ligure, della Sicilia nord-orientale e di gran parte della Calabria. Coste alte ma rettilinee, che costituiscono l'orlatura di altipiani a strapiombo sul mare, si trovano invece nelle Marche, nell'Abruzzo e in alcuni tratti della Sardegna. Un tipo particolare di costa rocciosa della Sardegna, detta costa a rías, si ha invece in Gallura: il litorale è intagliato da strette e profonde insenature che originariamente erano valli fluviali in seguito sommerse dal mare. Sull'Adriatico, in parte dell'Emilia-Romagna e in Puglia, e sul Tirreno, in Toscana e nel Lazio, le coste sono basse e sabbiose. I litorali toscani e laziali presentano inoltre per lunghi tratti cordoni sabbiosi che delimitano al loro interno paludi, acquitrini, laghi costieri, oggi quasi completamente prosciugati. Talvolta i detriti trasportati a valle da fiumi hanno finito, nel corso dei millenni, per congiungere alla terraferma alcune isole vicine, formando promontori, come nei casi dell'Argentario e del Circeo. La zona nord-occidentale dell'Adriatico è infine caratterizzata da coste basse e lagunose, la più estesa delle quali è la laguna di Venezia. Anticamente l'intero litorale dell'alto Adriatico, da Trieste fino a Ravenna, era costellato da lagune, acquitrini, paludi e anche Ravenna era una città lagunare. La maggior parte di queste lagune si sono interrate naturalmente, a causa del costante apporto detritico dei fiumi; sono stati invece appositamente prosciugati ampi tratti del delta del Po, destinati alla coltivazione. Oltre alle due isole principali, Sicilia e Sardegna, all'I. appartengono vari gruppi insulari: l'Arcipelago toscano, che include l'Isola d'Elba, la terza per superficie; le Isole Pontine, Ischia, Capri, Procida, situate di fronte alla Campania; le Eolie, Ustica, le Egadi, a Nord e a Ovest della Sicilia; le isole dell'arcipelago della Maddalena e Asinara, tra Corsica e Sardegna, Sant'Antioco e San Pietro a Sud-Ovest della Sardegna; Pantelleria e le Pelagie (Lampedusa, Linosa), a Sud della Sicilia; l'arcipelago delle Tremiti, a Nord del Gargano. ║ Idrografia: a causa della sua struttura morfologica, l'I. presenta un'idrografia frazionata in bacini fluviali di modesta estensione. Con la sola eccezione del Po, che scorre nella zona settentrionale del Paese, tutti gli altri fiumi sono caratterizzati da brevità di corso, scarsità di acque e modestia dei bacini. Esistono comunque notevoli differenze tra i fiumi dell'I. settentrionale e quelli dell'I. centrale e meridionale. I principali fiumi dell'I. del Nord hanno origine dalle Alpi; il loro regime è abbastanza stabile nell'arco dell'anno, con portate piuttosto abbondanti in autunno e primavera, a causa delle copiose piogge, e in estate, per lo scioglimento dei ghiacciai e delle nevi, e con una lunga magra invernale dovuta al gelo. I fiumi del resto d'I. discendono dagli Appennini, privi di ghiacciai, e sono caratterizzati da corso breve, bacino limitato e regime di tipo torrentizio; la loro portata è molto irregolare, in quanto dipende unicamente dalle precipitazioni. Tali fiumi alternano dunque periodi di piena, che sovente sono causa di rovinose inondazioni nel periodo delle piogge (autunno, primavera), a periodi di magra estiva assai accentuata, che può giungere al completo prosciugamento degli alvei fluviali. I corsi d'acqua di Sicilia e Sardegna presentano caratteristiche simili ai fiumi appenninici, di cui accentuano i caratteri. Tipiche della Calabria sono le cosiddette "fiumare", contraddistinte da forte pendenza e da letto largo e ciottoloso, soggetto a improvvise piene in occasione di precipitazioni e a totale mancanza d'acqua per il resto dell'anno. Come tutti i corsi d'acqua del Mediterraneo, i fiumi italiani sfociano a delta. Tra i fiumi alpini, la maggior parte dei quali (con l'eccezione di alcuni brevi corsi d'acqua liguri) si gettano nell'Adriatico, il più importante per lunghezza (652 km), portata media ed estensione del bacino idrografico è il Po. Esso discende dal Monviso, nelle Alpi Cozie, e attraversa l'intera pianura padana, ricevendo numerosi affluenti alpini (fra cui Dora Riparia e Baltea, Sesia, Tanaro, Ticino, Adda, Oglio e Mincio), caratterizzati da portate maggiori e più regolari, e altrettanti affluenti appenninici (Scrivia, Trebbia, Taro, Secchia, Panaro), che hanno invece un regime irregolare e, generalmente, portate minori. Il delta del Po ha inizio a 100 km dal mare e vi arriva con cinque rami. Dalle Alpi Orientali hanno origine l'Adige, secondo fiume d'I. per lunghezza (410 km), che sfocia a poca distanza dal Po di cui un tempo era un affluente, il Brenta, il Piave, il Tagliamento e l'Isonzo, che scorre anche in Slovenia. I fiumi appenninici si gettano in parte nell'Adriatico e in parte nel Tirreno. I tributari dell'Adriatico (tra i principali figurano il Reno, l'Aterno-Pescara e l'Ofanto che scorrono rispettivamente in Emilia-Romagna, Abruzzo e Puglia) sono piuttosto numerosi, ma, essendo la linea di spartiacque molto prossima al mare, hanno un corso particolarmente breve. I fiumi del versante tirrenico presentano uno sviluppo più complesso a causa della maggiore distanza della catena appenninica dalla costa. Di questi i principali sono il Tevere, terzo fiume italiano per lunghezza (406 km) e secondo per superficie di bacino idrico, che scorre in Umbria e nel Lazio, l'Arno (245 km), il Volturno e il Garigliano. Tributari del Mare Ionio sono i corsi d'acqua brevi e tipicamente torrentizi della Basilicata e della Calabria, quali il Bradano e il Basento, che sfociano a breve distanza l'uno dall'altro nel golfo di Taranto. Tra i corsi d'acqua delle isole il più importante è il Tirso, che attraversa gran parte della Sardegna. I fiumi italiani sono utilizzati come fonte di energia idrica, mentre non hanno alcun valore per la navigazione, eccettuati il Po e il basso corso dell'Adige. L'I. è ricca di laghi molto diversi fra loro. Dei numerosi laghi alpini, che generalmente occupano piccole conche tra le rocce, scavate dai ghiacciai, si citano quelli di Braies e di Carezza, entrambi nel Trentino-Alto Adige. Il principale distretto lacustre è però compreso nella zona prealpina, fra il Piemonte e il Veneto, dove si trovano i tre laghi italiani più estesi: il Lago di Garda (o Benaco), il più grande lago italiano (370 kmq), il Lago Maggiore (o Verbano) e il Lago di Como (o Lario), il più profondo d'Europa (410 m). Questi e altri laghi prealpini (tra cui il Lago di Lugano, il Lago d'Orta, il Lago d'Iseo o Sebino) sono situati nella parte terminale dei bacini vallivi che si aprono verso la pianura padana. La loro forma allungata e stretta, nonché la loro relativa profondità, derivano dalla loro origine morenica. Questi laghi assolvono un'importante funzione climatica mitigando i rigori dell'inverno padano e rendendo possibili, nei territori circostanti, le colture mediterranee. Gli altri laghi italiani si trovano nella fascia peninsulare. Numerosi sono quelli di origine vulcanica, che occupano antichi crateri di vulcani spenti, presentano una caratteristica forma circolare e sono spesso notevolmente profondi. Quasi tutti i laghi vulcanici sono situati nel Lazio: i principali sono il Lago di Bolsena (114,5 kmq), quinto in I. per superficie, il Lago di Bracciano, il Lago di Vico e il Lago d'Albano. Origine diversa ha il Lago Trasimeno (128 kmq), quarto lago italiano, che si trova in Umbria: esso occupa una vasta conca originariamente percorsa da acque fluviali libere, che vi sono poi rimaste arginate per un naturale processo di sbarramento dovuto alla sedimentazione dei depositi alluvionali degli stessi fiumi. Tra i più estesi laghi italiani va menzionato anche il Lago di Varano in Puglia (60,5 kmq): si tratta di un tipico lago costiero, che ha avuto cioè origine nei pressi della costa a causa del progressivo accumulo di cordoni sabbiosi che separano gli specchi d'acqua dal mare aperto. Vi sono infine laghi di frana, come il Lago di Alleghe nelle Dolomiti, e laghi carsici, come il Lago di Pergusa in Sicilia. Nelle Alpi e negli Appennini, oltre a numerosi piccoli laghi naturali, se ne trovano molti altri artificiali, creati per l'irrigazione e la produzione di energia idroelettrica. ║ Clima: compresa nella zona temperata, protetta a Nord dalle Alpi e interessata dagli effetti mitigatori del mare, l'I. ha un clima prevalentemente temperato. In generale gli inverni possono essere freddi, ma senza eccessivi rigori, e le estati calde, ma non torride; le precipitazioni, in media, non sono particolarmente abbondanti. Tuttavia data la presenza massiccia sul territorio italiano di montagne e colline, un importante fattore climatico è rappresentato dall'altimetria. Le temperature aumentano inoltre con regolarità da Nord a Sud, parallelamente a un progressivo accentuarsi dei caratteri propriamente mediterranei (aridità, mitezza del clima) e alla diminuzione delle escursioni termiche annue. Si va quindi dal clima temperato freddo della zona alpina più a Nord a quello di tipo subtropicale delle coste più a Sud, con vari passaggi intermedi. Convenzionalmente si possono distinguere quattro principali regioni climatiche: alpina, padano-veneta, appenninica e, infine, litoranea e delle isole. Il clima alpino si ritrova al di sopra dei 1.000-1.500 m di quota, interessando però anche la fascia prealpina è caratterizzato da inverni lunghi e freddi, con temperature medie al di sotto di 0 °C (le zone più fredde sono quelle delle Alpi Orientali) e frequenti precipitazioni nevose; le escursioni sia annue sia diurne sono notevoli. Le estati sono brevi e fresche, con temperature medie sui 15 °C e precipitazioni abbondanti (1.000-3.000 mm annui), soprattutto in autunno e primavera, aumentando da Ovest verso Est. Il clima padano-veneto si riscontra, oltre che nella pianura padana, nelle zone collinari circostanti (Brianza, Langhe, Monferrato, ecc.). Presenta caratteri più marcati di semicontinentalità, con inverni freddi (di poco superiori, in media, agli 0 °C), umidi e nebbiosi ed estati calde (con temperature superiori a 20 °C), sovente afose nelle pianure, ma ben ventilate nelle zone collinari; mediocri sono le escursioni diurne, ma notevoli quelle annue. Le precipitazioni sono relativamente abbondanti (800-1.000 mm annui) e sono distribuite nell'arco dell'anno, con un'accentuazione in autunno e primavera. Le aree circostanti i grandi laghi prealpini godono di un clima più mite, quasi mediterraneo, a causa dell'influsso esercitato dalle masse d'acqua dei bacini lacustri (in questo caso si parla di clima insubrico). Il clima appenninico è tipico degli Appennini, degli altipiani e delle conche interposte. Presenta caratteri di continentalità che si accentuano verso l'interno, con notevoli differenze tra estati calde e inverni freddi. Le precipitazioni risultano abbondanti sul versante tirrenico, raggiunto dalle masse d'aria umide provenienti dall'Atlantico, mentre nelle zone più elevate e interne (soprattutto di Abruzzo e Molise) sono frequenti e copiose le precipitazioni nevose. Il clima cosiddetto litoraneo ha rilevanti differenze. Sull'Adriatico, meno ampio e profondo del Tirreno e che esercita quindi una minore azione mitigatrice, a parità di latitudine gli inverni sono più rigidi e le estati più calde e afose; le precipitazioni sono inoltre più scarse di quelle che si verificano sul versante tirrenico e ligure. Sull'Adriatico settentrionale, dove la catena delle Alpi, ormai relativamente bassa, offre scarsa protezione contro la massa d'aria fredda, d'inverno giungono con facilità i venti di Nord-Est, tra cui la bora di Trieste, le cui raffiche possono raggiungere i 150 km/h. Di contro, sull'Adriatico meridionale si accentuano la siccità (le precipitazioni sono anche inferiori a 500 mm annui) e le temperature estive che possono superare anche i 40 °C. In Calabria e nelle isole maggiori (Sicilia, Sardegna) sono assai evidenti i caratteri di mediterraneità: gli inverni sono tiepidi e piovosi nelle zone litoranee (ma spesso freddi nell'interno montuoso) e le estati sono calde e caratterizzate da prolungata siccità. ║ Flora, fauna e parchi nazionali: i profondi interventi dell'uomo sull'ambiente hanno determinato notevoli modificazioni sulla flora e la fauna del territorio italiano: gran parte dei boschi che un tempo ricoprivano quasi tutto il Paese sono stati abbattuti per far posto a coltivazioni, a costruzioni di uso abitativo e industriale, a strade e ferrovie. In I. si possono individuare quattro principali ambienti naturali: alpino, padano-veneto, appenninico, mediterraneo. Nella zona alpina prevalgono le latifoglie (boschi di castagni, faggi, querce, noccioli, betulle) fino a 1.000 m di altitudine, mentre nella fascia compresa tra 1.000 e 2.000 m si trovano foreste di conifere (pini, abeti, larici). Ad altitudini superiori si stendono arbusteti, con mughi striscianti, rododendri, ginepri, ecc., e le praterie ricche di fiori alpini (stelle alpine, genziane, ecc.). Il piano vegetale più elevato corrisponde all'area dei muschi e dei licheni, mentre al di sopra dei 3.000 m di quota hanno inizio le nevi perenni. La fauna è costituita da cervi, caprioli, stambecchi, daini, marmotte, martore, ricci, ermellini, donnole; nelle Alpi Orientali vivono anche gli orsi bruni. Vi sono inoltre numerose specie di uccelli, tra cui aquile reali, falchi, poiane, gufi reali, galli cedroni. A tutela dell'ambiente alpino sono stati istituiti il Parco nazionale del Gran Paradiso, che si estende tra Piemonte e Valle d'Aosta, quello dello Stelvio, condiviso tra Lombardia e Trentino-Alto Adige che ospita, oltre a quelle precedentemente citate, numerose altre specie di uccelli (gracchio corallino, corvo imperiale, cornacchia, picchio, sparviere, gipeto), quello della Val Grande, in Piemonte, e quello delle Dolomiti bellunesi, in Veneto. L'ambiente padano-veneto si suddivide in alta e bassa pianura padana. Nell'alta pianura padana si distinguono: le brughiere del Piemonte e della Lombardia, caratterizzate da boschetti di betulle e robinie e da una vegetazione a brugo, aquilegie, ginestre, eliantemi; l'alta pianura del Friuli, dove si trovano pioppi, salici, ginepri, pruni, eliantemi, centauree; i magredi friulani, ricchi di Stipa pennata, giunco nero, pioppi, querce, Linum flavum e alcuni salici. La bassa padana comprende alcune zone a boschi di pioppi bianchi e neri, di salici bianchi, di robinie e, più raramente, di carpini, ontani e farnie. È inoltre presente una vegetazione palustre e acquatica che si riscontra nei pressi di marcite (trifoglio, avena, loglio), fontanili (muschi d'acqua, alghe verdi, ranuncoli d'acqua, nasturzi, ecc.) e delle rive dei maggiori laghi. Profondamente trasformato dall'uomo, l'ambiente padano-veneto in passato era caratterizzato dall'alternanza tra colture, siepi e filari alberati dove vivevano uccelli, rettili e insetti, che instauravano relazioni complesse con gli animali delle aree agricole. Il paesaggio padano ospitava dunque agroecosistemi, cioè ecosistemi connessi all'uso agricolo del suolo, ricchi e diversificati sia a livello paesaggistico, sia a livello ecologico. Gli attuali orientamenti europei incentivano la reintroduzione delle siepi, funzionali per la protezione dal vento, dall'erosione e quale ambiente vitale per animali e piante. Nell'ambiente appenninico la vegetazione, stratificata in base all'altimetria, comprende querce, castagni, faggi, betulle, ginepri; nelle zone più elevate si trovano pini montani e talvolta anche specie alpine. Sul massiccio del Pollino e alle quote più alte dell'Appennino meridionale, in particolare in Basilicata e Calabria, cresce il pino loricato. Il Parco nazionale d'Abruzzo, il cui simbolo è l'orso marsicano (la Marsica è una subregione dell'Abruzzo occidentale) che ivi vive, ospita lupi, caprioli, daini, cinghiali, volpi, gatti selvatici, tassi, scoiattoli, martore, ecc. e, tra gli uccelli, diverse specie di rapaci. Anche il Parco nazionale della Calabria, originariamente nato a tutela dei boschi della Sila, tra i più estesi degli Appennini, è un'area di protezione faunistica dove vivono, tra gli altri, il cinghiale, il gatto selvatico, la lontra e il raro lupo appenninico. L'ambiente mediterraneo, tipico della fascia costiera della penisola, è caratterizzato dalla presenza massiccia della macchia, estesa su gran parte del litorale italiano e costituita dalla compresenza di alberi, di alti arbusti (macchia alta) o di cespuglieti (macchia bassa); vi crescono querce da sughero, frassini, lecci, pini (domestici e marittimi), olivi, carrubi (nel Sud), cipressi (in Toscana), ginepri, corbezzoli, roveri, lentischi, ginestre, rosmarini, timi, allori, lavande (in Liguria), ecc. In prossimità dei litorali sono sopravvissute alcune zone anfibie, protette, rifugio naturale di fenicotteri e altri uccelli acquatici. Tra le più importanti si citano l'oasi faunistica della laguna di Orbetello (Toscana) e, soprattutto, il Parco nazionale del Circeo (Lazio), istituito con decreto nel 1934 a salvaguardia di un esteso sistema di zone umide praticamente disabitate e asilo di una flora e di una fauna ricche e rare. Per quanto riguarda le grandi isole, desta preminente interesse l'ambiente della Sardegna che ha sviluppato caratteristiche peculiari a causa della sua particolare storia geologica e del lunghissimo isolamento. Straordinariamente ricca di specie vegetali, l'isola è caratterizzata dalla notevole estensione della macchia mediterranea e dalla presenza di mufloni, foche monache, passere sarde, anseriformi, gruiformi, fenicotteri e rapaci (avvoltoi, grifoni e aquile, rari sul continente); sono invece del tutto inesistenti esemplari di vipere, tassi, orsi, lupi, mentre altri animali, tra cui le volpi e i daini, presentano caratteristiche diverse dalle specie continentali. L'I. è del tutto priva di artropodi dal veleno mortale. Rappresenta inoltre un'importante via migratoria per diverse specie di uccelli che sono di passo sulle coste tirreniche e adriatiche o sulla pianura padana. Interessante è pure la fauna marina italiana, molto ricca presso il golfo di Napoli, con forme abissali presso lo stretto di Messina e il Mare Ligure. Abbondanti sono le sardine e le acciughe delle coste liguri, i tonni della Sardegna e della Sicilia, il pesce spada dello stretto di Messina. La fauna marina è completata anche da cernie, dentici, orate, sogliole, cefali, naselli. Nel Mediterraneo vivono numerose famiglie di cetacei (balenottera comune, balenottera rostrata, delfino, orca, globicefalo, capodoglio), e una sola specie di pinnipedi, la foca monaca, presente esclusivamente in qualche punto della costa sarda e delle Isole Egadi. Le acque dolci sono popolate da circa sessanta diverse specie, molte di stabile dimora (agoni, coregoni lacustri, trote di torrente e di lago, luccio, carpa, tinca) e altre migratici, che per riprodursi risalgono i fiumi (storioni) o trascorrono una parte della loro vita in mare (anguille). ║ Aree protette: tra le aree protette presenti in I. (definite con la L. 394/91), figurano parchi nazionali, parchi regionali e interregionali, riserve naturali e zone umide. I parchi nazionali storici italiani, istituiti tra il 1922 e il 1968, sono il Parco nazionale del Gran Paradiso, il Parco nazionale d'Abruzzo, il Parco nazionale del Circeo, il Parco nazionale dello Stelvio e il Parco nazionale della Calabria, a cui, a partire dal 1998 (LL. 67/88, 305/89, 394/91), si sono aggiunti il Parco nazionale dei Monti Sibillini (ripartito tra Marche e Umbria), il Parco nazionale del Pollino (esteso tra Basilicata e Calabria), il Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi (Veneto), il Parco nazionale dell'Arcipelago toscano, il Parco nazionale delle Foreste casentinesi (Emilia-Romagna), il Parco nazionale dell'Aspromonte (Calabria), il Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano (Campania), il Parco nazionale del Gargano (Puglia), il Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga (ripartito tra Abruzzo, Lazio e Marche), il Parco nazionale della Maiella (Abruzzo), il Parco nazionale della Val Grande (Piemonte), il Parco nazionale del Vesuvio (Campania), il Parco nazionale della Maddalena (Sardegna), il Parco nazionale dell'Asinara (Sardegna), il Parco nazionale delle Cinque Terre (Liguria). Con il decentramento delle competenze in materia di aree protette (D.P.R. 616/77), anche regioni e province hanno potuto creare proprie aree naturali locali, tra cui si citano il Parco delle Dolomiti friulane, nel Friuli-Venezia Giulia; i Parchi della Lessina e dei Colli Euganei, in Veneto; il Parco dell'Adamello-Brenta e dello Sciliar, in Trentino-Alto Adige; il Parco della Valle del Ticino, il Parco delle Groane, il Parco dell'Adda Sud, in Lombardia; i Parchi del Ticino e dell'Alpe Veglia, in Piemonte; il Parco di Portofino, in Liguria; il Parco della Maremma, il Parco delle Alpi Apuane, il Parco di Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli, in Toscana; il Parco dei Gessi bolognesi, in Emilia-Romagna; il Parco del Monte Conero, nelle Marche; il Parco del Monte Subasio, in Umbria; il Parco delle Piccole Dolomiti lucane, in Basilicata; il Parco dell'Etna e il Parco delle Madonie, in Sicilia. In I. esistono anche riserve biogenetiche, ossia zone protette caratterizzate da uno o più habitat, biocenosi o ecosistemi tipici, rari o in pericolo: le più numerose si trovano in Toscana (boschi da seme, arboreti sperimentali di abete bianco, faggio e pino domestico) e in Calabria, dove vengono salvaguardati ambienti interessanti per la fauna che annovera, tra gli altri animali, il lupo, il capriolo e numerosi uccelli stanziali e migratori. Oltre ai parchi, vi sono altre aree soggette a tutela, tra cui le riserve naturali gestite in parte dallo Stato, in parte dalle regioni e in parte da associazioni ambientaliste (WWF, FAI, ecc.). Zone umide protette sono la Riserva orientata Biviere di Gela, in Sicilia, la Riserva naturale Valle Averto, in Veneto, e gli stagni di Molentargius e di Cabras, in Sardegna. Tra le più importanti riserve naturali e oasi che salvaguardano la natura italiana, svolgendo inoltre rilevanti funzioni di educazione ambientale, si citano: l'Oasi faunistica di Marano Lagunare, ripartita tra Friuli e Veneto; la Riserva di Laghestel di Piné, in Veneto; la Riserva faunistica di Bolgheri e quella di Orbetello, la foresta dell'Abetone, in Toscana; la Riserva delle grotte di Frasassi, nelle Marche; l'Oasi biologica di Ninfa, nel Lazio; la Riserva della biosfera di Collemuccio e Montedimezzo, in Molise; le riserve delle saline di Margherita di Savoia e delle Murge orientali, il bosco di Tricase, in Puglia; l'Oasi di protezione dell'isola disabitata di Vivara, in Campania; la Riserva della foce del fiume Neto, in Calabria; la Riserva dello Zingaro, l'Oasi del fiume Simeto, la foresta demaniale della Ficuzza-Rocca Busambra, in Sicilia; le riserve dell'Isola di Caprera e di Capo Caccia, in Sardegna. ECONOMIA Dal secondo dopoguerra l'economia italiana subì un mutamento così radicale da avere pochi paragoni al mondo. Prima di allora, infatti, l'I. era un Paese eminentemente agricolo in cui l'industria occupava un ruolo assolutamente marginale, mentre a partire dal secondo dopoguerra la politica economica italiana si orientò decisamente verso lo sviluppo dell'industria, aprendosi all'Europa e portando rapidamente il Paese a entrare nel novero dei più industrializzati del mondo. A causa sia della carenza di materie prime, sia delle vicende storico-politiche del Paese, nel XIX sec. l'industria italiana ebbe uno scarso sviluppo, concentrato soprattutto nel Nord e in alcune città portuali. Solo a partire dalla fine dell'Ottocento in I. cominciarono a sorgere industrie private nel settore tessile e, soprattutto a Torino e Milano (e nelle aree limitrofe), nei settori siderurgico e meccanico, benché realtà industriali come quella della FIAT, fondata nel 1899, rimasero a lungo casi isolati. Durante il ventennio fascista si accentuò il carattere autarchico dell'economia, che favorì le imprese private, e crebbe l'intervento diretto dello Stato in ambito economico. In particolare nel 1933 nacque l'IRI (V.), istituto destinato a soccorrere o a sostituire imprese in difficoltà, che divenne il più grande gruppo industriale del Paese e fu completamente privatizzato solo negli anni Novanta. L'agricoltura, sebbene figurasse come la principale voce del reddito nazionale, solo in poche aree (Lombardia, Emilia) si trasformò in un'attività moderna e avanzata, mentre nella gran parte d'I., e soprattutto al Sud, le rese produttive rimanevano bassissime. Queste condizioni di povertà e di arretratezza indussero milioni di contadini italiani a emigrare nelle Americhe tra la fine del XIX sec. e la prima guerra mondiale e verso il Nord Europa e il Settentrione d'Italia nel secondo dopoguerra. Realtà intermedia tra il Nord avanzato e il Sud arretrato era quella dell'I. centrale, dove erano diffusi il sistema di conduzione della mezzadria e la coltivazione promiscua (basata sul trinomio cereali, vite e olivo). Nel secondo dopoguerra il Paese conobbe un rapidissimo sviluppo economico (definito "miracolo economico italiano"), reso possibile dagli aiuti del Piano Marshall, ma soprattutto da un'eccezionale volontà di ripresa, da una leva di imprenditori di notevole spessore e da una decisa politica delle alleanze con gli Stati dell'Europa occidentale. La prima tappa che segnò l'inserimento dell'I. nel contesto economico europeo fu l'adesione nel 1951 alla CECA, premessa della futura Comunità Economica Europea, nata nel 1957 con il Trattato di Roma, che pose le basi della moderna economia italiana. Tuttavia a fronte di un'industrializzazione intensiva del Nord, particolarmente vigorosa nell'area del triangolo Milano-Torino-Genova, faceva da contraltare l'arretratezza del Sud, a economia ancora prevalentemente agricola. Per contrastare il declino dell'economia primaria meridionale nel 1950 venne attuata una riforma fondiaria che però, priva di una strategia e di adeguati investimenti, non diede i frutti sperati. Allo stesso modo ebbe un esito deludente l'istituzione della Cassa del Mezzogiorno (1950-86), un organismo finanziario statale apposito per il Sud, che avrebbe dovuto emancipare l'economia del Meridione soprattutto tramite la realizzazione di industrie statali. Il sostanziale fallimento delle politiche per il Sud andò a vantaggio del comparto industriale del Nord, che si poté così avvalere dell'abbondante manodopera fornita dalle masse contadine e dai disoccupati (del Sud, ma anche delle regioni povere di Centro e Nord). Il repentino passaggio da una realtà agricola e arretrata alla fabbrica da parte di milioni di contadini e disoccupati del Sud pose il Paese di fronte a inediti e delicati problemi sociali. Il periodo definito del "miracolo economico" si concluse nel 1963, con l'instaurarsi di un rallentamento produttivo seguito da fasi alterne di espansione e ristagno e culminato nel 1973 in una vera e propria crisi causata dall'aumento vertiginoso del prezzo del petrolio. Mentre gli altri Paesi colpiti dalla recessione riuscirono a controllare l'inflazione entro limiti accettabili, in I. la situazione si dimostrò grave: negli anni Ottanta i prezzi aumentarono vertiginosamente e l'inflazione raggiunse tassi superiori al 20%; l'economia entrò nella fase cosiddetta di "crescita zero" per il ristagno della produzione e la disoccupazione superò l'8% (nel Sud il 12%) della forza lavoro. A seguito di questa situazione risultarono evidenti in particolare due fattori di fragilità del sistema economico italiano, la mancata ristrutturazione industriale e la mancanza di programmazione generale, che, uniti all'elevato costo del denaro e all'alto costo del lavoro, portarono i prodotti italiani a essere sempre meno competitivi sui mercati mondiali provocando un calo nelle esportazioni e un aumento nei costi di importazione. Il crescente indebitamento dell'I. ebbe come conseguenza il crollo della lira e l'uscita dallo SME (1992), di cui nel 1979 era stata tra i membri fondatori. Negli anni Novanta grazie a una politica economica di rigore, di risanamento del debito pubblico e di privatizzazione, condotta soprattutto dal Governo Prodi, l'I. riuscì ad adeguarsi ai parametri di Maastricht e a entrare con il "gruppo di testa" nell'Unione Monetaria Europea, che adottò definitivamente l'euro dal gennaio 2002 (dal 1999 l'euro era entrato in vigore come valuta di cambio nel commercio elettronico). Nel nuovo millennio il nostro Paese si fece trovare impreparato di fronte alla "globalizzazione del mercato" e alla sfida lanciata dai Paesi asiatici, latino-americani e africani che offrono sul mercato internazionale manufatti a prezzi assai contenuti, dati i costi estremamente bassi della manodopera. Per riguadagnare competitività, i Paesi come l'I., che hanno costi di lavoro più elevati, dovrebbero razionalizzare al massimo le tecniche produttive e, soprattutto, incentivare le produzioni ad alta tecnologia aggiunta e i servizi definiti "superiori" (il terziario avanzato), cioè l'informatica, la ricerca scientifica, la cultura, le consulenze, l'attività bancaria e finanziaria, ecc., ambiti nei quali il Paese registra ancora notevoli ritardi. ║ Agricoltura: il settore agricolo è quello che ha tratto i minori vantaggi dal complessivo sviluppo economico italiano del dopoguerra, risentendo in modo più pesante della mancanza storica di una politica di sviluppo, di adeguati capitali, di una razionale programmazione. Nonostante i numerosi interventi pubblici (contrassegnati tuttavia da manovre piuttosto occasionali di tipo assistenzialistico) e le molteplici e rilevanti trasformazioni realizzate anche in quest'ambito, le differenze di produttività e di redditività con gli altri settori si sono andate accentuando, tanto che l'agricoltura contribuisce in modo sempre meno rilevante al PIL dell'I. Le ragioni di questa arretratezza sono molteplici e possono essere evidenziate soprattutto nell'eccessivo frazionamento della proprietà fondiaria, che ha impedito la piena attuazione del necessario ammodernamento tecnologico, oltre che, in seguito all'integrazione europea, nei condizionamenti imposti dall'Unione europea che, in numerosi casi, penalizza l'agricoltura con limitazioni produttive riguardanti certi settori, pur offrendo assistenza e aiuti in altri. Inoltre l'agricoltura italiana, con l'eccezione di Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, è scarsamente integrata sia con le industrie di trasformazione, sia con le reti di vendita, limitandosi spesso al consumo immediato e a scambi locali. Per quanto concerne le forme di gestione, prevale nettamente la conduzione diretta da parte di piccoli o medi proprietari. La mezzadria è stata abolita nel 1964 e sostituita con l'affitto; anche la percentuale di salariati è in forte regresso. In Campania e in altre aree del Meridione è però attivo un bracciantato stagionale (in particolare nel momento della raccolta dei pomodori), che è ormai quasi esclusivamente costituito da extracomunitari, perlopiù africani. La nascita di grandi aziende altamente meccanizzate, con coltivazioni ben razionalizzate e quindi assai produttive, è molto lenta. Inoltre l'I., avendo un'agricoltura insufficiente per il fabbisogno interno, deve ricorrere all'importazione di carni, prodotti lattiero-caseari (burro, formaggi) e cereali. Dal punto di vista della produttività agricola, l'I. può essere suddivisa in tre aree: la montagna, dove vengono svolte prevalentemente attività silvo-pastorali; le zone collinari, poco rilevanti ai fini delle risorse agricole, adibite soprattutto a produzioni specializzate (vigneti, frutteti); le pianure irrigue e le altre zone di notevole fertilità. Il settore più carente è quello della cerealicoltura, praticata soprattutto nelle regioni del Sud (grano duro) e nella fascia padana (mais). Dei cereali hanno il primato il frumento e il granturco, la produzione dei quali, però, non è sufficiente a coprire il fabbisogno totale richiedendo, perciò, il ricorso all'importazione. Il riso è coltivato solamente nelle province di Novara, Vercelli e Pavia. L'orzo ha larga diffusione, mentre scarso rilievo hanno altri cereali (avena, segale, ecc.). Al contrario l'orticoltura e la frutticoltura hanno fatto registrare importanti progressi. Le leguminose vedono al primo posto le fave da seme, seguite da fagioli, ceci, lenticchie e piselli. Delle coltivazioni ortive il primato spetta alle patate, cui seguono pomodori (coltivati soprattutto in Campania, Puglia ed Emilia-Romagna), carciofi, meloni e cocomeri, cavoli e finocchi. Tra le coltivazioni industriali primeggia la barbabietola da zucchero, mentre più modeste sono le produzioni di tabacco, canapa, lino e cotone. Un settore particolare dell'orticoltura è quello delle coltivazioni di fiori, sviluppato soprattutto in Liguria e in Toscana. La produzione di uva è destinata sia alla tavola sia all'industria vinicola, nella quale l'I. alterna con la Francia il primo posto nel mondo. L'olivicoltura è praticata prevalentemente in Puglia e Calabria, ma anche Toscana, Liguria e il territorio che costeggia il Lago di Garda offrono oli molto pregiati (l'I. è, insieme alla Spagna, il maggior produttore mondiale di olio). Tuttavia la produzione è insufficiente al fabbisogno nazionale, integrato con oli di semi di importazione. Fra le coltivazioni legnose di rilievo vi sono meli e peri (Romagna, Alto Adige, Veneto), peschi (Romagna, Veronese), mandorli (tipici delle zone meridionali), ciliegi, susini, fichi, noci, noccioli, castagni, albicocchi. Tra gli agrumi hanno la preminenza arance e limoni, coltivati prevalentemente in Sicilia. ║ Allevamento: le aziende con allevamenti risultano essere in netta flessione. La zootecnia è praticata soprattutto nella pianura padana, dove i bovini sono allevati con metodi innovativi e in funzione della produzione di latte per il consumo urbano e per l'industria casearia. Altrove il settore zootecnico è mal organizzato, anche se in I. esistono razze bovine assai pregiate e apprezzate (la chianina toscana, per esempio). L'allevamento bovino è entrato in crisi nei primi anni del nuovo millennio a causa del morbo della "mucca pazza", la BSE, e a seguito dei contraccolpi di una lunga vertenza tra gli allevatori, il ministero per le Politiche agricole e l'UE sul rispetto delle quote di produzione e il pagamento delle relative sanzioni per l'eccesso di produzione. L'allevamento suino è piuttosto diffuso e in crescita, soprattutto in Lombardia ed Emilia-Romagna, regioni che vantano anche una produzione di insaccati (principalmente salami e prosciutti) di ottima qualità. In Sardegna, Lazio, Toscana e Sicilia persistono ampie aree adibite ad allevamento ovino. Una rapida evoluzione hanno avuto gli allevamenti di struzzi. ║ Pesca: a causa della limitata pescosità dei mari italiani (con l'esclusione dell'alto Adriatico e del canale di Sicilia), la pesca in I. è rimasta un'attività complessivamente povera. L'organizzazione del settore, seppur con qualche eccezione, mantiene un livello poco più che artigianale. Di una certa importanza è l'allevamento di ostriche e mitili (Mare Piccolo di Taranto, Lago di Fusaro e di Ganzirri, Olbia). Nell'alto Adriatico ha un notevole sviluppo la vallicoltura (le Valli di Comacchio sono note per le anguille). La pesca comprende alici, sarde, sgombri, tonni, pesce spada (pescato lungo le coste calabresi), ma risulta largamente insufficiente a soddisfare la richiesta del mercato nazionale, costringendo a ricorrere a massicce importazioni. ║ Risorse minerarie ed energetiche: in I. le risorse minerarie sono piuttosto scarse, soprattutto per quanto riguarda i minerali metallici. I giacimenti, inoltre, anche dove non si sono ancora interamente esauriti, vengono man mano abbandonati (un esempio è rappresentato dall'estrazione del mercurio dal Monte Amiata, in Toscana, oggi cessata), in quanto risulta più vantaggioso da un punto di vista economico importare direttamente i minerali piuttosto che procedere alla loro estrazione. Tra i minerali metallici ancora estratti si menzionano i giacimenti di ferro nell'Isola d'Elba (sfruttati fin da epoche antiche) e in Valle d'Aosta, i giacimenti di piombo e zinco in Sardegna, di manganese in Liguria, di bauxite in Puglia e in Abruzzo, di rame in Toscana. Relativamente più ricche sono le risorse minerarie non metalliche, tra cui spiccano salgemma e sale marino (Sicilia, Puglia, Toscana, Sardegna, Calabria) e zolfo (Sicilia; l'estrazione è tuttavia completamente cessata dal 1986). Di notevole importanza rimane la produzione di marmi (marmo bianco delle Apuane, rosso di Verona, giallo di Siena, ecc.), largamente esportati. Riguardo ai minerali energetici, l'I. è assai povera di lignite (Toscana, Umbria) e di petrolio (il primato per la produzione tocca alla Sicilia), ma ricca di gas naturale, o metano, che viene estratto sempre più frequentemente dai fondali sottomarini, soprattutto nell'alto Adriatico e nel canale di Sicilia. Tra le regioni produttrici figurano l'Emilia-Romagna, la Puglia, la Basilicata e la Sicilia. Nonostante la scarsità di minerali energetici, il nostro Paese è tra i principali produttori di energia elettrica su scala mondiale. La fonte di più antico e tradizionale sfruttamento è rappresentata dalle risorse idriche, che forniscono un terzo della produzione elettrica, mentre gli altri due terzi è data dalle centrali termiche. Tuttavia la disponibilità non soddisfa i crescenti fabbisogni, per cui è necessario potenziare continuamente la produzione e ricorrere anche all'importazione. Ancora poco sviluppato risulta essere lo sfruttamento delle fonti energetiche rinnovabili: assai scarsi sono gli impianti a energia eolica (Sardegna) e solare (Sicilia). Le centrali nucleari, presenti un tempo a Foce Verde (Latina), San Venditto-Garigliano (Caserta), Trino (Vercelli) e Caorso (Piacenza), hanno cessato la loro attività in seguito al referendum antinucleare del 1987. ║ Industria: rispetto ai maggiori Paesi europei e agli Stati Uniti, l'I. ha avviato con molto ritardo il processo di industrializzazione della sua economia. Tale processo, inoltre, ha assunto caratteristiche peculiari, caratterizzandosi per disomogeneità tra le varie aree produttive sia per quanto riguarda la percentuale degli addetti in rapporto alla popolazione attiva, sia, soprattutto, per quanto concerne la partecipazione delle varie regioni alla produzione del reddito nazionale nel settore secondario, con l'assoluta preminenza assunta dalle zone settentrionali e centrali. La percentuale media italiana degli addetti all'industria si aggira intorno al 35% della popolazione attiva e, come in tutti i Paesi a economia avanzata, sta registrando una contrazione a vantaggio del settore terziario. Riguardo alla distribuzione geografica delle zone produttive, la massima concentrazione industriale continua ad essere quella del Nord-Ovest (Lombardia e Piemonte), base dell'industrializzazione italiana, caratterizzata da imprese di vaste dimensioni e fortemente accentrate (come, per esempio, la FIAT), che tuttavia presumibilmente non potrà avere ulteriori slanci produttivi, ma solo decrementi (come è avvenuto per la zona attorno a Genova). Dopo la crisi degli anni Settanta, il rilancio industriale è passato attraverso un arricchimento del tessuto produttivo, formato ormai in prevalenza da imprese piccole e medie, sorte soprattutto nell'Italia centrale (Toscana, Marche) e ancor più nel Nord-Est (Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia). Si tratta di aziende con larga diffusione sul territorio, a gestione spesso familiare, con pochi dipendenti e quindi deboli conflitti con la manodopera, inserite in una realtà ricca di infrastrutture, che hanno dato vita ai cosiddetti "distretti industriali" specializzati (tra i più noti si menzionano i mobilifici della Brianza, del Basso Veronese e di Pesaro; i distretti vinicoli delle Langhe e del Monferrato; le seterie di Como; le oreficerie di Valenza Po; i lanifici di Biella e di Prato; i calzaturifici di Vigevano, Macerata e Barletta; le vetrerie di Venezia e di Empoli; le ceramiche e le piastrelle di Sassuolo; gli strumenti musicali di Castelfidardo; i marmi di Carrara; i conservifici di pomodoro a Salerno e in provincia di Napoli), ben integrati nella società locale, dove si addensano piccole e piccolissime industrie complementari, che sono andate progressivamente a sostituirsi all'industria pesante. I grandi insediamenti siderurgici e metalmeccanici (Sesto San Giovanni, Venezia-Marghera, Genova, Bagnoli) sono stati smantellati; la produzione automobilistica è stata decentrata e parcellizzata; gli impianti chimici e petrolchimici hanno subito una profonda riconversione. Dal punto di vista della produzione, in I. sono particolarmente fiorenti le industrie manifatturiere, in particolare nel settore tessile, della moda, dell'abbigliamento, delle calzature, della lavorazione delle pelli e del cuoio (Veneto, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte, Toscana, Campania), del mobile e dell'arredamento (Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Marche, Emilia-Romagna, Puglia). Di notevole importanza è poi l'industria agro-alimentare. L'industria molitoria è diffusa in tutta I., mentre i pastifici sono ubicati soprattutto in Sicilia, Campania, Abruzzo, Puglia, Toscana e l'industria risiera nelle vicinanze delle principali zone di produzione (province di Vercelli, Pavia e Novara). Specialità italiane sono anche gli ortaggi conservati (provincia di Napoli, Salernitano), così come l'industria dell'olio d'oliva, con impianti di estrazione e raffinazione situati soprattutto nelle zone di produzione (Liguria, Puglia, Toscana, Campania, Calabria, Sicilia), e l'industria enologica, diffusa su quasi tutto il territorio nazionale. Il settore dei salumifici, addensato nella pianura padana (Parma, Modena, Reggio Emilia, Cremona), ha un ruolo preminente anche a livello europeo. L'industria lattiero-casearia è concentrata in prevalenza al Nord, mentre nel Sud d'I. si trovano molti caseifici di piccole dimensioni, specializzati in produzioni tipiche. Risultati di rilievo sono stati ottenuti in numerose produzioni meccaniche, da quelle automobilistiche (Piemonte, Basilicata, Molise, Campania), alle industrie che producono elettrodomestici (Veneto, Lombardia, Campania, ecc.), cicli e motocicli (Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana), macchinari per l'agricoltura e l'industria, macchine utensili in generale, navi da crociera (Liguria, Veneto, Toscana, Campania, Sicilia). Fortemente esposti alla concorrenza straniera (in particolare asiatica) sono invece le produzioni dell'industria di base (siderurgica, metallurgica, petrolchimica, cantieristica). Da segnalare infine la cospicua produzione italiana di essenze (Sicilia, Calabria, Liguria, Cuneese, Toscana, Veneto), di carta, con industrie situate in prossimità dell'arco alpino e appenninico (Fabriano, nelle Marche), strumenti musicali (Marche, Piemonte, Lombardia), nonché l'importante industria cinematografica. ║ Terziario: come in tutti i Paesi a economia avanzata, anche in I. il settore terziario è quello che presenta la più alta percentuale di occupati (oltre il 60%) e che contribuisce in maniera più consistente al PIL. Settore produttivo assai eterogeneo, esso comprende servizi, sia pubblici sia privati, che rientrano nell'ambito della pubblica amministrazione, del commercio, del turismo, delle attività bancarie e finanziarie, della consulenza e delle ricerche scientifiche di ogni genere. Queste ultime attività sono sempre più frequentemente definite "terziario avanzato", ambito in cui l'I. registra un grave ritardo. Il numero degli addetti del terziario varia da regione a regione: generalmente la percentuale è inferiore alla media nelle regioni con alto tasso di industrializzazione (Lombardia, Piemonte, Veneto, dove si attesta intorno al 50%) e superiore nelle regioni ad amministrazione straordinaria (che in vari ambiti hanno un proprio "Governo" locale) e in Campania, Calabria e Lazio, dove si riscontra un elevato numero di impiegati nella pubblica amministrazione. I settori del terziario che raggruppano la più alta percentuale di addetti sono la pubblica amministrazione e il commercio. In I. storicamente lo Stato è un datore di lavoro molto importante: moltissimi sono gli impiegati nei ministeri, nelle amministrazioni locali, nelle scuole, nella sanità, nelle poste, nelle ferrovie, nella magistratura, nei corpi di polizia e dei carabinieri, nell'esercito. Al fine di aumentare la produttività e ridurre i costi del settore, divenuti in certi casi insostenibili per lo Stato, negli anni Novanta Parlamento e Governo hanno iniziato un tentativo di riforma della pubblica amministrazione introducendo nuovi caratteri di imprenditorialità, trasferendo parzialmente o totalmente numerosi servizi pubblici alle aziende private e rafforzando i principi di autonomia degli enti locali, attraverso il passaggio di molteplici competenze dallo Stato centrale alle amministrazioni locali (regioni, province, comuni). Per quanto riguarda il commercio, il 60% degli addetti è costituito da lavoratori autonomi (microimprese commerciali, negozi a conduzione familiare). Tuttavia anche nel nostro Paese è in atto un radicale cambiamento dell'attività commerciale, che vede la progressiva flessione dei punti vendita, soprattutto piccoli e medi, a vantaggio di supermercati, ipermercati e centri commerciali, ormai presenti in modo massiccio sull'intero territorio nazionale. Una voce importante dell'economia italiana è rappresentata dal turismo, che fornisce una percentuale al prodotto nazionale superiore all'agricoltura. I flussi turistici, sia interni sia esteri, a partire dagli anni Settanta hanno registrato una crescita progressiva. Molti, d'altra parte, sono i fattori, sia culturali sia naturali, favorevoli all'affermazione in I. di questo settore, che ha comunque ancora ampi margini di sviluppo, soprattutto nel Sud del Paese. L'economia italiana è infine caratterizzata da scambi con l'estero assai vivaci. La composizione del commercio estero italiano è quella tipica di un Paese "trasformatore", che importa materie prime (tra cui quelle energetiche e alimentari) e i semilavorati (tuttavia, l'accresciuto benessere ha determinato un incremento dell'importazione di prodotti esteri finiti, come televisori e automobili) ed esporta manufatti. Tra i principali prodotti esportati vi sono quelli dell'industria meccanica (autoveicoli e mezzi di trasporto, elettrodomestici, macchinari agricoli e industriali, utensili), dell'industria tessile e dell'abbigliamento (con particolare riguardo per le calzature e il pellame), di gioielli e di altri articoli di lusso. Assai importante è inoltre l'esportazione, rivolta ai Paesi in via di sviluppo, di grandi infrastrutture come dighe, porti e arterie stradali. Deficitari sono invece i settori della chimica, in particolare della farmaceutica (la maggior parte dei medicinali presenti sul mercato italiano sono prodotti all'estero o in I. ma su licenza estera), e dell'alta tecnologia. I maggiori movimenti commerciali del nostro Paese si svolgono all'interno dell'Unione europea, prevalentemente con Francia e Germania. Al di fuori dell'UE, gli Stati Uniti sono il più importante partner commerciale. Sono comunque in aumento gli scambi con la Russia, con i Paesi dell'Est europeo e con i Paesi extraeuropei, in particolare con quelli asiatici, forti esportatori di materie prime. STORIA Preistoria La presenza dell'uomo paleolitico è abbondantemente attestata in I. Sono testimoniate le fasi preamigdaloide (Loretello) e amigdaloide (I. centrale, meridionale e Sicilia: i centri principali sono Imola, Perugia, Norcia, Maiella, Gargano, Capri, Salerno). Il Paleolitico medio, cioè l'industria delle schegge ritoccate (fase mousteriana), occupò la più vasta zona geografica, comprendendo, oltre a tutte le località suddette e i loro dintorni, anche la Liguria, le Alpi Apuane, Parma, le Valli dell'Enza e del Panaro, il Veneto e il Carso triestino, la Toscana, il Lazio, la Sabina, la Calabria. Ancor più vasta estensione ebbe l'industria delle lame dell'ultimo Paleolitico (Miolitico), che si estese in tutta la Sicilia, nell'estrema Puglia e forse anche in Piemonte, mentre mancò completamente in Sardegna. I resti umani del Paleolitico medio attestano la presenza di antichissimi uomini del tipo di Neanderthal (Sassopastore e Circeo) e di tipo più progredito, come quello negroide, quello di Cro-Magnon (Liguria) e quello con spiccati caratteri mediterranei (Abruzzo e Sicilia), che sarebbe stato il tipo umano esclusivo del successivo Neolitico. Questi uomini abitavano per lo più in caverne, avevano il culto dei cadaveri che seppellivano, talora con ricco corredo, nel luogo stesso ove dimoravano; tentavano, sia pur rozzamente, l'arte della ceramica. Gli oggetti litici dell'ultimo periodo dimostrano due facies fondamentali talora sovrapposte, l'una settentrionale, affine all'aurignaciana media, l'altra meridionale, che era più diffusa, di netta derivazione africana (capsiana). Si nota anche qualche punto di contatto di queste industrie italiane con quelle della valle danubiana (cultura willendorfiana). L'età neolitica fu in gran parte la continuazione della precedente cultura miolitica. Il clima migliorato e la scomparsa della fauna pleistocenica (mammut, orso speleo, ecc.) favorirono lo sviluppo civile: alla pastorizia si unì sempre più frequentemente l'agricoltura; pur perdurando l'abitazione in grotte e ripari naturali, si diffusero sempre più l'uso della capanna e il raggruppamento delle capanne in villaggi, spesso difesi da trincee e da muri; il culto dei morti fu sempre più accuratamente praticato. Il cadavere veniva per lo più deposto nella terra rannicchiato nella posizione che aveva nel grembo materno; talvolta era sepolto entro capanne trasformate in tombe, oppure in grotte. Il tipo umano era ovunque quello mediterraneo nelle sue varietà, sempre mescolate anche nello stesso ambiente, con prevalenza di forme dolicocefale e mesocefale; la statura tendeva a elevarsi. Abbastanza uniformi erano i manufatti; venivano mantenute molte forme arcaiche; le armi erano prevalentemente di pietra verde, sempre meglio levigate; la ceramica era sempre più progredita ed elegante; sviluppata era anche l'industria cornea, quasi assente o alquanto rozza nel Paleolitico. Pur nella presenza di tanti caratteri comuni si nota tuttavia una varietà regionale e tribale nei particolari, e l'evidente apporto di elementi di altre culture, segno indubbio di frequenti relazioni commerciali e forse di afflussi esterni di popoli di comune origine mediterranea e di antica provenienza africana che, via via, popolarono tutte le coste del Mediterraneo. Ai popoli neolitici d'I. le antiche tradizioni letterarie diedero il nome di Liguri e di Siculi, abitanti i primi a Nord, i secondi a Sud. Le fonti letterarie parlano di migrazioni di Siculi sempre più verso le zone del Sud: tali migrazioni trovano qualche conferma nei reperti del terreno, ma nel contempo si nota un risalire di manufatti d'ispirazione elladica dalla Sicilia verso l'I. meridionale e centrale. Accanto ai Liguri e ai Siculi vi erano i Liburni, abitanti sulle coste orientali dell'Adriatico settentrionale, emigrati poi sulle coste occidentali (Marche) e spintisi con qualche colonia fin sul Tirreno (Livorno). Ad essi si deve la più antica toponomastica d'I. (Alba, Albula, Albano e simili; Ticino, Tisino, Tesino, Tessuino e simili). La prima comparsa di oggetti metallici (asce e pugnali triangolari di rame, qualche raro monile d'argento e qualcuno rarissimo d'oro) caratterizzò l'era di transizione fra l'età della pietra e quella dei metalli che prese il nome di periodo eneolitico, una fase più progredita di quella neolitica. Immutati restarono il rito inumatorio (che si arricchì di nuove forme di tombe), il tipo d'abitazione (ancora in grotte o, più spesso, in villaggi di capanne, che avevano maggiore varietà di forme), nonché le molteplici forme delle ceramiche; sempre più pulite erano le armi litiche. I traffici commerciali fra tribù abitanti la penisola e oltre il mare, già solcato da navi, specialmente di popoli dell'Egeo e dell'Iberia, si infittirono. Si accentuarono però le differenziazioni regionali. Alla fine di questo periodo accadde un fatto nuovo: nell'I. settentrionale (a Est dell'Oglio) si diffuse l'uso delle abitazioni lacustri su palafitte (civiltà di Polada, dal nome di una località presso Desenzano ove avvenne un importante ritrovamento). Tale uso, durato poi nella successiva età del bronzo, testimonia probabilmente l'infiltrazione di popolazioni svizzere che già nel Neolitico avevano tale foggia di abitazione. Secondo tutti i dati archeologici, queste popolazioni, inumatrici, appartenevano alle stesse stirpi (Liguri), di provenienza africana, già abitanti in I. Genti arie (indoeuropee) comparvero in I. soltanto nell'età del bronzo, della cui lavorazione tecnica furono maestre. I primi nuclei erano rappresentati dalle popolazioni delle terramare lombarde ed emiliane. Le terramare erano costruzioni di villaggi su palafitte non in riva a fiumi o laghi, ma sulla terraferma. La cultura e l'origine etnica dei palafitticoli lombardi e dei terramaricoli lombardo-veneto-emiliani erano sostanzialmente diverse. Si trattava popoli di agricoltori e di guerrieri, ben organizzati, forse su basi collettivistiche, nei loro villaggi, il cui livello di vita materiale non era tuttavia alto, come rivelano i manufatti assolutamente privi di fantasia e di gusto artistico, già tanto sviluppati nei neolitici d'I. Essi non seppellivano i morti, ma li bruciavano e ne riponevano le ceneri in urne sepolte le une accanto alle altre, talvolta entro fosse ben delimitate e rivestite di pietre. I terramaricoli, specialmente dell'Emilia, furono abili fonditori del bronzo e di oggetti bronzei; esercitarono un attivo commercio in tutta I. Intorno al 1000 improvvisamente la cultura terramaricola scomparve: si pensa che i terramaricoli abbiano emigrato e si siano espansi nell'I. centrale e meridionale. I terramaricoli non furono i soli Indoeuropei penetrati in I. nell'età enea. Accanto e frammisti ad essi, altri vissero in normali villaggi non sostanzialmente dissimili da quelli delle popolazioni neolitiche ed eneolitiche d'I.
Trapani L'Italia nel 1000 Queste stazioni dell'età enea vennero convenzionalmente chiamate extra-terramaricole. Non è sempre facile distinguere le indoeuropee da quelle degli indigeni mediterranei, e soltanto le necropoli degli incinerati sono documento sicuro dei loro stanziamenti. La civiltà extra-terramaricola, oltre che quella palafitticola di tipo Polada, assunse diverse caratteristiche regionali: aspetti propri ebbero le stazioni extra-terramaricole della valle padana, quelle appenniniche, con una tipica ceramica a traforo, frequenti nell'Imolese, nelle Marche, in Umbria, in Toscana, in Abruzzo, in Campania e Lucania, quelle della Puglia ove si rinvennero anche dolmen e menhir. Aspetti ancor più originali ebbero le culture enee in Sicilia, dominata da influssi egei che vennero trasmessi al continente, e in Sardegna ove si impose la civiltà nuragica nella quale confluirono influssi egei, iberici e baleari. Coincidono con gli albori dell'età del ferro l'improvvisa scomparsa delle civiltà terramaricole e palafitticole e la migrazione delle genti arie dalle prime sedi terramaricole nell'I. centrale. Intanto nuove stirpi arie penetravano a ondate dalle Alpi. Campi di urne vennero alla luce in molti luoghi. Gli Indoeuropei, per ragioni tuttora incerte, scesero nell'età del ferro lungo l'Adriatico e lungo il Tirreno, almeno fino alle Paludi Pontine; si civilizzarono a poco a poco a contatto con i più evoluti indigeni che erano in continui rapporti commerciali con i popoli egei e con gli Illirici e gli Iberici e da tempo avevano approfittato della benefica influenza della grande civiltà elladica, e furono da essi assorbiti. Della loro cultura pressoché nulla rimase all'infuori della lingua. I dialetti degli invasori indoeuropei appartenevano al gruppo di lingue varie (di tipo centum) che chiamiamo italico. Tali dialetti erano molti e raggruppabili in due gruppi fondamentali: umbro-falisco e osco-sabellico. Pure da riferire a popolazioni arie, civilizzate dall'influsso etrusco, è la civiltà di Villanova (con rito funebre a incinerazione) che fiorì nell'Umbria, in Toscana, a Bologna, e si estese anche nella stessa area già occupata dai terramaricoli. Dal punto di vista paletnologico, gli aspetti della prima civiltà del ferro in I. si possono distinguere in nove gruppi culturali ben differenziati: 1) Ticinese o di Golasecca; 2) Veneto-istriano; 3) Villanoviano-bolognese; 4) Villanoviano-tosco-umbro; 5) Laziale; 6) Piceno; 7) Sannita-campano; 8) Bruzio-lucano; 9) Apulo-messapico. In Liguria e nel Piemonte le popolazioni liguri, strette fra i nuovi venuti, contro i quali opposero fierissima resistenza, restarono come tagliate fuori dalle correnti culturali e rimasero in uno stato di grande arretratezza (abitazioni trogloditiche, cultura quasi esclusivamente litica). Intanto dall'Oriente, sulla via dei mercanti, continuavano a giungere, a piccoli gruppi, coloni su tutte le coste dell'I. peninsulare. In Sicilia e in quella che fu poi la Magna Grecia, una colonizzazione elladica precedette la colonizzazione ellenica; altri sicuri documenti di afflusso di popolazioni furono forniti dagli scavi a Novilara, a Spina e in altri punti della costa adriatica, delle Marche e del Veneto. Una di queste migrazioni fu quella dei Rasena, che i Greci chiamarono Tirreni e i Romani Etruschi. Gli Etruschi si affermarono tra i secc. VIII e VII a.C. nel territorio tra il Tevere e l'Arno (attuale Toscana), espandendosi in seguito nella pianura padana, nel Lazio e nella Campania. Essi diedero vita a una civiltà articolata e complessa il cui declino, nel V sec. a.C., fu determinato dalla reazione dei Greci nell'I. meridionale, dall'ascesa di Roma e dall'arrivo dei Galli, popolo indoeuropeo del gruppo celtico, nella pianura padana. Popoli preromani e origine del nome "Italia" All'inizio del IV sec. a.C., con l'avanzata degli Osco-Umbri nell'I. meridionale, si raggiunse un assetto pressoché definitivo degli stanziamenti dei popoli nella penisola. Nell'I. settentrionale, i Liguri si stabilirono in tutto il territorio fra il Po e il Mar Ligure fino all'Appennino e all'Arno; i Galli, dopo aver respinto gli Etruschi, occuparono il territorio restante fino al Garda, divisi in molte tribù (di esse le più importanti erano gli Insubri, stanziati fra e sotto il Lago Maggiore e il Lago di Como; i Cenomani, ubicati fra il Lago d'Iseo e il Lago di Garda e il Po; i Lingoni, che vivevano lungo il corso inferiore del Po; i Boi, localizzati al di sotto del Po fino a Rimini; i Senoni, che abitavano da Rimini a Senigallia); i Veneti si stanziarono fra le Alpi, l'Adriatico, l'Adige e l'Isonzo; gli Istri nell'Istria. Gli Etruschi, ricacciati dai Galli, occuparono ormai la sola Toscana e, per breve tempo, ancora un tratto della costa tirrenica, fra il Volturno e il Silaro; altri nuclei rimasero isolati fra il Garda e l'alto corso del Tagliamento nelle valli tridentine e nel Veronese. Nel resto dell'I. centrale si trovavano le popolazioni dette italiche: gli Umbri, che abitavano la costa adriatica dal Foglia al Potenza e si insinuarono nell'interno occupando i territori di Gubbio, Perugia, Amelia; i Picenti o Piceni, ubicati fra l'Adriatico e gli Appennini, fra il Potenza e il Pescara (distinti nelle tribù dei Firmani, Ascolani, Cuprensi, Truentini, ecc.); i Sabini, che stavano nel cuore dell'Appennino, pressappoco nell'attuale provincia di Rieti; al di sotto, nell'interno, vi erano gli Equi, gli Ernici, i Marsi, i Peligni; sul versante tirrenico dal Tevere al Volturno i Latini, i Volsci, i Campani, gli Ausoni; sul versante adriatico i Vestini e i Marrucini. Sulla costa, fino al Lago di Lesina, abitavano i Sanniti, che nell'interno occupavano tutto l'Appennino molisano, campano e lucano. Nella penisola calabrese erano stanziati i Lucani e gli Enotri, che estendevano il loro dominio dal golfo di Policastro al golfo di Taranto, e, nell'estrema punta, dalla Sila in poi, i Bruzi. Le coste adriatiche e ionie della moderna Puglia, dal Gargano in poi, erano occupate dagli Iapigi di origine illirica (divisi in Apuli, Dauni e Peucezii a Nord, e Messapi, Salentini e Calabri a Sud). In Sicilia vi erano i Siculi, i Sicani e gli Elimi. I Corsi abitavano la Corsica e l'estreme coste settentrionali della Sardegna, che per il resto era dei Sardi. Occorre tuttavia precisare che già in questo periodo tutte le coste calabre sul Tirreno e sullo Ionio fino a Taranto, le coste orientali e meridionali della Sicilia e un tratto della costa settentrionale erano dominate dai Greci, così come la Sardegna era nelle mani dei Fenici cartaginesi, i quali avevano stazioni anche nella Sicilia occidentale. La nostra penisola, che i Greci chiamavano Esperia, cioè "terra d'Occidente", prese il nome di Italia molto più tardi. Originariamente il nome indicava solo l'attuale Calabria, dove si erano stanziate genti del gruppo latino che adoravano come simbolo religioso un vitello: questi Viteloi o Itali finirono col dare il nome dapprima alla sola Calabria e quindi al Meridione; il nome assunse il significato che ha conservato fino ai giorni nostri solo in età augustea, quando tutti gli abitanti della penisola, dalle Alpi allo stretto di Messina, ottennero la cittadinanza romana. L'età romana Tutti questi popoli in circa quattro secoli furono sottomessi e unificati da Roma. Nell'età regia (753-509 a.C.), Roma si assicurò gradualmente un ruolo di predominio sul Lazio, suscitando l'ostilità di alcune città latine che, nel V sec. a.C., costituirono una lega militare contro i Romani. La guerra, che vide vittoriosi questi ultimi, si concluse con il foedus cassianum (493 a.C.), un patto che riconosceva parità di diritti e di doveri fra i Romani e i Latini, pur garantendo a Roma una posizione di preminenza nella federazione latina. Nel 396 a.C. Roma conquistò Veio, potente città etrusca, e diede così inizio al suo predominio nell'I. centrale. Poco dopo, dovette però fronteggiare l'invasione dei Galli - che nel 390 a.C. saccheggiarono la città - e la ribellione di alcune città latine che tentarono di staccarsi dall'alleanza. Solo dopo lunghe lotte i Romani riuscirono a ristabilire la propria supremazia nel Lazio. A metà del IV sec. a.C. scoppiò il conflitto coi Sanniti, che tentarono di contrastare l'espansione romana. Dopo tre lunghe guerre, essi furono completamente sottomessi nel 291 a.C. Nell'ultima guerra sannitica (298-290 a.C.), i Romani riportarono una decisiva vittoria sui maggiori popoli italici (Galli Senoni, Etruschi, Sabini, Umbri), alleatisi con i Sanniti (battaglia di Sentino, 295 a.C.). Assicuratasi il predominio sull'I. centrale, Roma estese la sua egemonia all'I. del Sud. Taranto, minacciata da Roma, chiese aiuto a Pirro, re dell'Epiro che, dopo alcune vittorie, fu sconfitto dai Romani presso Benevento (274 a.C.). Roma, pur controllando tutta la penisola, parte col sistema delle colonie, parte con trattati di alleanza, rispettò le autonomie locali - sul piano amministrativo, economico, religioso, linguistico - dei popoli entrati nella sua orbita. Cercava in questo modo di creare una coscienza unitaria tra i federati sotto la sua egemonia, riconoscendo loro uguaglianza economica sui mercati e privilegi giuridici. Roma estese gradualmente il suo controllo anche sui mari, suscitando l'ostilità di Cartagine, la più forte potenza marittima e commerciale del Mediterraneo occidentale; il conflitto tra Romani e Cartaginesi scoppiò nel 264 a.C. Dopo alterne vicende, i Cartaginesi furono sconfitti (guerre puniche): la Sicilia, la Sardegna e la Corsica divennero province romane. Domati i Galli e i Liguri al Nord, anche l'I. settentrionale, tranne alcuni modesti territori ai piedi delle Alpi, passò sotto il dominio di Roma. Si affermava ora una politica di decisa supremazia romana sul mondo mediterraneo; di qui le conquiste in Oriente e in Occidente e la distruzione di Cartagine con la terza guerra punica (149-146 a.C.). Due problemi si imposero in modo grave tra la fine del II sec. e l'inizio del I sec. a.C.: la questione agraria e il problema dei federati italici, che esigevano la concessione della piena cittadinanza romana. Le guerre avevano depauperato la classe dei piccoli proprietari terrieri, decimati e ridotti in miseria; la piccola proprietà veniva così assorbita nei latifondi. La soluzione del problema fu tentata da Tiberio Gracco (133 a.C.) e da suo fratello Gaio (123-122 a.C.), che proposero una ridistribuzione delle terre. Ma l'aristocrazia senatoria reagì con violenza, uccidendo i due fratelli. D'altra parte, i federati incominciavano a sentirsi minacciati nei loro diritti dal Governo di Roma, la cui oligarchia senatoria diveniva sempre più egoista; l'aspirazione alla piena cittadinanza, più volte respinta da Roma, sfociò in una guerra aperta (guerra sociale, 91-89 a.C.). Roma, pur vincendo la guerra, concedette la cittadinanza. La vastità raggiunta dall'Impero, la necessità di estenderne ancora i confini (occupazione della Gallia da parte di Cesare, organizzazione dell'Oriente mediterraneo) per la difesa degli interessi economici e politici, resero sempre più evidente la profondità della crisi sociale e della crisi costituzionale, già da tempo avvertite. In questo contrasto fra la necessità di rinnovamento e lo spirito conservatore della classe dominante, si inserirono le lotte civili: da Mario e Silla al governo di Pompeo, alla rivolta di Catilina ai triumvirati e alla fondazione del principato per opera di Ottaviano. Il ristabilimento dell'autorità dello Stato si accompagnò a una notevole prosperità economica e a una fioritura letteraria e culturale, che fece di Roma e dell'I. il centro di irradiazione della civiltà del mondo occidentale. Ma lo sviluppo dell'Impero diminuì a poco a poco il primato dell'I. La cittadinanza romana fu gradualmente estesa alle province, pienamente con l'Editto di Caracalla (212 d.C.): la classe dirigente dell'Impero, così come l'esercito, finì per essere costituita da provinciali, dai quali provenivano i senatori, i governatori delle province e gli stessi imperatori. Verso la fine del III sec. d.C. l'I. venne posta sotto l'autorità di un corrector, allo stesso livello di un qualsiasi altro territorio dell'Impero. Analogo criterio fu seguito da Diocleziano, che fece dell'I. una delle dodici diocesi dell'Impero. L'importanza dell'I. diminuì maggiormente con Costantino, che creò una nuova capitale nell'antica Bisanzio e trasferì lì la residenza imperiale, e, nel IV sec. d.C., quando fu unita all'Africa in una medesima prefettura (per una più esauriente trattazione di questo periodo V. ROMA). Medioevo Tra il IV e il V sec., l'I. fu più volte assalita e occupata dai barbari (Visigoti, Vandali, Unni). Nel 476 il re barbaro Odoacre depose l'ultimo imperatore d'Occidente Romolo Augustolo segnando la fine dell'Impero romano d'occidente. Odoacre, accontentandosi del titolo di patrizio, si mise al servizio dell'imperatore d'Oriente Zenone. Successivamente, la pretesa di Odoacre di rendersi maggiormente indipendente dal potere imperiale suscitò la reazione di Zenone che gli mosse contro il re degli Ostrogoti, Teodorico. Calato in I. nel 489, Teodorico vinse in tre anni la resistenza di Odoacre e, dopo essersi impadronito dell'I., giurò fedeltà all'imperatore d'Oriente facendosi anch'egli nominare patrizio. La politica di Teodorico consistette principalmente nella ricerca di un equilibrio fra l'elemento gotico e quello romano: egli riuscì così a convincere la maggior parte della classe dirigente romana a collaborare all'opera di governo della penisola. Tra i suoi principali collaboratori vi furono uomini di grande esperienza amministrativa e di raffinata cultura, come Severino Boezio e Aurelio Cassiodoro. L'equilibrio raggiunto da Teodorico venne spezzato dall'avvento al trono d'Oriente della dinastia macedone (Giustino e soprattutto suo nipote Giustiniano) che, con il tentativo di riattirare nell'orbita imperiale l'aristocrazia romana, provocò la reazione del re goto, il quale diede inizio a un periodo di persecuzioni contro i Romani. Dopo la morte di Teodorico (526) i Bizantini, guidati dai generali Belisario e Narsete, riportarono l'I. sotto il dominio dell'Impero (guerra gotica, 535-53). L'I., desolata e spopolata dalla guerra, dalle carestie e dalle epidemie, poté godere di un breve periodo di tranquillità; ma questo assetto di pace fu sconvolto, nel 568, dall'invasione di un nuovo popolo germanico: i Longobardi, che devastarono dapprima l'I. settentrionale e quindi l'Umbria e la Toscana. Suddivisi in bande armate, i Longobardi ebbero facilmente la meglio sui Bizantini, finché nel 603 stipularono con Bisanzio un accordo di pace che ripartiva il territorio italiano in due zone: la cosiddetta Romania (Calabria, Puglia, Sardegna, Corsica, Roma e il suo territorio, Ravenna, le Marche settentrionali) controllata dall'Impero bizantino d'Oriente; la Longobardia, che includeva il resto dell'I., dominata appunto dai Longobardi. Successivamente i Longobardi riuscirono a sottrarre a Bisanzio i territori adriatici dell'Esarcato di Ravenna e della Pentapoli marittima e gran parte dell'I. meridionale, dando vita a un Regno che ebbe come capitale Pavia. Come quasi tutti i popoli germanici, i Longobardi erano di religione ariana e percepivano come una minaccia la Chiesa cattolica, potenza economica e culturale in un'epoca di crisi generalizzata. Il processo di assimilazione e di conciliazione con l'elemento romano avvenne in seguito all'accordo che i Longobardi sottoscrissero con la Chiesa e, ancora di più con la conversione del popolo germanico al Cristianesimo; artefice di questo processo fu la Chiesa romana, in particolare papa Gregorio Magno, a dimostrazione del prestigio del Cristianesimo, che andava assumendo una sempre maggiore forza politica e spirituale. Le consuetudini giuridiche dei Longobardi furono raccolte per la prima volta per iscritto nel 643 nell'Editto di Rotari. Nell'VIII sec., di fronte al tentativo dei re longobardi Liutprando, Astolfo, Desiderio, di completare la conquista della penisola, i papi chiesero aiuto alla potente Monarchia cattolica dei Franchi. Astolfo occupò Ravenna, la Pentapoli, il Ducato spoletino, avvicinandosi sempre più a Roma. Pipino il Breve, primo dei Carolingi, intervenne cacciando i Longobardi da Ravenna e dal territorio circostante (Esarcato, Pentapoli), che consegnò al pontefice come "patrimonio di San Pietro". Da questa cessione, configurata come "restituzione" di terre legittimamente appartenenti alla Chiesa, secondo la donazione di Costantino, ebbe origine l'embrione del futuro Stato della Chiesa. Nel 774, con la definitiva vittoria di Carlo Magno contro Desiderio, ebbe fine la dominazione dei Longobardi. Riuscì a mantenere una certa indipendenza dai Franchi il Ducato longobardo di Benevento, mentre la Calabria, parte della Puglia, la Sicilia, la Sardegna e Venezia restarono ai Bizantini. Il vecchio territorio bizantino dall'Umbria al Lazio e alla Campania settentrionale era controllato dal papa. Carlo, intitolatosi re dei Franchi e dei Longobardi, riorganizzò il Regno, ribattezzato Regno italico, secondo l'ordinamento franco. Dopo l'incoronazione imperiale di Carlo, celebrata a Roma nell'anno 800, il Regno divenne parte integrante dell'Impero romano, il primo Impero cristiano della storia, ricostituito in Occidente. Alla fine del IX sec., l'I. del Sud subì l'invasione degli Arabi, che si stabilirono in Sicilia, divenuta base per le incursioni nel Mediterraneo dei pirati saraceni, per secoli autentico flagello delle popolazioni rivierasche. Con il disfacimento dell'Impero carolingio, l'I. cadde in balia dei grandi feudatari italiani e stranieri (Berengario I, Rodolfo II di Borgogna, Ugo di Provenza, Berengario II), finché non passò agli imperatori germanici. A riorganizzare l'Impero fu Ottone I di Sassonia, che nel 962 fu incoronato imperatore dal papa. Egli, messo a capo di un territorio esteso dalla Germania all'I. settentrionale, promosse una comunanza di valori della civiltà tedesca e di quella romana, sotto l'egida della fede cristiana. A Ottone I si deve l'istituzione dei vescovi-conti, cioè di un'alta feudalità ecclesiastica ossequiente all'Impero, con ampi poteri giurisdizionali. La gerarchia ecclesiastica si trovò così sempre più legata agli interessi temporali e alla struttura feudale della società. Ottone I cercò di unificare la penisola annettendosi il Mezzogiorno: negoziò, infatti, le nozze di suo figlio Ottone con la principessa bizantina Teofano, che avrebbe dovuto portare in dote i territori meridionali dell'I. Il suo progetto, tuttavia, non si realizzò. Alla fine dell'XI sec., si aprì una lunga lotta tra la Chiesa e l'Impero per la questione delle investiture (1076-1122). Oggetto della contesa era il diritto di conferire le investiture ecclesiastiche, episcopali e abbaziali, che il papa rivendicava come appartenente a lui soltanto, escludendo l'imperatore. Il conflitto si concluse con il Concordato di Worms (1122) che, pur accordando all'imperatore precisi diritti nella creazione dei vescovi-conti, riservava esclusivamente al papa l'investitura spirituale. L'inizio del secondo millennio registrò un consistente incremento demografico, la ripresa dell'economia agraria e lo sviluppo delle città quali centri di coordinamento del territorio. I conseguenti mutamenti sociali incrinarono i tradizionali rapporti gerarchici dell'ordinamento feudale, minacciati da richieste di libertà e di privilegi. Nel frattempo, nell'I. meridionale e in Sicilia si imposero i Normanni, una popolazione di straordinari navigatori discendente dai Vichinghi che si era convertita al Cristianesimo. Tra i re normanni si distinsero Roberto il Guiscardo, suo fratello Ruggero I e Ruggero II che arrivò a fondare (1130) un Regno comprendente l'intero Mezzogiorno. Le crociate e l'impossibilità da parte degli imperatori germanici di occuparsi direttamente delle questioni italiane a causa della lotta per le investiture, favorirono lo sviluppo autonomo dei comuni italiani, vere e proprie città-Stato, e delle Repubbliche marinare. Amalfi, Pisa, Genova e Venezia rifornirono uomini, armi e mezzi per sostenere le crociate, ottenendo in cambio importanti privilegi commerciali; diventarono così punti di riferimento obbligati per il commercio tra Oriente e Occidente. In particolare Venezia, potendo contare su un esteso territorio e su una moderna flotta mercantile e militare, riuscì ad acquisire il dominio dell'Adriatico, monopolizzando poi gli scambi con l'Oriente, grazie al controllo di un gran numero di isole e delle località marittime più importanti dell'Impero bizantino e dando origine, dopo la quarta crociata (1202-04) a un potente Impero marittimo. Altri comuni italiani che assunsero un ruolo preminente furono Firenze, cuore del nuovo sistema bancario nato con il fiorire dell'economia monetaria e con l'intensificarsi degli scambi mercantili in Europa, e Milano, situata al centro di un'economia artigianale tra le più progredite del continente. Inevitabile fu lo scontro tra comuni e Impero: nel 1154 l'imperatore Federico I di Svevia, detto Barbarossa, scese per la prima volta in I. deciso a reimporre l'autorità imperiale. Nel 1162 distrusse Milano, ma la durezza del governo imperiale e l'esosità dei suoi funzionari suscitarono fra i comuni l'esigenza di unirsi per difendere la loro autonomia: nel 1167 i comuni del Nord costituirono la Lega Lombarda che, nel 1176, sconfisse a Legnano il Barbarossa, costringendo l'imperatore a firmare la Pace di Costanza (1183), che concedeva ampie autonomie ai comuni in cambio del riconoscimento dell'alta sovranità imperiale. L'imperatore riuscì a conservare il proprio controllo sull'I. anche grazie al matrimonio del figlio Enrico con Costanza d'Altavilla, ultima discendente dei Normanni di Sicilia. La politica del Barbarossa venne continuata da suo nipote Federico II, che tuttavia non riuscì a piegare la resistenza dei comuni del Nord e, alla sua morte, consegnò ai successori una situazione incontrollabile. Nel 1266 il papato chiamò in I. il principe francese Carlo d'Angiò che occupò l'I. meridionale ma, nel 1282, ne venne scacciato dalla rivolta dei Vespri Siciliani (V. VESPRO) che permise agli Aragonesi di Spagna d'impadronirsi della Sicilia e della Sardegna. Gli Angioini rimasero a Napoli e tentarono successivamente di interferire nelle vicende dell'I. settentrionale. Nuovi fermenti sociali si agitavano intanto nell'I. comunale. La maggior parte dei comuni italiani era lacerata da lotte interne: i ricchi artigiani, i mercanti, i finanzieri, fino ad allora esclusi dal potere, miravano ad affermarsi politicamente. Il conflitto tra ceti nobiliari e borghesi, il timore dell'ascesa delle classi inferiori, il potere crescente di gruppi familiari rese ingovernabili molti comuni italiani. Sorta l'esigenza di una maggiore stabilità istituzionale, in molti comuni il controllo politico venne assunto da una sola famiglia. Si formarono così le signorie e i principati, che rappresentarono il passaggio dalle autonomie comunali agli Stati regionali nei quali una città egemone ne controllava numerose altre. A Milano, per esempio, nel corso dei secc. XIV-XV si impose la signoria dei Visconti, che riuscirono a ricostruire quasi totalmente l'antico Regno dei Longobardi e ai quali nel 1450 subentrarono gli Sforza, che diedero vita al Ducato di Milano. Tra i numerosi principati dinastici i più importanti erano quelli presenti in Piemonte con i Savoia, in Toscana con i Medici, nelle Marche con i Montefeltro di Urbino. Il panorama politico dell'I. all'alba dell'era moderna presentava anche altre forme istituzionali: lo Stato della Chiesa, sede di una sovranità politico-religiosa di dimensione mondiale; le Repubbliche, tra cui primeggiava Venezia, guidata da un'oligarchia patrizia. L'espansione delle signorie continuò per tutto il XIV sec., favorita anche dall'esilio avignonese dei papi che privò l'I. di un potere centrale e di un valido punto di riferimento spirituale. I nuovi Stati, segnatamente Milano, Genova e Firenze, riuscirono per un quarantennio a trovare un equilibrio politico, grazie anche all'accorta opera di mediazione di Lorenzo De' Medici. Alla sua morte (1492), tuttavia, gli Stati italiani non seppero opporsi all'invasione (1494) del re francese Carlo VIII che riuscì a raggiungere il Regno di Napoli senza trovare praticamente resistenza. L'età moderna La spedizione del re francese dimostrò alla Francia e alla Spagna la reale debolezza delle compagini statali italiane, incapaci di trovare un accordo stabile e di opporsi validamente a un nemico proveniente dall'esterno. Tra queste due potenze iniziò nel 1500 una lotta per il predominio europeo che ebbe l'I. come terra di scontro e che si concluse nel 1559 con la Pace di Cateau-Cambrésis. Questa consegnava alla Spagna la pianura padana, lo Stato dei Presidi (Piombino e località minori), il Regno di Napoli e la Sicilia. Il predominio spagnolo, unito alla presenza del papato, spiega l'estraneità dell'I. al moto protestante europeo: ogni manifestazione di allontanamento dall'ortodossia fu duramente stroncato. Vi furono, tuttavia, numerosi intellettuali italiani ed esponenti di diversi strati sociali che aderirono alla Riforma. D'altra parte, il papato, riaffermato il tradizionale patrimonio dottrinale, si impegnò in una vasta opera di riforma interna, volta a moralizzare la vita del clero. A partire dal Concilio di Trento (1545-63) e per almeno tre secoli, la storia dell'I., cuore del Cattolicesimo, fu influenzata dalla Controriforma, che impose, oltre a valori morali, canoni estetici e culturali, permeando con un'impronta marcatamente clericale ogni settore della società italiana. La Spagna, inoltre, esercitò la sua egemonia gravando pesantemente sui sudditi e spegnendo ogni iniziativa politica locale. Tuttavia, malgrado la decadenza politica ed economica, l'I. riuscì a tenere alto il proprio prestigio culturale: figure come quelle di Torquato Tasso, Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Galileo Galilei, Niccolò Machiavelli non mancarono di manifestare il loro dissenso politico e religioso. Il sentimento antispagnolo, estremamente diffuso, si espresse in violente rivolte come quelle di Masaniello a Napoli (1647) e di Giuseppe Alessi a Palermo (1647). In generale il Seicento in I. fu caratterizzato da incertezza e crisi, scandito dalla guerra dei Trent'anni (1618-48) e dalle ondate di ribellioni del mondo contadino, dalle rivolte politiche e sociali e dalle spaventose epidemie di peste, fenomeni che provocarono una regressione economica e la ripresa del feudalesimo. In seguito alla guerra di Successione spagnola, che pose fine alla dinastia che fino ad allora aveva governato la Spagna sostituita dalla dinastia francese dei Borboni, in I. si ebbe una serie di mutamenti, culminati nei Trattati di Utrecht (1713) e Rastadt (1714): gli Asburgo si sostituivano agli Spagnoli in Lombardia, nel Regno di Napoli e in Sicilia; i Savoia ottenevano, con la Sardegna, la corona di re.
Trapani L'Italia nel 1714 – I Savoia Le ulteriori guerre di Successione (polacca e soprattutto austriaca) determinarono nuovi assestamenti territoriali, sanzionati dalla Pace di Aquisgrana del 1748. L'I. risultò politicamente divisa in tre zone: una controllata direttamente (il Milanese) o indirettamente (Firenze con la nuova dinastia degli Asburgo-Lorena, Modena con gli Asburgo-Este) dall'Austria; una seconda sotto i Borboni di Spagna (Napoli-Sicilia, Parma-Piacenza); infine l'I. dei vecchi Stati, tra cui si distingueva quello sabaudo. Tale assetto rimase sostanzialmente immutato fino alla venuta di Napoleone in I. La seconda metà del XVIII sec. ci presenta in I., così come nel resto dell'Europa, il governo dei sovrani illuminati, impegnati a operare numerose riforme sul piano amministrativo, giuridico, economico, ecclesiastico (giurisdizionalismo), sostenute dagli intellettuali del tempo. Tale movimento riformistico operò in modo disuguale nei vari Stati italiani. Nei Paesi soggetti all'Austria e ai Borboni furono introdotte numerose riforme. In Lombardia, l'imperatrice Maria Teresa e ancor di più il figlio Giuseppe II riorganizzarono l'amministrazione, fecero eseguire il censimento, fecero ripartire in modo eguale le imposte, incoraggiarono l'economia e abolirono l'Inquisizione, la censura e il diritto d'asilo. Anche nel Granducato di Toscana venne avviata una notevole opera riformatrice sotto la guida di un altro figlio di Maria Teresa, Leopoldo I (1765-90), che stabilì il principio dell'uguaglianza di tutti i cittadini nei confronti del sistema fiscale, bonificò la Maremma e, primo fra i sovrani europei, abolì la pena di morte e la tortura. Nel Ducato di Parma e nel Regno di Napoli vennero promosse importanti riforme e provvedimenti di carattere ecclesiastico che limitarono i privilegi e la potenza del clero. Gli Stati e le dinastie più antiche della penisola (Repubbliche di Genova e Venezia, casa Savoia, Estensi) si mostrarono indifferenti o ostili al movimento riformatore. La penisola divenne uno dei centri della cultura illuministica: uomini come Cesare Beccaria, Pietro Verri e Pietro Giannone condussero una vasta opera di rinnovamento culturale, attraverso numerosi studi di carattere economico e sociale. Di fronte alla Rivoluzione Francese, nei diversi Stati italiani si formarono gruppi di giacobini che, in accordo con le idee dei rivoluzionari parigini, prospettavano l'eliminazione dell'assolutismo e la formazione di Stati democratici; di contro, i reggenti si impegnarono nella lotta contro le nuove idee. L'età napoleonica Nel 1796 la Rivoluzione sopraggiunse con le armate di Napoleone Bonaparte: il generale iniziò infatti la campagna d'I., che avrebbe portato gran parte della penisola sotto il controllo francese. Occupata Nizza e la Savoia, Napoleone sconfisse Austriaci e Piemontesi, occupò la Lombardia e parte del Veneto, promuovendo la formazione di una serie di Repubbliche ispirate agli ideali rivoluzionari. Nel 1797 sottoscrisse con gli Austriaci il Trattato di Campoformio, con cui il Veneto venne ceduto all'Austria, mentre le province di Crema, Bergamo e Brescia, le province lombarde a Nord del Po e la Valtellina furono unite nella Repubblica Cisalpina. A essa fu annessa la Repubblica Cispadana, costituita dalle ex legazioni pontificie di Bologna e Ferrara e dai Ducati di Parma e Reggio, e sorta nel 1796. Con notevole rapidità e grazie alla collaborazione tra giacobini italiani e armate napoleoniche, nacquero la Repubblica Ligure, la Repubblica Romana (1798), che comprendeva i territori dello Stato Pontificio, la Repubblica Partenopea (1799) e i Governi repubblicani in Piemonte e in Toscana (1798-99).
Trapani La Campagna d'Italia (1796-1797) Tale assetto ebbe però breve durata. Una coalizione europea guidata da Austria, Russia e Inghilterra abbatté tutte le nuove Repubbliche, riportando sul trono gli antichi sovrani. Tuttavia, Napoleone riuscì a organizzare la controffensiva e nel 1800, nella battaglia di Marengo, sconfisse gli alleati facendo rinascere la Repubblica Cisalpina, che nel 1802 fu trasformata, con l'annessione anche dei territori veneti, conquistati in seguito alla battaglia di Austerlitz (1805), in Repubblica italiana, presieduta dallo stesso Napoleone e con la vicepresidenza di Francesco Melzi d'Eril. Nel 1805 la Repubblica italiana fu proclamata Regno da Napoleone, che si fece incoronare re dal papa. Il Granducato di Toscana, divenuto Regno d'Etruria (1801-07), fu dunque annesso alla Francia insieme allo Stato Pontificio (nel 1808 Napoleone, dichiarato abolito il potere temporale dei papi, deportò Pio VII a Fontainebleau), come già era accaduto a Liguria, Piemonte e al Ducato di Parma; costituito nuovamente in Ducato nel 1809, vi fu posta a capo Elisa Bonaparte, già principessa di Lucca, Massa e Carrara. Nel Regno di Napoli fu incoronato re (1806) Giuseppe Bonaparte, il quale si fece promotore di una serie di riforme (tra cui l'eliminazione della feudalità) proseguite poi dal suo successore Gioacchino Murat. Solamente la Sardegna e la Sicilia, assoggettate rispettivamente ai Savoia e ai Borboni, rimasero estranee al dominio francese, potendo contare sulla protezione navale della Gran Bretagna. Fino al 1813 l'I. napoleonica godette di stabilità politica e territoriale, malgrado il Regno fosse completamente dipendente dal Governo francese. L'intento di Napoleone non era infatti quello di fare dell'I. uno Stato indipendente, ma di assoggettare completamente la penisola alla Francia. Se il Regno d'I. poté godere durante il governo napoleonico di alcuni vantaggi amministrativi ed economici (unificazione della legislazione, ordine amministrativo, sviluppo economico, opere di pubblica utilità), il dispotismo francese si rivelò però oppressivo per la pressione fiscale, le leve militari, le prepotenze. Nel 1813 una nuova coalizione europea sconfisse Napoleone a Lipsia. Gli Austriaci rientrarono in possesso dei territori strappati loro dai Francesi. Fallito il tentativo di Gioacchino Murat di fare dell'I. un Regno indipendente, il Congresso di Vienna (1815) definì per l'I., oltreché per l'Europa, un nuovo assetto territoriale. In base al principio della legittimità, ripresero il potere i sovrani scalzati da Napoleone o i loro discendenti. Gli Austriaci si installarono nell'I. centro-settentrionale riacquisendo la Lombardia, ottenendo il Veneto, imponendo sovrani legati alla dinastia asburgica in Toscana, a Parma e a Modena. Scomparvero definitivamente le antiche Repubbliche di Genova e di Venezia: la prima fu unita al Regno di Sardegna; la seconda diede origine a una provincia nel Regno asburgico del Lombardo- Veneto. Nel Centro della penisola lo Stato Pontificio non subì variazioni territoriali. Nel Meridione il Regno delle Due Sicilie fu di nuovo nelle mani dei Borboni. Nel territorio italiano solo il Regno di Sardegna, costituito da Piemonte, Liguria, Sardegna, la Savoia e Nizza, poteva svolgere una politica relativamente autonoma. Inoltre gran parte delle molteplici riforme introdotte in epoca napoleonica furono cancellate: in Lombardia e nelle Venezie il Governo austriaco abolì tutte le istituzioni napoleoniche e, accentrando fortemente il potere a Vienna, privò di autorità le autonomie locali; in Piemonte venne ristabilita l'antica legislazione e l'antico diritto penale. L'unico Stato che mantenne una parte degli ordinamenti francesi fu la Toscana che, sotto Ferdinando III, riuscì anche a conservare un certo grado di autonomia dal Governo austriaco. L'età risorgimentale In questo clima reazionario incominciarono a diffondersi, soprattutto tra la borghesia e in alcuni elementi nobiliari, gli ideali di indipendenza, di libertà, di unità. I primi gruppi di patrioti, sottoposti a strettissima sorveglianza dalle autorità, si riunirono in società segrete, la principale delle quali fu la Carboneria. Sorta nell'I. meridionale con carattere antifrancese, si diffuse poi nello Stato Pontificio e nel Settentrione. Il movimento patriottico e liberale italiano fu strettamente collegato con i movimenti liberali esteri. Grande ripercussione ebbero così in I. gli avvenimenti europei.
Trapani L'Italia nel 1800 Trapani L'Italia nel 1815 Nel 1820, in concomitanza con la rivoluzione spagnola, si ebbe a Napoli la prima insurrezione liberale guidata dall'ex generale Guglielmo Pepe, fallita a causa dell'intervento austriaco. Un analogo tentativo operato in Piemonte nel 1821, con il larvato appoggio del reggente Carlo Alberto, fallì per il sopraggiungere delle truppe austriache. In entrambi i casi si trattò, in sostanza, di un pronunciamento militare al quale non avevano preso parte né le classi medie né tantomeno il popolo. Nel 1824 venne sventata dalla polizia austriaca una congiura alla quale avevano preso parte numerosi intellettuali ed esponenti della nobiltà lombarda, tra i quali Federico Confalonieri e Silvio Pellico. Nel 1830, lo scoppio della Rivoluzione di Luglio in Francia suscitò nei liberali italiani la speranza di un appoggio francese contro l'Austria. Nel 1831, i patrioti insorsero a Bologna e nel Ducato di Modena, ma nuovamente l'esercito austriaco riuscì facilmente a soffocare il moto. Tale rivoluzione segnò la definitiva sconfitta della Carboneria, dimostratasi incapace di definire un programma organico e di esprimere dirigenti validi e capaci. Ad opera del genovese Giuseppe Mazzini sorse allora una nuova organizzazione politica segreta, la Giovine Italia (1831) con un programma e un'organizzazione ben definiti. Suo obiettivo era l'unità d'I. sotto un governo popolare repubblicano. La Giovine Italia promosse in Piemonte e in Lombardia una serie d'insurrezioni che però fallirono per mancanza di preparazione e per l'incapacità dei loro promotori di coinvolgere le classi popolari. L'ultimo di questi tentativi fu quello dei fratelli Bandiera che, nel 1844, effettuarono uno sbarco in Calabria in aiuto di gruppi insorti, ma vennero catturati e fucilati insieme ai loro compagni. Il fallimento di tutti questi sforzi spinse gli intellettuali e i patrioti italiani a cercare una nuova strada attraverso la quale giungere all'indipendenza nazionale. Alla tendenza rivoluzionaria si sostituì quella riformistica, che ebbe tra i suoi maggiori esponenti Vincenzo Gioberti. Costui propose la creazione in I. di una federazione di Stati con a capo il papa e un programma moderato di riforme sociali e politiche. L'ascesa al soglio pontificio di Pio IX e le riforme da questi concesse fecero per qualche tempo sperare che la tendenza riformistica avesse basi reali. Nel 1848 lo scoppio di insurrezioni antiaustriache spinse alcuni sovrani, tra i quali Leopoldo II di Toscana, il pontefice e Carlo Alberto, a concedere una serie di Costituzioni che furono modellate sull'esempio di quella francese. Nel febbraio dello stesso anno la rivoluzione di Parigi e l'insurrezione di Vienna suscitarono analoghi moti antiaustriaci a Milano (moto delle Cinque Giornate) e a Venezia, che costrinsero gli Austriaci a lasciare le due città. Il 23 marzo Carlo Alberto, spinto dalla pressione dell'opinione pubblica, dichiarò guerra all'Austria (prima guerra d'indipendenza). La guerra volse dapprima in favore dell'esercito piemontese, che sconfisse gli Austriaci a Goito e ottenne la capitolazione di Peschiera. In seguito, le incertezze di Carlo Alberto permisero agli Austriaci di riorganizzarsi e di passare alla controffensiva. A Custoza (1848) i Piemontesi vennero sconfitti e costretti a ripassare il Ticino. All'armistizio firmato dal generale Salasco, fece seguito la ripresa delle ostilità, ma l'esercito piemontese fu completamente disfatto a Novara dal generale Radetzky, e in seguito a ciò Carlo Alberto cedette la corona al figlio Vittorio Emanuele II. Anche a Napoli, in Toscana e a Roma i Governi liberali dovettero capitolare. A Roma Garibaldi, dopo una tenace resistenza contro le truppe francesi mandate in aiuto del papa, dovette ritirarsi e permettere il rientro di Pio IX, fuggito a Gaeta poco prima della proclamazione della Repubblica (1848). In tutti gli Stati italiani si assistette a un periodo di reazione non dissimile a quello che aveva seguito il Congresso di Vienna: le truppe austriache garantirono il ripristino delle dinastie regnanti prima del 1848. Solamente in Piemonte venne mantenuto lo Statuto concesso da Carlo Alberto e, sotto la guida di Camillo Benso conte di Cavour, furono avviate riforme politiche ed economiche che ne fecero una delle compagini statali meglio organizzate d'Europa. Il Piemonte, in vista delle aspirazioni indipendentistiche italiane, si inserì nella politica delle grandi potenze alleandosi con Francia e Inghilterra nella guerra antirussa di Crimea (1854-55), in seguito alla quale Cavour ottenne di presentare il problema italiano nella Conferenza internazionale di Parigi (1856). Grazie all'appoggio di Napoleone III, fu possibile riprendere la guerra con l'Austria. Il conflitto (1859, seconda guerra d'indipendenza) vide la vittoria dei Franco-Sardi a Solferino e a San Martino. La Lombardia venne ceduta al Piemonte che, con successivi plebisciti, si annesse anche il Granducato di Toscana e i Ducati di Modena e Parma. Il Piemonte cedette alla Francia Nizza e la Savoia. Nel 1860 la spedizione dei Mille guidata da Giuseppe Garibaldi liberò il Sud dalla dominazione borbonica; attraverso i plebisciti le popolazioni meridionali, alla pari di quelle dei territori pontifici di Marche e Umbria, si espressero a favore dell'annessione al Regno di Sardegna: il 17 marzo 1861 il Parlamento subalpino proclamò Vittorio Emanuele II re d'I.; Roma fu rivendicata come capitale. A fondamento del nuovo Regno d'I. fu mantenuto lo Statuto albertino del 1848. Nel 1861 il Regno d'I., pur essendo tra le maggiori Nazioni d'Europa a livello di superficie e popolazione, nasceva sotto il segno della divisione, ereditando dal passato differenze economiche, politiche e culturali che ostacolavano la costruzione di uno Stato unitario. Particolarmente evidenti erano le contraddizioni tra le zone settentrionali, coinvolte in processi di rapida modernizzazione, e le zone meridionali, dove permaneva una situazione statica e arcaica. Nelle campagne, inoltre, i contadini erano rimasti estranei, e in alcuni casi persino ostili, al Risorgimento.
Trapani Il Regno d'Italia nel 1861 Tra il 1861 e il 1865 i Borboni sfruttarono il malcontento delle popolazioni del Sud, che si ribellarono alla nuova dominazione. Il Governo fu costretto a intervenire attuando una durissima repressione militare contro il brigantaggio (V.), sviluppatosi come reazione violenta ed esasperata dei contadini contro la borghesia liberale e il Governo centrale. Il nuovo Stato era infatti nato su un'impronta centralista: al re spettavano ampi poteri in politica interna ed estera e su di lui si concentravano alcune leve fondamentali del potere (esercito, burocrazia, giustizia, Senato, i cui rappresentanti, a differenza dei deputati della Camera, erano di nomina regia). Nel 1861 l'artefice dell'unificazione italiana, Cavour, morì e al suo posto come primo ministro del Regno fu nominato Bettino Ricasoli, che proseguì la linea del suo predecessore, all'insegna del liberalismo moderato. Uno dei principali problemi del nuovo Stato, oltre al brigantaggio e al risanamento del bilancio, era la questione romana, che si traduceva nell'ostruzionismo di papa Pio IX, il quale non aveva riconosciuto il nuovo Regno e si era rifiutato di trattare per cedere Roma all'I. Il Governo italiano tentò la via diplomatica, mentre mazziniani e garibaldini premevano per una soluzione di forza, che Garibaldi mise in atto nel 1862, venendo tuttavia fermato dall'esercito piemontese. Nel 1864 il Governo stipulò un accordo con la Francia, le cui truppe difendevano lo Stato Pontificio, in base al quale i Francesi avrebbero ritirato i loro soldati entro due anni, in cambio dell'impegno italiano a non violare militarmente lo Stato della Chiesa. Una clausola dell'accordo prevedeva inoltre il trasferimento della capitale da Torino a Firenze (1865). Nel 1866 l'I. prese parte al conflitto austro-prussiano, alleandosi con la Prussia (terza guerra di indipendenza). Le vittorie degli alleati, che fecero passare in secondo piano le sconfitte dell'esercito italiano (Custoza, Lissa), procurarono all'I. l'acquisizione del Veneto. Dopo la conclusione della guerra si venne aggravando il conflitto con il papa che, non rassegnandosi alla perdita del potere temporale, aveva scomunicato Vittorio Emanuele. L'annessione di Roma avvenne nel 1870, quando, scoppiata la guerra franco-germanica, Napoleone III, tradizionale protettore del pontefice, dovette ritirare le sue truppe da Roma e, caduto il Governo imperiale, l'I. ebbe mano libera su Roma. Il 20 settembre le truppe italiane entrarono a Roma per la breccia di Porta Pia. In seguito al trasferimento della capitale del Regno a Roma, nel luglio del 1871, i rapporti tra Stato e Chiesa si fecero più tesi. Il Governo italiano decise così di emanare la Legge delle Guarentigie (1871), con cui al pontefice fu riconosciuto lo status di sovrano straniero e assegnato un territorio (l'attuale Stato del Vaticano). Gli anni successivi al compimento dell'unità furono caratterizzati dallo sforzo delle classi dirigenti per far fronte alle difficoltà di carattere economico. La Camera del Regno d'I., i cui deputati erano eletti soltanto dal 2% dell'intera popolazione della penisola, era divisa in due schieramenti: la Destra, composta da liberali conservatori e moderati, e la Sinistra, costituita dai democratici e dai liberali più progressisti, che sostenevano la necessità di moderate riforme e di un intervento dello Stato nell'economia a difesa dei ceti più deboli. Dal 1861 al 1876 al Governo si succedettero uomini della Destra storica che si ritenevano eredi politici di Cavour. Gli esponenti di maggior spicco politico e intellettuale furono il fiorentino Bettino Ricasoli, il bolognese Marco Minghetti e il piemontese Quintino Sella. In campo economico l'emergenza era costituita dal deficitario bilancio dello Stato, che il ministro delle Finanze Sella, con una severa azione fiscale, che comportò il ripristino della tanto odiata tassa sul macinato (1869), riuscì tuttavia a risanare. La Destra attuò inoltre misure per il libero scambio e diede avvio alla costruzione della rete ferroviaria nazionale. Le elezioni del 1876, che decretarono la vittoria dei candidati della Sinistra, portarono a un parziale ricambio della classe dirigente. I primi Governi della Sinistra, presieduti da Agostino De Pretis, introdussero l'istruzione elementare obbligatoria dai sei ai nove anni. Inoltre nel 1882 vararono una riforma elettorale tramite cui si attuò un allargamento del corpo elettorale, con un'estensione dei diritti politici alla piccola borghesia, agli operai e ai piccoli proprietari terrieri. Dal 1887 al 1896, eccetto un'interruzione di due anni, primo ministro fu Francesco Crispi, il quale promosse un'opera di adeguamento dello Stato alle nuove realtà sociali ed economiche, con il varo del codice sanitario, della riforma degli enti locali e del Codice Penale (1890), che dal suo estensore prese il nome di Codice Zanardelli. Crispi fu inoltre fautore di una politica autoritaria (riduzione delle libertà di sciopero e di associazione) e imperialista (costituzione della colonia eritrea e della Somalia italiana). Tuttavia la sconfitta subita dall'esercito italiano ad Adua (1896), che bloccò l'espansionismo coloniale italiano, unita all'aggravarsi della crisi finanziaria determinarono le dimissioni di Crispi. Nel frattempo nel Paese si andavano diffondendo i primi nuclei del movimento socialista, sfociati nella nascita del Partito Socialista Italiano (PSI), fondato nel 1892 a Milano da Filippo Turati. Il PSI, fino all'avvento del Fascismo, fu il principale referente del mondo operaio (in forte crescita tra la fine del XIX e l'inizio del XX sec. a causa dell'avvio anche in I. del processo di industrializzazione) che alla fine del secolo mise in atto una serie di scioperi, a cui il Governo rispose con una dura repressione. Il culmine si toccò nel 1898 a Milano, dove il generale Bava Beccaris fece aprire il fuoco sulla folla che reclamava lavoro e pane. Subito dopo la strage, che costò la vita ad alcune centinaia di dimostranti, la polizia arrestò i dirigenti socialisti, chiuse i giornali dell'opposizione e le sedi dei partiti operai. La difficile situazione italiana faceva paventare l'avvento di un Governo reazionario. L'età giolittiana La situazione in I. si fece ancora più tesa allorché nel 1900 Umberto I venne ucciso a Monza da un anarchico. D'altra parte alcuni settori della società italiana (borghesia industriale) e i partiti di sinistra (socialisti, repubblicani, radicali) auspicavano una svolta democratica, che si verificò nel 1901, quando il nuovo re Vittorio Emanuele III affidò l'incarico di formare il Governo a Giuseppe Zanardelli, di area liberale. Ma la personalità di spicco di quell'Esecutivo era Giovanni Giolitti, ministro degli Interni, il quale assunse la carica di primo ministro nel 1903, mantenendola fino al 1913, salvo brevi interruzioni. L'età giolittiana fu caratterizzata da una forte crescita economica, soprattutto nel settore dell'industria, con conseguente aumento del reddito degli Italiani. Tuttavia, gli indici altrettanto elevati dell'emigrazione all'estero confermavano i radicati squilibri tra Nord e Sud del Paese. Giolitti portò avanti la modernizzazione dello Stato liberale e attuò importanti riforme di carattere sociale, il tutto in un clima di distensione e collaborazione con i settori moderati del Socialismo. Delle due anime del PSI, quella riformista e quella massimalista, fautrice quest'ultima di uno scontro sociale e politico senza mediazioni, prevalse dunque la prima, anche grazie alla linea politica di Giolitti, che si caratterizzò per un nuovo atteggiamento di neutralità governativa nei conflitti di lavoro, la cui risoluzione veniva lasciata alle parti in causa, industriali e operai. Con gli Esecutivi Giolitti furono varate le prime leggi speciali per lo sviluppo del Mezzogiorno, vennero statalizzate le ferrovie (1905) e nel 1912 fu concesso il suffragio maschile quasi universale (potevano votare tutti i maschi sopra i 30 anni; sotto i 30 bisognava aver prestato servizio militare, o disporre di un determinato reddito, o svolgere una professione statale) e venne inaugurata la moderna legislazione sociale, con l'introduzione delle pensioni di invalidità e di vecchiaia per i lavoratori. Giolitti stipulò inoltre con l'elettorato cattolico (che, obbediente alle direttive ecclesiastiche, non partecipava alle elezioni politiche e non riconosceva lo Stato italiano, distruttore del potere temporale del papa) il cosiddetto Patto Gentiloni, dal nome del deputato che lo propose. In base a tale accordo i cattolici assicuravano il loro voto ai candidati liberali (contro i socialisti) a patto che questi si impegnassero a rispettare le istituzioni religiose, si opponessero a ogni legge sul divorzio e avviassero l'insegnamento della religione nelle scuole elementari. In politica estera, pur mantenendo fede alla Triplice Alleanza (stipulata nel 1882 con Austria e Germania), Giolitti strinse buoni rapporti con la Francia, con cui sottoscrisse un accordo coloniale (1902), in base al quale l'I. riconosceva ai Francesi libertà di intervento in Marocco in cambio di un analogo atteggiamento francese verso le pretese italiane sulla Libia. Alle crescenti pressioni dei nazionalisti, che si erano risvegliati in seguito all'annessione della Bosnia-Erzegovina da parte dell'Austria (1908), Giolitti rispose con l'invio di una spedizione militare in Libia (1911). Ebbe così inizio la guerra italo-turca che si concluse nel 1912 con la vittoria dell'I. e con la firma di un trattato di pace che riconosceva la sovranità italiana sulla Libia, su Rodi e altre isole del Dodecaneso occupate nel corso del conflitto. Le elezioni del 1913 registrarono un'avanzata delle opposizioni, sia dei socialisti, sia dei clerico-moderati. Giolitti, indebolito dal risultato delle consultazioni oltre che dalla crisi economica, perse la base parlamentare e sociale e fu costretto alle dimissioni. Al suo posto venne nominato Antonio Salandra, il cui Governo represse le agitazioni antimilitariste del giugno 1914, che nelle Marche e in Romagna assunsero una dimensione insurrezionale (la cosiddetta "settimana rossa", 7-14 giugno). Salandra inoltre, nonostante il diffuso sentimento neutralista del Governo, favorì l'organizzazione di manifestazione in appoggio a un intervento militare contro l'Austria (le "radiose giornate di maggio"), che fecero da premessa a quel clima bellico che avrebbe travolto l'I. e il resto d'Europa all'indomani dell'attentato di Sarajevo (28 giugno 1914), causa scatenante il primo conflitto mondiale. La prima guerra mondiale Nel 1914, al momento dello scoppio del conflitto mondiale, l'I. dichiarò la propria neutralità. Ma accanto ai neutralisti (liberali, cattolici, socialisti), numerose forze premevano per l'intervento del Paese in guerra: gli irredentisti, che speravano di liberare il Trentino, Friuli e Trieste, governati dall'Austria, i nazionalisti e alcuni socialisti. Nel 1915, spinto da grandi manifestazioni interne, il Governo italiano segretamente stipulò con la Triplice Intesa (Francia, Gran Bretagna e Russia) il Patto di Londra ed entrò in guerra. Nelle trattative che precedettero l'ingresso dell'I. in guerra, Vienna si era rifiutata di cedere Trento e Trieste; mentre Londra aveva promesso il Trentino, l'Alto Adige fino al Brennero, Trieste e l'Istria, parte della Dalmazia esclusa Fiume. Sotto il comando del generale Luigi Cadorna l'esercito combatté una logorante guerra di trincea nelle Dolomiti, nel Carso e sulla linea dell'Isonzo. Dopo la lenta avanzata verso il Trentino e Trieste, nel 1917 l'esercito italiano venne travolto a Caporetto da una violenta controffensiva austro-tedesca arrestata, con gravissime perdite, sul Piave. Nel 1918 fu possibile passare all'attacco e, in concomitanza con il crollo degli Imperi centrali sugli altri fronti, l'esercito italiano al comando del generale Armando Diaz, che aveva sostituito Cadorna, sconfisse gli Austriaci a Vittorio Veneto. Dopo la conclusione della guerra, emersero le fragilità del sistema economico italiano che, chiamato alla riconversione dalla produzione bellica a quella civile, doveva affrontare il risanamento di un debito pubblico salito alle stelle e porre rimedio all'inflazione e alla disoccupazione, ereditate dal conflitto. Inoltre le decisioni prese dalla conferenza di pace, tra cui la mancata cessione di Fiume e la Dalmazia all'I., ingenerarono nell'opinione pubblica il mito della "vittoria mutilata". Nell'aprile 1919 i ministri plenipotenziari Vittorio Emanuele Orlando e Sidney Sonnino, in segno di protesta, abbandonarono la Conferenza di Parigi, facendovi ritorno poco dopo per la firma dei trattati conclusivi, che sancirono la cessione all'I. di Trento, Trieste e l'Istria. In questo clima di delusione, i nazionalisti si sentirono legittimati a far sentire la loro protesta e a sostenere l'occupazione di Fiume effettuata nel settembre 1919 da volontari guidati da Gabriele D'Annunzio. A partire dal 1919 gli operai nelle fabbriche e i braccianti nelle campagne, ispirati dalla Rivoluzione d'Ottobre, scesero in sciopero per rivendicare aumenti salariali e migliori condizioni di vita. La lotta del movimento popolare, sostenuto da sindacati e Partito Socialista, toccò il suo culmine nel 1920 con l'occupazione delle fabbriche del Nord; dopodiché ebbe un rapido declino. Negli anni del primo dopoguerra nacquero nuove formazioni politiche: nel 1919, sotto gli auspici della Chiesa, fu fondato da don Luigi Sturzo il Partito Popolare Italiano; nello stesso anno ebbe origine il movimento fascista, sorto col nome di Fasci Italiani di Combattimento per iniziativa di Benito Mussolini il quale, facendo leva sulla preoccupazione di una rivoluzione comunista e parlando soprattutto agli ex combattenti e ai ceti medi, diede vita a una forza extraparlamentare di matrice nazionalista e radicalmente antisocialista; nel 1921 dalla scissione della corrente massimalista e rivoluzionaria del PSI nacque il Partito Comunista Italiano (PCI), il cui leader teorico fu Antonio Gramsci. Nel 1920 la carica di primo ministro fu assunta nuovamente da Giolitti che, per esperienza e prestigio, si pensava potesse allentare le tensioni sociali e ricomporre i contrasti politici. Egli risolse la questione di Fiume sottoscrivendo con la Jugoslavia il Trattato di Rapallo (novembre 1920), in base al quale all'I. venivano cedute alcune aree della Dalmazia (Cherso, Lussino, Zara, Lagosta) e Fiume diventava una città libera (lo sarebbe stata fino al 1924, quando, con il Trattato di Roma, passò sotto il dominio italiano). Le maggiori difficoltà per Giolitti si verificarono sul fronte interno: nei ceti medi e dei possidenti, preoccupati dalle vittorie dei socialisti alle elezioni amministrative, cresceva infatti il desiderio di una risposta autoritaria, mentre i moderati guardavano con timore ai disordini e alle violenze generate da quanti, all'interno del movimento operaio, tentavano di creare una situazione rivoluzionaria, sull'esempio della rivoluzione russa del 1919. L'avvento del Fascismo e la seconda guerra mondiale Con l'esaurimento del "biennio rosso" (1919-21), caratterizzato dalle lotte operaie e contadine, Mussolini riuscì a catalizzare le frustrazioni della piccola borghesia (classi medie, industriali) e i desideri di rivalsa dei grandi detentori di ricchezze (agrari, in primo luogo). Le violenze perpetrate dalle squadre di volontari fascisti (le camicie nere) contro le sedi e i rappresentanti del movimento operaio e socialista, vennero ottusamente assolte dalla maggior parte dell'opinione pubblica come funzionali a un auspicato "ritorno all'ordine". Le elezioni politiche del 1921 registrarono l'avanzamento del Partito Nazionale Fascista, che ottenne 35 deputati, un numero ancora inferiore a quello dei socialisti, ma sufficiente a segnare la sconfitta dei partiti democratici, assai disgregati tra loro. Il 27 ottobre 1922, organizzate le camicie nere in formazioni di carattere militare, Mussolini si diresse su Roma ("Marcia su Roma" del 28 ottobre), chiedendo le dimissioni del primo ministro Luigi Facta e del suo Governo. Facta esortò il re a proclamare lo stato d'assedio e a sciogliere la manifestazione. Vittorio Emanuele III non solo si oppose, ma diede a Mussolini l'incarico di formare un nuovo Esecutivo. In questo modo, tramite una sorta di colpo di Stato attuato con l'appoggio degli apparati statali, Mussolini si pose a capo di un Governo composto da una coalizione di liberali e popolari a lui favorevoli, avviando inoltre quel processo di fascistizzazione dell'apparato statale che avrebbe in breve tempo portato l'I. alla dittatura. Il passaggio dallo Stato parlamentare al regime totalitario si attuò nel giro di quattro anni, scandito da alcune tappe fondamentali: nel 1923 furono emanate leggi che limitavano la libertà di stampa, in modo da mettere a tacere le opposizioni e servirsi dei giornali come strumenti di propaganda; nello stesso anno venne presentata la Legge Acerbo che modificava il sistema elettorale, in modo da assicurare alla lista governativa la maggioranza dei deputati. L'instaurazione della dittatura avvenne non solo tramite il varo di leggi illiberali, ma anche ricorrendo a minacce e violenze contro gli oppositori. Nel 1924 venne assassinato il deputato socialista Giacomo Matteotti, che in un discorso al Parlamento aveva denunciato le violenze e i brogli elettorali operati dai fascisti nelle consultazioni politiche di quell'anno. Di fronte all'efferato omicidio di Matteotti, l'opinione pubblica chiese le dimissioni di Mussolini, mentre la gran parte dei deputati in segno di protesta abbandonò i lavori del Parlamento ("secessione dell'Aventino"). Mussolini, dimostrando di non temere l'opposizione antifascista, il 3 gennaio 1925 pronunciò alla Camera un discorso in cui si assunse tutta la responsabilità delle azioni illegali dei fascisti, procedendo inoltre all'esautoramento del Parlamento a vantaggio del Governo e soprattutto del presidente del Consiglio, responsabile solo davanti al re, proclamando la transizione dallo Stato liberale a quello totalitario. Tappe successive comportarono l'allontanamento dal Governo dei cattolici e quindi dei liberali. Alla dittatura si arrivò in seguito all'introduzione delle "leggi fascistissime" del 1925-26, attraverso le quali furono sciolte le opposizioni, espulsi dalla Camera i deputati antifascisti, messi al bando i sindacati, vietato il diritto di sciopero; venne inoltre approvata una nuova legge elettorale che prevedeva una lista unica, governativa, mentre, dal punto di vista giuridico, fu introdotta la pena di morte e istituito il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, incaricato di reprimere ogni forma di dissenso. A tale scopo dal 1927 entrò in funzione anche una speciale polizia segreta politica, l'OVRA (V.). Nel 1929 il Fascismo conseguì un importante successo sottoscrivendo con Pio XI i Patti Lateranensi, che ponevano fine al conflitto tra Stato italiano e Chiesa cattolica, insorto nel 1870: lo Stato italiano riconosceva il Vaticano quale Stato indipendente; la Chiesa otteneva che la religione cattolica venisse dichiarata religione di Stato. Fu inoltre stipulato un Concordato in base al quale venne introdotto l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole medie e dato valore civile al matrimonio religioso. L'opposizione manifestata dall'Azione Cattolica nei confronti del Fascismo, determinò tuttavia momenti di tensione tra il regime e la Santa Sede. Sul piano economico, per contrastare la crisi del 1929, il Governo adottò misure di difesa della produzione nazionale, all'insegna dell'autarchia. Promosse inoltre un piano di opere pubbliche e di risanamento dell'agricoltura (bonifica delle Paludi Pontine, fondazioni di città rurali), sperimentando anche nuove forme di intervento statale nell'industria con la creazione dell'IRI (V.); le relazioni tra industria e sindacati furono regolate dalle Corporazioni (V. CORPORATIVISMO), nate nel 1933, a cui era obbligatorio affiliarsi da parte delle varie figure della produzione. La politica sociale del Fascismo ebbe importanti sviluppi con le pensioni per gli operai, la settimana di 40 ore, il sabato festivo, il dopolavoro per i dipendenti, l'assistenza alla maternità e all'infanzia. La politica culturale fascista fu gestita attivamente da un organismo burocratico, il ministero della Cultura popolare (MINCULPOP), che vigilava su stampa, cinema e radio, sottoposte anche a una censura passiva, tramite cui veniva impedita la circolazione di notizie che potessero ledere l'immagine del regime. Il Governo fascista si preoccupò da un lato di condizionare, servendosi delle moderne tecniche (radio, film di propaganda, manifestazioni, parate), il modo di pensare e di agire delle masse, dall'altro di inquadrare rigidamente gli strati popolari in associazioni ufficiali giovanili (come per esempio l'Opera Nazionale Balilla), sportive, paramilitari, dopolavoristiche, senza lasciare il benché minimo spazio all'iniziativa autonoma. Tra gli oppositori politici del Fascismo, alcuni furono eliminati fisicamente (come Giovanni Amendola e Piero Gobetti che morirono in seguito alle bastonature fasciste), altri furono costretti all'esilio (come don Luigi Sturzo, Pietro Nenni, Palmiro Togliatti, Gaetano Salvemini, Filippo Turati), altri furono mandati al confino o incarcerati (come Sandro Pertini, Emilio Lussu e Antonio Gramsci), altri ancora decisero di lasciare l'I. per emigrare all'estero, soprattutto a Parigi, dove diedero vita ad associazioni come Giustizia e Libertà, di ispirazione liberale e socialista, che ebbe il suo principale animatore in Carlo Rosselli, assassinato nel 1937, insieme al fratello Nello, per ordine dei capi fascisti. Migliaia di oppositori, soprattutto comunisti e socialisti, intellettuali e artisti, accusati di reati d'opinione o di attività antigovernativa furono condannati al carcere o al confino. Di contro alcuni uomini di cultura guardarono favorevolmente al Fascismo: oltre ai futuristi e ai nazionalisti, che aderirono fin da subito al movimento, altri, tra cui Giovanni Gentile, lo approvarono come realizzatore dei principi dello "Stato etico" di cui erano sostenitori, mentre alcuni scienziati e artisti si accorsero del pericolo costituito dal regime fascista solo dopo l'introduzione delle leggi antisemite e si rifugiarono all'estero (fu il caso del fisico Enrico Fermi, emigrato negli Stati Uniti nel 1938). In politica estera, il Fascismo, dopo un primo periodo tendente alla moderata revisione dei trattati di pace che avevano concluso la prima guerra mondiale, intensificò la sua presenza nei Balcani, determinando una cronica tensione con la Jugoslavia e con la Francia, preoccupata per le mire espansionistiche di Mussolini e interessata a mantenere lo status quo. Se i rapporti dell'I. fascista rimasero inizialmente amichevoli con Inghilterra e Stati Uniti, le relazioni con la Germania nazista furono tese, nonostante le affinità tra i partiti che dominavano nei due Paesi. Nel 1936, occupata militarmente l'Etiopia e costretto il negus Hailé Selassié all'esilio, Mussolini poté proclamare la nascita dell'Impero dell'Africa orientale italiana (AOI), la cui corona fu assunta da Vittorio Emanuele III. Dopo l'impresa africana, il regime fascista fu avversato dalla Società delle Nazioni, mentre l'inasprimento dei rapporti con Francia e Gran Bretagna spinse Mussolini nell'orbita tedesca: con Adolf Hitler, sostenitore, in quegli anni, di una forte politica di riarmo e di espansione territoriale, Mussolini sottoscrisse un'intesa (Asse Roma-Berlino nel 1936, preludio all'alleanza militare del 1939). L'avvicinamento fra le due dittature si manifestò nel comune intervento nella guerra civile spagnola (1936-38) al fianco del Governo nazionalista del generale Franco e divenne fu totale nel 1938, anno in cui furono promulgate anche in I. le leggi antisemite "per la difesa della razza", che determinarono l'estromissione degli Ebrei italiani dalla pubblica amministrazione, dalla scuola, dall'esercito. Nel 1938 le truppe tedesche occuparono l'Austria, la Cecoslovacchia, la Boemia e la Moravia. L'anno successivo, Mussolini decise di invadere l'Albania. Scoppiata la seconda guerra mondiale con l'aggressione tedesca della Polonia (settembre 1939), l'I. dichiarò inizialmente lo stato di non-belligeranza a causa dell'assoluta impreparazione militare del Paese e della contrarietà alla guerra di buona parte della classe dirigente. Tuttavia, nel giugno 1940, la convinzione che il conflitto si sarebbe risolto in poco tempo e la speranza di conseguirne vantaggi internazionali spinsero Mussolini a dichiarare guerra a Francia e Gran Bretagna. Le prime operazioni militari dell'esercito italiano si svolsero in zone marginali del conflitto (Sud-Est della Francia, Grecia). L'impreparazione a sostenere uno scontro in cui contavano i grandi mezzi aero-navali e dimensioni strategiche intercontinentali fu la causa principale delle numerose sconfitte dell'I. sia sui fronti balcanico e africano, sia in mare. La disastrosa partecipazione alla campagna di Russia (1941-43) condusse infine il Paese al tracollo militare e decretò la sconfitta dello schieramento dell'Asse. Cominciò così a diffondersi in I. la convinzione che la guerra fosse ormai perduta, mentre il popolo manifestava insofferenza nei confronti del regime fascista. Ciò favorì la ripresa dell'attività clandestina dei partiti antifascisti, che, sotto il comando di Ferruccio Parri, si unificarono nei Comitati di Liberazione Nazionale (CLN), con i quali ebbe inizio il movimento della Resistenza (V.). Nel marzo 1943 una serie di scioperi nell'I. settentrionale diede il segnale d'allarme al Fascismo. Dopo lo sbarco degli Anglo-Americani in Sicilia (luglio 1943), il re esautorò Mussolini (25 luglio), messo in minoranza nell'ultima seduta del Gran Consiglio del Fascismo, lo fece arrestare e al suo posto pose il maresciallo Pietro Badoglio. L'8 settembre venne firmato l'armistizio con gli Alleati e, dopo il disfacimento dell'esercito, l'I. rimase divisa in due zone rispettivamente controllate dai Tedeschi (I. settentrionale e centrale) e dagli Anglo-Americani (I. del Sud). Nelle zone occupate dai Tedeschi gli esponenti più oltranzisti del regime fascista appena crollato diedero vita alla Repubblica Sociale Italiana (RSI), con sede a Salò. In tutto il territorio della RSI si venne sviluppando il movimento della Resistenza che si rivelò determinante per la rapida liberazione del Paese e la cacciata dei Tedeschi. La Resistenza contrastò con azioni di guerriglia le comunicazioni nazi-fasciste, suscitando, d'altra parte, feroci rappresaglie ad opera dei Tedeschi. La liberazione di Milano (25 aprile 1945) e la fucilazione di Mussolini (28 aprile 1945) da parte dei partigiani segnarono la definitiva scomparsa del Fascismo come regime di governo. Alla fine della guerra in l'I. venne ripristinata la democrazia: all'indomani della liberazione, in base all'accordo già intervenuto tra i partiti che appoggiavano il Governo Bonomi, la guida del Paese fu assunta da Ferruccio Parri, che presiedette un Esecutivo composto da una coalizione che era l'espressione dell'unità dei partiti antifascisti (giugno-dicembre 1945). La conferenza di pace del 1947, presieduta dalle quattro potenze vincitrici della guerra (Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica) delineò i nuovi confini nazionali: l'I., oltre alla perdita delle colonie (conservò l'amministrazione fiduciaria della Somalia sotto l'egida dell'ONU, fino al 1960) e dell'Albania, dovette restituire alla Grecia le Isole del Dodecaneso, cedere alla Francia Briga e Tenda, cedere alla Jugoslavia parte della Venezia Giulia, l'Istria, Fiume, Zara, mentre il territorio di Trieste e di una parte dell'Istria venne proclamato territorio libero e fu sottoposto a un'amministrazione internazionale (Trieste sarebbe tornata sotto la sovranità dell'I. nel 1954). La Repubblica Il 2 giugno 1946 si tenne il referendum popolare sulla forma istituzionale (Monarchia o Repubblica) da dare all'I.: le votazioni sancirono la vittoria della Repubblica con il 54% dei voti. Il re Umberto di Savoia fu dunque costretto all'esilio. Il 2 giugno il popolo italiano fu anche chiamato a eleggere, con sistema proporzionale e a suffragio universale per la prima volta esteso anche alle donne, i rappresentanti dell'Assemblea Costituente, incaricata di stendere una nuova Costituzione. Il partito che ottenne la maggioranza dei voti fu la Democrazia Cristiana (DC), erede del Partito Popolare di don Sturzo, guidata da Alcide De Gasperi. Buoni risultati conseguirono anche il PSI (allora PSIUP) di Pietro Nenni e il PCI di Palmiro Togliatti. Questi e altri partiti minori, tra cui il Partito Repubblicano Italiano (PRI) e il Partito Liberale Italiano (PLI), che a quel tempo aveva come presidente Benedetto Croce e tra i suoi membri Luigi Einaudi, collaborarono alla redazione della Costituzione italiana, che fissò i lineamenti istituzionali dello Stato (V. COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA, LA). Elessero inoltre quale presidente provvisorio dell'I. Enrico De Nicola. Nella carica di capo della Repubblica a De Nicola seguirono: Luigi Einaudi (1948), Giovanni Gronchi (1955), Antonio Segni, (1962), Giuseppe Saragat (1964), Giovanni Leone (1971), Sandro Pertini (1978), Francesco Cossiga (1985), Oscar Luigi Scalfaro (1992), Carlo Azeglio Ciampi (1998). Il 1° gennaio 1948 venne promulgata la nuova Costituzione che, frutto dell'incontro tra il pensiero cattolico-democratico, democratico-liberale e marxista, riconobbe tutti i diritti individuali e collettivi ignorati o soppressi dal regime fascista. Dal 1948 agli anni Sessanta, la Democrazia Cristiana associò al Governo i partiti laici minori: il Partito Socialdemocratico (PSDI), fondato da Giuseppe Saragat in seguito a una scissione dal PSI; il PRI di Ugo La Malfa; il PLI di Giovanni Malagodi. Dal Governo rimasero escluse le altre forze politiche, sia di destra, il Partito Monarchico e il Movimento Sociale Italiano (MSI), sia di sinistra (PCI, PSI). Nelle elezioni del 18 aprile 1948, la DC si affermò come partito di maggioranza assoluta e pose a capo del Governo De Gasperi, che fu primo ministro fino al 1953, guidando le scelte essenziali per la ricostruzione dell'I. Gli Esecutivi democristiani impostarono la ripresa economica italiana, favorita dagli aiuti concessi dagli Stati Uniti nell'ambito del Piano Marshall. Grazie all'afflusso di capitali e di merci statunitensi si crearono le condizioni per la ricostruzione economica nazionale, che si attuò nell'ambito dell'inserimento dell'I. nel blocco dei Paesi occidentali, contrapposto a quello dei Paesi comunisti: nel 1949 l'I. entrò a far parte della NATO, nel 1952 aderì alla CECA, primo organismo della futura Unione europea, nel 1955 fu ammessa all'ONU. Nei primi anni Cinquanta, lo schieramento centrista capeggiato dalla DC entrò in crisi, a causa soprattutto della debolezza dei partiti minori. All'interno della Democrazia Cristiana cominciarono a delinearsi posizioni favorevoli a un'apertura verso sinistra, allo scopo di assicurare Esecutivi più stabili e autorevoli e intraprendere una serie di riforme sociali ed economiche. In questo nuovo assetto politico si inserisce l'avvicinamento della DC al Partito Socialista, che, dopo i fatti accaduti in Ungheria nel 1956, si era allontanato dal PCI e aveva accettato di buon grado l'adesione alla NATO. L'alleanza DC-PSI si concretizzzò negli anni Sessanta per iniziativa di Amintore Fanfani e Aldo Moro. Inizialmente i socialisti entrarono nella maggioranza parlamentare, poi, dal 1963, presero parte direttamente al Governo, inaugurando la fase del centro-sinistra che, con momenti alterni e qualche intervallo, sarebbe durata per oltre un decennio. L'avvento del centro-sinistra coincise con la trasformazione dell'I. da Paese agricolo a Paese industriale: i traguardi raggiunti furono tali da consentire all'I. di inserirsi tra le prime dieci potenze industriali al mondo. Tra i provvedimenti varati sotto il Governo DC-PSI, vi furono la riforma della scuola media (unificazione e obbligo fino a 14 anni), la nazionalizzazione dell'energia elettrica e il sostegno all'economia del Mezzogiorno. Dal '68 alle elezioni del 1979 Tra il 1967 e il 1970 il Paese fu attraversato da una grande mobilitazione degli operai del Nord, che chiedevano salari più elevati e migliori condizioni di lavoro, a cui nel 1968 si associarono le contestazioni degli studenti, in sintonia con i movimenti pacifisti e le rivolte scoppiate nelle università di Stati Uniti, Francia e Germania - V. MOVIMENTO STUDENTESCO (MS). Le rivendicazioni degli operai, organizzati nei sindacati, sortirono importanti conquiste, tra cui, oltre a incrementi di reddito, l'approvazione nel 1970 dello Statuto dei Lavoratori (V. LAVORATORI, STATUTO DEI), strumento fondamentale per la difesa della dignità e della libertà del lavoratore dipendente. Nel 1970 il Parlamento approvò la legge che istituiva il divorzio (nel 1974 si sarebbe tenuto un referendum abrogativo di tale istituto, che vide il 59,3% dei votanti favorevoli al suo mantenimento, con profonda indignazione dei cattolici). Nel frattempo l'economia italiana, risentendo degli effetti della crisi internazionale, subì una forte battuta d'arresto. La crisi petrolifera del 1973, con l'aumento dei prezzi del greggio, significò per l'I. svalutazione della lira, inflazione a livelli record, caduta della produttività. A partire dalla fine degli anni Sessanta, oltre alla difficile situazione economica, ebbe inizio una stagione di sangue e terrore per il Paese, sconvolto da quella che sarebbe passata alla cronaca come "strategia della tensione". Tra gli attentati terroristici che insanguinarono l'I., costando la vita a centinaia di persone, ricordiamo la strage di Piazza Fontana a Milano (1969), dove una bomba esplose alla Banca nazionale dell'Agricoltura, l'attentato di Piazza della Loggia a Brescia (1974), perpetrato nel corso di una manifestazione sindacale, l'attentato alla stazione di Bologna (1980), dove perirono 92 persone, la bomba sul treno Milano-Napoli (1984). Nonostante la responsabilità penale di molti degli attentati terroristici di quegli anni non sia mai stata completamente accertata, è ormai da tempo evidente che fu voluta e perseguita da gruppi di potere politico, militare ed economico che, in un quadro internazionale ancora dominato dalla "guerra fredda", volevano impedire o quantomeno ostacolare l'affermazione dei partiti di sinistra. In base alle indagini e ad alcune sentenze definitive, si sa che in molti casi gli esecutori materiali furono militanti di gruppi di estrema destra e vi fu implicato quel complesso sistema di potere occulto che aveva le sue ramificazioni in settori dei servizi di sicurezza, in associazioni segrete, quali, per esempio, le logge massoniche, nelle istituzioni. A partire dagli anni Settanta si registrò anche la nascita di gruppi clandestini di sinistra, le Brigate Rosse e altre formazioni analoghe, che inizialmente agirono effettuando sequestri di persona e successivamente passarono a compiere attentati veri e propri, con ferimenti e assassini di magistrati, uomini politici, giornalisti, poliziotti, sindacalisti, professori universitari. Lo scopo che si prefiggevano questi gruppi era quello di innescare una rivoluzione anticapitalista. La crisi economica, l'emergere di trame reazionarie, il conflitto all'interno della coalizione e, soprattutto, l'avanzata del maggior partito d'opposizione, il PCI, nelle elezioni politiche del 1976, fecero entrare in crisi il centro-sinistra. In quel delicato momento, per assicurare stabilità di governo e coesione nazionale e unire le forze per contrastare l'incalzante pericolo del terrorismo, per l'I. repubblicana si aprì una nuova stagione, contrassegnata dal tentativo di avvicinamento tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista, fortemente voluto dal democristiano Aldo Moro e dal segretario del PCI Enrico Berlinguer. Maggioranza e opposizione si accordarono dunque per la formazione di due Esecutivi di solidarietà nazionale a guida democristiana (primo ministro fu Giulio Andreotti) che si ressero il primo (1976) sull'astensione di comunisti e socialisti, il secondo (1978) sull'appoggio esterno del PCI e di altri partiti. Nel 1978 si consumò il sequestro e l'omicidio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. L'episodio segnò il momento culminante ma anche l'inizio della crisi del terrorismo, che riuscì ad essere estirpato grazie a un'efficace azione repressiva condotta da polizia e carabinieri che, per smantellare le organizzazioni clandestine armate, si servirono anche delle confessioni di terroristi pentiti. Tuttavia con l'assassinio di Moro ebbe fine anche la fase di solidarietà nazionale. Nel gennaio 1979 il PCI usciva dalla maggioranza; il governo entrava in crisi anche per il successivo distacco del PSI e, dopo inutili tentativi di formare una maggioranza, a luglio gli elettori venivano chiamati nuovamente alle urne. Il risultato del voto vedeva una stabilità dei partiti di governo mentre il PCI perdeva il 4% del suo elettorato; significativa risultava l'affermazione del Partito Radicale che conquistava il 3,4% dei suffragi. Nel 1980 un'immane tragedia distolse l'opinione pubblica dalle vicende politiche: un terremoto sconvolse Campania e Basilicata provocando la morte di 3.000 persone e la distruzione di interi Paesi. L'opera di soccorso mise in luce l'impreparazione e l'inefficienza delle strutture statali. Un importante referendum aprì gli anni Ottanta: gli Italiani, chiamati a pronunciarsi sull'aborto, riconobbero la liceità dell'interruzione volontaria della gravidanza, purché avvenisse entro i primi 90 giorni dal concepimento (legge approvata nel 1978). Dal punto di vista politico, gli anni Ottanta videro il raggiungimento di una certa stabilità: al potere ritornò il centro-sinistra, che dal 1981 aprì anche al Partito Liberale, dando vita a una coalizione pentapartitica (formata, oltre che da DC, PSI e PLI, dal Partito Socialdemocratico e dal Partito Repubblicano), che rimase al Governo per oltre un decennio. Durante questo periodo si verificò il superamento dell'egemonia democristiana: nel 1981, per la prima volta nella storia dell'I. repubblicana, la carica di primo ministro fu assunta da un esponente politico non appartenente alla DC. Capo del Governo fu infatti nominato Giovanni Spadolini, repubblicano, cui fecero seguito, tra il 1983 e il 1987, due Esecutivi guidati dal socialista Bettino Craxi, che fu sicuramente l'uomo-simbolo della politica italiana di quegli anni. I Governi pentapartito riuscirono, all'inizio del decennio, a sconfiggere il terrorismo e ad avviare il Paese verso un favorevole periodo di benessere economico. Si ebbe anche un ritorno dell'I. sulla scena politica internazionale con presenze militari in Libano (1982-84), nel Sinai (1982-86), nel Golfo Persico (1988) e nella guerra del Golfo (1991). Gli anni Ottanta furono caratterizzati anche dall'affermazione nelle consultazioni elettorali di nuove formazioni politiche estranee ai partiti tradizionali, tra cui i Verdi e le leghe regionali, queste ultime presenti soprattutto in Lombardia e Veneto. Alcuni di questi movimenti riuscirono a interpretare e far propria l'insofferenza che gli Italiani cominciavano sempre più spesso a provare verso la degenerazione della vita politica del Paese, che coinvolgeva i partiti tradizionali e che si manifestava in modi diversi: dal clientelismo, all'intreccio politica-affari, al dilagare dell'influenza di centri di potere occulto (come la loggia massonica P2) e della delinquenza organizzata (mafia, camorra e 'ndrangheta). Agli inizi degli anni Novanta il quadro politico italiano subì profondi sconvolgimenti. Innanzitutto la caduta del Muro di Berlino, il fallimento del Comunismo sovietico e il conseguente crollo dei regimi comunisti nell'Europa dell'Est ebbero una ripercussione immediata in I. Il PCI, che già da tempo aveva intrapreso un processo di revisione ideologica, sotto la guida del segretario Achille Occhetto si diede un nuovo orientamento in senso socialdemocratico e mutò il proprio nome in Partito Democratico della Sinistra (PDS). Tuttavia la svolta operata da Occhetto non trovò d'accordo una cospicua minoranza del partito, che si staccò immediatamente dal PDS e diede vita al Partito della Rifondazione Comunista. Tangentopoli e la fine della prima Repubblica Nel febbraio 1992 in I. ebbe inizio l'inchiesta su "Tangentopoli" (V.), così chiamata in riferimento a una serie di indagini condotte da magistrati di Milano che evidenziarono come ogni aspetto della vita e dell'economia pubblica italiana fosse governato da un sistema di corruzione e tangenti, nel quale erano coinvolti politici, imprenditori, amministratori. L'operazione, denominata "Mani Pulite" (V. MANI PULITE, OPERAZIONE), ben presto da Milano si estese al resto della penisola, mettendo a nudo l'intreccio tra politica e affari, che per anni aveva permesso ai partiti di ricevere finanziamenti illeciti e alle imprese di godere di favori nell'assegnazione degli appalti. Nel giro di due anni, le inchieste di Mani Pulite sconvolsero il mondo politico e determinarono il crollo della vecchia classe dirigente e la disgregazione dei partiti tradizionali. I partiti che risultarono maggiormente coinvolti furono quelli di Governo, in particolare la DC e il PSI, che persero la fiducia dell'elettorato, indignato per gli scandali. Nel 1994 la DC decise di rinnovarsi completamente, sostituendo la vecchia dirigenza e mutando il nome in Partito Popolare Italiano (PPI), ma non riuscì a conservare la precedente forza elettorale e di lì a poco si scisse in diverse formazioni minori: oltre al PPI, si costituirono il Centro Cristiano Democratico (CCD), nato anch'esso nel 1994, e il partito dei Cristiani Democratici Uniti (CDU), sorto nel 1995. Il PSI, dopo essersi frantumato, scomparve; dalle sue ceneri sarebbero nati nel 1998 i Socialisti Democratici Italiani (SDI) e nel 2001 il Nuovo Partito Socialista, presieduto dal figlio di Bettino Craxi, Bobo. Il disfacimento dei due maggiori partiti tradizionali, sommato alla sfiducia e alla disaffezione della gente verso la politica, contribuirono all'affermazione della Lega Nord, un movimento nato nel 1991 dalla fusione della Lega Lombarda con analoghe formazioni regionaliste. Nelle elezioni politiche del 1992, la Lega Nord, facendosi portavoce delle regioni più ricche contro il malgoverno del Paese, lo spreco di denaro pubblico, l'allargarsi del deficit dello Stato, ottenne un'affermazione storica, attestandosi come la quarta forza politica nazionale. La sua avanzata proseguì anche nel 1993, quando, in occasione delle elezioni amministrative, insediò i suoi sindaci in molte città dell'I. settentrionale, tra cui Milano, Varese e Como. Nelle consultazioni politiche del 1994 per la prima volta si votò con il nuovo sistema uninominale maggioritario, adottato in seguito a un referendum dell'anno precedente, in cui gli Italiani avevano affermato la loro volontà di cambiare la formula del voto. La riforma elettorale introdusse maggior dinamismo nel panorama politico, spingendo partiti e movimenti a ridefinire la loro collocazione e incentivando una semplificazione del quadro politico, tanto che per le elezioni del 1994 si presentarono tre sole coalizione: i "Progressisti", schieramento che comprendeva PDS, Rifondazione Comunista, Verdi, settori socialisti e altri movimenti di recente nascita; la Lega Nord e il Polo delle Libertà, formato quest'ultimo da Alleanza Nazionale (AN, cioè l'ex MSI che dal 1995 aveva rinunciato alle posizioni neofasciste, modificando anche il proprio nome), da un gruppo di ex democristiani e da Forza Italia, una nuova formazione politica dal carattere fortemente liberista, sorta nel 1993 per iniziativa dell'imprenditore Silvio Berlusconi; il Patto per l'Italia, una coalizione di centro, costituita dal PPI e da alcune componenti cattoliche minori, facenti parte dell'area della sinistra democristiana. A ottenere la maggioranza dei voti fu il Polo delle Libertà guidato da Berlusconi, a cui il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro diede l'incarico di formare il Governo. L'Esecutivo ebbe tuttavia vita breve, indebolito dai contrasti interni, alimentati soprattutto dalla Lega che, nel dicembre 1994, presentando una mozione di sfiducia insieme alle opposizioni, decretò la caduta del Governo Berlusconi. In attesa di un nuovo confronto elettorale, venne nominato un Governo di tecnici, presieduto dall'economista Lamberto Dini, che poté contare sull'appoggio della sinistra e della Lega Nord. Nel frattempo, nel 1995, le forze progressiste uscite sconfitte dalle consultazioni del marzo 1994, si costituirono in un nuovo movimento politico denominato Ulivo, che si formò sulla base di un programma comune. Vi aderirono PDS, PPI, Verdi e altre formazioni minori di matrice cattolica, laico-liberale e socialista. Alle elezioni del 1996 si presentarono i due schieramenti del Polo delle Libertà, guidato sempre da Berlusconi, e dell'Ulivo, con a capo Romano Prodi, docente universitario di economia ed ex manager dell'industria pubblica. La Lega Nord corse da sola, portando avanti il suo progetto di secessione, ossia di separazione di alcune aree settentrionali dallo Stato italiano. A prevalere, in quell'occasione, fu l'Ulivo. Si costituì così un Governo di centro-sinistra presieduto da Prodi, che poté fare affidamento sul sostegno esterno di Rifondazione Comunista. La coalizione guidata da Prodi concentrò i suoi sforzi nel tentativo di risanare il debito pubblico e di soddisfare le condizioni poste dal Trattato di Maastricht per consentire all'I. l'ingresso nell'Unione Monetaria Europea (UME) con il gruppo di testa. Tale obiettivo venne raggiunto nel maggio del 1998, grazie a un'imponente manovra finanziaria messa a punto dall'Esecutivo, che aveva imposto un drastico taglio della spesa pubblica e un eccezionale prelievo fiscale. Nel frattempo il Parlamento aveva istituito una Commissione Bicamerale, fortemente voluta dal segretario dei PDS Massimo D'Alema, chiamata a formulare un radicale progetto di riforma della Costituzione per dare alla cosiddetta "seconda Repubblica" (quella cioè nata dopo "Tangentopoli") un nuovo assetto politico-istituzionale. Tuttavia, l'articolata proposta presentata dalla Bicamerale, che fu approvata nel giugno del 1998, non venne mai discussa dal Parlamento a causa della rottura dell'accordo tra le forze politiche. Nel dicembre 1998 Rifondazione Comunista tolse il proprio appoggio al Governo Prodi, determinandone la caduta. Nella convulsa situazione che si venne a creare, con il centro-sinistra privo di una maggioranza parlamentare e con il centro-destra che chiedeva elezioni anticipate, il mandato di formare un nuovo Esecutivo venne affidato a D'Alema, leader del maggior partito della coalizione ulivista, che divenne il primo politico ex comunista ad assumere la guida di un Governo occidentale. Il nuovo Gabinetto poté reggersi grazie all'appoggio di due nuove formazioni politiche, il Partito dei Comunisti Italiani (PDCI), nato dalla scissione avvenuta in seno a Rifondazione Comunista, e l'Unione Democratica per la Repubblica (UDR), un raggruppamento formatosi intorno alla persona dell'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga e comprendente parlamentari eletti in entrambe le coalizioni. Nonostante l'aspra dialettica politica tra Governo e opposizione, il 13 maggio 1999 il Parlamento elesse alla prima votazione e con ampia maggioranza Carlo Azeglio Ciampi a capo dello Stato. A distanza di una settimana, in un clima reso incandescente dalla partecipazione italiana all'offensiva della NATO in Serbia e Kosovo, si riaffacciò in I. l'incubo del terrorismo: Massimo D'Antona, un importante collaboratore del ministero del Lavoro, venne assassinato in un attentato rivendicato dalle Brigate Rosse. Nelle elezioni europee del 1999 il Polo delle Libertà ottenne una buona affermazione, confermata dalle consultazioni amministrative che si tennero l'anno successivo e che decretarono la caduta del Governo D'Alema, il quale si dimise dall'incarico di primo ministro. Alla guida del Paese fu posto Giuliano Amato, che guidò un Esecutivo di centro-sinistra, rimanendo in carica fino alla fine della legislatura. Nel complesso, i Governi di centro-sinistra avviarono un processo di privatizzazione di industrie, banche, società di servizi, passate dalla proprietà pubblica alle forme private della gestione capitalistica, che modificò radicalmente il settore delle telecomunicazioni (venne privatizzata la Telecom, la licenza per la telefonia mobile fu assegnata a cinque diversi gestori). Tuttavia anche i settori dell'energia (gas, luce), dei trasporti, della sanità e della scuola cominciarono ad aprirsi sempre di più all'intervento dell'impresa privata. Sotto il centro-sinistra, inoltre, l'I. vide crescere il proprio prestigio internazionale: oltre a una maggiore stabilità politica e alle capacità mostrate nel rispettare i severi parametri di Maastricht, il Governo italiano poté contare su una più solidale affinità con gli Esecutivi dei Paesi dell'Unione europea, per la maggior parte di orientamento socialdemocratico, che guardavano con apprezzamento e interesse all'esperimento e al programma politico dell'Ulivo. La stessa nomina di Romano Prodi a capo della Commissione europea (maggio 1999), al posto del dimissionario Jacques Santer, fu un importante segnale di dimostrazione di quanto la considerazione internazionale verso l'I. fosse aumentata. L'ultimo anno della legislatura del centro-sinistra trascorse sotto il segno di un duro conflitto politico. Mentre il Polo, portando dalla sua parte la Lega Nord, riuscì a mostrarsi unito di fronte all'elettorato, creando inoltre un ampio consenso intorno a una forte idea di cambiamento, l'Ulivo rimase a lungo invischiato in una grave crisi politica e d'identità. Il Duemila Verso la fine del 2000 la coalizione di centro-sinistra si ricompattò intorno alla candidatura per le elezioni del 2001 di Francesco Rutelli, sindaco uscente di Roma e leader di una nuova formazione politica, comprendente le forze moderate dell'Ulivo, denominata Margherita. La campagna elettorale, tra le più conflittuali della storia repubblicana, fu segnata dal famoso "Contratto con gli Italiani" che Berlusconi stipulò in diretta televisiva, annunciando pubblicamente che, nel caso avesse conquistato la maggioranza dei voti, nei cinque anni di Governo si sarebbe impegnato a realizzare i seguenti punti: abbassamento della pressione fiscale, lotta alla criminalità, aumento a un milione al mese delle pensioni minime, creazione di un milione e mezzo di posti di lavoro, realizzazione di almeno il 40% del piano decennale per le opere pubbliche. Berlusconi dichiarò inoltre che, nei primi "cento giorni" di Governo, si sarebbe occupato di alcune priorità, tra cui la risoluzione del conflitto d'interesse che vedeva implicato nel duplice ruolo di eventuale presidente del Consiglio e di imprenditore. Nonostante la preoccupazione espressa dai più quotati giornali economici internazionali per un'eventuale vittoria della Casa delle Libertà (CDL, nuovo nome assunto dal Polo delle Libertà), la coalizione di centro-destra nelle elezioni del 13 maggio 2001 si impose di misura sull'Ulivo, venendo tuttavia premiata nella distribuzione dei seggi dal sistema maggioritario. L'ampio consenso ottenuto dalla CDL e, in particolare, da Forza Italia, fu determinato anche dalla debolezza e dalla frammentarietà dell'opposizione: l'Ulivo, infatti, non essendo riuscito a raggiungere né un accordo programmatico, né un patto elettorale con altre formazioni ostili alla Casa delle Libertà, tra cui Rifondazione Comunista e il movimento Italia dei Valori, fondato nel 2000 dall'ex magistrato Antonio Di Pietro, aveva compromesso l'efficacia della sua azione. Il Governo Berlusconi si insediò a giugno e a luglio dovette subito affrontare il primo ostacolo rappresentato dall'organizzazione del vertice dei capi di Stato e di Governo del G8 a Genova. L'incontro, preceduto da polemiche tra maggioranza e opposizione, si svolse in un clima di tensione altissima, prospettandosi l'arrivo di decine di migliaia di Italiani e stranieri per il controvertice organizzato dal Genoa Social Forum (GSF), un organismo comprendente centinaia di sigle dell'associazionismo di base, sindacali e politiche, laiche e religiose. Nonostante le imponenti misure di sicurezza, il 20 luglio scoppiarono violenti disordini, culminati nell'uccisione di un giovane manifestante, Carlo Giuliani, da parte di un carabiniere. Il giorno seguente si verificarono nuove violenze sia durante la manifestazione pomeridiana, sia in seguito all'irruzione notturna alla scuola Diaz da parte delle forze dell'ordine. Nei giorni successivi alcuni funzionari di polizia furono costretti alle dimissioni, mentre per accertare le responsabilità dei gravi fatti la magistratura genovese aprì un'inchiesta sulle forze dell'ordine e il Parlamento istituì una Commissione d'indagine, le cui conclusioni vennero però respinte dall'opposizione. I primi "cento giorni" del Governo Berlusconi trascorsero in un clima di acceso scontro politico. L'Esecutivo approvò a colpi di maggioranza l'abolizione della tassa di successione, pene meno severe per il reato di falso in bilancio e la legge sulle rogatorie internazionali, che prevedeva, con efficacia retroattiva, maggiori vincoli formali per questo tipo di atti, pena la loro invalidità. In seguito agli attacchi terroristici dell'11 settembre, il Governo italiano espresse la sua solidarietà agli Stati Uniti e offrì il suo appoggio alla campagna "Enduring Freedom" (Libertà duratura) lanciata da Washington contro il terrorismo internazionale e iniziata il 7 ottobre con i bombardamenti contro l'Afghanistan dei talebani, spalleggiatori di Osama Bin Laden. L'I. inviò una portaerei nel Mare Arabico e prese parte ad azioni militari in Afghanistan, mentre, per fronteggiare il pericolo del terrorismo internazionale, il Governo varò una legge antiterrorismo. Il 2002 si aprì con le fortissime tensioni tra Governo e sindacati, in particolare la CGIL, sulla questione dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (che vieta il licenziamento senza giusta causa in aziende con più di 15 dipendenti), che la maggioranza aveva proposto di abolire per rendere più flessibile il mercato del lavoro. Sergio Cofferati, in difesa dell'articolo 18, indisse per il 23 marzo una manifestazione dei lavoratori, a pochi giorni dalla quale un nuovo fatto di violenza scosse la vita politica italiana: dopo Massimo D'Antona, un altro consulente del ministero del Lavoro, Marco Biagi, venne ucciso a Bologna dalle Brigate Rosse. La polemica tra maggioranza e opposizione si fece rovente: mentre il centro-sinistra accusava il Governo di aver tolto la scorta a Biagi, non proteggendo la vita di un uomo minacciato, il centro-destra si scagliò contro Cofferati, ritenuto responsabile di aver avvelenato il clima politico e di aver estremizzato lo scontro sociale dando adito all'emergere di azioni violente da parte di organizzazioni clandestine armate. La manifestazione di Roma del 23 marzo, in cui confluirono 3 milioni di lavoratori, fu l'occasione per il sindacalista di ribadire non solo la difesa dell'articolo 18, ma anche la lotta contro ogni forma di terrorismo. Il 16 aprile fu indetto dalla CGIL uno sciopero generale che ebbe un'ampia adesione. Un altro sciopero, quello dei magistrati, in giugno, evidenziò lo stato di grave malessere nel mondo della magistratura di fronte a un progetto governativo di riforma dell'organizzazione giudiziaria, che paventava la separazione delle carriere di giudici e magistrati. Per far sentire la propria voce soprattutto in materia di giustizia, di uguaglianza sociale e di libertà di espressione (il Governo Berlusconi fu ritenuto responsabile del licenziamento dei giornalisti Enzo Biagi e Michele Santoro e del comico Daniele Luttazzi da parte della RAI), la società civile diede vita a numerosi movimenti, tra cui si distinsero i Girotondi, che si mobilitarono in segno di protesta contro numerosi provvedimenti governativi. Nel corso del 2002 l'Esecutivo approvò la nuova legge sull'immigrazione, la cosiddetta Bossi-Fini (V. IMMIGRAZIONE), che introdusse norme più severe per l'ingresso e la permanenza in Italia degli immigrati. Nel 2003 lo scontro politico non accennò a scemare. A marzo, il Parlamento approvò il nuovo ordinamento scolastico, messo a punto dal ministro dell'Istruzione Letizia Moratti. Sul piano internazionale, il Governo diede il proprio sostegno alla guerra (iniziata il 20 marzo 2003) che gli Stati Uniti intrapresero contro l'Iraq per abbattere il regime di Saddam Hussein, nonostante la forte contrarietà dell'opinione pubblica, che era culminata nell'imponente manifestazione per la pace del 15 febbraio tenuta a Roma (e contemporaneamente in tutte le principali città del mondo). Le polemiche relative all'appoggio italiano al conflitto si acuirono dopo la fine delle ostilità in Iraq (1° maggio), allorché ebbe inizio una lunga serie di attentati rivolti non solo a soldati anglo-americani (per cui era previsto il permanere in Iraq, insieme ad altre forze militari della coalizione, fino a completa normalizzazione del Paese) ma a obiettivi internazionali. Anche l'I. fu presa di mira: il 12 novembre 2003 un'esplosione nella base dei Carabinieri di stanza a Nassiriya provocò la morte di 19 Italiani (17 tra militari e Carabinieri e 2 civili) e 9 Iracheni, mentre numerosi furono i feriti. Intanto in giugno erano sorte nuove polemiche tra maggioranza e opposizione allorché in Parlamento venne discussa la reintroduzione dell'immunità per i politici, il cosiddetto Lodo Maccanico, modificato dal forzista Schifani, che secondo il centro-sinistra rappresentava una legge su misura per Berlusconi, implicato in due processi. La legge, che prevedeva l'immunità per le cinque principali cariche istituzionali (presidenti della Repubblica, del Consiglio dei ministri, di Camera, Senato e della Consulta), venne approvata dal Parlamento a giugno, ma fu dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale nel gennaio 2004. Sempre a giugno si tennero le elezioni amministrative, che segnarono una netta avanzata del centro-sinistra. Si votò inoltre il referendum, proposto da Rifondazione Comunista, per estendere l'articolo 18 anche alle aziende con meno di 15 dipendenti. Le maggiori forze politiche si schierarono per l'astensione e il referendum non raggiunse il quorum. A luglio ebbe inizio l'undicesimo semestre europeo italiano, preceduto da polemiche amplificate dai principali giornali europei, che avanzavano dubbi sull'idoneità del premier italiano a ricoprire la carica di presidente del Consiglio europeo. Il semestre italiano si concluse a fine dicembre 2003 con la mancata realizzazione del nuovo progetto della Costituzione europea, a causa della discordanza tra i membri Ue. Sul fronte della guerra in Iraq, il 13 aprile 2004, nei pressi di Falluja, quattro guardie private italiane (Maurizio Agliana, Umberto Cupertino, Salvatore Stefio, Fabrizio Quattrocchi), alle dipendenze di una ditta statunitense, vennero sequestrate dalle Falangi di Maometto che, in cambio della loro liberazione, chiedevano al Governo italiano di ritirare le truppe dall'Iraq e di liberare i detenuti iracheni in I., invitando inoltre il premier Berlusconi a porgere scuse ufficiali per le offese rivolte all'Islam e ai musulmani. Il giorno seguente la Tv araba al-Jazeera annunciò di aver ricevuto un video con le immagini dell'uccisione di uno dei quattro ostaggi (Quattrocchi). Per ottenere la liberazione degli altri rapiti, oltre al Governo italiano si attivarono la Croce Rossa ed Emergency. Nel mese di maggio, lo scandalo delle torture dei prigionieri iracheni perpetrate nel carcere di Abu Ghraib da soldati statunitensi e britannici spinse l'opposizione di centro-sinistra a chiedere con maggiore vigore il ritiro delle truppe italiane dall'Iraq. Le pressioni sul Governo si fecero ancora più insistenti dopo la morte del militare italiano Matteo Vanzan a Nassiriya, cinta d'assedio dai miliziani dell'imam sciita Al Sadr. In giugno, alla vigilia delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo e delle votazioni amministrative, i tre ostaggi ancora nelle mani dei rapitori iracheni vennero liberati dalle forze della coalizione. Le consultazioni tenutesi il 12 e 13 giugno 2004 fecero registrare il forte calo di Forza Italia alle europee e l'affermazione dei candidati appoggiati dal centro-sinistra nelle amministrative. Il mancato ritiro delle truppe italiane dall'Iraq rinforzò la strategia dei sequestri contro l'I. da parte dei terroristi islamici: il 20 agosto fu rapito il giornalista italiano Enzo Baldoni, ucciso il 27 agosto; il 7 settembre vennero sequestrate due operatrici di pace italiane, Simona Torretta e Simona Pari, liberate il 28 settembre. Il 4 febbraio 2005 fu rapita la giornalista del "Manifesto" Giuliana Sgrena; subito dopo il suo rilascio (4 marzo), nel tragitto verso l'aeroporto di Baghdad il funzionario del SISMI Nicola Calipari, mediatore per la liberazione della Sgrena, perse la vita sotto i colpi esplosi da un blindato statunitense. La lotta contro le forze di occupazione e i collaborazionisti si estese dall'Iraq all'Afghanistan e il 16 maggio la volontaria Clementina Cantoni fu sequestrata a Kabul, dove lavorava per l'organizzazione umanitaria Care International.
Trapani La liberazione delle due operatrici umanitarie Simona Pari e Simona Torretta
Nel frattempo le elezioni regionali tenutesi in I. il 3 e 4 aprile 2005 decretarono il trionfo della coalizione di centro-sinistra, denominata L'Unione (V. UNIONE, L'). La cocente sconfitta del centro-destra culminò nella richiesta, da parte dei partiti della maggioranza AN e UDC, di un cambiamento di squadra e programma governativi. Il premier Berlusconi fu costretto a rassegnare le dimissioni (21 aprile), ponendo fine al Governo italiano più duraturo della storia della Repubblica. Spinto dalla volontà di tenere insieme la coalizione per arrivare alla fine della legislatura, nell'arco di una settimana (30 aprile) costituì il suo terzo Gabinetto, caratterizzato da un minimo cambiamento di ministri. Nel corso dell'estate il mondo economico-finanziario italiano fu investito dallo scandalo della scalata alla Banca Antonveneta, che vide coinvolti il governatore della Banca d'Italia (V.) Antonio Fazio (V. FAZIO, ANTONIO), l'amministratore delegato della Banca Popolare Italiana Giampiero Fiorani, nonché nomi dell'alta finanza nostrana. Indagato per abuso d'ufficio, Fazio rassegnò le proprie dimissioni da Bankitalia nel mese di dicembre, mentre Fiorani, accusato di associazione per delinquere, aggiotaggio e appropriazione indebita, fu posto agli arresti. Nei giorni 9 e 10 aprile 2006, al termine di una campagna elettorale dai toni aspri e accesi, giocata soprattutto sui temi del fisco, della giustizia, del ruolo dei mezzi di comunicazione di massa, si tennero le elezioni politiche per il rinnovamento del Parlamento. Caratterizzate da un'alta affluenza alle urne (83,6%), le consultazioni terminarono con un'esigua vittoria della coalizione di centro-sinistra dell'Unione, guidata da Romano Prodi, che conseguì il 49,8% di consensi alla Camera (348 seggi), contro il 49,7% della Casa delle Libertà (281 seggi), e il 48,9% al Senato (158 seggi), contro il 50,2% (156 seggi) del centro-destra. Al Senato, la vittoria dell'Unione fu determinata dalla nuova legge elettorale proporzionale (approvata dal solo centro-destra nell'ottobre 2005), che a Palazzo Madama attribuiva il premio di maggioranza su base regionale, e dal voto degli Italiani all'estero. All'indomani dei risultati delle votazioni, la Casa delle Libertà avanzò sospetti di irregolarità nelle operazioni di conteggio delle schede nulle, che vennero tuttavia fugati dal riesame dei verbali elettorali effettuato dalla Corte di Cassazione. In seguito alla designazione di Fausto Bertinotti alla presidenza della Camera e di Franco Marini a quella del Senato, a maggio il Parlamento in seduta plenaria elesse a presidente della Repubblica il senatore a vita Giorgio Napolitano, che subentrò a Ciampi. Napolitano, primo ex comunista a salire al Colle, investì ufficialmente dell'incarico di primo ministro il leader dell'Unione Prodi, il quale, non senza difficoltà interne, riuscì a formare la sua squadra di Governo, che ottenne la fiducia di Camera e Senato con i soli voti del centro-sinistra e dei senatori a vita. Il secondo Esecutivo guidato da Prodi (il suo primo Governo era durato dal maggio 1996 all'ottobre 1998) pose come priorità assolute il risanamento del bilancio dello Stato, lo sviluppo del Paese e il ritiro delle truppe italiane dall'Iraq (tema, quest'ultimo, di tragica attualità dopo l'attacco terroristico che a fine aprile aveva provocato la morte, a Nassiriya, di quattro soldati italiani). Il 25-26 giugno si votò per il referundum confermativo del testo di legge costituzionale sulla devolution del novembre 2005, che istituiva il Senato federale della Repubblica, riduceva il numero complessivo dei parlamentari, snelliva l'iter di approvazione delle leggi, attribuiva maggiori poteri al premier e dava alle regioni competenza legislativa esclusiva in materia di sanità, scuola e polizia locale. Le consultazioni registrarono la netta vittoria dei "no" (61,7%). Nel corso della crisi scoppiata nel periodo di luglio e agosto tra Israele e Libano, l'I., nella persona del ministro degli Esteri Massimo D'Alema, giocò un importante ruolo di mediazione, appoggiando la risoluzione 1701 del Consiglio delle Nazioni Unite, che portò alla sospensione delle ostilità tra i due contendenti, e prendendo parte, con 2.500 militari, alla forza di interposizione dell'ONU stanziata nel Sud del Libano. In novembre, il Consiglio dei ministri procedette alla riforma dei vertici dei servizi segreti, coinvolti, nei mesi precedenti, in una serie di scandali (il direttore del SISMI Nicolò Pollari, insieme al suo vice Marco Mancini e al funzionario Pio Pompa erano stati indagati per la vicenda legata al rapimento da parte della CIA dell'imam di origini egiziane Abu Omar, risalente al febbraio 2003; funzionari del SISMI erano risultati implicati nel caso delle intercettazioni illegali messe in atto da alcuni dirigenti e collaboratori di Telecom). Nel febbraio 2007, dopo poco più di nove mesi di azione governativa volta in I. all'approvazione della legge Finanziaria e a una serie di liberalizzazioni che suscitarono malcontento in vari settori del ceto medio, del commercio e delle professioni, l'Esecutivo Prodi fu attraversato da una grave crisi allorché il Senato non approvò la mozione sulla politica estera presentata dal ministro D'Alema. Prodi rassegnò quindi le proprie dimissioni al presidente della Repubblica, il quale, dopo aver consultato le diverse forze politiche del Parlamento, affidò nuovamente l'incarico al leader dell'Unione. Il Governo Prodi, che non cambiò composizione ministeriale, ottenne la fiducia del Senato il 28 febbraio con 162 voti a favore e 157 contro. Novità di rilievo fu il fatto che l'ex segretario dell'UDC, il senatore Marco Follini (ora alla testa della nuova formazione centrista L'Italia di Mezzo) accordò il suo voto a Prodi, passando così dalla precedente opposizione parlamentare a un cauto sostegno alla maggioranza di centro-sinistra uscita vincitrice dalle elezioni del 2006. A fine luglio 2007 il Sud Italia venne travolto da violenti incendi di origine dolosa: le regioni più colpite furono Puglia, Calabria, Sicilia e Abruzzo. Il nostro Paese ricevette gli aiuti di Francia e Spagna. Nel mese di agosto Silvio Berlusconi fondò un nuovo partito, il Partito della Libertà (PDL) con l'obiettivo di unificare sotto uno stesso tetto i moderati italiani divisi tra AN, Forza Italia, UDC e Lega: ancor prima della notizia ufficiale si diffusero le reazioni di forte malcontento degli alleati della CDL. L'8 settembre 2007 si svolse, in moltissime piazze italiane, il V-Day, una manifestazione di protesta organizzata dal comico Beppe Grillo: lo scopo era di raccogliere firme per una legge di iniziativa popolare che vieti a chi è stato condannato in via definitiva (o in primo e secondo grado in attesa di giudizio) di candidarsi in Parlamento e stabilisce che nessun cittadino italiano possa essere eletto in Parlamento per più di due legislature, aggiungendo inoltre che i candidati al Parlamento devono essere votati dai cittadini con preferenza diretta. Il V-Day ebbe uno straordinario successo, con la raccolta di oltre 300.000 firme: tale esito scosse tanto il governo quanto l'opposizione.<br>
In dicembre scoppiò una nuova emergenza rifiuti in Campania,, dove il blocco di alcune discariche determinò l'accumulo di quantità immani di immondizia nel capoluogo e la violenta reazioni dei cittadini abitanti nei pressi degli impianti chiamati a gestire l'emergenza. Le immagini dei roghi d'immondizia per le strade di Napoli fecero il giro del mondo e indussero il governo a intervenire nominando un commissario straordinario, Gianni De Gennaro, con compiti specificamente destinati a superare l'emergenza. Oltre ad affrontare l'opposizione degli abitanti delle zone limitrofe alle discariche interessate dall'emergenza, il commissario De Gennaro  dovette considerare anche le connessioni esistenti fra la situazione di degrado del territorio e gli interessi delle cosiddette eco-mafie, associazioni a delinquere che offrono alle industrie convenienti scorciatoie per smaltire i residui nocivi della loro produzione.
Tra la fine del 2007 e l'inizio del 2008 l'esecutivo presieduto da Prodi vacillò ripetutamente, dapprima per le dichiarazioni del presidente della Camera Bertinotti sull'inefficacia dell'azione governativa, poi per la vicenda in cui fu coinvolta la moglie del ministro della Giustizia Clemente Mastella, posta agli arresti domiciliari per concussione dal GIP di Santa Maria Capua Vetere. La precedente approvazione della legge Finanziaria 2008 e la provvisoria verifica di maggioranza di inizio anno non sottraggono il premier dalla bufera politica scatenata dalle indagini sui coniugi Mastella. Il ministro di Grazia e Giustizia si dimise il 16 gennaio, annunciando pochi giorni dopo che l'UDEUR ritirava l'appoggio esterno alla maggioranza. Di conseguenza il presidente del consiglio pose la questione di fiducia ai due rami del parlamento, conscio che al Senato non godeva più di numeri sufficienti. Il 23 gennaio 2008 la Camera confermò con un buon margine la fiducia a Prodi (326 sì e 275 no); ma il giorno successivo, dopo un acceso dibattito, il Senato pose in minoranza l'esecutivo (161 no, 156 sì), costringendo Prodi a recarsi al Quirinale per rassegnare le proprie dimissioni. Le elezioni politiche, svoltesi il 13 e il 14 aprile 2008, videro la coalizione di centro-destra - costituita dal nuovo partito del Popolo delle Libertà, dalla Lega Nord e dal siciliano Movimento per l'Autonomia - ottenere una netta vittoria, sia alla Camera dei Deputati che al Senato. Nel nuovo quadro politico, l'opposizione, costituita dalla coalizione tra Partito Democratico e Italia dei Valori, nonché dall'Unione di Centro (UDC, Rosa per l'Italia e altri partiti minori), ammise la sconfitta. L'attribuzione dei seggi risultò decisamente sbilanciata a centro-destra (344 su 630 alla Camera, 174 seggi su 315 al Senato), mentre le estreme (la Sinistra Arcobaleno di Bertinotti e La Destra-Fiamma Tricolore della Santanchè) rimasero fuori dallo schieramento parlamentare, a causa dello sbarramento posto al 5%. Per la prima volta nella storia della repubblica, dunque, le forze politiche ispirate apertamente all'ideologia comunista e (meno direttamente) a quella fascista rimasero fuori dai due rami del Parlamento. In un clima di inedita collaborazione tra le forze politiche, tutte d'accordo sulla necessità di avviare una stagione di profonde riforme istituzionali, il 7 maggio 2008 Silvio Berlusconi accettò l'incarico di governo affidatogli dal presidente della Repubblica Napolitano, presentando contestualmente la lista dei ministri. I dicasteri più delicati furono affidati a: Franco Frattini (Forza Italia, Esteri), Roberto Maroni (Lega Nord, Interni), Angelino Alfano (Forza Italia, Giustizia), Ignazio La Russa (Alleanza Nazionale, Difesa), Giulio Tremonti (Foeza Italia, Economia), Maria Stella Gelmini ( Forza Italia, Pubblica Istruzione). Fin dai primi giorni dopo l'insediamento, il quarto governo Berlusconi affrontò i problemi ritenuti più urgenti: l'emergenza rifiuti in Campania, l'ondata di criminalità legata all'immigrazione clandestina e l'impoverimento di una fascia crescente di famiglie italiane. A questo proposito, il Ministero dell'Economia abolì definitivamente l'imposta comunale sulla prima casa e adottò provvedimenti per alleviare la situazione delle famiglie messe in difficoltà dai mutui a tasso variabile, d'accordo con l'ABI (Associazione Bancaria Italiana). Le elezioni europee 2009, svoltesi il 6-7 giugno, furono caratterizzate da un netto calo di affluenze rispetto alle precedenti elezioni europee del 2004 (il calo risulterebbe ancora maggiore se confrontato con le elezioni politiche nazionali 2008). Il PdL ottenne il 35,3% e 29 seggi, il PD il 26,1% e 21 seggi, la Lega Nord, dopo il pieno di voti delle elezioni politiche del 2008, consoldò il suo risultato ottenedo il 10,2% e 9 seggi, l'Italia dei Valori, in costante crescita, ottenne il 8% e 7 seggi, l'UDC si dimostrò anche in queste elezioni così come in ogni tornata il partito più stabile ed equilibrato con il 6,5% di voti e 5 seggi. RC e PdCI mostrarono segnali di ripresa elettorale dopo l'incredibile sconfitta del 2008 non ancora sufficienti per superare lo sbarramento del 4%. Contemporaneamente all'elezioni europee si svolsero anche le prime tornate delle amministrative che si colnclusero il 20 e 21 giugno 2009 con i ballottaggi e il referendum sulla legge elettorale. Il turno dei ballottaggi evidenziò una sostanziale tenuta del PD, soprattutto nelle sue roccaforti, non perdendo la guida di città da sempre legate al centrosinistra come Bologna e Firenze, o come anche la provincia di Torino. Il centrodestra espugnò però la presidenza di province di rilievo come Milano, Venezia e Belluno. Significativi anche gli esiti, anch'essi favorevoli al centrodestra, dei ballottaggi per i comuni di Cremona, Prato e Foggia. Il referendum non raggiunse il quorum per nessuno dei tre quesiti; secondo i dati diffusi dal Viminale, l'affluenza alle urne fu del 23-24%. Nel marzo 2010 iniziarono le celebrazioni per il 150° anniversario dell'unità d'Italia, imperniate su un fitto calendario di eventi culturali e istituzionali che trovarono ampio spazio sui mass media. Ciò malgrado i contrasti fra maggioranza e opposizione si acuirono, soprattutto in vista delle elezioni amministrative del 29 e 30 maggio e del Referendum del 12 e 13 giugno 2011. Le elezioni comunali, che interessarono alcune delle maggiori città italiane, segnarono una netta vittoria del centro-sinistra. I ballottaggi sancirono la vittoria di Giuliano Pisapia a Milano, di Luigi De Magistris a Napoli, di Massimo Zedda a Cagliari e di Roberto Cosolini a Trieste; ancor più nette furono le vittorie di Piero Fassino a Torino e di Virginio Merola a Bologna, passati al primo turno. La sfida finì con 29 tra città e province conquistate dal centro-sinistra e solo 12 dal centro-destra. Anche i referendum del 12 e 13 giugno confermarono la rimonta dei partiti di centro-sinistra, tutti schierati sul "sì" rispetto ai quesiti sulla privatizzazione dell'acqua, sui profitti sull'acqua, sull'energia nucleare e sul legittimo impedimento. La buona affluenza (circa del 57%) determinò anche una netta inversione della tendenza che aveva visto, fra il 1997 e il 2009, ben 24 quesiti referendari bocciati per mancato raggiungimento del quorum. Nel luglio del 2010, una rottura tra il presidente del consiglio Berlusconi e il presidente della Camera G. Fini determinava una rottura all'interno della maggioranza e la formazione di un gruppo parlamentare autonomo, Futuro e Libertà. Anche nel PD avveniva una piccola scissione, con la nascita di Alleanza per l'Italia, partito di orientamento centrista. Nel novembre del 2011 dopo il voto alla Camera dei Deputati sul rendiconto dello Stato, approvato solo grazie all'astensione dell'opposizione, preso atto delle difficoltà della maggioranza e a causa del grave momento di crisi finanziaria ed economica, interna e internazionale, Berlusconi si dimetteva dalla carica di presidente del Consiglio. L'incarico veniva assunto dall'economista Mario Monti che formava un nuovo esecutivo di tecnici per fronteggiare la grave crisi politica ed economica.

Trapani Risultati delle elezioni provinciali del giugno 2009 Trapani Affluenza alle urne nelle elezioni del giugno 2009 Trapani Risultati delle elezioni europee del giugno 2009 (dati italiani) Trapani Risultati delle elezioni europee del giugno 2009 (dato complessivo)
GOVERNI ITALIANI DAL 1860 AL 2008
1860-61 Camillo Benso di Cavour 1861-62 Bettino Ricasoli 1862 (marzo-dic.) Urbano Rattazzi 1862-63 Luigi Carlo Farini 1863-64 Marco Minghetti 1864-66 Alfonso La Marmora 1866-67 Bettino Ricasoli (II) 1867 (apr.-ott.) Urbano Rattazzi (III) 1867 (ott.-dic.) Federico Luigi Menabrea 1868-69 Federico Luigi Menabrea (II) 1869-73 Giovanni Lanza 1873-76 Marco Minghetti (II) 1876-77 Agostino Depretis 1877-78 Agostino Depretis (II) 1878 (marzo-dic.) Benedetto Cairoli 1878-79 Agostino Depretis (III) 1879 (lug.-nov.) Benedetto Cairoli (II) 1879-81 Benedetto Cairoli (III) 1881-83 Agostino Depretis (IV) 1883-84 Agostino Depretis (V) 1884-85 Agostino Depretis (VI) 1885-87 Agostino Depretis (VII) 1887 (apr.-lug.) Agostino Depretis (VIII) 1887-91 Francesco Crispi 1891-92 Antonio di Rudinì 1892-93 Giovanni Giolitti 1893-96 Francesco Crispi (II) 1896 (marzo-lug.) Antonio di Rudinì (II) 1896-97 Antonio di Rudinì (III) 1897-98 Antonio di Rudinì (IV) 1898 (giu.) Antonio di Rudinì (V) 1898-99 Luigi Gerolamo Pelloux 1899-1900 Luigi Gerolamo Pelloux (II) 1900-01 Giuseppe Saracco 1901-03 Giuseppe Zanardelli 1903 (giu. nov.) Giuseppe Zanardelli (II) 1903-05 Giovanni Giolitti (II) 1905 (marzo dic.) Alessandro Fortis 1905-06 Alessandro Fortis (II) 1906 (febbr.-mag.) Sidney Sonnino 1906-09 Giovanni Giolitti (III) 1909-10 Sidney Sonnino (II) 1910-11 Luigi Luzzatti 1911-14 Giovanni Giolitti (IV) 1914 (marzo-nov.) Antonio Salandra 1914-16 Antonio Salandra (II) 1916-17 Paolo Boselli 1917-19 Vittorio Emanuele Orlando 1919 (genn.-giu.) Vittorio Emanuele Orlando (II) 1919-20 Francesco Saverio Nitti 1920-21 Giovanni Giolitti (V) 1921-22 Ivanoe Bonomi 1922 (febbr.-ott.) Luigi Facta 1922-25 Benito Mussolini 1925-43 Benito Mussolini (dittatura) 1943-44 Pietro Badoglio 1944-45 Ivanoe Bonomi (II)
1945 (giu.-dic.) Ferruccio Parri 1945-46 Alcide De Gasperi
1946-47 Alcide De Gasperi (II) 1947 (febbr.-mag.) Alcide De Gasperi (III) 1947-48 Alcide De Gasperi (IV) 1948-50 Alcide De Gasperi (V) 1950-51 Alcide De Gasperi (VI) 1951-53 Alcide De Gasperi (VII) 1953 (lug.-ago.) Alcide De Gasperi (VIII) 1953-54 Giuseppe Pella 1954 (genn.-febbr.) Amintore Fanfani 1954-55 Mario Scelba 1955-57 Antonio Segni 1957-58 Adone Zoli 1958-59 Amintore Fanfani (II) 1959-60 Antonio Segni (II) 1960 (marzo-lug.) Fernando Tambroni 1960-62 Amintore Fanfani (III) 1962-63 Amintore Fanfani (IV) 1963 (giu.-nov.) Giovanni Leone 1963-64 Aldo Moro 1964-66 Aldo Moro (II) 1966-68 Aldo Moro (III) 1968 (giu.-dic.) Giovanni Leone (II) 1968-69 Mariano Rumor 1969-70 Mariano Rumor (II) 1970 (marzo-ago.) Mariano Rumor (III) 1970-72 Emilio Colombo 1972 (febbr.-giu.) Giulio Andreotti 1972-73 Giulio Andreotti (II) 1973-74 Mariano Rumor (IV) 1974 (marzo-ott.) Mariano Rumor (V) 1974-76 Aldo Moro (IV) 1976 (febbr.-ago.) Aldo Moro (V) 1976 Giulio Andreotti (III) 1978 Giulio Andreotti (IV) 1979 Giulio Andreotti (V) 1979-80 Francesco Cossiga 1980 Francesco Cossiga (II) 1980-81 Arnaldo Forlani 1981 Giovanni Spadolini 1982 Giovanni Spadolini (II) 1982-83 Amintore Fanfani (V) 1983-85 Bettino Craxi 1986 Bettino Craxi (II) 1987 Giovanni Goria 1988 Ciriaco De Mita 1989-90 Giulio Andreotti (VI) 1991 Giulio Andreotti (VII) 1992-93 Giuliano Amato 1993 Carlo Azeglio Ciampi 1994 Silvio Berlusconi 1995 Lamberto Dini 1996-98 Romano Prodi 1998-2000 Massimo D'Alema 2000-2001 Giuliano Amato 2001-2005 Silvio Berlusconi (II) 2005-2006 Silvio Berlusconi (III) 2006-2008 Romano Prodi (II)
2008-2011 Silvio Berlusconi (IV)
2011- Mario Monti
ANTROPOLOGIA Andamento demografico. In relazione agli eventi politico-sociali, dall'Impero romano alla fine del Medioevo l'indice demografico della popolazione italiana ha fatto registrare fasi alterne di crescita e decremento, segnalando una ripresa costante, prima graduale nel Seicento (13 milioni di ab.), successivamente più rapida nel primo Ottocento (18 milioni di ab.). Dal primo censimento, effettuato l'anno stesso della conseguita unità del Paese (1861), al censimento del 1961, un secolo dopo l'Unità, la popolazione è risultata più che raddoppiata (50 milioni di ab.). Nell'ultimo censimento (2001) il valore è stato pari a 56.305.586 di abitanti, con un decremento di quasi mezzo milione di unità rispetto al censimento del 1991. Questo andamento di iniziale massiccio accrescimento, seguito da un aumento assai modesto e da una crescita zero, se non da una vera e propria diminuzione, è comune a tutti i Paesi a economia avanzata. In I. l'esplosione demografica si è dunque verificata tra la seconda metà del XIX sec. e la prima metà del XX sec. ed è stata determinata soprattutto da una alta natalità (superiore alla media europea) e da una diminuzione netta della mortalità, grazie alle migliorate condizioni economiche e sociali. Al contrario, a partire dagli anni Ottanta del XX sec., si è verificato un vero e proprio crollo del numero delle nascite (l'I. è tra i Paesi al mondo con minor indice di nascite), da imputare in particolare a fattori economici e sociali. Con il passaggio da un'economia di tipo rurale a un'economia di tipo industriale, si è inoltre modificata la struttura della famiglia italiana: alla tradizionale "famiglia allargata", che comprendeva di norma tre generazioni (nonni, genitori, figli), si è sostituita la "famiglia nucleare" (genitori e figli o più spesso figlio); è inoltre da segnalare il crescente fenomeno dei single, cioè di famiglie costituite da un solo componente, delle coppie di fatto e delle famiglie monoparentali (in cui è presente un solo genitore). Tutti questi fattori si ripercuotono sul tasso di fecondità, cioè sulla capacità della popolazione di mantenere positivo il saldo naturale, il cui deficit è tuttavia compensato dall'immigrazione. Importanti conseguenze delle trasformazioni demografiche recenti sono dunque la crescente presenza di stranieri in I. e l'invecchiamento della popolazione, l'aumento cioè della percentuale di anziani: le migliorate condizioni alimentari e di assistenza sanitaria hanno portato a un allungamento della "speranza di vita dalla nascita", che è di 79,1 anni (2001) in media, con 76 anni per gli uomini e 82,5 anni per le donne. ║ Flussi migratori. A causa della scarsità di risorse e dell'arretratezza economica, l'I. è stata terra di emigrazione dal 1861 agli anni Settanta del XX sec. Si calcola che siano espatriati, in cerca di lavoro, circa 22 milioni di Italiani, per lo più originari del Meridione. Il fenomeno ha toccato punte massime tra il 1901 e il 1913, quando 8 milioni di persone sono emigrate soprattutto verso gli Stati Uniti e i Paesi dell'America Meridionale (Argentina). Tra la prima e la seconda guerra mondiale i flussi migratori si sono drasticamente contratti a causa sia delle fortissime restrizioni imposte dal Governo statunitense in materia di immigrazione, sia della politica del regime fascista, decisamente contrario a consentire gli spostamenti all'estero. L'emigrazione italiana ha ripreso vigore dal secondo dopoguerra ed è stata particolarmente intensa tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta, rivolta soprattutto verso alcuni Stati europei più ricchi e in forte dinamismo economico (Germania Occidentale, Francia, Belgio). In quegli anni si sono registrate anche massicce migrazioni interne, dalle zone montane alle pianure, dove risultavano facilitate le attività economiche più produttive, dall'entroterra verso le coste, dalla campagna verso le città e, soprattutto, dal Sud, più arretrato, al Nord (Piemonte, Lombardia, Veneto), più industrializzato. Dagli anni Ottanta un fenomeno nuovo ha investito l'I.: l'arrivo di immigrati, provenienti per lo più dai Paesi in via di sviluppo (Africa, Paesi arabi), dai Paesi dell'Est europeo, dall'ex Jugoslavia, dall'Albania, che si andato rafforzando negli anni Novanta e nei primi anni del nuovo millennio, creando nel Paese problemi di ordine pratico e culturale. Spesso il Sud dell'I., per le sue lunghe coste sulle quali è facile sbarcare illegalmente, rappresenta il primo approdo, in vista di successivi spostamenti in territorio italiano o europeo. La maggior parte degli immigrati extracomunitari si stabilisce nel Nord d'I., dove maggiori sono le possibilità di procacciarsi un lavoro, e nell'area intorno a Roma. Accanto a coloro che hanno potuto trovare un'occupazione stabile e regolarizzare la loro posizione, vi sono anche numerosi immigrati illegali, cioè clandestini. Le comunità più numerose nel nostro Paese sono quelle del Marocco, della ex Jugoslavia e dell'Albania, della Tunisia, delle Filippine, del Senegal, dell'Egitto e della Cina. La regolamentazione dei flussi di immigrati è stata un'emergenza primaria per tutti i Governi che si sono succeduti dagli anni Ottanta in poi: alla legge Martelli del 1989, è succeduta la legge Turco-Napolitano (1998) a cui nel 2002 è subentrata la legge Bossi-Fini. ║ La distribuzione della popolazione sul territorio. La densità della popolazione italiana è elevata: 187 ab. per kmq, superiore a quella della Francia, ma inferiore a quella di Germania e Gran Bretagna. Bisogna però tener conto del fatto che l'I., essendo un Paese prevalentemente montuoso e povero di pianure e di suoli adatti allo sfruttamento agricolo, non è particolarmente favorevole all'insediamento umano. Analizzando le densità regione per regione e, ancora più dettagliatamente, provincia per provincia, si rilevano differenze assai significative, segnali di un utilizzo fortemente squilibrato del territorio nazionale e di un'eccessiva concentrazione della popolazione in alcune aree. Le regioni che in assoluto presentano la più alta densità sono la Campania, la Lombardia e la Liguria; le regioni a più bassa densità sono la Valle d'Aosta e, per motivi morfologici analoghi, il Trentino-Alto Adige, la Basilicata, il Molise e la Sardegna. Le aree più popolose sono la pianura padana, soprattutto la zona attorno a Milano, la riviera ligure, il litorale adriatico tra Ravenna e Ancona, la fascia costiera tra Napoli e Salerno. Inoltre il fenomeno dell'urbanizzazione, cioè dello spostamento dalla campagna alle città, iniziato negli anni Cinquanta e incrementato negli anni Settanta-Ottanta, ha determinato una forte crescita della popolazione urbana, con punte massime a Roma, il cui sviluppo è legato al suo ruolo amministrativo e burocratico di capitale, Napoli, la cui estensione era però già notevole nel Settecento, quando era capitale dello Stato borbonico delle Due Sicilie, e Milano, centro economico e finanziario del Paese. Un'osservazione importante riguarda la rete urbana dell'I. e la sua distribuzione irregolare: nel Centro-Nord la trama urbana è fitta e organicamente strutturata, con le maggiori città ben raccordate con l'intero territorio; nel Centro-Sud, al contrario, le città sono debolmente interconnesse tra di loro. LINGUA E DIALETTI I primi documenti di un uso scritto del volgare riguardano un'area piuttosto estesa dell'I.: essi sono l'Indovinello veronese (VIII-IX sec.), un glossario italo-greco del X sec., il Placito di Capua (960), la Postilla amiatina (1087), l'iscrizione romana di San Clemente (posteriore al 1084). Già nei primi testi è chiaramente avvertibile l'aspirazione all'universalità della lingua, evidente sia nei ritmi Laurenziano e Cassinese (XII-XIII sec.) sia nel mirabile cantico di San Francesco (1224). La prima lingua d'arte nacque, su uno sfondo di molteplice cultura (provenzale, latina, francese e araba), alla corte di Federico II. L'estensione del volgare alla prosa avvenne nel quadro di un rinnovamento sociale che vide con i comuni l'apparire di una nuova classe dirigente e di un nuovo pubblico letterario. Dagli scarni libri di conti dei banchieri fiorentini al fortunato connubio di studi giuridici e di retorica avvenuto in Bologna, all'opera attivissima dei volgarizzatori, il processo del volgare divenne sempre più irresistibile. Il predominio del fiorentino cominciò ad affermarsi alla fine del XIII sec. e divenne assoluto dal Trecento con l'apparizione di Dante, Petrarca e Boccaccio. Per l'altezza della sua opera poetica e prosastica e per il suo fecondo tirocinio di artista, Dante può dirsi a ragione il padre della lingua italiana. Dopo la Commedia e il Convivio, le lingue della poesia e della prosa seguirono strade diverse: la prima raggiunse con Petrarca un grado estremo di perfezione formale, conservando i suoi tratti essenziali fino alla crisi del vecchio linguaggio poetico italiano avvenuta dopo l'unificazione politica del Paese; la tradizione narrativa, iniziatasi col Novellino, pervenne col Decameron a una compiuta strutturazione sintattica. La divisione politica degli Stati italiani non consentì l'affermazione di un largo uso della lingua comune. L'I., per secoli, ebbe soltanto una debole unità culturale. In tal modo si spiega come, nella prima metà del 1400, in un periodo di stasi letteraria e poetica del volgare, il grande progresso della latinità umanistica poté minacciare le posizioni conquistate. La conciliazione, rappresentata dall'Umanesimo volgare, comportò una rinnovata influenza del latino nel campo del lessico e della sintassi. I primi decenni del Cinquecento segnarono il definitivo trionfo dell'italiano letterario. Bembo propose come modelli Petrarca per la poesia, Boccaccio per la prosa. Il petrarchismo esercitò una funzione vitale e duratura nella continuità del linguaggio poetico, ma la prosa di Castiglione, di Machiavelli e di Guicciardini superò i limiti del trecentismo. La famosa questione della lingua (lingua fiorentina o toscana o italiana) rappresentò il distacco esistente tra il mondo delle lettere e il problema concreto dell'espressione rivolta a un pubblico più ampio di quello della corte. In una lingua letteraria convenzionale e conservativa è naturale che gli interventi di autorità s'intensifichino e si regolarizzino: nel 1583 nacque l'Accademia della Crusca. La ricerca di una nuova musicalità e di una più raffinata e ingegnosa retorica, propria della poesia del Tasso, segnò un'evoluzione del linguaggio poetico, che sarebbe continuata nel Seicento, a scapito però di un autentico contenuto umano. Ma la novità del XVII sec. fu rappresentata soprattutto dalla prosa scientifica, apportatrice di una nuova terminologia: l'italiano conquistò con Galilei un campo fino ad allora riservato al latino. Nel Settecento l'influsso della cultura e della lingua francese modificarono profondamente il lessico e la struttura sintattica dell'italiano. La letterarietà della lingua comune è dimostrata dal fatto che Goldoni usò con maggiore disinvoltura ed efficacia artistica il dialetto. Ancora nella prima metà dell'Ottocento, l'italiano era soltanto una lingua scritta e conosciuta da un'esigua minoranza di intelletti. Come strumento di comunicazione esistevano i dialetti, usati tanto nei rapporti della vita quotidiana, quanto nei tribunali, nelle chiese, nei salotti e nelle corti. I tentativi di un ritorno al trecentismo e di un nuovo purismo (A. Cesari, B. Puoti) fallirono. L'ideale romantico di una letteratura popolare servì invece da stimolo. Al Manzoni spettò il grande merito di aver creato una nuova lingua della prosa fondata sul concetto democratico dell'uso; ma solo un avvenimento come l'unificazione nazionale poté promuovere l'unificazione linguistica. L'urbanizzazione, l'emigrazione interna ed esterna, la scuola, la burocrazia, la stampa e la radio diffusero la conoscenza della lingua. Contemporaneamente l'uso dell'italiano quale lingua di comunicazione comportò la sua evoluzione. Di questa ricordiamo soprattutto due aspetti tra loro complementari: la riduzione della letterarietà dell'italiano e l'ampliamento del lessico che si adattò sempre più alle necessità della vita associata. La maggior parte delle innovazioni consistette nello sfruttamento del patrimonio autoctono. L'introduzione di prestiti dalle lingue europee non intaccò il vocabolario base nell'italiano. Riguardo al dialetto, che nel territorio linguistico italiano presenta le caratteristiche di una grande frammentazione, si distinguono (escludendo il ladino e il sardo, che costituiscono non già dialetti, ma vere e proprie lingue) tre grandi gruppi con proprie caratteristiche: dialetti settentrionali, dialetti centro-meridionali, dialetti toscani. LETTERATURA Le origini e il Duecento. I linguaggi svoltisi dal latino parlato o tardo latino detti "volgari"- cioè lingue del "volgo", in opposizione al latino scritto della scuola, del diritto e della Chiesa -, documentati in scritti di carattere pratico e occasionale a partire dal IX sec., vennero utilizzati a fine letterario solo dal XIII sec. A lungo si mantenne in I. l'uso della lingua latina non solo per le opere teologiche e scientifiche, ma anche per le cronache e i racconti epico-storici. Il predominio che avrebbe avuto in I. la cultura classica e la produzione letteraria latina spiega, secondo alcuni studiosi, il cosiddetto "ritardo" con il quale si affermò la letteratura italiana rispetto alle maggiori di lingua romanza, provenzale, francese e castigliana. In realtà, allo sviluppo di una nuova letteratura, fu di ostacolo soprattutto il carattere della società italiana del Basso Medioevo, poco sensibile ai valori della civiltà feudale e cavalleresca - ispiratrice delle nuove forme di poesia presso gli altri Paesi dell'Europa occidentale - e, d'altra parte, priva di una forza politica culturalmente unificante. Per tutto il XIII sec. permase l'uso di numerosi dialetti volgari, cui si aggiunsero il francese e il provenzale. Quest'ultimo dominò nei componimenti d'amore, mentre il francese fu utilizzato per prose di carattere narrativo, didattico e storico (Livres des merveilles dou monde di Marco Polo, Cronique des Vénitiens di Martino da Canale, Les livres du Trésor di Brunetto Latini) e per poemi cavallereschi (Entrée d'Espagne di Menocchio da Padova, Prise de Pampelune di Niccolò da Verona). Romanzi e poemi francesi si diffusero, oltre che nella loro lingua, anche in ibridi adattamenti franco-italiani. Il più antico documento letterario italiano è il Cantico delle Creature (Laudes creaturarum, 1224) di San Francesco d'Assisi, in cui l'autore, in un linguaggio semplice, accessibile anche agli illetterati, invita la natura a innalzare un inno di lode al Creatore. Nello spirito della religiosità popolare sono anche le laude, canti religiosi delle confraternite dei Disciplinati, alcuni delle quali in forma drammatica, preludio alle rappresentazioni sacre. Tra i laudesi, per lo più anonimi e mediocri rimatori, si distinse, alla fine del XIII sec., fra' Jacopone da Todi, il "giullare di Dio" che, solo apparentemente rozzo e incolto, esprime nelle laude un acceso disprezzo dei beni mondani e l'esaltazione quasi sensuale dell'amore divino. Storicamente la più importante manifestazione letteraria del Duecento è la scuola poetica siciliana, che si sviluppò nella prima metà del secolo intorno alla corte di Federico II di Svevia. I principi della Casa sveva, i cortigiani e i funzionari (Federico II, Enzo di Sardegna, Manfredi, Pier delle Vigne, Odo delle Colonne, Jacopo da Lentini, Rinaldo d'Aquino, Giacomino Pugliese) celebrarono l'amore cortese in forme eleganti e convenzionali, elaborando, con consapevolezza artistica, un volgare aulico, illustre, di proposito lontano da quello del volgo. Dopo la caduta degli Svevi (1266) la scuola siciliana si disperse, ma i testi dei poeti si erano ormai diffusi nel resto d'I., soprattutto in Toscana. I rimatori toscani assimilarono l'esperienza poetica siciliana, approfondendo l'introspezione psicologica in direzione etico-politica (Guittone d'Arezzo) o mistico-simbolica (Chiaro Davanzati). Ma la più matura e più alta espressione di poesia lirica del secolo si ebbe a Firenze, ad opera dei poeti del dolce stil novo (come Dante li chiamò). Iniziatore di questo nuovo modo di fare poesia fu il bolognese Guido Guinizelli, che nella sua opera preannunciò temi tipici della poesia stilnovista fiorentina i cui maggiori rappresentanti furono lo stesso Dante nella giovinezza, Guido Cavalcanti, Cino da Pistoia, Lapo Gianni, Guido Frescobaldi, Gianni Alfani. La dottrina d'amore degli stilnovisti esprime un concetto schiettamente democratico della nobiltà - caratterizzazione interiore, non di stirpe - e una profonda spiritualità cristiana: le "donne angelicate", protagoniste delle rime, suscitano in chi le vede l'aspirazione alla virtù e alla beatitudine celeste. Accanto e in opposizione all'idealismo dello stil novo, si sviluppò in Toscana una corrente poetica di tono prevalentemente realistico e scherzoso (poesia comico-realistica), che annovera, tra i suoi rimatori più rappresentativi, Cecco Angiolieri, Folgore da San Gimignano, Rustico di Filippo. Accanto a tali esperienze poetiche notevole sviluppo ebbe la corrente dei poeti didascalici e morali: Gerardo Patecchio di Cremona, Uguccione da Lodi, Pietro da Bascapè, il milanese Bonvesin de la Riva (Libro delle tre scritture, la Nigra, la Rossa e la Dorata), Giacomino da Verona (Della Gerusalemme celeste, Della infernale città di Babilonia) e Brunetto Latini (Tesoretto). Nella prosa duecentesca, meno ricca e varia della poesia, si distinsero due correnti principali, quella dei prosatori dotti (Guittone D'Arezzo, Guido Fava, Ristoro d'Arezzo) e quella dei novellieri, tra i quali eccelse l'anonimo fiorentino autore del Novellino. ║ Il Trecento. Il XIV sec. presenta una fisionomia linguistica più unitaria, per la preminenza che assunse il fiorentino, soprattutto attraverso l'opera dei tre sommi scrittori del secolo, Dante, Petrarca, Boccaccio. La creatività poetica e l'elaborazione concettuale di Dante culminarono nelle opere scritte durante l'esilio. Nel Convivio e nel De vulgari eloquentia Dante propone un nuovo concetto di "volgare illustre", una lingua letteraria formata con gli elementi più nobili dei quattordici volgari in uso in I.; nel De monarchia sostiene la necessità di una monarchia universale e, insieme, la reciproca indipendenza del potere spirituale e di quello temporale, entrambi provenienti da Dio; infine, nella Divina Commedia offre una sintesi originalissima della cultura e degli ideali di vita del Medioevo, rappresentando con una straordinaria plasticità di invenzioni figurative l'oltretomba cristiano. Profondamente diversa da quella di Dante fu la personalità di Francesco Petrarca, che tese a chiudersi nella contemplazione del proprio mondo interiore. Il Canzoniere petrarchesco è una lucida analisi dell'interiorità del poeta, lacerato da un'ansia di assoluto e di pace e, d'altra parte, da ricorrenti inquietudini terrene. La poesia del Canzoniere riesce a esprimere in forme nitide e armoniose il dissidio interiore del poeta. Lo studio critico della letteratura e della civiltà antica intrapreso da Petrarca, fece di lui l'iniziatore dell'Umanesimo. Boccaccio presentò nel Decamerone la nuova società borghese, dominata dal culto dell'intelligenza, aperta agli impulsi della vita terrena, esente da ogni preoccupazione religiosa. Profonda è la diversità di clima storico e spirituale che intercorse tra i tempi di Dante e quelli di Petrarca e Boccaccio: la passione politica che animò l'opera dantesca, appena accennata in Petrarca, autore di due canzoni di alta eloquenza politica, venne meno nell'orizzonte culturale di Boccaccio; così come la salda fede religiosa di Dante, divenuta in Petrarca tensione irrisolta tra umano e divino, scomparve definitivamente nell'autore del Decamerone. Accanto ai tre grandi, molti altri poeti e prosatori, in prevalenza toscani, proseguirono la tradizione letteraria del secolo precedente. La lirica amorosa in parte riprodusse gli schemi dello stil novo (Matteo Frescobaldi, Cino Rinuccini), in parte riecheggiò influssi danteschi (Fazio degli Uberti) e petrarcheschi; notevole sviluppo ebbe anche la poesia giocosa (Pieraccio Tedaldi, Niccolò de' Rossi). Importante rimatore fiorentino fu Antonio Pucci, autore di serventesi, in cui cantò in modo popolaresco le vicende della sua città, e di liriche d'argomento eroico e cavalleresco, scherzoso, autobiografico. Canzoni morali compose il senese Bindo Bonichi. Il genere allegorico-didattico annovera poemi quali l'Intelligenza, attribuito a Dino Compagni, I documenti d'amore e Del reggimento e costumi di donne di Francesco da Barberino, l'Acerba di Francesco Stabili detto Cecco d'Ascoli, il Dottrinale di Jacopo Alighieri figlio di Dante, il Dittamondo di Fazio degli Uberti, il Quadriregio di Federico Frezzi. Molto estesa fu la letteratura devota, dotta e popolare, in forma lirica, narrativa e drammatica. Tra le opere in prosa ricordiamo i Fioretti di San Francesco, versione toscana di un testo latino del XIII sec., gli scritti del domenicano Domenico Cavalca, le prediche di fra' Jacopo Passavanti (Specchio di vera penitenza), le lettere di Santa Caterina da Siena e le compilazioni morali di Bartolomeo da San Concordio (Fiore di virtù, Ammaestramenti degli antichi). Nella storiografia furono rilevanti la cronaca di Dino Compagni, racconto delle vicende fiorentine (1280-1312), e quella di Giovanni e di Matteo Villani, che tratta la storia di Firenze dalle origini al 1364. Autori di novelle furono il fiorentino Ser Giovanni, Franco Sacchetti e Giovanni Sercambi da Lucca. Interessante fenomeno culturale del Trecento fu il Preumanesimo padovano che, affermatosi all'inizio del secolo, ebbe i suoi maggiori maestri in Lovato de' Lovati, Ferreto de' Ferreti e Albertino Mussato. Nella seconda metà del secolo, in seguito alla lettura negli studi e nelle chiese del poema di Dante, si cominciarono a scrivere i primi commenti alla Commedia. ║ Il Quattrocento. Nel XV sec. ebbe inizio un periodo di grandi trasformazioni: in tutte le manifestazioni del pensiero e dell'arte si assistette a un ritorno al mondo classico, nella convinzione che la cultura antica offrisse una forma autentica e ideale di vita. Nelle testimonianze del passato si ritrovò il sentimento fortissimo della dignità dell'uomo, l'esigenza di reintegrarlo nel suo proprio ambito terreno e la consapevolezza del suo essere potenzialmente perfetto. Questo nuovo atteggiamento intellettuale prese il nome di Rinascimento, il cui motivo dominante fu l'esaltazione della grandezza dell'uomo, libero creatore di se stesso e del suo destino. Aspetto e momento del Rinascimento fu l'Umanesimo, che indicò, in senso stretto, il recupero degli studia humanitatis, cioè della conoscenza dei monumenti letterari, filosofici e artistici delle civiltà classiche, via privilegiata per la completa formazione dell'uomo. Se la prima metà del secolo non registrò la fioritura della grande poesia, fu però questa un'età di appassionati studi critici e filologici. Numerose opere dei classici latini e greci, riportate alla luce dalle biblioteche dei monaci, vennero trascritte, interpretate e commentate, al fine di eliminare gli errori accumulatisi nella tradizione manoscritta e ricostituire così i testi nella loro integrità originaria. Canone fondamentale della poetica umanistica fu l'imitazione dei classici, non nel senso di una passiva ripetizione, ma come ricerca che permettesse all'artista di esprimere il meglio di sé nella forma più elegante. I principali umanisti italiani furono i filologi Coluccio Salutati, che restaurò l'insegnamento del greco a Firenze, Leonardo Bruni, che fu anche un pregevole storico, Poggio Bracciolini, Niccolò Niccoli, Lorenzo Valla, Gasparino Barzizza, Giovanni Aurispa, i pedagogisti Guarino Veronese e Vittorino Rambaldoni da Feltre, i filosofi Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Giannozzo Manetti, l'archeologo Ciriaco dei Pizzicolli d'Ancona, lo storico Flavio Biondo da Forlì, i poeti Poliziano, Giovanni Pontano, Jacopo Sannazzaro, Matteo Maria Boiardo, Francesco Filelfo, Basinio da Parma, Antonio Beccadelli detto il Panormita, Giannantonio Campano, Tito Vespasiano Strozzi. La letteratura degli umanisti predilesse la prosa rispetto alla poesia: grande sviluppo ebbero così la trattatistica, la storiografia e l'epistolografia. Se grande fu il fervore degli studi latini, e quasi esclusivo l'uso del latino da parte degli artisti maggiori nel primo Quattrocento, non venne tuttavia meno la letteratura in volgare che, nei primi decenni del secolo, ripeté senza originalità i temi del secolo precedente: rime amorose e civili di ispirazione petrarchesca, cronache, novelle, oratoria religiosa. Tra i rimatori d'ispirazione borghese e popolareggiante il più significativo fu Domenico di Giovanni detto il Burchiello e, tra i rimatori petrarchisti, Giusto de' Conti. Tra i novellisti ricordiamo Antonio Manetti, Giovanni Sabatino degli Arienti e Tommaso Guardati detto Masuccio Salernitano. Negli ultimi decenni del secolo acquistò di nuovo vigore la produzione in volgare. Numerosi autori dotti (Leon Battista Alberti, Feo Belcari, Vespasiano da Bisticci, Alessandra Macinghi Strozzi, Matteo Palmieri) vagheggiarono un volgare modellato su Cicerone. La seconda metà del secolo fu dominata da alcuni grandi poeti: Poliziano, che espresse nei suoi versi la seduzione dell'amore e della giovinezza, insieme alla struggente consapevolezza della loro caducità; Lorenzo il Magnifico, la cui eclettica produzione lasciò spazio alle più diverse suggestioni dell'età umanistica; Matteo Maria Boiardo, autore dell'Orlando innamorato, poema in ottave, la cui intima aspirazione è costituita dall'ideale cavalleresco, sentito come cortesia, valore, amore, generosità, spirito d'avventura; infine, Luigi Pulci, la cui vena novellistica e comica ricondusse personaggi e avventure del suo poema, il Morgante, dal mondo cavalleresco e fiabesco a una sfera di immediato realismo quotidiano. ║ Il Cinquecento. Nella letteratura cinquecentesca il volgare toscano venne codificato quale lingua letteraria. La prima metà del secolo fu caratterizzata da un'intensa produzione letteraria e artistica, in cui trovarono la loro pienezza le aspirazioni e gli orientamenti culturali rinascimentali. Ricca di fervore creativo, fu questa l'età di Ludovico Ariosto, Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini, nei quali, superata definitivamente la concezione teologica e trascendente trasmessa dalla cultura medioevale, ogni valore venne ricondotto alla misura dell'uomo. Ariosto offrì nell'Orlando furioso la sintesi dell'idealità rinascimentale. La materia fantastica, eppure densa di continui riferimenti storici, è ricca di esperienze cortigiane, guerresche, mondane, tutte contemplate dall'autore con occhio distaccato e superiore (ironia ariostesca). Machiavelli fu il fondatore della scienza della politica: nel Principe delineò le caratteristiche necessarie all'uomo di governo per conseguire successo e per creare in I. uno Stato unitario e forte. Più pessimista di Machiavelli fu Guicciardini, che non credette nella possibilità di teorizzare le norme ideali della realtà politica e assegnò all'uomo politico il compito di attendere al proprio "particulare". Tra le più importanti correnti della letteratura cinquecentesca vi fu la lirica amorosa, il cui tono fondamentale fu dato dal petrarchismo, instaurato da Pietro Bembo che, nelle Prose della volgar lingua, teorizza l'imitazione di Petrarca quale modello per la poesia (Boccaccio per la prosa). Nell'interminabile schiera dei lirici d'amore di questo secolo ricordiamo Luigi Tansillo, Matteo Bandello, Annibal Caro, Galeazzo di Tarsia, Michelangelo Buonarroti e, tra le poetesse, Vittoria Colonna, Gaspara Stampa e Veronica Gambara. Tra i poeti epici, impegnati a teorizzare le caratteristiche di un poema "regolare", ossia di stampo omerico e virgiliano, si citano Gian Giorgio Trissino (L'Italia liberata dai Goti), Luigi Alamanni, Bernardo Tasso, Giovan Battista Giraldi Cinzio. Intensa fu la produzione satirica, priva però di un profondo sentimento morale. Ricordiamo le pasquinate di Pietro Aretino, le Satire di Ariosto e, nel quadro della poesia burlesca, la trascrizione toscana dell'Orlando innamorato realizzata da Francesco Berni e i poemi maccheronici di Teofilo Folengo. Poemetti epico-lirici scrissero Francesco Maria Molza, Bernardo Tasso e Luigi Tansillo; di poemi didascalici furono autori Giovanni Rucellai, Alamanni, Tansillo. Il teatro, nato nel Duecento e nel Trecento con le sacre rappresentazioni, proseguito nel 1400 da Poliziano e da Lorenzo il Magnifico, ebbe notevole sviluppo, soprattutto con la commedia, che trasse la materia dai classici, dalla novellistica e, in parte, dall'osservazione della realtà quotidiana. Tra gli autori di commedie vi furono Ariosto, Machiavelli, (Mandragola), il cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena (Calandria), Lorenzino de' Medici, Giammaria Cecchi, Andrea Calmo, Pietro Aretino, Angelo Beolco detto il Ruzante e, alla fine del secolo, Giordano Bruno. Intorno alla metà del secolo incominciò a diffondersi la Commedia dell'Arte, caratterizzata dall'improvvisazione degli attori su un "canovaccio" scritto. Tra gli autori di tragedie - ai Greci si sostituì verso la metà del secolo come modello Seneca - ricordiamo Gian Giorgio Trissino (Sofonisba), Giovanni Rucellai, Luigi Alamanni, Giambattista Giraldi Cinzio, Sperone Speroni, Pietro Aretino (Orazia). Nella prosa narrativa il genere caratteristico del secolo fu la trattatistica, per lo più in forma dialogica, di cui i maggiori rappresentanti furono Baldassarre Castiglione che, nel Cortigiano delineò un ideale ritratto dell'uomo di corte, e monsignor Giovanni Della Casa, autore del Galateo, esaltazione dell'ideale rinascimentale del decoro e della misura; inoltre Pietro Aretino, Giovan Battista Gelli, Anton Francesco Doni, Agnolo Firenzuola. I novellatori imitarono la struttura boccacciana, accentuandone spesso il tono licenzioso: Matteo Bandello, Anton Francesco Grazzini detto il Lasca, Luigi da Porto, Gianfrancesco Straparola, Firenzuola, Giraldi Cinzio. La storiografia, per lo più in latino e ristretta all'ambito regionale, annovera Iacopo Nardi, Benedetto Varchi, Pier Francesco Giambullari, Bernardo Davanzati Bostichi, Pietro Bembo, Angelo di Costanzo, Camillo Porzio. Alla prosa storica sono anche da ascrivere l'autobiografia di Benvenuto Cellini e le Vite di Giorgio Vasari. Nella seconda metà del secolo si esaurì la felice stagione rinascimentale e si posero le basi dell'età barocca. La Gerusalemme liberata di Torquato Tasso ben esprime il contrasto di tale età, combattuta tra il fiducioso sentimento della dignità e della potenza terrena, proprio del Rinascimento, e il sentimento della sua fragilità morale, suscitato dalla nuova ansia religiosa dell'età della Controriforma. ║ Il Seicento. La letteratura del Seicento, pervasa da un senso di stanchezza per l'orientamento classicamente composto del secolo precedente, si volse a perseguire il nuovo, il difficile, l'imprevisto. Nacque così la poetica della "meraviglia": l'arte deve con tutti i mezzi dare ebbrezza, sensazioni ignote e sempre nuove, combinando espressioni retoriche, creando metafore, accostando in modo imprevedibile e bizzarro immagini e giochi di parole (concettismo). Per definire polemicamente la grandiosità fastosa della poesia e dell'arte del Seicento venne coniato alla fine del secolo il termine spregiativo di Barocco, indicante nella terminologia filosofica un ragionamento appariscente, pedantesco, artificioso. Il nuovo orientamento culturale fu definito, sul piano più strettamente poetico, col nome di marinismo, da Gian Battista Marino (La lira, La zampogna, l'Adone), considerato il caposcuola. Tra i numerosi imitatori di Marino ricordiamo Girolamo Fontanella, Marcello Macedonio, Antonio Bruni, Claudio Achillini. Si opposero al marinismo: la corrente classicistica, rappresentata da Gabriello Chiabrera e Fulvio Testi; il nuovo genere letterario del poema eroicomico, presentato da Alessandro Tassoni (Filippiche, Secchia rapita) e Francesco Bracciolini (Scherno degli dei); infine gli autori di drammi pastorali (Guidubaldo Bonarelli della Rovere) e, in genere, quelli di tragedie (Federico Della Valle, Giovanni Delfino e Carlo de' Dottori) e di commedie. Le caratteristiche del marinismo sono ben evidenti anche nella prosa, soprattutto in quella di oratori sacri e scrittori di religione (Daniello Bartoli e Paolo Segneri). La grandezza della letteratura del Seicento si manifestò nella prosa politica (Paolo Sarpi), filosofica (Tommaso Campanella) e scientifica (Galileo Galilei). A Galileo Galilei, la più eminente personalità del secolo, si deve il merito di aver fondato la tradizione della prosa scientifica. Nell'ambito dell'Accademia della Crusca numerosi scrittori salvaguardarono il patrimonio letterario precedente arginando il gusto barocco e preparando la restaurazione classicistica dell'Arcadia. Fondata nel 1690, l'Accademia dell'Arcadia si oppose alla "barbarie dell'ultimo secolo", proponendo un ritorno alla naturalezza e alla semplicità dei classici. La riscoperta di una poesia più semplice e aggraziata condusse i poeti arcadi (Giovan Battista Zappi, Carlo Innocenzo Frugoni, Paolo Rolli, Lodovico Savioli) a esaltare in misura eccessiva la componente musicale e cantabile della lirica. L'Arcadia ebbe tuttavia il merito di indirizzare al gusto del classico le generazioni del secolo dei lumi. ║ Il Settecento. Nei primi anni del Settecento vennero pubblicati i testi fondamentali del classicismo arcadico, Della perfetta poesia di Ludovico Antonio Muratori (1706) e La ragion poetica di Giovan Vincenzo Gravina (1708). La poesia dell'Arcadia diede la sua prova più convincente con il Metastasio, che restituì dignità letteraria ai melodrammi, ammirati in tutta Europa. Ma la letteratura del primo Settecento non si chiuse nei confini dell'Arcadia: nei primi anni del secolo si assistette infatti a una generale ripresa di interessi culturali che si riflesse in grandi opere di pensiero e di erudizione. Ricordiamo in ambito filosofico Giovan Battista Vico, che nella Scienza nuova indicò il nuovo ideale estetico in una poesia che sapesse esprimere le più profonde e universali intuizioni dell'animo umano; nel campo storiografico Ludovico Antonio Muratori, che nelle sue opere di erudizione e di critica storica raccolse numerosi documenti e scritti sulla storia d'I.; in ambito giuridico, Pietro Giannone, che rivendicò l'autonomia dello Stato nei confronti del potere religioso. Il rinnovamento culturale avviato all'inizio del Settecento proseguì nella seconda metà del secolo confluendo nell'Illuminismo. Sviluppatosi dal razionalismo cartesiano, l'Illuminismo europeo indica nella ragione l'unico criterio di verità, superiore a ogni autorità e rivelazione, capace di guidare l'opera di miglioramento delle condizioni di vita e dei rapporti sociali. Si possono distinguere due gruppi di illuministi italiani: il gruppo napoletano, essenzialmente speculativo, rappresentato da Francesco Mario Pagano, Gaetano Filangieri, Antonio Genovesi e Nicola Spedalieri; e il gruppo lombardo, più orientato verso l'economia, la statistica, l'applicazione pratica delle dottrine. A Milano, il gruppo illuminista si raccolse intorno al periodico "Il Caffè" e annoverò tra i suoi maggiori esponenti Pietro e Alessandro Verri, Cesare Beccaria, i conti Biffi e Porro-Lambertenghi. Tra Arcadia e Illuminismo si svolse la vita di Carlo Goldoni, riformatore della commedia. Entrata in una fase di decadenza la Commedia dell'Arte, Goldoni recuperò il testo scritto e portò sulle scene gli aspetti più sereni e bonari della società settecentesca, in particolare quella veneziana. L'adesione all'Illuminismo fu più consapevole in Giuseppe Parini, la cui poesia, ispirata all'ideale di Classicismo, morale ed estetico, fu animata da una profonda adesione alle concezioni umanitarie ed egualitarie del secolo. Nell'ambito della cultura illuminista si insinuò, verso la fine del secolo, una sensibilità nuova suscitata dalla moda in I. della poesia notturna e sepolcrale inglese, diffusa soprattutto dalla traduzione dei Canti di Ossian di Melchiorre Cesarotti. Negli ultimi anni del secolo emerse la forte personalità umana e poetica di Vittorio Alfieri, che anticipò molti aspetti dell'età successiva, quali l'esaltazione schiettamente romantica dell'individualità e delle passioni; pure, egli fu figlio del suo tempo nell'impulso libertario di origine illuminista. Negli anni tra il Settecento e l'Ottocento si impose, dal riesame dei capolavori dell'arte classica promosso dall'archeologo e storico dell'arte tedesco Johann Joachim Winckelmann, il gusto neoclassico, il cui maggior rappresentante, sul piano letterario, fu Vincenzo Monti, nella cui opera il mondo classico è presente, per lo più, solo come motivo ornamentale. ║ L'Ottocento. Negli ultimi anni del XVIII sec. si affermò in Europa il Romanticismo, che si diffuse in I. nei primi anni della Restaurazione. Il più noto manifesto della scuola romantica italiana è La lettera semiseria di Grisostomo di Giovanni Berchet, in cui l'autore contrappose alla vecchia letteratura tradizionalista e accademica una letteratura viva e popolare, espressione della società, libera dalle regole e dall'imitazione dei classici, capace di educare vasti strati di lettori. Alle tesi romantiche aderì Alessandro Manzoni che, nella lettera a Cesare D'Azeglio Sul Romanticismo, condannò la mitologia e le regole retoriche e sostenne che l'arte debba proporsi come oggetto il "vero". Il periodo che va dall'età napoleonica alla prima guerra del Risorgimento fu dominato da tre grandi personalità: Ugo Foscolo, Giacomo Leopardi, Alessandro Manzoni. L'itinerario spirituale del Foscolo approdò, dall'impeto alfieriano e romantico delle Ultime lettere di Jacopo Ortis, all'ideale neoclassico delle Grazie, in cui il mondo classico, intimamente sentito dal poeta come unico rifugio di fronte a una visione dolorosa della vita, è sublimato nella pura atmosfera della contemplazione artistica. Nei Sepolcri Foscolo celebrò con fervore quasi religioso la validità delle "illusioni", la bellezza, l'amore, l'eroismo, la pietà, in cui l'uomo trova lo scopo dell'esistenza. La produzione letteraria di Leopardi sviluppò la tesi di una radicale e insanabile infelicità dell'uomo, causata dalla natura "matrigna" (pessimismo cosmico). Da tale concezione nacque la poesia dei Canti, confessione e contemplazione dell'interiorità del poeta, nutrita di aspirazioni alla bellezza, all'amore, a una felicità impossibile. La conversione al Cattolicesimo segnò l'intera produzione letteraria di Manzoni, dalle prove liriche, alle tragedie, al romanzo I Promessi Sposi, nutrito di profonda meditazione morale e religiosa. Nel campo della narrativa il genere tipico del Romanticismo fu il romanzo storico, che fiorì sulla scia dei modelli offerti da Walter Scott e dai Promessi Sposi. Romanzi storici scrissero Tommaso Grossi (Marco Visconti), Massimo D'Azeglio (La disfida di Barletta o Ettore Fieramosca), Cesare Cantù (Margherita Pusterla) e Francesco Domenico Guerrazzi (La battaglia di Benevento). Della seconda metà del secolo sono Le confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo, caratterizzato da acute analisi psicologiche. Ricca e varia fu la letteratura politica (Giuseppe Mazzini, Vincenzo Gioberti, Carlo Cattaneo, Carlo Pisacane), storica (Vincenzo Cuoco, Michele Amari, Carlo Troya, Pietro Colletta, Carlo Botta, Cesare Balbo, Gino Capponi, Cesare Cantù, Carlo Cattaneo) e memorialistica (Silvio Pellico, Luigi Settembrini, Massimo D'Azeglio). La lirica romantica assunse, per lo più, contenuti politici: si dicono infatti romantici tutti i poeti e gli scrittori liberali e patrioti. Caposcuola della lirica romantica fu Giovanni Berchet, autore delle Romanze, di forma popolare e contenuto prevalentemente patriottico; altri poeti patriottici furono Goffredo Mameli, Samuele Biava, Luigi Carrer, Gabriele Rossetti, Luigi Mercantini, Arnaldo Fusinato. Ricca di spunti civili e patriottici è anche la lirica di Giuseppe Giusti, che adattò il linguaggio toscano a modi prevalentemente scherzosi. Il tema patriottico e, più frequentemente, sentimentale, caratterizzò anche le novelle in versi, composte da Bartolomeo Sestini (Pia de' Tolomei), Tommaso Grossi (Ildegonda, La fuggitiva), Cesare Cantù, Silvio Pellico. L'esigenza realistica avvertita dai romantici ebbe la sua più significativa espressione nella poesia dialettale del milanese Carlo Porta, che rappresentò con sguardo pietoso gli umili e gli oppressi, osservando invece con umorismo e sarcasmo il mondo nobiliare e clericale, e del romano Giuseppe Gioachino Belli, che dipinse la società miserabile e superstiziosa del popolo romano con senso tragico della vita. Alla storia letteraria si dedicarono Luigi Settembrini, Paolo Emiliani Giudici e Francesco De Sanctis, che teorizzò un nuovo concetto di "forma" (come sintesi di espressione e contenuto) rinnegando gli schemi della critica tradizionale che perseguivano un tipo astratto di perfezione formale. Verso la metà del secolo il movimento romantico declinò: attenuatosi l'impegno civile e morale del primo Romanticismo, si accentuarono i temi passionali e patetici con larga effusione di sentimentalismo. Giovanni Prati e Aleardo Aleardi furono i maggiori esponenti di questa seconda generazione romantica. Fra il 1860 e il 1870 nell'I. settentrionale si affermò la Scapigliatura milanese, rappresentata da Arrigo Boito, Giuseppe Rovani, Emilio Praga, Cletto Arrighi, Iginio Ugo Tarchetti, Carlo Dossi. Essi, respingendo i languidi sentimentalismi di Prati e di Aleardi, si accostarono alla realtà rilevandone gli aspetti più crudamente contrastanti; condannando l'inettitudine borghese, esaltarono la rivolta e la disperazione dei deboli. Una reazione antiromantica fu anche quella di Giosue Carducci, che contrappose all'ormai languente Romanticismo un programma di reazione classicista. Tra i temi delle sue raccolte, figura soprattutto la celebrazione della storia passata e presente dell'I., mentre i toni sono personali e intimi. Affine al Realismo e al Naturalismo francese, nella seconda metà dell'Ottocento si affermò la corrente del Verismo, che portò alle estreme conseguenze la tesi romantica del "vero per soggetto". Il Verismo assunse in I., per la mancanza di un unico centro nazionale, una coloritura spiccatamente regionale. Oggetto della narrativa verista fu la concreta realtà di miseria e di arretratezza delle plebi contadine, viste con atteggiamento condiscendente e paternalistico, se pur con sincera pietà. Il maggior esponente del Verismo fu Giovanni Verga, i cui capolavori, i Malavoglia e Mastro Don Gesualdo, esprimono un pessimismo fatalistico, nella consapevolezza che sia impossibile per l'uomo modificare le condizioni di vita che il destino gli ha assegnato. Tra gli altri veristi si possono ricordare Luigi Capuana (Il marchese di Roccaverdina), Renato Fucini (Napoli a occhio nudo), Mario Pratesi (L'eredità), Matilde Serao (Il ventre di Napoli), Federico De Roberto (I Viceré). In direzione antitetica, in parte, al Verismo si pongono i romanzi di Antonio Fogazzaro (Piccolo mondo antico), il cui interesse fu rivolto all'analisi di complessi conflitti religiosi e morali e di tormentate vicende sentimentali. ║ Il Novecento. Gli ultimi decenni dell'Ottocento e i primi del Novecento furono segnati da nuove esperienze letterarie, legate al Decadentismo europeo. Varie furono le tendenze insite nel Decadentismo e i movimenti nei quali esso venne determinandosi. La nuova poetica, che tese a dare grande peso agli elementi irrazionali della realtà e della psiche e a sostituire al terreno storico-sociale del Verismo quello introspettivo-psicologico, offrì l'immagine di un'inquietudine profonda. Primi esempi di letteratura decadente furono rappresentati dall'opera di Giovanni Pascoli e di Gabriele D'Annunzio. Tipicamente decadente è la poetica pascoliana del "fanciullino", fondata sulla scoperta delle piccole cose della natura, che consentono di pervenire a un'intuizione mistica della realtà. Il linguaggio pascoliano, dimesso e insieme allusivo, ricco di simboli, liquidò in modo definitivo il lessico aulico della tradizione lirica italiana. La vastissima produzione letteraria di D'Annunzio percorse i principali miti decadenti, soprattutto l'estetismo e il superomismo (Il piacere), abbracciando ogni idea e ogni esperienza, spesso in modo superficiale, retorico, esaltato. In opposizione al dannunzianesimo si espressero i crepuscolari, la cui poesia dominò nei primi anni del secolo. Loro caratteristica principale fu la predilezione per gli aspetti dimessi e marginali della quotidianità, unita al rifiuto di ogni retorica e aulicità e al ripiegamento ironico-malinconico su se stessi. I maggiori rappresentanti furono Guido Gozzano, Sergio Corazzini, Marino Moretti, Aldo Palazzeschi. Più vasta eco nel clima artistico del tempo ebbe il Futurismo, la cui poetica fu enunciata nel 1909 dal celebre manifesto di Filippo Tommaso Marinetti. Temi fondamentali del movimento furono il culto per il coraggio e l'audacia, l'ammirazione per la velocità, l'esaltazione della guerra. Dal punto di vista letterario, la poetica futurista fu fondata sulle "parole in libertà", sciolte da ogni legame con la punteggiatura e la sintassi e sulla contaminazione fra immagine e scrittura. Una funzione di rinnovamento culturale ebbero, negli stessi anni, alcune riviste fiorentine, quali il "Leonardo" (1903-07), fondato da Giovanni Papini, "Lacerba" (1913-15) di Papini e Soffici, e soprattutto "La Voce" (1903-16), fondata da Giuseppe Prezzolini. Nel loro ambito ideologico si collocò l'opera critica di Renato Serra. Nel campo degli studi storici e nella critica letteraria si pose uno dei maggiori filosofi italiani, Benedetto Croce, la cui prima edizione de L'estetica venne pubblicata nel 1902. Secondo Croce la critica letteraria deve limitarsi a definire la caratteristica psicologica di un'opera d'arte, rifiutando la componente ideologica e distinguendo così la poesia dalla non-poesia e le parti poetiche da quelle strutturali. Negli anni Venti la narrativa presentò alcuni autori che rivoluzionarono la tipologia del personaggio e la tecnica narrativa: Italo Svevo e Luigi Pirandello. I protagonisti dei primi romanzi di Svevo sono degli inetti, che rinunciano a lottare rifugiandosi in una visione onirica dell'esistenza. La coscienza di Zeno, costruito su una struttura psicoanalitica, segnò il definitivo tramonto del mito dannunziano del superuomo. L'angoscia dell'esistenza, il gioco tra finzione e realtà, la tragedia della follia furono i temi sviluppati nella produzione narrativa e teatrale di Pirandello. Negli anni Trenta alcuni romanzieri espressero la condizione di disagio, esistenziale e storico, attraverso il recupero memoriale: Corrado Alvaro, Vasco Pratolini, Elio Vittorini. Negli stessi anni si affermò l'Ermetismo che, ripudiando il linguaggio poetico tradizionale, mirò a recuperare l'essenzialità della parola ricorrendo all'analogia. Tre furono i maggiori rappresentanti: Giuseppe Ungaretti che, in versi di rarefetta liricità volti a recuperare l'intima essenza della parola, espresse la solitudine esistenziale dell'uomo; Eugenio Montale, la cui produzione lirica ebbe come tema fondamentale una lucida e disincantata tristezza, colta in una trama di presenze allegoriche del quotidiano; Salvatore Quasimodo che, dalla prima produzione in cui evoca una Sicilia mitica e primordiale, passò alla ricerca di valori storico-sociali come risposta alle speranze del dopoguerra, approdando nelle ultime opere a un recupero della dimensione interiore. La poetica degli ermetici si diffuse negli anni Trenta come una moda, annoverando tra i suoi esponenti Alfonso Gatto, Mario Luzi, Vittorio Sereni, Leonardo Sinisgalli. Isolata fu l'esperienza lirica di Umberto Saba che ripropose la poetica delle cose umili e semplici, in un linguaggio piano e discorsivo. Nel periodo fascista si affermarono importanti riviste letterarie: "La Ronda", che promosse un ritorno ai classici, "La rivoluzione liberale", "Il Baretti" e "Solaria" che, contro la pretesa fascista di un'arte asservita al regime, rivendicarono la difesa dei valori letterari. Se alcuni scrittori furono pienamente coinvolti con il Fascismo (Mario Bontempelli, Curzio Malaparte), una nutrita schiera si oppose alla cultura ufficiale del regime: Corrado Alvaro, Alberto Moravia, Elio Vittorini e Cesare Pavese, la cui narrativa fu tra i prodotti più drammaticamente significativi del clima esistenziale del secondo dopoguerra. Al tema della guerra e della Resistenza si richiamò l'opera narrativa di Mario Rigoni Stern (Il sergente nella neve), di Primo Levi (Se questo è un uomo, La tregua), di Beppe Fenoglio (Il partigiano Johnny). Gli anni successivi alla seconda guerra mondiale furono caratterizzati dall'esigenza di cercare un più stretto rapporto con la realtà politico-sociale. Nacque così il Neorealismo, che affermò la superiorità del romanzo sulla poesia e propose soluzioni linguistiche che valorizzarono il dialetto e la lingua parlata. Si collocano nel Neorealismo Alberto Moravia (La romana, La ciociara, Racconti romani), Italo Calvino (Il sentiero dei nidi di ragno), Elio Vittorini (Uomini e no), Carlo Levi (Cristo si è fermato a Eboli), Francesco Jovine (Le terre del Sacramento), Vasco Pratolini (Cronache di poveri amanti, Metello). Al filone meridionalistico appartengono narratori come Francesco Jovine, Ignazio Silone (Fontamara), Domenico Rea (Spaccanapoli), Leonardo Sciascia (Il giorno della civetta). Un orientamento diverso, che privilegia la parola, seguirono altri scrittori, accomunati da un senso di delusione della storia: Giuseppe Tomasi di Lampedusa (Il gattopardo), Giorgio Bassani (Il giardino dei Finzi Contini), Carlo Cassola (Il taglio del bosco, La ragazza di Bube), Elsa Morante (La storia), Antonio Pizzuto. Nel filone surrealistico si pongono gli scrittori Nicola Lisi, Dino Buzzati e soprattutto Tommaso Landolfi. Negli anni Cinquanta il Neorealismo attenuò lo slancio iniziale, pur rimanendo per molti scrittori un momento di formazione e un punto di riferimento importante. Negli anni Sessanta incominciò a svilupparsi un filone narrativo che mise in primo piano il mondo del lavoro e in particolare della fabbrica (Paolo Volponi, Goffredo Parise). Una poetica di rottura fu avanzata dal "Gruppo 63", che assegnò all'opera letteraria il compito di distruggere l'organizzazione logica e grammaticale del linguaggio scomponendolo attraverso uno sperimentalismo estremo e ininterrotto. Negli stessi anni acquisì notorietà Carlo Emilio Gadda, che fece dello sperimentalismo linguistico un elemento costante della sua produzione narrativa. Negli anni Settanta si affermarono varie tendenze (ritorno al romanzo di largo respiro, "letteratura selvaggia", recupero in poesia di una dimensione discorsiva e prosastica), delle quali la più significativa fu la grande diffusione della saggistica letteraria. Nei decenni successivi la lirica oscillò fra sperimentalismo e ritorno al privato (Andrea Zanzotto, Giovanni Giudici), mentre la narrativa, caratterizzata negli anni Ottanta dall'intreccio avvincente e dalla valorizzazione del fantastico e del fiabesco, lasciò il posto, nei primi anni Novanta, al ritorno del romanzo storico. Nell'ambito della critica letteraria novecentesca sono da ricordare: Eugenio Donadoni, Ernesto Giacomo Parodi, Attilio Momigliano, Francesco Flora, Luigi Russo, Giuseppe De Robertis, Natalino Sapegno, Mario Fubini, Umberto Bosco, Gianfranco Contini, Lanfranco Caretti, Vittore Branca, Giovanni Getto, Walter Binni, Carlo Salinari, Giuseppe Petronio, Alberto Asor Rosa, Giorgio Barberi-Squarotti. ARTE Durante il I millennio a.C., l'I., sede di varie civiltà, presenta un panorama artistico multiforme e complesso (V. arte italica in ITALICO). L'egemonia romana sulla penisola favorisce il processo di unificazione artistica fra le varie culture (V. ROMA). Con l'affermarsi del Cristianesimo si data tradizionalmente la nascita di un'arte "italiana", di cui le prime espressioni si ritrovano nella pittura e nella scultura delle catacombe (I-II sec. d.C.). Il materiale iconografico è tratto generalmente dalle Sacre Scritture (Cristo Buon Pastore, scene di miracoli, Giona inghiottito dalla balena), ma vengono rielaborati anche temi pagani. La scultura è rappresentata quasi unicamente dalla decorazione a rilievo dei sarcofaghi, che illustra scene bibliche o bucolico-paradisiache. Dal 313, quando l'editto di Costantino concede ufficialmente la libertà di culto, ha inizio la grande stagione dell'arte paleocristiana. Sorgono allora le prime basiliche (dette costantiniane), a forma longitudinale, divise all'interno in tre o cinque navate da file di colonne, terminanti con l'abside. Giocano un ruolo essenziale i contrasti chiaroscurali e la diffusione della luce, la cui intensità si riflette nel prezioso cromatismo dei mosaici che rivestono le volte e i catini absidali. Ricordiamo le basiliche romane di S. Pietro, di S. Paolo, di S. Giovanni in Laterano, di S. Sabina, di S. Lorenzo fuori le Mura, di S. Maria Maggiore. Vengono sperimentati anche edifici a pianta centrale o accentrata: a Roma il Mausoleo di S. Costanza e il Battistero Lateranense; a Milano la basilica di S. Lorenzo; a Ravenna il Mausoleo di Galla Placidia. La presenza della corte dell'Impero d'Occidente a Ravenna (V sec.) crea una cultura artistica particolare che fonde insieme la tradizione paleocristiana e il gusto orientale. L'architettura viene smaterializzandosi per lasciare il posto a superfici capaci di generare luce e colore (basiliche di S. Apollinare Nuovo, di S. Apollinare in Classe e di S. Vitale). Componenti fondamentali dell'edilizia religiosa sono i marmi policromi, gli stucchi e nuovi elementi architettonici quali il pulvino. La pittura ravennate si manifesta soprattutto nella tecnica del mosaico, ritenuto particolarmente idoneo a esprimere l'assolutezza trascendente delle figurazioni sacre. La dominazione longobarda introduce tipologie e accenti stilistici nuovi, evidenti in una ricca produzione di oggetti ornamentali e di oreficeria. Tra le principali fonti di ispirazione, il repertorio zoomorfo e vegetale e tessiture di gusto nordico (nastri, intrecci). La dominazione franca, con la rinascita carolingia e con la cultura ottoniana, introduce tentativi di sincretismo tra le forme classiche e le suggestioni oltremontane (altare d'oro e d'argento e smalti di Vuolvinio, Milano, S. Ambrogio). Tra l'XI e il XIII sec. si afferma lo stile romanico. Dal punto di vista architettonico, all'indefinito spaziale e alla pittorica trascendenza bizantina si oppone un robusto senso costruttivo basato sul gioco dei pesi e delle resistenze, che qualifica forme e spazi in senso plastico e chiaroscurale. Già dalla metà del X sec. si diffonde in Lombardia un'architettura provinciale che, seguendo le tradizioni costruttive tardo-ravennati e dei Maestri Comacini (secc. VII-X) arricchisce le murature esterne di battisteri e absidi con fasce, nicchie, archetti pensili (abside di Sant'Ambrogio a Milano). La scultura è strettamente collegata all'architettura, inserendosi con una tematica ricchissima nei capitelli, nei portali, nelle transenne, negli amboni. Il Romanico presenta caratteristiche diverse nelle varie regioni italiane: nell'I. settentrionale (Romanico lombardo) operano i Maestri Comacini e Campionesi, autori di monumenti quali S. Ambrogio di Milano, S. Michele di Pavia, il Duomo di Modena, S. Zeno di Verona; sul versante adriatico appaiono forti le componenti bizantine (S. Marco a Venezia); in Toscana le nuove forme sono impreziosite dall'elegante cromatismo dei marmi bianchi, neri e verdi (S. Miniato al Monte di Firenze, Battistero di Firenze, Duomo di Pisa); le componenti classiche prevalgono nelle zone laziali e a Roma; in Puglia e in Sicilia influenze lombarde si mescolano a influenze normanne, musulmane, bizantine (S. Nicola di Bari, il Duomo di Andria, quello di Barletta, Castel del Monte, il complesso architettonico di Monreale). I maggiori scultori romanici sono Wiligelmo, Benedetto Antelami e Maestro Niccolò, attivi soprattutto nell'I. settentrionale. La pittura appare condizionata quasi ovunque dal gusto bizantino e da elementi carolingi, nonché da elementi popolari e provinciali, legati alle nascenti culture romanze. Solo la Lombardia vede svilupparsi una vera tradizione di pittura romanica (affreschi del Duomo di Novara, di S. Pietro al Monte di Civate, di S. Michele di Oleggio). Le strutture tipiche dell'architettura gotica (coperture a crociera nervate, contrafforti, archi acuti, guglie) emersi in Normandia, Inghilterra, Ile de France tra la fine dell'XI sec. e la metà del XII, si diffondono in I. solo a partire dall'inizio del Duecento, sviluppandosi in modo originale. Esse sono accolte soprattutto nel Regno di Napoli, nella Repubblica di Siena e nelle signorie borghesi del Nord. In generale, l'architettura gotica italiana rimane fedele a una spazialità ampia e a un criterio di equilibrio: nelle cattedrali italiane l'altezza delle navate - accentuata nel gotico francese - è in rapporto proporzionale con la lunghezza e la larghezza. Inoltre la decorazione non prevarica mai la nitidezza delle strutture architettoniche. L'unico esempio di gotico italiano riconducibile alle esperienze europee è il Duomo di Milano, costruito con l'aiuto di maestranze tedesche e francesi. Importanti e tipici monumenti dell'arte gotica italiana sono le cattedrali di Siena, di Orvieto, S. Maria del Fiore, S. Croce, S. Maria Novella a Firenze, S. Francesco in Assisi, S. Francesco e S. Petronio a Bologna, S. Francesco a Ascoli Piceno, le chiese angioine di Napoli. Caratteristica saliente dell'età gotica italiana è lo sviluppo dell'architettura profana: monumenti civili, castelli e palazzi delle magistrature, logge e mercati sorgono in molte città d'I. Fra i maggiori architetti citiamo Arnolfo di Cambio, Giotto, Lorenzo Maitani. La scultura ha i suoi maggiori rappresentanti in Nicola d'Apulia, che accoglie progressivamente le suggestioni francesi di movimento e di finezza di resa naturalistica; Giovanni Pisano, che traduce il prezioso linearismo francese in aspra e contrastata tensione, raggiungendo culmini di tragico espressionismo; Arnolfo di Cambio, che si ispira a esemplari dell'antichità rivivendoli con equilibrio tra monumentale saldezza plastica e tensione gotica. Notevoli sono anche Lorenzo Maitani, Andrea Orcagna, Tino da Camaino, Goro di Gregorio, Agostino e Agnolo di Ventura, Iacobello e Pier Paolo delle Masegne. La pittura gotica si esprime, a partire dagli ultimi decenni del XIII sec., soprattutto in affreschi e in tavole, oscillando tra una persistente adesione all'iconismo classico e l'intento di superarlo accogliendo suggestioni francesi. Cimabue segna l'accoglimento dei modelli gotici francesi, seguito da Duccio di Buoninsegna; in modo del tutto originale partecipa al clima gotico Giotto, il cui nuovo stile plastico e spazialmente organizzato condurrà alla grande stagione rinascimentale; al gotico francese si ricollegano i senesi Duccio e Simone Martini, mentre assorbono elementi giotteschi Ambrogio e Pietro Lorenzetti. Vanno ricordati inoltre la pittura della scuola riminese, con tratti arcaizzanti ed echi giotteschi, la miniatura e la pittura bolognese, animata da estroso realismo, la miniatura e la pittura lombarda, volta alla poesia della realtà quotidiana e infine Paolo Veneziano. Con l'espressione Gotico internazionale o cortese si suole indicare la fase artistica che va dagli ultimi decenni del sec. XIV ai primi quattro circa del XV, riguardante soprattutto la pittura, la miniatura e le arti applicate, nelle quali viene portato alle estreme conseguenze il linearismo ornamentale e il colorismo puro del Gotico. Manifestazioni del Gotico cortese si ritrovano nei centri dell'area settentrionale italiana, più legati alle corti d'oltralpe, nella pittura e miniatura lombarda (Giovannino de' Grassi) e nell'opera di Stefano da Verona, di Antonio Pisano detto il Pisanello, di Gentile da Fabriano. Agli albori del XV sec. ha inizio l'età del Rinascimento. Firenze è il centro propulsore del rinnovamento, i cui protagonisti sono Filippo Brunelleschi nell'architettura, Donatello nella scultura, Masaccio nella pittura. A Brunelleschi si deve l'elaborazione e l'attuazione di uno spazio definito prospetticamente e proporzionalmente, in contrasto con lo spazio indistinto dell'architettura gotica. Teorizzatore e divulgatore delle invenzioni prospettiche del grande architetto è Leon Battista Alberti, la cui opera si impone come sintesi e teorizzazione dell'arte fiorentina del primo Quattrocento. La storia architettonica del Rinascimento è in gran parte la storia dell'irradiazione dell'arte fiorentina combinata con il classicismo romano: si pensi all'opera di Michelozzo di Bartolomeo a Firenze, Pistoia e Milano; Bernardo Rossellino a Pienza; Antonio Averulino detto il Filarete a Milano; Giuliano da Maiano a Napoli; Mario Coducci a Venezia; Luciano Laurana a Urbino; Francesco di Giorgio Martini a Siena, Urbino e Cortona, Giuliano da Sangallo a Roma e in Toscana, Biagio Rossetti a Ferrara. Nell'architettura rinascimentale lombarda e veneta confluiscono elementi formali tradizionali e locali. La Cappella Colleoni a Bergamo, la Certosa di Pavia, il Palazzo Vendramin Calergi e la Scuola di San Marco a Venezia ne sono i monumenti più tipici. In pittura il disegno prospettico è applicato per la prima volta da Masaccio. Per tutto il Quattrocento Firenze rimane il centro dominante della cultura figurativa italiana: Masolino da Panicale, Beato Angelico, Filippo Lippi, Andrea Del Castagno, Domenico Veneziano, Paolo Uccello, Piero della Francesca, Benozzo Gozzoli, Antonio del Pollajolo, Andrea di Cione detto il Verrocchio, Sandro Botticelli, Filippino Lippi, Domenico Ghirlandaio, Piero di Cosimo. Grandi centri di produzione artistica del Quattrocento sono anche Perugia e Urbino; tra i pittori: Piero di Cristoforo Vannucci detto il Perugino, Bernardino di Betto detto il Pinturicchio, Melozzo da Forlì, Luca Signorelli. Il principale pittore rinascimentale dell'I. settentrionale è Andrea Mantegna. In Lombardia rimane a lungo vivo il tardo Gotico, soprattutto nella miniatura: Vincenzo Foppa, Ambrogio da Fossano detto il Bergognone, Bernardo Zenale e Bernardino Butinone. Scarsi fermenti di rinnovamento anche a Venezia, dove hanno ancora forti radici l'arte gotica e quella bizantina: Jacopo Bellini, Giovanni Bellini detto il Giambellino, Alvise Vivarini, Carlo Crivelli, Bartolomeo Montagna, Vittore Carpaccio, Giambattista Cima da Conegliano. L'I. meridionale è intimamente legata alla cultura spagnola e fiamminga: il maggior pittore del Quattrocento è Antonello da Messina. Della scuola ferrarese sono Cosmé Tura, Francesco Del Cossa e Ercole de Roberti. Nella scultura Lorenzo Ghiberti mostra il passaggio fra l'arte gotica e quella rinascimentale. Il maggiore scultore del Quattrocento è Donatello, che annovera, tra i suoi seguaci, Iacopo della Quercia, Luca della Robbia, Michelozzo Michelozzi, Bertoldo di Giovanni, Bernardo e Antonio Rossellino, Benedetto da Maiano, Agostino di Duccio, Desiderio da Settignano. Fioriscono anche le arti minori e l'arte della ceramica a Firenze, Cafaggiuolo, Deruta, Urbino e in centri minori. L'arte della miniatura è gradualmente sopraffatta dalla decorazione dei libri a stampa con legni e più tardi con rami incisi. L'architettura del Cinquecento si apre con Donato Bramante, la cui attività è esempio fondamentale per gli architetti del Cinquecento: Raffaello, Antonio da Sangallo il Vecchio, Baldassarre Peruzzi, Giulio Romano, Jacopo Tatti detto il Sansovino. Profondamente innovatore è Michelangelo con la sua concezione dinamica dell'architettura, che sostituisce il ritmo delle masse al ritmo delle linee. Si riallacciano a Michelangelo, Antonio da Sangallo il Giovane, Giorgio Vasari, Bartolomeo Ammannati, Bernardo Buontalenti, Giacomo della Porta, Jacopo Barozzi detto il Vignola. Il sublime equilibrio fra struttura e decorazione si spezza con Pirro Ligorio, Girolamo da Carpi, Giulio Mazzoni, Leone Leoni, Galeazzo Alessi, Federico Zuccheri, in cui prevale l'interesse dell'ornato su quello costruttivo. Nel Cinquecento la scultura ha inizio con Leonardo e culmina con Michelangelo, che porta alle estreme conseguenze l'esigenza plastica rinascimentale, esprimendo nella sua opera la propria passionalità tormentata. L'influenza di Michelangelo domina gli scultori di ogni regione: Jacopo Sansovino, Baccio Bandinelli, Giovanni Montorsoli, Alessandro Vittoria, Benvenuto Cellini. La pittura del Cinquecento si apre con Leonardo, che si volge non più solo alla figura umana, ma alla natura studiata nelle sue intime strutture. L'influenza di Leonardo è avvertita in quasi tutti i pittori del Rinascimento cinquecentesco: Giorgione, Antonio da Correggio, Andrea Del Sarto, Raffaello. Giorgione instaura a Venezia una nuova visione pittorica, volta a integrare paesaggio e forma umana. La pittura veneta annovera inoltre l'opera di Tiziano, di Jacopo Robusti detto il Tintoretto e di Paolo Veronese. Michelangelo è l'ispiratore delle correnti in cui lo studio della forma assume aspetti esasperati e drammatici. Legati a Giorgione sono alcuni pittori che operano tra il Veneto e la Lombardia: Gerolamo Romanino, Giovan Gerolamo Savoldo, Alessandro Bonvicini detto il Moretto. Alcuni aspetti della cultura figurativa del Cinquecento sono caratterizzati dal culto quasi ossessivo dello stile e dell'eleganza formale, da un estremo virtuosismo esecutivo, dalla ricerca della varietà e della complessità. Si tratta del Manierismo, affermatosi a Roma tra il 1520 e il 1527 e diffusosi in seguito anche a Firenze e un po' dovunque in I. settentrionale. Ricordiamo l'opera di Polidoro da Caravaggio, Perin del Vaga, Giovanni Battista di Iacopo detto il Rosso, Francesco Mazzola detto il Parmigianino, Daniele da Volterra, Francesco Salviati, Jacopino del Conte, Agnolo di Cosimo detto il Bronzino, Bernardo Buontalenti, Baccio Bandinelli, Bartolomeo Ammannati, Giambologna, Giorgio Vasari. Aspetti manieristici sono stati rilevati nelle opere di Michelangelo sin dal primissimo Cinquecento e nelle prove tarde di Raffaello. Nel Seicento nuovi elementi segnano una svolta decisiva nel gusto e nella cultura artistica, con l'abbandono dell'idea rinascimentale dell'arte come rappresentazione della realtà in un rigoroso sistema di rapporti proporzionali e armonici. L'artista mira principalmente a commuovere e a suscitare emozioni mediante l'estrema acutezza realistica e sensoriale delle immagini, effetti scenografici spettacolari, l'interazione fra le parti. La nuova corrente di gusto, che si definisce Barocco, viene incontro, nelle sue forme più opulente e fastose, alle esigenze di prestigio e di ostentazione della società aristocratica del tempo e agli ideali spirituali della corte papale. Significativi il baldacchino, il colonnato, la cattedra di S. Pietro e le fontane di Gian Lorenzo Bernini, la facciata da S. Maria della Pace e l'affresco nella volta del salone di Palazzo Barberini di Pietro da Cortona, le piazze romane del Popolo, di Spagna, di S. Maria Maggiore, di Trevi e i complessi del Laterano e del Quirinale. Inscindibilmente legato all'architettura è un ricchissimo repertorio decorativo, negli stucchi, negli affreschi, ma applicato anche ai mobili, ai tessuti, alle oreficerie. Oltre a Bernini altri insigni architetti sono Francesco Borromini, Carlo Rainaldi, Pietro Berrettini da Cortona, Carlo Fontana, Carlo Maderno, Bartolomeo Bianco, Vincenzo Scamozzi, Baldassare Longhena, Filippo Juvara, Bartolomeo Provaglia, Palladio. Nella scultura emergono, prima del Bernini, Stefano Maderno e Alessandro Algardi. Rinnovatore della pittura è Michelangelo da Caravaggio, che accoglie il tema pittorico cinquecentesco del luminismo (effetti notturni, luci di candele, chiaroscuri) caricandolo di contenuto drammatico e simbolico, unendo allo studio diretto del vero anche una profonda capacità trasfigurante. Da Caravaggio si sviluppa il filone realista dell'età barocca: Giovanni Baglione, Battistello Caracciolo, Bartolomeo Manfredi, Orazio Gentileschi. Immuni o quasi da influenze caravaggesche sono Guido Reni, il Domenichino, Francesco Albani, Alessandro Tiarini. A Napoli l'influenza di Caravaggio, di Domenichino e di Reni non impedisce l'affermazione di modi originali attraverso l'opera di notevoli pittori, quali Luca Giordano, decoratore e improvvisatore, Salvator Rosa, prestigioso paesaggista e descrittore di battaglie. Fuori dell'influenza caravaggesca è anche Alessandro Magnasco, genovese. A Milano operano Giulio Cesare Procaccini, Giovan Battista Crespi detto il Cerano, Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone, Francesco Cairo. Il romano Domenico Fetti filtra l'influenza caravaggesca attraverso l'esperienza dei maestri fiamminghi e olandesi. Il Settecento ripete nella sua prima metà, variamente elaborandoli, i motivi del Barocco secentesco. Fra gli architetti ricordiamo Filippo Juvarra e Luigi Vanvitelli. Il solo scultore che si afferma per una propria forza inventiva è il veneziano Giovanni Maria Morlaiter; tra le figure minori: Camillo Rusconi, Giovan Battista Maini, Filippo Della Valle, Pietro Bracci. Nella pittura italiana di questo secolo occupa un posto di rilievo Venezia, per l'opera di Giovan Battista Tiepolo, di Antonio Canal detto il Canaletto, di Francesco Guardi, di Rosalba Carriera e di Pietro Longhi. Le arti minori hanno nel Settecento straordinaria fioritura; notevoli soprattutto i progressi dell'incisione (Bartolozzi, Tiepolo, Canaletto, Piranesi, Rosaspina, ecc.). Alla fine del Settecento si sviluppa un ritorno ai modi e alle forme dell'arte classica, il Neoclassicismo, sostenuto dalle scoperte archeologiche che in questo periodo riportano alla luce molte opere della civiltà greca. Roma è un attivissimo centro neoclassico, punto d'incontro dei maggiori artisti europei. Tra gli architetti neoclassici ricordiamo Giuseppe Piermarini e Giuseppe Valadier. Durante il periodo napoleonico diviene predominante la funzione civile dell'architettura: Giovanni Antonio Antolini, Luigi Cagnola e Pietro Canonica. Il più tipico interprete dell'aspirazione neoclassica al bello ideale è lo scultore Antonio Canova. In pittura, le esigenze di razionalità portano al predomino del disegno rispetto al colore. Il romano Vincenzo Camuccini segue, con risultati modesti, l'esempio del francese Jacques-Louis David, il maggior interprete della nuova visione. Di maggior rilievo è il milanese Andrea Appiani, esaltatore dei fasti napoleonici. Caduto Napoleone, si torna ad apprezzare l'arte romanica, gotica e del primo Rinascimento. L'arte romantica trova in I. tardiva e scarsa accoglienza. A Milano domina la figura e l'opera di Francesco Hayez, la cui opera pittorica, eseguita con eccezionale maestria tecnica, è animata dall'idealità patriottica e religiosa del primo Risorgimento. Il più interessante episodio dell'arte italiana dell'Ottocento è quello dei pittori Macchiaioli, parallelo al movimento francese dell'Impressionismo. Essi propugnano una pittura antiaccademica che riproduca "l'impressione del vero", superando la tradizionale tematica religiosa e storicista. I maggiori sono Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Telemaco Signorini, Odoardo Borrani, Raffaele Sernesi, Giuseppe Abbati, Vincenzo Cabianca. In Lombardia alla fine del secolo viene avviata una scuola di pittura basata su una tecnica nuova derivata dal Pointillisme di Seurat, consistente nella divisione dei colori complementari per ottenere una maggiore luminosità. Teorizzatori principali del nuovo movimento, chiamato Divisionismo, somo Vittore Grubicy e Gaetano Previati; i risultati più notevoli sono raggiunti da Giuseppe Pellizza da Volpedo e da Giovanni Segantini. Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento si afferma un nuovo stile - Liberty o Floreale - che pone l'attenzione soprattutto alla linea e alla decorazione. Gli artisti più significativi sono gli architetti Ernesto Basile, Raimondo D'Aronco e Giuseppe Sommaruga. Complessa è la storia pittorica del Novecento italiano, per il continuo intrecciarsi di esperienze e per gli stretti rapporti che si instaurano con i movimenti d'oltralpe. Tipicamente italiani sono il Futurismo, la pittura metafisica di De Chirico, Carrà e Morandi e lo Spazialismo di Lucio Fontana. Nei primi anni del secolo opera a Parigi il toscano Amedeo Modigliani, da considerarsi artista di piena cultura francese post-impressionista. Nato da una violenta polemica contro il tradizionalismo culturale, il Futurismo rivoluziona la cultura italiana. Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo e Giacomo Balla compiono una profonda elaborazione della tematica e del linguaggio pittorico, ispirandosi alla città industriale, al mito della velocità e rifacendosi ai principi della scomposizione del colore e della forma derivati dal Divisionismo. Le esperienze futuriste caratterizzano anche la ricerca di Antonio Sant'Elia, architetto. Dopo la prima guerra mondiale il Futurismo vive una seconda fase, nella quale si riconoscono numerosi pittori e architetti a Roma, Milano e Torino. Tra gli scultori del Novecento, non facilmente riconducibili a precisi correnti, ricordiamo Medardo Rosso, Arturo Martini, Francesco Messina, Marino Marini Manzù, Lucio Fontana, Alberto Viani, Luigi Broggini, Mirko, Carmelo Cappello, Luciano Minguzzi, Emilio Greco, Giò Pomodoro e Arnaldo Pomodoro. Dopo la prima guerra mondiale e le rivoluzionarie innovazioni del primo ventennio del secolo, si afferma il movimento del "Novecento", fautore di un ritorno a una maggiore concentrazione formale e a un più sereno dominio dell'espressione. I pittori del "Novecento" (Mario Sironi, Ardengo Soffici, Achille Funi) non propongono una soluzione stilistica unitaria, ma sono accomunati dal gusto per certi soggetti (natura morta, ritratto e paesaggio) e da una poetica di sublimazione del quotidiano. Posizioni analoghe a quelle del "Novecento" pittorico sono espresse da alcuni architetti lombardi di tendenza neoclassica, tra i quali Giovanni Muzio e Giovanni Ponti. In opposizione al "Novecento", in nome di una più risentita modernità, è il movimento dei chiaristi lombardi (Angelo Del Bon, Umberto Lilloni, Francesco De Rocchi, Adriano Spilimbergo); il movimento che fa capo alla rivista "Corrente" (Giuseppe Migneco, Aligi Sassu, Renato Birolli, Bruno Cassinari, Ennio Morlotti), animato da un'ansia di apertura alla moderna cultura europea contro l'isolamento culturale fascista; la "Scuola Romana", caratterizzata da un'apertura all'espressionismo europeo (Antoniette Raphael, Scipione, Mario Mafai, Marino Mazzacurati, Giuseppe Capogrossi); infine, il gruppo degli Astrattisti: Alberto Magnelli, Atanasio Soldati, Mauro Reggiani, Mario Radice. Negli anni Cinquanta la pittura informale si pone come espressione di un clima di profonda sfiducia nei valori conoscitivi e razionali, seguito alla seconda guerra mondiale, imponendo una nuova ricerca volta a esplorare le possibilità espressive della materia: Alberto Burri, Emilio Vedova, Afro, Giuseppe Capogrossi, Renato Birolli. Negli anni Sessanta Mimmo Rotella, Lucio Del Pezzo e Enrico Baj contribuiscono alla formulazione del Nouveau Réalisme, volto alla sperimentazione di nuovi moduli espressivi. MUSICA Dalle origini al XIII sec.: le esperienze musicali italiane occupano un ruolo di prestigio nella storia complessiva della civiltà, non solo nell'ambito del Paese, che trovò nella musica una componente della sua unità artistica e culturale, prima che storica e politica, ma anche nella prospettiva europea, dapprima con la fioritura del canto gregoriano, poi con le grandi scuole teoriche, strumentali e operistiche, i cui insegnamenti venivano diffusi da compositori ed esecutori ospiti delle principali corti europee. Testimonianze della più antica vita musicale in I. possono rintracciarsi nell'ambito del patrimonio archeologico preromano e nel vasto alveo delle musiche e danze popolari. Con l'avvento del Cristianesimo fiorirono numerosi centri di attività musicale, nel più stretto ambito chiesastico o conventuale, ai quali va riconosciuto il merito di avere diffuso in tutta la penisola un'arte dei suoni di alta ispirazione spirituale e di larga portata sociale, in quanto patrimonio di ogni singola comunità. I principali fulcri di diffusione della musica chiesastica furono Roma e Milano, rispettivamente con il canto gregoriano e ambrosiano (IV sec.). Fiorirono inoltre scuole di teorici tra i quali Guido d'Arezzo (IX sec.), al quale si devono la sistemazione dell'esacordo e la definitiva introduzione del rigo nella notazione, e Gioseffo Zarlino, il più importante trattatista del sistema armonico. Nel XIII sec. Sordello da Goito e Lanfranco Cigala furono i massimi esponenti della civiltà trovadorica nell'I. settentrionale e in Sicilia, mentre in Umbria, soprattutto, si diffuse il fenomeno delle laudi. Questi canti monodici in volgare, ispirati a una visione religiosa di origine francescana, fondevano elementi di ascendenza gregoriana e inflessioni di carattere più popolare e profano. ║ Il XIV sec.: risale al XIV sec. la nascita della prima grande scuola musicale italiana, che prese il nome di Ars Nova ed ebbe per massimi rappresentanti Francesco Landino a Firenze e Jacopo da Bologna a Padova e Verona. La polifonia del Trecento ebbe carattere quasi esclusivamente profano e si espresse nei generi del madrigale, della caccia e della ballata, forme nelle quali si individua uno stile di grande raffinatezza espressiva, caratterizzato particolarmente da una fresca e spontanea invenzione ritmica. Tuttavia, nonostante la predilezione per i generi profani, non mancarono nel Trecento anche composizioni sacre quali mottetti e parti di messe. I principali teorici di questo periodo furono Marchetto da Padova e Prosdocimo de Beldemandis. ║ Il XV sec.: questo secolo vide un temporaneo affievolirsi della creatività musicale italiana. La produzione si restrinse sostanzialmente a opere profane di derivazione francese (virelaix, rondeaux), in uno stile manieristico e tecnicamente complesso, mentre la caccia, la ballata e le altre forme vocali trecentesche si strutturarono ed ampliarono in un discorso contrappuntisticamente più complesso nel quale primeggiarono, però, musicisti di origine borgognona o fiamminga. ║ Il XVI sec.: solo verso la fine del XV sec., ma soprattutto all'inizio del XVI sec., nacquero e si affermarono in varie città italiane generi musicali di stampo genericamente popolaresco, quali odi, strambotti, canzoni e ballate, o più particolarmente autoctono, quali i canti carnascialeschi, i trionfi e le sacre rappresentazioni a Firenze, la frottola a Mantova, la villotta e la giustiniana a Venezia, la villanella a Napoli. Tali generi ebbero una vastissima diffusione sia in I. che all'estero, anche grazie al procedimento di stampa musicale a caratteri mobili realizzato da Ottaviano Petrucci nel 1501. L'incontro di questa espressione più genuinamente popolare della musica italiana con i modi e le tecniche della severa prassi compositiva fiamminga diede origine, intorno al 1530, al madrigale, la più importante forma polifonica profana del Cinquecento. Tra i principali madrigalisti italiani vanno ricordati: Costanzo Festa (1480 circa - 1545), Francesco Corteccia (1502-1571), Vincenzo Ruffo (1510 circa - 1587), Palestrina (1525 circa - 1594), Marco Antonio Ingegneri (1547-1592), Orfeo Vecchi (1550-1605), Luca Marenzio (1553-1599), Gesualdo da Venosa (1560-1613), Adriano Banchieri (1568-1634) e Claudio Monteverdi (1567-1643), con il quale avvenne il trapasso della musicalità cinquecentesca a quella barocca. La vita musicale dell'I. del Cinquecento fu però anche caratterizzata dall'affermarsi di diverse scuole, ognuna definita da particolari orientamenti di gusto e di stile. Le principali furono quelle di Roma e Venezia. A Roma fu soprattutto la musica sacra a ricevere un grande impulso, risentendo, però, dei severi principi della Controriforma che, tra l'altro, proibiva l'uso di tutti gli strumenti tranne l'organo, durante la celebrazione delle cerimonie sacre. Fiorì, così, la polifonia sacra a cappella nella quale si distinsero Costanzo Festa (1480-1545), i fratelli Nanino, gli Anerio, ma soprattutto Giovanni Pierluigi da Palestrina, le cui composizioni divennero modello dello stile detto appunto palestriniano. Si diffuse inoltre un tipo di lauda polifonica in forma drammatica nella quale si alternavano il canto delle laudi ed elementi dialogici e narrativi; queste laudi drammatiche diedero in seguito origine alla forma musicale dell'oratorio. A Venezia, invece, gli effetti della Controriforma furono assai meno sentiti e la musica sacra non ebbe alcuna prevalenza esclusiva. L'impiego di una ricca strumentazione, della policoralità, o stile dei cori battenti, in cui più cori contrapposti eseguivano contemporaneamente la propria parte, e la predilezione per lo stile concertato furono le principali caratteristiche della scuola veneziana, che si distinse per una musica ricca di effetti coloristici e dagli esiti di solenne e ampia sonorità. Tra i principali maestri della cappella di S. Marco ricordiamo Cipriano de Rore (1516 circa - 1565), Gioseffo Zarlino (1517-1590), Baldassarre Donati (circa 1530-1603) e Giovanni Croce (1557-1609), mentre organisti furono Claudio Merulo (1533-1604), Marco Antonio (1490 circa - 1570), Andrea e Giovanni Gabrieli (1510-1586; 1557-1612). Anche Firenze fu un centro di vita musicale particolarmente attivo durante il Cinquecento. Accanto a manifestazioni popolari quali i canti carnascialeschi, infatti, vi fiorirono la sacra rappresentazione, una forma di teatro religioso in cui confluirono elementi sacri e profani, e gli intermedi, forme di intrattenimento teatrale basate sulla musica, il ballo, il canto, la declamazione, particolarmente apprezzate alla corte medicea. Inoltre alla Camerata fiorentina si riuniva un gruppo di musicisti, tra i quali Jacopo Peri (1561-1633), Giulio Caccini (1550-1618), Emilio de' Cavalieri (1550-1602), che affrontò i problemi relativi all'affermarsi della monodia, dando vita al melodramma. Altri centri importanti nel XVI sec. furono Padova, Vicenza e Verona, dove operarono Matteo Asola (1524-1609) e Costanzo Porta (1529-1601), Brescia e Cremona, dove si svilupparono le scuole degli organari (gli Antegnati) e dei liutai (gli Amati), Milano, con Vincenzo Ruffo, Bologna, patria di Orazio Vecchi (1550-1605) e Adriano Banchieri, Ferrara, alla cui corte furono attivi Nicola Vicentino (1511-1576) e Luzzasco Luzzaschi (1540-1607), Torino, con i Ferrabosco, Genova, con Simone Molinaro (1565-1615), Napoli, con Carlo Gesualdo (1560-1613). ║ Il XVII sec.: fu per la musica italiana un periodo di profondi mutamenti stilistici ed espressivi. L'esempio più vistoso di questa trasformazione fu la creazione della monodia accompagnata sostenuta dal basso e, quindi, la sostituzione della tradizionale polifonia con la melodia solistica accompagnata da accordi. Questo nuovo stile monodico trovò subito applicazione nei tre generi musicali più rappresentativi dell'epoca: il melodramma, l'oratorio e la cantata. Le basi della nascita del melodramma erano già state poste precedentemente dai musicisti e poeti della Camerata fiorentina i quali, nella polemica condotta sul filo dell'ideale del "recitar cantando", erano alla ricerca di uno stile nel quale la parola venisse sillabata correttamente, senza quel "laceramento della poesia" prodotto dalla polifonia. Il primo esperimento operistico si tenne a Firenze nel 1600 con la rappresentazione dell'Euridice di Iacopo Peri e Giulio Caccini, cui fecero seguito l'Orfeo (1607) e l'Arianna (1608) di Claudio Monteverdi (1567-1643). Nella seconda metà del secolo si assistette a un'evoluzione del melodramma con l'introduzione del cosiddetto recitativo accompagnato, sostenuto dall'intera orchestra, per sottolineare i momenti di più alta drammaticità e con il passaggio dal recitativo melodico al recitativo secco, sostenuto dal solo basso, nelle parti narrative. Inoltre si elaborarono schemi strutturali fissi per le forme chiuse (arie, duetti, terzetti) e si formalizzarono anche le sezioni puramente strumentali (sinfonia e interludi). Nell'ambito del melodramma i centri di maggiore attività artistica furono Roma e Venezia. Tra i principali operisti romani, attivi soprattutto tra il 1620 e il 1660, ricordiamo Luigi Rossi (1598-1653), Stefano Landi (1590-1639) e Antonio Cesti (1623-1669). La scuola veneziana ebbe invece come maggiori rappresentanti Francesco Cavalli (1602-1676), Giovanni Legrenzi (1626-1690) e il sopracitato Monteverdi. Sempre nell'ambiente romano, parallelamente al melodramma, si affermò nel Seicento anche l'oratorio, genere musicale derivato dalla elaborazione della semplice lauda polifonica o monodica, spesso dialogica, compiuta dai musicisti che nel Cinquecento erano stati vicini a san Filippo Neri. Con il termine oratorio si venne quindi a indicare una forma musicale drammatica, cioè nella quale gli elementi principali erano la narrazione, i personaggi e i dialoghi, ma non rappresentativa, cioè non implicante un'azione scenica. Inizialmente si svilupparono due varietà di oratorio, quello latino e quello volgare, ma nella seconda metà del Seicento le due forme confluirono in un unico genere sempre più simile, nella forma e nello stile, al melodramma. Tra i maggiori esponenti di questo genere ricordiamo Giacomo Carissimi (1605-1674) a Roma, Giacomo Antonio Perti (1661-1756), Giovanni Battista Vitali (1632-1692) e Giovanni Battista Bassani (1647-1716) a Bologna, Giovanni Bononcini (1670-1747) e Alessandro Stradella (1644-1682) a Modena. Il terzo genere musicale diffusosi nel Seicento fu la cantata, forma cameristica legata alla trasformazione del madrigale. Inizialmente non definita nelle caratteristiche formali, la cantata si strutturò in seguito nella tipica alternanza di stile recitativo (attento alla recitazione) e di stile arioso (attento alla melodia). Anche di questo genere si distinsero varie scuole, ognuna caratterizzata da particolari scelte tecniche ed espressive, ma il principale esponente fu Alessandro Scarlatti (1660-1725). Parallelamente alle innovazioni stilistiche, continuò nel Seicento la tradizione della musica sacra che, accanto allo stile palestriniano, sviluppò, particolarmente a Roma, la tecnica policorale impiegando vastissimi organici vocali e strumentali. Inoltre si applicarono anche alla musica sacra le nuove risorse dello stile monodico e della scrittura concertante per voci e strumenti. Tra i compositori appartenenti alla scuola romana sono da ricordare Orazio Benevoli (1605-1672), Pier Francesco Valentini (1570-1654), Virgilio Mazzocchi (1597-1646); tra gli altri autori di musica sacra citiamo Ludovico da Viadana (1560-1627), Adriano Banchieri, Claudio Monteverdi, Giovanni Paolo Colonna (1637-1695). Nel XVII sec. si assistette anche al grande sviluppo della musica strumentale. Girolamo Frescobaldi (1583-1643) si impose all'interno della produzione clavicembalistica e organistica del tempo, ma le maggiori novità in campo strumentale si devono alle produzioni per strumenti ad arco, in particolare per violino. La musica violinistica, che in seguito diede origine ad alcuni generi musicali legati al violino (la sonata per violino e basso continuo, la sonata a tre, il concerto, la suite) si diffuse inizialmente soprattutto nell'I. settentrionale, con Gian Paolo Cima, Biagio Marini (1597-1665), Carlo Farina (1600-1640), e trovò poi un ulteriore sviluppo con Giovanni Battista Vitali (1632-1692), Giovanni Battista Bassani (1657-1716), Giuseppe Torelli (1658-1709), al quale è attribuita l'invenzione del concerto solistico, e Arcangelo Corelli (1653-1713), che si distinse nell'elaborazione della sonata a tre (due violini e basso continuo) e del concerto grosso. A queste esperienze si rifece la scuola veneziana tra la fine del Seicento e il primo Settecento con le composizioni di Tommaso Albinoni, Benedetto Marcello, Frascesco Antonio Bonporti, culminanti nell'opera di Antonio Vivaldi. ║ Il XVIII sec.: in questo secolo grande importanza ebbe ancora il melodramma, che ottenne larga diffusione in tutta Europa. Accanto alla scuola veneziana, rappresentata da Antonio Caldara (1670-1736), Antonio Lotti (1666-1740) e Agostino Steffani (1654-1728), si affermò anche quella napoletana, il cui primo grande rappresentante fu Alessandro Scarlatti, seguito, tra gli altri, da Nicola Antonio Porpora (1686-1768), Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736), Francesco Feo (1691-1761) e Niccolò Jommelli (1714-1774). Nei primi decenni del Settecento si assistette a una precisa riorganizzazione strutturale e formale del melodramma, ad opera di librettisti quali Apostolo Zeno (1668-1750) e Pietro Trapassi detto Metastasio (1698-1782). Essi, infatti, procedettero a una semplificazione delle strutture dell'opera, eliminando i personaggi e gli episodi non direttamente coinvolti nell'azione, nonché gli elementi spettacolari derivati dal gusto del Barocco. Inoltre ridussero l'utilizzo del coro, eliminarono le parti buffe, formalizzarono gli schemi psicologici dei personaggi e portarono le arie alla fine della scena. Dal punto di vista musicale il melodramma divenne una sequenza di recitativi e di arie, con sempre meno spazio lasciato ai cori, agli episodi di insieme e alle parti orchestrali. Le arie, in particolare, acquistarono importanza grazie al virtuosismo dei cantanti, che portarono la fama della scuola di canto italiana in tutta Europa, ma soprattutto grazie alla straordinaria bravura dei castrati (Gaetano Majorano detto Caffarelli e Carlo Broschi detto Farinello). Nel Settecento fiorì anche l'opera buffa, di origine napoletana, caratterizzata da personaggi e soggetti molto più vicini alla realtà quotidiana di quelli dell'opera seria. Non vi venivano utilizzati i castrati, il cui timbro vocale risultava troppo artificiale per quel genere musicale e ai cantanti erano richieste anche notevoli doti recitative. Nel corso del Settecento l'opera buffa si evolse da genere vicino alla farsa popolaresca a commedia borghese-sentimentale nella produzione di Niccolò Vito Piccinni (1728-1800), Giovanni Paisiello (1740-1816) e Domenico Cimarosa (1749-1801). Accanto alla musica operistica anche la musica strumentale incontrò un grande favore nel XVIII sec., in particolare proseguirono gli studi sulla musica violinistica. Nella scuola veneziana si distinsero Tommaso Albinoni (1671-1750), Benedetto Marcello (1686-1739), Francesco Antonio Bonporti (1672-1749) e Antonio Vivaldi (1678-1742), a Firenze Francesco Maria Veracini (1659-1733) e Francesco Geminiani (1680-1762), a Napoli Francesco Durante (1684-1755), Leonardo Leo (1694-1744) e Alessandro Scarlatti. Giovanni Battista Sammartini (1700-1775) e Giovanni Platti (1700-1763) posero le basi della sonata e della sinfonia moderne, Giovanni Giuseppe Cambrini (1746-1825) e Luigi Boccherini (1743-1805) si dedicarono particolarmente al quartetto per archi, mentre dalla forma secentesca della sonata a tre con basso continuo si sviluppò il trio per archi. Per quanto riguarda la musica per clavicembalo, si distinsero Domenico Scarlatti (1685-1757), Baldassarre Galuppi (1706-1785) e Pier Domenico Paradisi (1707-1791). Muzio Clementi, invece, si dedicò soprattutto ad approfondire le possibilità tecniche ed espressive della musica pianistica. ║ I secc. XIX e XX: per tutto l'Ottocento il melodramma fu ancora il genere musicale più diffuso e apprezzato in I. La musica strumentale, infatti, si indebolì sia sul piano stilistico che su quello espressivo, raggiungendo risultati interessanti solo con Luigi Cherubini (1760-1842) e Niccolò Paganini (1782-1840), e anche la produzione strumentale degli operisti si dimostrò di scarso interesse. Fu solo a partire dalla seconda metà del secolo che anche in I. filtrarono le istanze della tradizione musicale europea e in particolare tedesca, dando quindi l'avvio a un processo di rinnovamento di cui si fecero promotori Giovanni Sgambati (1841-1914) e Giuseppe Martucci (1856-1909), seguiti da Franco Faccio (1840-1891), Luigi Mancinelli (1848-1921) e altri strenui sostenitori dell'opera wagneriana. La svolta decisiva del melodramma ottocentesco si compì, però, con le opere di Gioacchino Antonio Rossini (1792-1868), Vincenzo Bellini (1801-1835), Gaetano Donizetti (1797-1848) e Giuseppe Verdi (1813-1901), che portarono nel linguaggio melodrammatico soluzioni espressive del tutto nuove. In particolare Verdi portò il melodramma a inserirsi nel tessuto sociale, trasformando l'opera nello specchio della coscienza morale e delle aspirazioni risorgimentali dell'I. del tempo. Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento si affermò la scuola del melodramma verista rappresentata da Pietro Mascagni (1863-1945), Ruggero Leoncavallo (1857-1919), Francesco Cilea (1866-1950), Umberto Giordano (1867-1948) e Giacomo Puccini (1858-1894), espressione della nuova I. post-risorgimentale e piccolo-borghese nel gusto per la vocalità spiegata, nelle strutture musicali e drammatiche elementari e nel tentativo di affrontare contenuti nuovi con i mezzi del vecchio melodramma. A questa si contrapposero Ildebrando Pizzetti (1880-1964), Ottorino Respighi (1879-1936), Alfredo Casella (1883-1947) e Gian Francesco Malipiero (1882-1973), la "generazione dell'Ottanta", che cercarono di allontanarsi dalla tradizione melodrammatica ottocentesca, elaborando un teatro musicale aperto alle influenze europee e rifacendosi contemporaneamente alla musica italiana rinascimentale e barocca. La generazione dell'Ottanta fu attiva anche nel periodo tra le due guerre, insieme ad altri compositori, quali Goffredo Petrassi (1904-2003), Luigi Dallapiccola (1904-1975) e Giorgio Federico Ghedini (1892-1965), che si formarono in quegli anni, nonostante il diffuso disinteresse del regime fascista verso la musica. Dopo la seconda guerra mondiale in I. si affermò la musica di avanguardia nella quale di distinsero Luigi Nono (1924-1990), Franco Evangelisti (1926-1980), Niccolò Castiglioni (1932-1996) e Sylvano Bussotti (n. 1931). A Milano nel 1955 fu fondato da Luciano Berio (1925-2003) e Bruno Maderna (1920-1973) il secondo studio di musica elettronica dopo quello di Colonia. Trapani Roma: il Colosseo Trapani La vetta del Monte Bianco Trapani Alto Adige: panorama della Val Passiria Trapani La chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano (XV sec.) Trapani Valle d'Aosta: il castello di Cly, sopra Chambave Trapani Veduta di Amalfi Trapani Cosenza: veduta dell'antico nucleo della città sul colle Pancrazio Trapani Firenze: il ponte Vecchio sull'Arno

Rai Scuola Italia

Italia - Turismo

Italy - Italia

eXTReMe Tracker

Shiny Stat

free counters

GBM W3C

Ai sensi dell'art. 5 della legge 22 aprile 1941 n. 633 sulla protezione del diritto d'autore, i testi degli atti ufficiali dello Stato e delle amministrazioni pubbliche, italiane o straniere, non sono coperti da diritti d'autore. Il copyright, ove indicato, si riferisce all'elaborazione e alla forma di presentazione dei testi stessi. L'inserimento di dati personali, commerciali, collegamenti (link) a domini o pagine web personali, nel contesto delle Yellow Pages Trapaninfo.it (TpsGuide), deve essere liberamente richiesto dai rispettivi proprietari. In questa pagina, oltre ai link autorizzati, vengono inseriti solo gli indirizzi dei siti, recensiti dal WebMaster, dei quali i proprietari non hanno richiesto l'inserimento in trapaninfo.it. Il WebMaster, in osservanza delle leggi inerenti i diritti d'autore e le norme che regolano la proprietà industriale ed intellettuale, non effettua collegamenti in surface deep o frame link ai siti recensiti, senza la dovuta autorizzazione. Framing e Deep Link: che cosa è lecito - Avvocato Gabriele FAGGIOLI. Il webmaster, proprietario e gestore dello spazio web nel quale viene mostrata questa URL, non è responsabile dei siti collegati in questa pagina. Le immagini, le foto e i logos mostrati appartengono ai legittimi proprietari. La legge sulla privacy, la legge sui diritti d'autore, le regole del Galateo della Rete (Netiquette), le norme a protezione della proprietà industriale ed intellettuale, limitano il contenuto delle Yellow Pages Trapaninfo.it Portale Provider Web Brochure e Silloge del web inerente Trapani e la sua provincia, ai soli dati di utenti che ne hanno liberamente richiesto l'inserimento. Chiunque, vanti diritti o rileva che le anzidette regole siano state violate, può contattare il WebMaster. Note legali trapaninfo.it contiene collegamenti a siti controllati da soggetti diversi i siti ai quali ci si può collegare non sono sotto il controllo di trapaninfo.it che non è responsabile dei loro contenuti. trapaninfo.it

Check google pagerank for trapaninfo.it