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Israele.

Stato (20.700 kmq; 6.864.200 ab.) dell'Asia occidentale. Confina a Nord con il Libano, a Nord-Est con la Siria, a Est con la Giordania e la Cisgiordania, a Sud-Ovest con l'Egitto; si affaccia a Ovest sul Mediterraneo e a Sud, con il golfo di Aqaba, sul Mar Rosso. Capitale: Gerusalemme (non riconosciuta dall'Onu). Città principali: Tel Aviv-Giaffa, Haifa, Be'er Sheva, Petah Tiqwa, Akko, Lod. Ordinamento: Repubblica parlamentare; il presidente è eletto dal Parlamento (Knesset) ogni 5 anni. Il potere legislativo spetta al Parlamento costituito da 120 membri eletti per 4 anni; quello esecutivo al Governo con a capo un primo ministro, nominato dal presidente della Repubblica. Amministrativamente lo Stato è diviso in 6 distretti. Moneta: sheqel. Lingua ufficiale: ebraico; diffusi l'inglese e l'arabo. Religione: ebraica con minoranze musulmane, cristiane e druse. Popolazione: Ebrei (81,7%), Arabi musulmani, Cristiani, Drusi, Circassi.

GEOGRAFIA

Morfologia: la parte più occidentale del Paese è formata da una pianura costiera che si affaccia sul Mediterraneo. Alle spalle si estende da Nord a Sud una zona collinare e di altopiani calcarei e marmorei (altopiano di Galilea, Samaria, Giudea ed Idumea) che formano una dorsale ondulata (900-1.000 m) lungo la quale scorre lo spartiacque tra Mediterraneo e regioni interne. Verso Est gli altopiani precipitano rapidamente nella depressione tettonica del Ghor, percorsa in senso Nord-Sud dal Giordano. Nella parte meridionale del Paese si estende un vasto territorio desertico, il Negev, con rilievi intorno ai 1.000 m, molto erosi, e che si restringe in direzione di Aqaba sino ad affacciarsi sul Mar Rosso. ║ Idrografia: il Giordano è il fiume principale del Paese; ha le sorgenti sul monte Hermon (Siria), forma dapprima il lago di Tiberiade e si getta poi nel Mar Morto, un bacino chiuso che occupa una depressione a 394 m sotto il livello del mare e che ha una fortissima concentrazione salina. L'unico altro fiume a regime costante è lo Yakron che, prima di gettarsi nel Mediterraneo, scorre per 15 km in senso Sud-Nord attraverso la ristretta e fertile pianura costiera che orla il rilievo centrale. ║ Clima: tropicale nelle zone dove gli influssi aridi dell'interno prevalgono sui flussi umidi del Mediterraneo. Presenta inverni miti ed estati calde, che diventano torride nella zona del Mar Morto e tra il Mar Morto e Aqaba. Le precipitazioni sono scarse e concentrate lungo la costa, dove predomina la macchia mediterranea. Sui rilievi (Monte Carmelo) sono presenti piccole zone boschive, mentre nelle zone aride vi è una scarsa vegetazione xerofila.
Cartina di Israele


ECONOMIA

L'elevata preparazione tecnica e professionale di gran parte degli immigrati e i legami mai interrotti tra il nuovo Stato e i mercati finanziari dei Paesi sviluppati dell'Occidente, favorirono fin dai primi anni dell'indipendenza l'inserimento del Paese nella sfera economica euro-americana. ║ Agricoltura: l'agricoltura che contribuisce al PIL nella misura del 6% circa, è organizzata su basi cooperativistiche e collettivistiche. Grazie all'imponente sviluppo dell'irrigazione, che fa ricorso alle falde freatiche e artesiane e a ingenti opere di bonifica come il prosciugamento del lago di Hula nel Nord del Paese, la superficie coltivata ha raggiunto nel 1991 circa 438.000 ha di terreno, di cui più della metà sono irrigati. Le colture più diffuse sono quelle cerealicole, specialmente il frumento, l'orzo e il sorgo. La vite è presente soprattutto nelle piane di Giuda e di Sharon, l'olivo è particolarmente produttivo in Galilea. Gli agrumi costituiscono la più importante coltura di esportazione, anche se in questi ultimi anni la produzione è leggermente diminuita; crescente è infatti la concorrenza incontrata sul mercato europeo da parte di Spagna e Marocco e forti sono le difficoltà all'interno a causa dell'astensione dal lavoro di parte della manodopera palestinese proveniente dai territori occupati. Le recenti colture di meloni, avocadi e banane hanno invece registrato un certo incremento. In via di sviluppo sono anche la coltivazione della barbabietola da zucchero e del cotone che, soddisfano ampiamente il fabbisogno interno, grazie alle avanzate tecnologie impiegate nelle piantagioni a coltura intensiva. Attualmente la concorrenza spagnola rischia di mettere in crisi la floricoltura la cui produzione, fornita da 4.500 ha di serre, veniva assorbita per il 90%, fino alla prima metà degli anni Ottanta, da Paesi della CEE. ║ Industria: il 30% del reddito nazionale è fornito dall'industria che, concentrata principalmente nelle aree di Tel Aviv-Giaffa e nella pianura di Haifa mostra un panorama assai vario e differenziato. I settori più sviluppati sono il chimico e il petrolchimico, il tessile, l'alimentare-conserviero, il metallurgico e l'automobilistico. I diamanti lavorati, con il 27%, costituiscono la voce più importante tra le esportazioni del Paese nonostante la concorrenza sovietica e indiana. I. è molto povero di risorse minerarie ed energetiche. Del tutto insufficiente ai bisogni sempre crescenti è soprattutto il petrolio, che si estrae in modestissima quantità dai pozzi di Helez e di Kokhav, nel Negev settentrionale e viene importato in massima parte dall'Egitto, dal Messico e dalla Norvegia. Un incremento notevole ha avuto la produzione di salgemma, potassa e fosfati naturali. La rete ferroviaria e specialmente quella stradale è ben sviluppata, efficienti sono i servizi aerei, che fanno capo all'aeroporto di Lod, presso Tel Aviv, e sono gestiti dalla compagnia di El Al. Gli scambi commerciali gravitanti verso l'Europa, il Canada e soprattutto gli Stati Uniti sono caratterizzati da un rilevante deficit nella bilancia dei pagamenti, su cui gravano particolarmente gli acquisti di materiale bellico. La massiccia emigrazione degli ebrei sovietici verso I. ha contribuito dal 1990 all'incremento della spesa pubblica destinata all'assistenza dei nuovi immigrati e ha portato a un peggioramento del rapporto tra disavanzo pubblico e PIL. A sanare in parte la bilancia commerciale in passivo provvede tuttavia il movimento turistico. Dal 1988 inoltre il Paese gode di trattamento preferenziale da parte della CEE.

STORIA

Le basi teoriche della fondazione del moderno Stato di I. furono poste al primo congresso sionistico di Basilea nel 1897. Una spinta decisiva agli sforzi dei sionisti, per creare un'unità nazionale ebraica nella terra che era appartenuta al popolo di I. dal XVIII sec. a.C. sino al I sec. d.C., fu data nel 1917 dalla dichiarazione favorevole del ministro degli Esteri britannico Balfour, dopo che la regione era stata liberata dal dominio ottomano. La Dichiarazione Balfour riconosceva al popolo ebraico il diritto di costituire una propria sede nazionale in Palestina, dove si erano insediate da vari secoli popolazioni arabe. L'impegno assunto dal Governo inglese nel 1917 era in netto contrasto con la promessa fatta un anno prima dalla stessa Gran Bretagna alle popolazioni arabo-palestinesi di riconoscere al più presto la loro indipendenza dopo che queste si erano sottratte al dominio turco. Negli anni seguenti il Governo inglese continuò a perseguire una politica ambivalente, da una parte costituendo un consiglio consultivo arabo e, dall'altra, incoraggiando l'immigrazione in massa degli Ebrei, provenienti da ogni parte del mondo. Nel giro di un decennio, tale immigrazione modificò sensibilmente il rapporto numerico tra Arabi ed Ebrei a svantaggio dei primi che, all'inizio del secolo, rappresentavano il 93% della popolazione palestinese. Nel 1935 gli Ebrei residenti erano saliti a 400.000, contro i 900.000 Arabi. La violenta reazione araba contro il crescente flusso immigratorio ebraico, determinato dall'intensificarsi delle persecuzioni naziste in Europa, costrinse la Gran Bretagna a bloccare l'immigrazione. Gli Ebrei reagirono promuovendo l'immigrazione segreta e dando vita a varie forme di lotta armata, anche terroristica, condotta da organizzazioni come l'"Irgùn swai leumì" e la "Stern", sia contro gli Arabi sia contro gli Inglesi. Tali azioni raggiunsero la massima intensità nel 1946 e indussero la Gran Bretagna a deferire la questione alle Nazioni Unite. Il 27 novembre 1947 l'assemblea dell'ONU decretò la spartizione della Palestina in due Stati, uno arabo e l'altro ebreo, politicamente indipendenti l'uno dall'altro. Veniva inoltre costituita una zona internazionale, comprendente Gerusalemme. Questa soluzione fu accolta favorevolmente dagli Ebrei, ma incontrò una netta opposizione da parte araba, per cui il ritiro delle truppe inglesi e la contemporanea proclamazione dello Stato indipendente di I. avvenne in un clima di estrema tensione. Il 2 maggio 1948 il presidente designato David Ben Gurion proclamò la nascita dello Stato di I., che fu assalito immediatamente dagli Stati arabi confinanti. I combattimenti si protrassero sino al gennaio 1949, consentendo ad I. di allargare il proprio territorio. Gli armistizi successivi fissarono i confini del nuovo Stato e stabilirono la divisione di Gerusalemme in due parti. Nonostante il blocco imposto dalla Lega Araba, I. fu ammesso all'ONU e negli anni successivi, favorito dagli ingenti aiuti economici provenienti dall'America e dall'Europa, riuscì a costituire un'isola di benessere in un'area geografica oppressa dal sottosviluppo. Nel giro di dieci anni furono accolte circa un milione di persone, mentre si susseguivano gli incidenti di frontiera e si avevano scontri sanguinosi lungo la linea di armistizio con l'Egitto. Approfittando della tensione venutasi a creare tra Egitto e Gran Bretagna in seguito alla nazionalizzazione del Canale di Suez, il 29 ottobre 1956 I. mobilitò le proprie forze e in pochi giorni occupò l'intero Sinai. L'intervento anglo-francese contro l'Egitto e la pronta reazione dell'Unione Sovietica fecero temere un allargamento del conflitto e indussero il Governo israeliano ad attenersi alle decisioni dell'ONU, ritirando le proprie truppe dai territori egiziani occupati. La situazione rimase tuttavia molto precaria. Nel 1964 il Mapai, cioè il partito di maggioranza, si spaccò in due tronconi, in seguito alla formazione del gruppo Rafi capeggiato da Ben Gurion e Moshe Dayan. Frattanto andò aumentando la tensione con i Paesi arabi, in seguito alla costituzione in Giordania del Movimento di Liberazione della Palestina, all'avvento in Siria di un regime figlio della scissione del partito Neo-Baath al governo dal 1963 (febbraio 1966) e alla decisione siro-egiziana di intraprendere lavori per deviare le acque del Giordano. L'adesione del primo ministro israeliano Levi Eshkol al principio della rappresaglia, portò ad azioni armate contro la Giordania e la Siria, finché in seguito alla reazione dell'Egitto si giunse al fulmineo attacco del 7 giugno 1967 che nel giro di una settimana (la cosiddetta guerra dei Sei giorni) portò le truppe israeliane, sotto il comando di Moshe Dayan, sino al canale di Suez e alle rive del Giordano. All'interno, l'iniziativa rimase ai cosiddetti "falchi" ai quali era stato dato largo spazio nel Governo di unità nazionale costituitosi alla vigilia della guerra, allargato a tutti i partiti, fatta eccezione per quello comunista. Ampio margine di autonomia essi ebbero anche nel nuovo Partito del Lavoro costituitosi nel gennaio 1968 dalla fusione del Mapai col Rafi. Data questa situazione, la morte (1969) del primo ministro Levi Eshkol, il più autorevole elemento moderato, lasciò un grande vuoto, rafforzando la posizione dei "falchi", in particolare di Moshe Dayan e Igal Allon che, considerando temporanea la nuova presidenza di Golda Meir, non nascondevano i rispettivi propositi di successione. Intanto, nel 1970, gravi tensioni internazionali scoppiarono quanto I., tiepidamente sostenuto dagli USA, decise di attaccare l'Egitto, supportato dall'URSS: solo l'intervento dell'ONU, che convinse I. ad accettare la risoluzione 242 sul rispetto delle frontiere tra i due Paesi, poté impedire l'allargarsi di un conflitto già in nuce. Contrariamente alle previsioni, Golda Meir si dichiarò disposta ad assumere nuovamente la presidenza del Consiglio dei ministri, dopo le elezioni politiche indette per il 31 dicembre 1973, in cui la coalizione di Governo riuscì a conservare la maggioranza assoluta lottando contro la neonata formazione conservatrice del Likud, sorta dalla fusione di tre partiti, Free Center, Laam e Gahal. Nel giugno 1974 la Meir cedette la direzione del Governo a Itzhak Rabin, il cui ministero ottenne la fiducia del Parlamento con un margine di maggioranza molto ristretto. Gli sforzi di Rabin per allargare la coalizione portarono alla nascita, nel novembre successivo, di un nuovo Governo, con la partecipazione del Partito nazional-religioso (Mavdal). Gli antagonismi interni, tuttavia, non cessarono, dimostrando il crescente logoramento e frazionamento politico del Paese. Contemporaneamente si aggravò la situazione economica, costringendo il Governo a operare una prima drastica svalutazione della moneta nel novembre 1974. Seguì un nuovo provvedimento nel giugno 1975, in base al quale venne introdotto un regime di svalutazione continua. Frattanto, le trattative indirette con l'Egitto, condotte con la mediazione del segretario di Stato americano Kissinger e iniziate dopo la conclusione della guerra del Kippur (6-25 ottobre 1973, durante la quale si verificò l'invasione di I. da parte di Siria ed Egitto) grazie all'interessamento dell'ONU, portarono nell'agosto 1975 a un accordo per il Sinai. In cambio dell'arretramento delle sue forze nel Sinai, il Governo israeliano ottenne l'impegno, da parte egiziana, di non belligeranza per almeno due anni, l'autorizzazione per il transito di navi attraverso il canale di Suez da e per I. e l'attenuazione del boicottaggio economico condotto dalla Lega Araba. Inoltre ricevette dagli Stati Uniti ingenti forniture militari di tipo missilistico. Nel dicembre 1978 l'ex premier Golda Meir morì. A capo del Governo venne designato l'ex membro del gruppo terroristico Irgun (V.), attivo negli anni Quaranta, Menahem Begin, il quale riuscì a concludere con il presidente egiziano Sadat i cosiddetti accordi di Camp David, compiendo nell'aprile 1979 una clamorosa visita ufficiale al Cairo. Questo incontro però, seguito da altri vertici tra i due premier (settembre 1979, gennaio 1980), non riuscì a risolvere i problemi di base della crisi tra Egitto e I., come la questione palestinese, i territori occupati e Gerusalemme. Mentre la questione araba rimaneva in questa posizione di impasse, il Governo israeliano si impegnava sul fronte libanese, attaccando e bombardando numerosi villaggi oltre confine. Questo provocò un rafforzamento, in ambito governativo, della destra e delle forze più intransigenti del sionismo: il ministro degli Esteri Dayan fu sostituito da Yitzhak Shamir, oppositore degli accordi e contrario a ogni compromesso con l'Egitto. Il Governo venne sciolto nel giugno 1981 in seguito alle polemiche interne riguardanti il bombardamento israeliano di un centro atomico iracheno alla periferia di Baghdad. Le nuove elezioni decretarono il successo del Partito laburista. Nel 1982 le truppe israeliane invasero il Libano meridionale e il Governo all'unanimità respinse il piano per il Medio Oriente proposto a Begin dal presidente americano Reagan. Nel settembre dello stesso anno, completata l'occupazione di Beirut, le truppe israeliane massacrarono centinaia di profughi palestinesi nei campi di Sabra e Chatila. I. respinse ogni responsabilità dell'eccidio, accusando le forze falangiste, ma all'interno del Paese ebbero luogo imponenti manifestazioni di protesta e l'opposizione chiese le dimissioni di Begin e del ministro della difesa Ariel Sharon. Alla fine di settembre le forze israeliane si ritirarono da Beirut. Le elezioni tenutesi l'anno seguente decretarono la nomina a presidente della Repubblica di Haim Herzog. Sempre nel 1983, dimessosi Begin, fu nominato primo ministro prima Ithzak Shamir, poi Shimon Peres. Infatti, in seguito alle elezioni era stato stipulato un accordo tra Shamir e Peres che prevedeva la formazione di un Governo di unità nazionale che sarebbe stato guidato a turno dai leader dei due partiti. In novembre si programmò il ritiro delle truppe di occupazione dal Libano, completato nel 1985, contemporaneamente all'apertura del Governo di Gerusalemme verso la Giordania. Nel frattempo si aggravò la crisi economica, che provocò un incremento dell'emigrazione, nonché la recrudescenza della criminalità e lo sviluppo di movimenti di estrema destra di stampo religioso-nazionalista. Rimasero saldi i rapporti con gli USA, mentre la distensione con l'URSS progredì con grande lentezza. Ripresero i rapporti con l'Ungheria e migliorarono quelli con la Cina; significativa si dimostrò la visita di Herzog a Bonn, la prima di un capo di Stato israeliano in Germania, e quella del premier francese Chirac in I. Le elezioni del novembre 1988 per il rinnovo del Parlamento costituirono un banco di prova per i due rivali storici della politica israeliana, Peres e Shamir, dopo quattro anni di burrascosa convivenza al Governo. La frammentazione del voto, che mandò al Parlamento ben 15 partiti, indebolì i due partiti di Governo, rendendo impossibile la formazione di una maggioranza stabile. La maggioranza relativa ottenuta dal Likud mise Shamir nelle condizioni di formare un Governo con l'appoggio dei quattro partiti dell'area religiosa, usciti vittoriosi dalle elezioni. Uno dei problemi più pressanti da affrontare era quello dell'Intifada (V.). Durante tutto il 1988 si verificarono incidenti tra i militari israeliani e i palestinesi e la linea dura intrapresa dal Governo Shamir dall'inizio del 1989 non riuscì a tamponare la situazione. Il coordinatore nei territori occupati, Goren, si incontrò a Gaza con personalità palestinesi per discutere il "piano Rabin", che contemplava una soluzione negoziata sul futuro della regione. Ma, in contrasto con queste premesse, in giugno il ministro israeliano della Difesa Rabin ottenne maggiori poteri repressivi nella zona occupata. Nel 1991 la guerra del Golfo (V. GOLFO, GUERRA DEL) coinvolse direttamente I., oggetto di bombardamenti iracheni. Saddam intese ottenere, con l'intervento di I. nella coalizione antirachena, l'entrata in guerra al suo fianco dei Paesi arabi ostili agli Israeliani. Il premier Shamir, tuttavia, non reagì alle provocazioni irachene e affermò ripetutamente la neutralità di I. Continuarono intanto nel Paese le manifestazioni dell'Intifada e gli attentati da parte di gruppi di Palestinesi. Alla fine del 1991 si aprirono però nuove speranze di pace per I. e per tutto il Medio Oriente: nella conferenza di pace di Madrid (poi trasferita a Washington) Arabi ed Ebrei, per la prima volta allo stesso tavolo, si impegnarono a trovare soluzioni pacifiche al loro conflitto. Le speranze in tal senso ricevettero una spinta dalla fine della guerra fredda, che permise il ristabilimento di relazioni diplomatiche con l'URSS (interrotte sin dal 1967), la Cina e la maggior parte dei Paesi africani. Nell'aprile 1992, in seguito a elezioni anticipate, il Partito laburista si aggiudicò la maggioranza dei seggi in Parlamento e relegò all'opposizione la destra. Primo ministro diventò Rabin, che diede un nuovo impulso alle trattative di pace con gli Arabi. Nel settembre 1993 Rabin e il presidente dell'OLP Arafat si incontrarono a Washington per firmare degli accordi preliminari, che stabilirono il reciproco riconoscimento delle due entità politiche e la prima scansione di atti concreti per la realizzazione di un'autonomia, amministrativa prima e politica poi, dei territori di Cisgiordania e della striscia di Gaza. Durante il 1994, pur fra aspre polemiche interne e un susseguirsi di attentati, il dialogo israelo-palestinese continuò, portando alla firma degli accordi di Oslo. Contemporaneamente Rabin concluse un trattato di pace e di cooperazione con la Giordania e avviò colloqui con la Siria circa la restituzione del Golan in cambio della pace. Durante il 1995, I. confermò la sua volontà di pace con l'approvazione dell'accordo detto "Oslo 2", relativo al ritiro dell'esercito israeliano dai territori palestinesi. Tuttavia tale processo subì un colpo durissimo per l'assassinio, da parte di un estremista di destra israeliano, di Rabin nel novembre 1995; gli successe ad interim Peres, che era stato con Rabin il principale fautore del corso di pacificazione. Lo sgomento del Paese e l'ondata di attentati compiuti dall'organizzazione islamica di Hamas e dagli hezbollah libanesi causarono in I. un crescente clima di incertezza. Le elezioni politiche, previste per il novembre 1996, furono anticipate al maggio e decretarono, a sorpresa, la vittoria del leader conservatore Benjamin Netanyahu. Si attuò così un'inversione di tendenza nella politica estera di I., convalidata dalle prime dichiarazioni del nuovo premier che sostituì al principio "la terra in cambio della pace", ispiratore degli accordi con i Palestinesi, l'antica pregiudiziale della sicurezza dello Stato rispetto a qualsiasi trattativa. Nel 1999, l'elezione del primo ministro laburista Ehud Barak riavviò il processo di pace: I. riprese il programma di trasferimento dei territori in Cisgiordania all'Autorità palestinese, annunciò il ritiro dal Libano meridionale e stabilì dei contatti con la Siria per affrontare il problema del Golan. Rimase invece senza soluzione la questione dello statuto di Gerusalemme, che sia gli Israeliani, sia i Palestinesi consideravano loro capitale: su questo punto fallì anche il tentativo di mediazione del presidente statunitense Clinton a Camp David (luglio 2000). Il 29 settembre 2000 scoppiarono scontri a seguito della visita effettuata dal leader dell'opposizione Ariel Sharon alla Spianata delle moschee. Con questo gesto Sharon intese affermare la completa sovranità di I. sulla Città Santa, nodo principale dei negoziati di pace, e abbattere sul nascere ogni tentativo da parte del premier Barak di cedere parti di essa ai Palestinesi. Iniziò così la cosiddetta seconda Intifada. A seguito dell'acuirsi del conflitto, Barak si dimise e indisse nuove elezioni per il febbraio 2001, che decretarono la nomina a primo ministro di Sharon. Il neo premier in aprile bombardò insediamenti palestinesi a Gaza come contromossa nei confronti degli attacchi palestinesi a postazioni civili israeliane. Gli scontri proseguirono con attentati, ripercussioni e sparatorie sia da parte palestinese che da parte israeliana. Dopo gli attentati terroristici dell'11 settembre alle Torri Gemelle e al Pentagono, il 26 settembre Arafat e Peres si incontrarono a Gaza, dove decisero di impegnarsi per un cessate il fuoco e per la ripresa di negoziati di pace. Tuttavia, la situazione diventò ancora più esplosiva. Il 17 ottobre l'ex ministro del Turismo israeliano R. Zeevi venne ucciso a Gerusalemme. L'omicidio scatenò una serie di manifestazioni culminate nelle incursioni israeliane in sei centri palestinesi, che causarono decine di vittime. Agli inizi di dicembre diversi attentati suicidi, messi a segno da membri di Hamas e della Jihad islamica, provocarono la morte di una trentina di persone. Sebbene Arafat avesse fatto arrestare circa 150 esponenti dei due movimenti estremisti, l'esercito israeliano procedette a una durissima offensiva contro le città di Gaza e Ramallah. Nel frattempo gli attentati suicidi crebbero in cruenza. Nel marzo 2002 I. inviò nuovamente alcune truppe nei territori palestinesi, nell'ambito di un'operazione denominata "Muraglia di difesa". Ramallah, quartier generale di Arafat, venne assediata. Nonostante fosse stato messo a punto un piano di pace dal principe ereditario saudita Abdullah, sottoscritto dalla maggior parte del mondo arabo, I. continuò la sua offensiva che, nel mese di aprile, si allargò fino a comprendere le città di Betlemme, Tulkarem, Jenin, Qalqilya e Nablus. Il 2 aprile l'esercito israeliano iniziò un lungo assedio (durato 38 giorni) alla Basilica della Natività di Betlemme, nella quale si erano asserragliati, insieme ai frati, 150 Palestinesi, miliziani e civili (13 dei quali, accusati da I. di terrorismo, vennero trasferiti prima a Cipro, poi in Europa). Dopo il fallimento del tentativo di mediazione da parte del segretario statunitense Colin Powell in aprile, nello stesso mese I. accettò la proposta americana di allentare l'assedio al quartier generale di Arafat in cambio della consegna di sei Palestinesi, quattro dei quali condannati per l'assassinio dell'ex ministro Zeevi. Il 16 giugno 2002 I., nella speranza di fermare gli attentati suicidi palestinesi, diede il via ai lavori per la costruzione di un muro difensivo lungo la "linea verde" che separa lo Stato ebraico dalla Cisgiordania. Intanto continuavano gli attentati di stampo palestinese e le rappresaglie israeliane in territori palestinesi. Contemporaneamente si cercarono soluzioni internazionali, tra cui il piano di pace danese che prevedeva la creazione di un nuovo Stato palestinese entro il 2005, o gli incontri dei rappresentanti del cosiddetto "quartetto", ovvero Stati Uniti, Russia, Nazioni Unite e Unione europea. Il 30 ottobre i laburisti presenti nel Governo decisero di abbandonare l'Esecutivo per protesta contro le sovvenzioni, previste dalla legge finanziaria del 2003, di cui avrebbero beneficiato i coloni ebrei abitanti negli insediamenti nei Territori palestinesi. Sharon provvedette quindi a un rimpasto governativo, offrendo la poltrona ad interim di ministro degli Esteri al suo avversario all'interno del Likud, l'ex primo ministro Benjamin Netanyahu, che rifiutò. Sharon si vide costretto a sciogliere il Parlamento (5 novembre) e a convocare elezioni anticipate, che si tennero il 28 gennaio 2003. Le votazioni decretarono la netta vittoria del Likud, il discreto successo del partito di centro (Shinui) e la grave la sconfitta dei laburisti e del partito ultraortodosso (Shas). Subito dopo la vittoria, Sharon si orientò, per la formazione del nuovo Esecutivo, verso una coalizione governativa comprendente membri del Likud, dello Shinui, del Partito religioso nazionale e del Partito di unione nazionale (di estrema destra); Netanyahu venne nominato ministro delle Finanze. In seguito alla designazione a premier dell'ANP di Mahmoud Abbas - noto anche come Abu Mazen - nel febbraio 2003, il quartetto costituito da Stati Uniti, Russia, Unione europea e ONU si dichiarò disponibile a nuove trattative (rimarcando le distanze da Arafat, considerato, in particolare dagli Stati Uniti, compromesso con il terrorismo) e mise a punto il piano di pace denominato "Road Map", che l'amministrazione statunitense consegnò ad Abu Mazen e a Sharon il 30 aprile. Il 25 maggio il Governo israeliano accettò a larga maggioranza le misure previste dalla "Road Map", che attraverso tre tappe (fine del terrorismo e ritiro di I. dalle zone occupate dal 28 settembre 2000; creazione di uno Stato palestinese con frontiere provvisorie entro il 2003 e definitive entro il 2005) avrebbe dovuto portare alla creazione di uno Stato palestinese entro il 2005. In ottobre, in risposta ai continui attacchi terroristici nel Paese, l'aviazione israeliana compì un'incursione aerea in Siria contro una presunta base di addestramento per terroristi. Nello stesso mese l'ONU chiese ufficialmente a I. di interrompere la costruzione della barriera di sicurezza lungo la Cisgiordania, iniziata nel giugno 2002. Sempre in ottobre si svolsero le consultazioni amministrative, che concessero nuovamente fiducia al Likud e al premier Sharon, nonostante la recessione economica in corso nel Paese. Nel gennaio 2004, durante il congresso del Likud, Sharon si dichiarò favorevole alla creazione di uno Stato palestinese (subordinato all'applicazione della "Road Map" e alla costruzione del muro divisorio), aprendo un dissidio all'interno del suo partito. Le tensioni con i Palestinesi non si arrestarono e le notizie di attentati e di ritorsioni divennero quasi quotidiane. Sharon decise allora di mirare ai capi della resistenza palestinese, e soprattutto di Hamas (V.): nel marzo 2004 uccise il capo e ispiratore di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin (V.) e, un mese più tardi, il suo sostituto Abdel Aziz Rantisi. La reazione palestinese non si fece attendere, e neppure quella dell'opinione internazionale, che condannò duramente i due omicidi. Dopo la scomparsa di Yasser Arafat (novembre 2004) e la nomina alla presidenza dell'ANP di Abu Mazen (gennaio 2005), I. e Palestina riaprirono il dialogo, firmando una tregua al vertice di Sharm el Sheik che rianimò le speranze di una ripresa del cammino verso la pace. Se Abu Mazen si impegnò a fermare gli attacchi suicidi e a contrastare gli estremisti, da parte sua Sharon, che da gennaio era a capo di un nuovo Governo di unità nazionale con la partecipazione dei laburisti, acconsentì di riportare sotto il controllo dell'ANP Gerico e Tulkarem (marzo 2005). Nei mesi seguenti, tuttavia, il dialogo entrò ancora in crisi: il premier israeliano fu aspramente contestato dai coloni e dai partiti di destra, che non condividevano il suo piano di smobilitazione nei Territori; Abu Mazen dovette affrontare il duro dissenso dei movimenti radicali palestinesi, Hamas e Jihad in testa, che proseguirono negli attacchi contro I. Le proteste contro lo sgombero degli 8.000 coloni ebrei della Striscia di Gaza, iniziato ad aprile e terminato a settembre, fu causa di forti tensioni tra il Likud e Sharon, che portarono all'uscita dal partito del premier. L'ex generale fondò un nuovo gruppo politico denominato Kadima (Avanti), a cui aderirono sia esponenti provenienti dal Likud sia esponenti laburisti, tra cui Shimon Peres. Nel gennaio 2006, in seguito all'ictus che colpì Sharon, la guida del Paese fu assunta ad interim da Ehud Olmert (divenuto nel frattempo anche leader di Kadima), che venne confermato nell'incarico nelle consultazioni di marzo. Il Governo del neo primo ministro, formato da Kadima, Partito laburista, Shas e Partito dei pensionati, si trovò a fronteggiare una situazione incandescente a causa della vittoria elettorale in Palestina dei radicali islamici di Hamas (gennaio 2006), favorevoli alla cancellazione dello Stato di I.. Olmert avviò contatti con Abu Mazen allo scopo di riaprire i negoziati di pace, ma nel contempo riprese i raid e le incursioni che provocarono la morte di esponenti di Hamas, Jihad, Fatah e di numerosi civili. In un clima di guerra civile, a causa delle tensioni tra Fatah e Hamas, e di minaccia di guerra aperta tra I. e ANP, uno spiraglio si aprì in giugno, quando Abu Mazen presentò un documento di riconciliazione nazionale, detto "Documento dei prigionieri" in quanto elaborato da esponenti di Hamas, Fatah, Fronte popolare per la liberazione della Palestina e Jihad detenuti in carcere, in cui si proponeva la creazione di un Governo di unità nazionale in vista della nascita di uno Stato palestinese nei confini preesistenti alla guerra del 1967, con il conseguente riconoscimento di I. Approvato da Fatah, il documento fu respinto da Hamas. A fine giugno le ostilità tra Israeliani e Palestinesi ripresero con maggiore vigore: in risposta alle uccisioni mirate israeliane, i miliziani delle Brigate al Qassam, il braccio armato di Hamas, lanciarono missili sulla cittadina di Sderot, nel Sud d'I., ed effettuarono un raid in territorio israeliano assassinando due soldati e rapendone un terzo, per la liberazione del quale chiesero il rilascio di tutte le donne e i minorenni palestinesi reclusi in carceri israeliane. I. si rifiutò di trattare e mise in atto un'offensiva con raid aerei nella Striscia di Gaza e arresti in Cisgiordania di ministri di Hamas e di decine di parlamentari del movimento estremista. In questo clima di grande tensione, a luglio riesplosero le ostilità tra I. e Libano: dopo il lancio di missili su I. da parte di Hezbollah, che si rese altresì responsabile di un attentato a una pattuglia di soldati israeliani che provocò la morte di otto militari e la cattura dei due superstiti, Tel Aviv lanciò un'offensiva militare contro Beirut, di cui vennero distrutti alcuni quartieri ritenuti roccaforti degli Hezbollah, causando centinaia di morti e la distruzione dell'aeroporto e delle vie di comunicazione del Paese, in particolare l'autostrada di collegamento con il confine siriano. La situazione precipitò dieci giorni dopo l'inizio del conflitto, quando I. invase via terra il Sud del Libano, mettendo in atto una spietata offensiva militare che venne condannata dalla comunità internazionale. Al termine di 34 giorni di guerra (11 luglio - 13 agosto 2006), costati la vita a più di 1.000 Libanesi e a circa 160 Israeliani (di cui 41 civili), venne applicata la risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU in seguito alla quale entrò in vigore la sospensione immediata delle ostilità. Le operazioni di disarmo degli Hezbollah nel Sud del Libano e di ritiro progressivo delle forze militari israeliane dai territori occupati nei giorni di guerra tra luglio e agosto furono demandate a una forza multinazionale d'interposizione sotto l'egida dell'ONU. In ottobre I. fu scossa dallo scandalo che vide implicato il presidente della Repubblica Moshe Katsav, chiamato a rispondere di stupro e molestie sessuali nei confronti di sue ex assistenti, nonché di frode e di non collaborazione con la giustizia israeliana. Katsav fu così indotto dal premier Olmert a dimettersi temporaneamente dalla massima carica dello Stato nel gennaio 2007, in attesa che si facesse chiarezza sulla sua posizione. Il suo posto fu preso ad interim dalla presidentessa del Parlamento Dalia Itzik fino al giugno 2007, quando Shimon Peres venne eletto nono presidente di I.