Stato (20.700 kmq; 6.864.200 ab.) dell'Asia occidentale. Confina a Nord con il
Libano, a Nord-Est con la Siria, a Est con la Giordania e la Cisgiordania, a Sud-Ovest con l'Egitto; si affaccia
a Ovest sul Mediterraneo e a Sud, con il golfo di Aqaba, sul Mar Rosso.
Capitale: Gerusalemme (non riconosciuta dall'Onu). Città principali: Tel Aviv-Giaffa, Haifa, Be'er
Sheva, Petah Tiqwa, Akko, Lod. Ordinamento: Repubblica parlamentare; il
presidente è eletto dal Parlamento (
Knesset) ogni 5 anni. Il
potere legislativo spetta al Parlamento costituito da 120 membri eletti per 4
anni; quello esecutivo al Governo con a capo un primo ministro, nominato dal
presidente della Repubblica. Amministrativamente lo Stato è diviso in 6
distretti. Moneta:
sheqel. Lingua ufficiale: ebraico; diffusi l'inglese e
l'arabo. Religione: ebraica con minoranze musulmane, cristiane e druse.
Popolazione: Ebrei (81,7%), Arabi musulmani, Cristiani, Drusi, Circassi.
GEOGRAFIAMorfologia:
la parte più occidentale del Paese è formata da una pianura
costiera che si affaccia sul Mediterraneo. Alle spalle si estende da Nord a Sud
una zona collinare e di altopiani calcarei e marmorei (altopiano di Galilea,
Samaria, Giudea ed Idumea) che formano una dorsale ondulata (900-1.000 m) lungo
la quale scorre lo spartiacque tra Mediterraneo e regioni interne. Verso Est gli
altopiani precipitano rapidamente nella depressione tettonica del Ghor, percorsa
in senso Nord-Sud dal Giordano. Nella parte meridionale del Paese si estende un
vasto territorio desertico, il Negev, con rilievi intorno ai 1.000 m, molto
erosi, e che si restringe in direzione di Aqaba sino ad affacciarsi sul Mar
Rosso. ║
Idrografia: il Giordano è il fiume principale del
Paese; ha le sorgenti sul monte Hermon (Siria), forma dapprima il lago di
Tiberiade e si getta poi nel Mar Morto, un bacino chiuso che occupa una
depressione a 394 m sotto il livello del mare e che ha una fortissima
concentrazione salina. L'unico altro fiume a regime costante è lo Yakron
che, prima di gettarsi nel Mediterraneo, scorre per 15 km in senso Sud-Nord
attraverso la ristretta e fertile pianura costiera che orla il rilievo centrale.
║
Clima: tropicale nelle zone dove gli influssi aridi dell'interno
prevalgono sui flussi umidi del Mediterraneo. Presenta inverni miti ed estati
calde, che diventano torride nella zona del Mar Morto e tra il Mar Morto e
Aqaba. Le precipitazioni sono scarse e concentrate lungo la costa, dove
predomina la macchia mediterranea. Sui rilievi (Monte Carmelo) sono presenti
piccole zone boschive, mentre nelle zone aride vi è una scarsa
vegetazione xerofila.
Cartina di Israele
ECONOMIA
L'elevata preparazione tecnica e professionale di gran parte degli immigrati e i legami
mai interrotti tra il nuovo Stato e i mercati finanziari dei Paesi sviluppati
dell'Occidente, favorirono fin dai primi anni dell'indipendenza l'inserimento
del Paese nella sfera economica euro-americana. ║
Agricoltura:
l'agricoltura che contribuisce al PIL nella misura del 6% circa, è
organizzata su basi cooperativistiche e collettivistiche. Grazie
all'imponente sviluppo dell'irrigazione, che fa ricorso alle falde freatiche e
artesiane e a ingenti opere di bonifica come il prosciugamento del lago di Hula
nel Nord del Paese, la superficie coltivata ha raggiunto nel 1991 circa 438.000
ha di terreno, di cui più della metà sono irrigati. Le colture
più diffuse sono quelle cerealicole, specialmente il frumento, l'orzo e
il sorgo. La vite è presente soprattutto nelle piane di Giuda e di
Sharon, l'olivo è particolarmente produttivo in Galilea. Gli agrumi
costituiscono la più importante coltura di esportazione, anche se in
questi ultimi anni la produzione è leggermente diminuita;
crescente è infatti la concorrenza incontrata sul mercato europeo da
parte di Spagna e Marocco e forti sono le difficoltà all'interno a causa
dell'astensione dal lavoro di parte della manodopera palestinese proveniente dai
territori occupati. Le recenti colture di meloni, avocadi e banane hanno invece
registrato un certo incremento. In via di sviluppo sono anche la coltivazione
della barbabietola da zucchero e del cotone che, soddisfano ampiamente il
fabbisogno interno, grazie alle avanzate tecnologie impiegate nelle piantagioni
a coltura intensiva. Attualmente la concorrenza spagnola rischia di mettere in
crisi la floricoltura la cui produzione, fornita da 4.500 ha di serre, veniva
assorbita per il 90%, fino alla prima metà degli anni Ottanta, da Paesi
della CEE. ║
Industria: il 30% del reddito nazionale è
fornito dall'industria che, concentrata principalmente nelle aree di Tel
Aviv-Giaffa e nella pianura di Haifa mostra un panorama assai vario e
differenziato. I settori più sviluppati sono il chimico e il
petrolchimico, il tessile, l'alimentare-conserviero, il metallurgico e
l'automobilistico. I diamanti lavorati, con il 27%, costituiscono la voce
più importante tra le esportazioni del Paese nonostante la concorrenza
sovietica e indiana.
I. è molto povero di risorse minerarie ed
energetiche. Del tutto insufficiente ai bisogni sempre crescenti è
soprattutto il petrolio, che si estrae in modestissima quantità dai pozzi
di Helez e di Kokhav, nel Negev settentrionale e viene importato in massima
parte dall'Egitto, dal Messico e dalla Norvegia. Un incremento
notevole ha avuto la produzione di salgemma, potassa e fosfati naturali. La rete
ferroviaria e specialmente quella stradale è ben sviluppata, efficienti
sono i servizi aerei, che fanno capo all'aeroporto di Lod, presso Tel Aviv, e
sono gestiti dalla compagnia di El Al. Gli scambi commerciali gravitanti verso
l'Europa, il Canada e soprattutto gli Stati Uniti sono caratterizzati da un
rilevante deficit nella bilancia dei pagamenti, su cui gravano particolarmente
gli acquisti di materiale bellico. La
massiccia emigrazione degli ebrei sovietici verso
I. ha contribuito dal
1990 all'incremento della spesa pubblica destinata all'assistenza dei nuovi
immigrati e ha portato a un peggioramento del rapporto tra disavanzo pubblico e
PIL. A sanare in parte la bilancia commerciale in passivo provvede tuttavia il
movimento turistico. Dal 1988 inoltre il Paese gode di trattamento preferenziale
da parte della
CEE.
STORIALe basi
teoriche della fondazione del moderno Stato di
I. furono poste al primo
congresso sionistico di Basilea nel 1897. Una spinta decisiva agli sforzi dei
sionisti, per creare un'unità nazionale ebraica nella terra che era
appartenuta al popolo di
I. dal XVIII sec. a.C. sino al I sec. d.C., fu
data nel 1917 dalla dichiarazione favorevole del ministro degli Esteri
britannico Balfour, dopo che la regione era stata liberata dal dominio ottomano.
La
Dichiarazione Balfour riconosceva al popolo ebraico il diritto di
costituire una propria sede nazionale in Palestina, dove si erano insediate da
vari secoli popolazioni arabe. L'impegno assunto dal Governo inglese nel 1917
era in netto contrasto con la promessa fatta un anno prima dalla stessa Gran
Bretagna alle popolazioni arabo-palestinesi di riconoscere al più presto
la loro indipendenza dopo che queste si erano sottratte al dominio turco. Negli
anni seguenti il Governo inglese continuò a perseguire una politica
ambivalente, da una parte costituendo un consiglio consultivo arabo e,
dall'altra, incoraggiando l'immigrazione in massa degli Ebrei, provenienti da
ogni parte del mondo. Nel giro di un decennio, tale immigrazione modificò
sensibilmente il rapporto numerico tra Arabi ed Ebrei a svantaggio dei primi
che, all'inizio del secolo, rappresentavano il 93% della popolazione
palestinese. Nel 1935 gli Ebrei residenti erano saliti a 400.000, contro i
900.000 Arabi. La violenta reazione araba contro il crescente flusso
immigratorio ebraico, determinato dall'intensificarsi delle persecuzioni naziste
in Europa, costrinse la Gran Bretagna a bloccare l'immigrazione. Gli Ebrei
reagirono promuovendo l'immigrazione segreta e dando vita a varie forme di lotta
armata, anche terroristica, condotta da organizzazioni come l'"Irgùn swai
leumì" e la "Stern", sia contro gli Arabi sia contro gli Inglesi. Tali
azioni raggiunsero la massima intensità nel 1946 e indussero la Gran
Bretagna a deferire la questione alle Nazioni Unite. Il 27 novembre 1947
l'assemblea dell'ONU decretò la spartizione della Palestina in due Stati,
uno arabo e l'altro ebreo, politicamente indipendenti l'uno dall'altro. Veniva
inoltre costituita una zona internazionale, comprendente Gerusalemme. Questa
soluzione fu accolta favorevolmente dagli Ebrei, ma incontrò una netta
opposizione da parte araba, per cui il ritiro delle truppe inglesi e la
contemporanea proclamazione dello Stato indipendente di
I. avvenne in un
clima di estrema tensione. Il 2 maggio 1948 il presidente designato David Ben
Gurion proclamò la nascita dello Stato di
I., che fu assalito
immediatamente dagli Stati arabi confinanti. I combattimenti si protrassero sino
al gennaio 1949, consentendo ad
I. di allargare il proprio territorio.
Gli armistizi successivi fissarono i confini del nuovo Stato e stabilirono la
divisione di Gerusalemme in due parti. Nonostante il blocco imposto dalla Lega
Araba,
I. fu ammesso all'ONU e negli anni successivi, favorito dagli
ingenti aiuti economici provenienti dall'America e dall'Europa, riuscì a
costituire un'isola di benessere in un'area geografica oppressa dal
sottosviluppo. Nel giro di dieci anni furono accolte circa un milione di
persone, mentre si susseguivano gli incidenti di frontiera e si avevano scontri
sanguinosi lungo la linea di armistizio con l'Egitto. Approfittando della
tensione venutasi a creare tra Egitto e Gran Bretagna in seguito alla
nazionalizzazione del Canale di Suez, il 29 ottobre 1956
I.
mobilitò le proprie forze e in pochi giorni occupò l'intero Sinai.
L'intervento anglo-francese contro l'Egitto e la pronta reazione dell'Unione
Sovietica fecero temere un allargamento del conflitto e indussero il Governo
israeliano ad attenersi alle decisioni dell'ONU, ritirando le proprie truppe dai
territori egiziani occupati. La situazione rimase tuttavia molto precaria. Nel
1964 il Mapai, cioè il partito di maggioranza, si spaccò in due
tronconi, in seguito alla formazione del gruppo Rafi capeggiato da Ben Gurion e
Moshe Dayan. Frattanto andò aumentando la tensione con i Paesi arabi, in
seguito alla costituzione in Giordania del Movimento di Liberazione della
Palestina, all'avvento in Siria di un regime figlio della scissione del partito
Neo-Baath al governo dal 1963 (febbraio 1966) e alla
decisione siro-egiziana di intraprendere lavori per deviare le acque del
Giordano. L'adesione del primo ministro israeliano Levi Eshkol al principio
della rappresaglia, portò ad azioni armate contro la Giordania e la
Siria, finché in seguito alla reazione dell'Egitto si giunse al fulmineo
attacco del 7 giugno 1967 che nel giro di una settimana (la cosiddetta guerra dei Sei giorni)
portò le truppe
israeliane, sotto il comando di Moshe Dayan, sino al canale di Suez e alle rive
del Giordano. All'interno, l'iniziativa rimase ai cosiddetti "falchi" ai quali
era stato dato largo spazio nel Governo di unità nazionale costituitosi
alla vigilia della guerra, allargato a tutti i partiti, fatta
eccezione per quello comunista. Ampio margine di autonomia essi ebbero anche nel nuovo Partito
del Lavoro costituitosi nel gennaio 1968 dalla fusione del Mapai col Rafi. Data
questa situazione, la morte (1969) del primo ministro Levi Eshkol, il più
autorevole elemento moderato, lasciò un grande vuoto, rafforzando la
posizione dei "falchi", in particolare di Moshe Dayan e Igal Allon che,
considerando temporanea la nuova presidenza di Golda Meir, non nascondevano i
rispettivi propositi di successione. Intanto, nel 1970, gravi tensioni internazionali
scoppiarono quanto
I., tiepidamente sostenuto dagli USA, decise di attaccare l'Egitto,
supportato dall'URSS:
solo l'intervento dell'ONU, che convinse
I. ad accettare la risoluzione 242
sul rispetto delle frontiere tra i due Paesi, poté impedire l'allargarsi
di un conflitto già in nuce. Contrariamente alle previsioni, Golda Meir si
dichiarò disposta ad assumere nuovamente la presidenza del Consiglio dei
ministri, dopo le elezioni politiche indette per il 31 dicembre 1973, in cui la
coalizione di Governo riuscì a conservare la maggioranza assoluta lottando
contro la neonata formazione conservatrice del Likud, sorta dalla fusione di tre
partiti, Free Center, Laam e Gahal. Nel giugno
1974 la Meir cedette la direzione del Governo a Itzhak Rabin, il cui ministero ottenne
la fiducia del Parlamento con un margine di maggioranza molto ristretto. Gli sforzi di
Rabin per allargare la coalizione portarono alla nascita, nel novembre successivo, di
un nuovo Governo, con la partecipazione del Partito nazional-religioso (Mavdal). Gli
antagonismi interni, tuttavia, non cessarono, dimostrando il crescente logoramento e
frazionamento politico del Paese. Contemporaneamente si aggravò la situazione
economica, costringendo il Governo a operare una prima drastica svalutazione della moneta
nel novembre 1974. Seguì un nuovo provvedimento nel giugno 1975, in base al quale
venne introdotto un regime di svalutazione continua. Frattanto, le trattative indirette
con l'Egitto, condotte con la mediazione del segretario di Stato americano Kissinger e
iniziate dopo la conclusione della guerra del Kippur (6-25 ottobre 1973, durante la quale si
verificò l'invasione di
I. da parte di Siria ed Egitto) grazie all'interessamento
dell'ONU, portarono nell'agosto 1975 a un accordo per il Sinai. In cambio dell'arretramento
delle sue forze nel Sinai, il Governo israeliano ottenne l'impegno, da parte egiziana, di
non belligeranza per almeno due anni, l'autorizzazione per il transito di navi attraverso
il canale di Suez da e per
I. e l'attenuazione del boicottaggio economico condotto
dalla Lega Araba. Inoltre ricevette dagli Stati Uniti ingenti forniture militari di tipo
missilistico. Nel dicembre 1978 l'ex premier Golda Meir morì. A capo del Governo
venne designato l'ex membro del gruppo terroristico Irgun (V.), attivo negli anni Quaranta,
Menahem Begin, il quale riuscì a concludere
con il presidente egiziano Sadat i cosiddetti accordi di Camp David, compiendo nell'aprile
1979 una clamorosa visita ufficiale al Cairo. Questo incontro però, seguito da altri
vertici tra i due premier (settembre 1979, gennaio 1980), non riuscì a risolvere i
problemi di base della crisi tra Egitto e
I., come la questione palestinese, i territori
occupati e Gerusalemme. Mentre la questione araba rimaneva in questa posizione di impasse, il
Governo israeliano si impegnava sul fronte libanese, attaccando e bombardando numerosi
villaggi oltre confine. Questo provocò un rafforzamento, in ambito governativo, della
destra e delle forze più intransigenti del sionismo: il ministro degli Esteri Dayan
fu sostituito da Yitzhak Shamir, oppositore degli accordi e contrario a ogni compromesso con
l'Egitto. Il Governo venne
sciolto nel giugno 1981 in seguito alle polemiche interne riguardanti il bombardamento
israeliano di un centro atomico iracheno alla periferia di Baghdad. Le nuove elezioni
decretarono il successo del Partito laburista. Nel 1982 le truppe israeliane invasero
il Libano meridionale e il Governo all'unanimità respinse il piano per il Medio
Oriente proposto a Begin dal presidente americano Reagan. Nel settembre dello stesso
anno, completata l'occupazione di Beirut, le truppe israeliane massacrarono centinaia
di profughi palestinesi nei campi di Sabra e Chatila.
I. respinse ogni
responsabilità dell'eccidio, accusando le forze falangiste, ma all'interno del
Paese ebbero luogo imponenti manifestazioni di protesta e l'opposizione chiese le
dimissioni di Begin e del ministro della difesa Ariel Sharon. Alla fine di settembre
le forze israeliane si ritirarono da Beirut. Le elezioni tenutesi l'anno seguente
decretarono la nomina a presidente della Repubblica di Haim Herzog. Sempre nel 1983,
dimessosi Begin, fu nominato primo ministro prima Ithzak Shamir, poi Shimon Peres.
Infatti, in seguito alle elezioni era stato stipulato un accordo tra Shamir e Peres
che prevedeva la formazione di un Governo di unità nazionale che sarebbe stato
guidato a turno dai leader dei due partiti. In novembre si programmò
il ritiro delle truppe di occupazione dal Libano, completato nel 1985, contemporaneamente
all'apertura del Governo di Gerusalemme verso la Giordania. Nel frattempo si aggravò
la crisi economica, che provocò un incremento dell'emigrazione, nonché la
recrudescenza della criminalità e lo sviluppo di movimenti di estrema destra di stampo
religioso-nazionalista. Rimasero saldi i rapporti con gli USA, mentre la distensione con l'URSS
progredì con grande lentezza. Ripresero i rapporti con l'Ungheria e migliorarono quelli
con la Cina; significativa si dimostrò la visita di Herzog a Bonn, la prima di un capo
di Stato israeliano in Germania, e quella del premier francese Chirac in
I. Le elezioni
del novembre 1988 per il rinnovo del Parlamento costituirono un banco di prova per i due rivali
storici della politica israeliana, Peres e Shamir, dopo quattro anni di burrascosa convivenza
al Governo. La frammentazione del voto, che mandò al Parlamento ben 15 partiti, indebolì
i due partiti di Governo, rendendo impossibile la formazione di una maggioranza stabile. La maggioranza
relativa ottenuta dal Likud mise Shamir nelle condizioni di formare un Governo con l'appoggio dei
quattro partiti dell'area religiosa, usciti vittoriosi dalle elezioni. Uno dei problemi più
pressanti da affrontare era quello dell'Intifada (V.). Durante tutto il 1988 si verificarono incidenti
tra i militari israeliani e i palestinesi e la linea dura intrapresa dal Governo Shamir dall'inizio del
1989 non riuscì a tamponare la situazione. Il coordinatore nei territori occupati, Goren, si
incontrò a Gaza con personalità palestinesi per discutere il "piano Rabin",
che contemplava una soluzione negoziata sul futuro della regione. Ma, in contrasto con
queste premesse, in giugno il ministro israeliano della Difesa Rabin ottenne maggiori
poteri repressivi nella zona occupata. Nel
1991 la guerra del Golfo (V. GOLFO, GUERRA DEL) coinvolse direttamente
I., oggetto di
bombardamenti iracheni. Saddam intese ottenere, con l'intervento di
I. nella
coalizione antirachena, l'entrata in guerra al suo fianco dei Paesi arabi ostili
agli Israeliani. Il premier Shamir, tuttavia, non reagì alle provocazioni
irachene e affermò ripetutamente la neutralità di
I.
Continuarono intanto nel Paese le manifestazioni dell'Intifada e gli attentati
da parte di gruppi di Palestinesi. Alla fine del 1991 si aprirono però
nuove speranze di pace per
I. e per tutto il Medio Oriente: nella conferenza
di pace di Madrid (poi trasferita a Washington) Arabi ed Ebrei, per la prima volta
allo stesso tavolo, si impegnarono a trovare soluzioni pacifiche al loro conflitto.
Le speranze in tal senso ricevettero una spinta dalla fine della guerra fredda,
che permise il ristabilimento di relazioni diplomatiche con l'URSS (interrotte
sin dal 1967), la Cina e la maggior parte dei Paesi africani. Nell'aprile 1992,
in seguito a elezioni anticipate, il Partito laburista si aggiudicò
la maggioranza dei seggi in Parlamento e relegò all'opposizione la
destra. Primo ministro diventò Rabin, che diede un nuovo impulso alle
trattative di pace con gli Arabi. Nel settembre 1993 Rabin e il presidente
dell'OLP Arafat si incontrarono a Washington per firmare degli accordi preliminari,
che stabilirono il reciproco riconoscimento delle due entità politiche e
la prima scansione di atti concreti per la realizzazione di un'autonomia,
amministrativa prima e politica poi, dei territori di Cisgiordania e della
striscia di Gaza. Durante il 1994, pur fra aspre polemiche interne e un
susseguirsi di attentati, il dialogo israelo-palestinese continuò,
portando alla firma degli accordi di Oslo. Contemporaneamente Rabin concluse
un trattato di pace e di cooperazione con la Giordania e avviò colloqui
con la Siria circa la restituzione del Golan in cambio della pace. Durante il 1995,
I. confermò la sua volontà di pace con l'approvazione
dell'accordo detto "Oslo 2", relativo al ritiro dell'esercito israeliano dai territori
palestinesi. Tuttavia tale processo subì un colpo durissimo per l'assassinio,
da parte di un estremista di destra israeliano, di Rabin nel novembre 1995; gli successe
ad interim Peres, che era stato con Rabin il principale fautore del corso di pacificazione.
Lo sgomento del Paese e l'ondata di attentati compiuti dall'organizzazione islamica di Hamas
e dagli hezbollah libanesi causarono in
I. un crescente clima di incertezza. Le elezioni
politiche, previste per il novembre 1996, furono anticipate al maggio e decretarono, a sorpresa,
la vittoria del leader conservatore Benjamin Netanyahu. Si attuò così un'inversione
di tendenza nella politica estera di
I., convalidata dalle prime dichiarazioni del nuovo
premier che sostituì al principio "la terra in cambio della pace", ispiratore degli accordi
con i Palestinesi, l'antica pregiudiziale della sicurezza dello Stato rispetto a qualsiasi trattativa.
Nel 1999, l'elezione del primo ministro laburista Ehud Barak riavviò il processo di pace:
I. riprese il programma di trasferimento dei territori in Cisgiordania all'Autorità
palestinese, annunciò il ritiro dal Libano meridionale e stabilì dei contatti
con la Siria per affrontare il problema del Golan. Rimase invece senza soluzione la questione
dello statuto di Gerusalemme, che sia gli Israeliani, sia i Palestinesi consideravano loro
capitale: su questo punto fallì anche il tentativo di mediazione del presidente
statunitense Clinton a Camp David (luglio 2000). Il 29 settembre 2000 scoppiarono scontri a
seguito della visita effettuata dal leader dell'opposizione Ariel Sharon
alla Spianata delle moschee. Con questo gesto Sharon
intese affermare la completa sovranità di
I. sulla Città Santa,
nodo principale dei negoziati di pace, e abbattere sul nascere ogni tentativo da parte
del premier Barak di cedere parti di essa ai Palestinesi. Iniziò così la
cosiddetta
seconda Intifada. A seguito dell'acuirsi del conflitto, Barak si
dimise e indisse nuove elezioni per il febbraio 2001, che decretarono la nomina
a primo ministro di Sharon. Il neo premier in aprile bombardò insediamenti palestinesi
a Gaza come contromossa nei confronti degli attacchi palestinesi a postazioni civili israeliane.
Gli scontri proseguirono con
attentati, ripercussioni e sparatorie sia da parte palestinese che da parte israeliana. Dopo gli attentati
terroristici dell'11 settembre alle Torri Gemelle e al Pentagono, il 26 settembre Arafat
e Peres si incontrarono a Gaza, dove decisero di impegnarsi per un cessate il fuoco e
per la ripresa di negoziati di pace. Tuttavia, la situazione diventò ancora più
esplosiva. Il 17 ottobre l'ex ministro del Turismo israeliano R. Zeevi venne ucciso a Gerusalemme.
L'omicidio scatenò una serie di manifestazioni culminate nelle incursioni
israeliane in sei centri palestinesi, che causarono decine di vittime. Agli inizi di dicembre
diversi attentati suicidi, messi a segno da membri di Hamas e della Jihad islamica,
provocarono la morte di una trentina di persone. Sebbene Arafat avesse fatto arrestare circa
150 esponenti dei due movimenti estremisti, l'esercito israeliano procedette a una durissima
offensiva contro le città di Gaza e Ramallah. Nel
frattempo gli attentati suicidi crebbero in cruenza. Nel marzo 2002
I.
inviò nuovamente alcune truppe nei territori palestinesi, nell'ambito di un'operazione
denominata "Muraglia di difesa". Ramallah, quartier generale di Arafat, venne assediata.
Nonostante fosse stato messo a punto un piano
di pace dal principe ereditario saudita Abdullah, sottoscritto dalla maggior parte del mondo
arabo,
I. continuò la sua offensiva che, nel mese di aprile, si allargò
fino a comprendere le città di Betlemme, Tulkarem, Jenin, Qalqilya e Nablus.
Il 2 aprile l'esercito israeliano iniziò un lungo assedio (durato 38 giorni) alla
Basilica della Natività di Betlemme, nella quale si erano asserragliati, insieme ai
frati, 150 Palestinesi, miliziani e civili (13 dei quali, accusati da
I. di terrorismo,
vennero trasferiti prima a Cipro, poi in Europa). Dopo il fallimento del tentativo di mediazione
da parte del segretario statunitense Colin Powell in aprile, nello stesso mese
I.
accettò la proposta americana di allentare l'assedio al quartier generale di Arafat
in cambio della consegna di sei Palestinesi, quattro dei quali condannati per l'assassinio
dell'ex ministro Zeevi. Il 16 giugno 2002
I., nella speranza di fermare gli attentati
suicidi palestinesi, diede il via ai lavori per la costruzione di un muro difensivo lungo
la "linea verde" che separa lo Stato ebraico dalla Cisgiordania. Intanto continuavano gli
attentati di stampo palestinese e le rappresaglie israeliane in territori palestinesi.
Contemporaneamente si cercarono soluzioni internazionali, tra cui il piano di pace danese
che prevedeva la creazione di un nuovo Stato palestinese entro il 2005, o gli incontri dei
rappresentanti del cosiddetto "quartetto", ovvero Stati Uniti, Russia, Nazioni Unite e
Unione europea. Il 30 ottobre i laburisti presenti nel Governo decisero di abbandonare
l'Esecutivo per protesta contro le sovvenzioni, previste dalla legge finanziaria del 2003, di
cui avrebbero beneficiato i coloni ebrei abitanti negli insediamenti nei Territori palestinesi.
Sharon provvedette quindi a un rimpasto governativo, offrendo la poltrona
ad interim di
ministro degli Esteri al suo avversario all'interno del Likud, l'ex primo ministro Benjamin
Netanyahu, che rifiutò. Sharon si vide costretto a sciogliere il Parlamento (5 novembre) e a
convocare elezioni anticipate, che si tennero il 28 gennaio 2003. Le votazioni decretarono la
netta vittoria del Likud, il discreto successo del partito di centro (Shinui) e la grave la
sconfitta dei laburisti e del partito ultraortodosso (Shas). Subito dopo la vittoria, Sharon
si orientò, per la formazione del nuovo Esecutivo, verso una coalizione governativa
comprendente membri del Likud, dello Shinui, del Partito religioso nazionale e del
Partito di unione nazionale (di estrema destra); Netanyahu venne nominato ministro
delle Finanze. In seguito alla designazione a premier dell'ANP di Mahmoud Abbas - noto anche come
Abu Mazen - nel febbraio 2003, il quartetto costituito da Stati Uniti, Russia, Unione europea
e ONU si dichiarò disponibile a nuove trattative (rimarcando le distanze da Arafat,
considerato, in particolare dagli Stati Uniti, compromesso con il terrorismo) e mise a punto
il piano di pace denominato "Road Map", che l'amministrazione statunitense consegnò
ad Abu Mazen e a Sharon il 30 aprile. Il 25 maggio il Governo israeliano accettò a
larga maggioranza le misure previste dalla "Road Map", che attraverso tre tappe (fine del
terrorismo e ritiro di
I. dalle zone occupate dal 28 settembre 2000; creazione di uno
Stato palestinese con frontiere provvisorie entro il 2003 e definitive entro il 2005)
avrebbe dovuto portare alla creazione di uno Stato palestinese entro il 2005. In ottobre, in risposta
ai continui attacchi terroristici nel Paese, l'aviazione israeliana compì un'incursione
aerea in Siria contro una presunta base di addestramento per terroristi. Nello stesso mese l'ONU
chiese ufficialmente a
I. di interrompere la costruzione della barriera di sicurezza
lungo la Cisgiordania, iniziata nel giugno 2002. Sempre in ottobre si svolsero le consultazioni
amministrative, che concessero nuovamente fiducia al Likud e al premier Sharon, nonostante
la recessione economica in corso nel Paese. Nel gennaio 2004, durante il congresso del
Likud, Sharon si dichiarò favorevole alla creazione di uno Stato palestinese (subordinato
all'applicazione della "Road Map" e alla costruzione del muro divisorio), aprendo un
dissidio all'interno del suo partito. Le tensioni con i Palestinesi non si arrestarono
e le notizie di attentati e di ritorsioni divennero quasi quotidiane. Sharon
decise allora di mirare ai capi della resistenza palestinese, e soprattutto di Hamas (V.):
nel marzo 2004 uccise il capo e ispiratore di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin (V.) e,
un mese più tardi, il suo sostituto Abdel Aziz Rantisi. La reazione palestinese
non si fece attendere, e neppure quella dell'opinione internazionale, che condannò
duramente i due omicidi. Dopo la scomparsa di Yasser Arafat (novembre 2004) e la nomina
alla presidenza dell'ANP di Abu Mazen (gennaio 2005),
I. e Palestina riaprirono
il dialogo, firmando una tregua al vertice di Sharm el Sheik che rianimò le speranze
di una ripresa del cammino verso la pace. Se Abu Mazen si impegnò a fermare gli attacchi
suicidi e a contrastare gli estremisti, da parte sua Sharon, che da gennaio era a capo
di un nuovo Governo di unità nazionale con la partecipazione dei laburisti, acconsentì
di riportare sotto il controllo dell'ANP Gerico e Tulkarem (marzo 2005). Nei mesi
seguenti, tuttavia, il dialogo entrò ancora in crisi: il premier israeliano fu aspramente
contestato dai coloni e dai partiti di destra, che non condividevano il suo piano di
smobilitazione nei Territori; Abu Mazen dovette affrontare il duro dissenso dei
movimenti radicali palestinesi, Hamas e Jihad in testa, che proseguirono negli attacchi
contro
I. Le proteste contro lo sgombero degli 8.000 coloni ebrei della Striscia
di Gaza, iniziato ad aprile e terminato a settembre, fu causa di forti tensioni tra
il Likud e Sharon, che portarono all'uscita dal partito del premier. L'ex generale fondò
un nuovo gruppo politico denominato Kadima (Avanti), a cui aderirono sia esponenti
provenienti dal Likud sia esponenti laburisti, tra cui Shimon Peres. Nel gennaio 2006,
in seguito all'ictus che colpì Sharon, la
guida del Paese fu assunta ad interim da Ehud Olmert (divenuto nel frattempo anche leader
di Kadima), che venne confermato nell'incarico nelle consultazioni di marzo. Il
Governo del neo primo ministro, formato da Kadima, Partito laburista, Shas e Partito
dei pensionati, si trovò a fronteggiare una situazione incandescente a causa della
vittoria elettorale in Palestina dei radicali islamici di Hamas (gennaio 2006), favorevoli
alla cancellazione dello Stato di
I.. Olmert avviò contatti con Abu Mazen allo
scopo di riaprire i negoziati di pace, ma nel contempo riprese i raid e le incursioni
che provocarono la morte di esponenti di Hamas, Jihad, Fatah e di numerosi civili.
In un clima di guerra civile, a causa delle tensioni tra Fatah e Hamas, e di
minaccia di guerra aperta tra
I. e ANP, uno spiraglio si aprì in giugno,
quando Abu Mazen presentò un documento di riconciliazione nazionale, detto "Documento
dei prigionieri" in quanto elaborato da esponenti di Hamas, Fatah, Fronte popolare per
la liberazione della Palestina e Jihad detenuti in carcere, in cui si proponeva la
creazione di un Governo di unità nazionale in vista della nascita di uno Stato palestinese
nei confini preesistenti alla guerra del 1967, con il conseguente riconoscimento di
I.
Approvato da Fatah, il documento fu respinto da Hamas. A fine giugno le ostilità tra
Israeliani e Palestinesi ripresero con maggiore vigore: in risposta alle uccisioni
mirate israeliane, i miliziani delle Brigate al Qassam, il braccio armato di Hamas,
lanciarono missili sulla cittadina di Sderot, nel Sud d'
I., ed effettuarono
un raid in territorio israeliano assassinando due soldati e rapendone un terzo, per
la liberazione del quale chiesero il rilascio di tutte le donne e i minorenni palestinesi
reclusi in carceri israeliane.
I. si rifiutò di trattare e mise in atto
un'offensiva con raid aerei nella Striscia di Gaza e arresti in Cisgiordania di ministri
di Hamas e di decine di parlamentari del movimento estremista. In questo clima di grande
tensione, a luglio riesplosero le ostilità tra
I. e Libano: dopo il lancio di
missili su
I. da parte di Hezbollah, che si rese altresì responsabile di un
attentato a una pattuglia di soldati israeliani che provocò la morte di otto militari e
la cattura dei due superstiti, Tel Aviv lanciò un'offensiva militare contro Beirut, di
cui vennero distrutti alcuni quartieri ritenuti roccaforti degli Hezbollah, causando
centinaia di morti e la distruzione dell'aeroporto e delle vie di comunicazione del
Paese, in particolare l'autostrada di collegamento con il confine siriano. La situazione
precipitò dieci giorni dopo l'inizio del conflitto, quando
I. invase via terra il Sud
del Libano, mettendo in atto una spietata offensiva militare che venne condannata dalla
comunità internazionale. Al termine di 34 giorni di guerra (11 luglio - 13 agosto 2006), costati
la vita a più di 1.000 Libanesi e a circa 160 Israeliani (di cui 41 civili), venne applicata
la risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU in seguito alla quale entrò in vigore
la sospensione immediata delle ostilità. Le operazioni di disarmo degli Hezbollah nel Sud del
Libano e di ritiro progressivo delle forze militari israeliane dai territori occupati nei
giorni di guerra tra luglio e agosto furono demandate a una forza multinazionale
d'interposizione sotto l'egida dell'ONU. In ottobre
I. fu scossa
dallo scandalo che vide implicato il presidente della Repubblica Moshe Katsav, chiamato
a rispondere di stupro e molestie sessuali nei confronti di
sue ex assistenti, nonché di frode e di non collaborazione con la
giustizia israeliana. Katsav fu così indotto dal premier Olmert a dimettersi temporaneamente
dalla massima carica dello Stato nel gennaio 2007, in attesa che si facesse chiarezza
sulla sua posizione. Il suo posto fu preso ad interim dalla presidentessa
del Parlamento Dalia Itzik fino al giugno 2007, quando Shimon Peres venne eletto nono presidente
di
I.