Dialogo filosofico di Platone. In quest'opera, così chiamata per
distinguerla dal dialogo
Ippia maggiore o
Del bello, attribuito in
un primo tempo a Platone, ma poi riconosciuto apocrifo, l'autore presenta il
dibattito avvenuto fra Socrate e il sofista Ippia di Elide sulla questione se
sia migliore Ulisse o Achille e quindi, più in generale, su ciò
che si deve intendere per menzogna. Secondo Socrate lo scaltro e bugiardo Ulisse
è senza dubbio migliore di Achille, incapace per natura di mentire in
quanto solo chi è intelligente riesce a far apparire vero ciò che
non è. Infatti, secondo il filosofo ateniese, chi non è
intelligente o non riesce a mentire o, se mente, lo fa inconsciamente, per
ignoranza, mentre chi è intelligente ed avveduto riesce sia a dire la
verità sia a mentire. Ad Ippia, che si ribella a queste conclusione,
Socrate fa osservare che quando Achille mente, lo fa perché non conosce
la verità delle cose, cioè per ignoranza; ora, continua il
filosofo, è certamente migliore chi falla coscientemente (come Ulisse),
che chi falla per ignoranza; alle nuove rimostranze di Ippia, Socrate ammette di
non essere in realtà nemmeno lui tanto convinto di quanto ha sostenuto, e
così il dialogo si chiude. In quest'opera, che appartiene al periodo
così detto "socratico" di Platone, quando cioè il filosofo
ateniese, ancora giovane, si limitava nei suoi dialoghi ad esporre le dottrine
del maestro, si dimostra, in modo indiretto e in verità un po' tortuoso,
la teoria di Socrate secondo cui si pecca solo per ignoranza e che quindi l'uomo
che possiede la scienza si volge al bene; tuttavia, anche se scegliesse di fare
il male, sarebbe in ogni caso superiore all'ignorante. L'
I. è
considerato, quasi unanimemente, uno dei meno interessanti fra i dialoghi
platonici.