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Integrale.

Totale, completo. • Mat. - Nell'analisi matematica la nozione di i. di una funzione rappresenta uno dei concetti fondamentali dell'analisi infinitesimale. La sua enunciazione in termini sufficientemente rigorosi risale a P. Mengoli (1626-1686). Dopo di lui un importante contributo fu portato da A. Cauchy (1821) e da altri illustri nomi quali Riemann, Gauss e Lebesgue. La sistemazione che oggi viene considerata definitiva è dovuta a Lebesgue (1902); tuttavia per chiarezza di esposizione è bene riferirsi alla primitiva esposizione di Mengoli, ampliata poi da Cauchy, alla quale ci si riferisce abitualmente col nome di i. secondo Mengoli-Cauchy. Al termine dell'esposizione sarà dato un breve cenno alle definizioni più recenti e più complete. Ricordiamo solo brevemente che tre furono i principali problemi che imposero la ricerca di uno strumento di calcolo quale il calcolo i., cioè il calcolo degli i. delle funzioni ovvero la loro integrazione, precisamente: 1) Il problema della determinazione delle aree piane. 2) Il problema della determinazione dello spazio percorso da un punto che si muove con velocità nota ma non costante. 3) Il problema della determinazione della funzione primitiva F(x) di una funzione f(x) data. Ricordiamo che la funzione F(x) della variabile indipendente x è la funzione primitiva della f(x) se la derivata di F(x) rispetto ad x è appunto la f(x). Sotto questo punto di vista l'operazione d'integrazione si mostra come l'operazione inversa della derivazione, cioè dell'esecuzione della derivata. Si deve notare che nella ricerca della quadratura o determinazione dell'area di una qualsiasi superficie piana si deve anzitutto definire che cosa s'intende con il concetto di area. Storicamente questo fu per un certo periodo considerato intuitivo, ma ad una critica più profonda si dimostrò tanto incerto che oggi l'area è definita utilizzando proprio il concetto d'i., definito astrattamente. Nell'esposizione verrà però considerato il concetto di area come noto dai testi di Geometria elementare, correlando ad esso il significato geometrico dell'i. ║ I. definito secondo Mengoli-Cauchy: sia f(x) una funzione (sottintendiamo reale e di variabile x pure reale) definita in un certo intervallo (a, b) con:

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Suddividiamo l'intervallo (a, b) in n intervalli z1, z2, z3, ..., zn, avente ampiezza non necessariamente uguale fra loro. Diremo z1, z2, ..., zn anche l'ampiezza di questi intervalli. Consideriamo ora il generico intervallo zi ed un qualsiasi valore fi assunto dalla funzione f(x) nell'intervallo considerato. Eseguiamo ora i prodotti zi·fi per tutti gli n intervalli e diciamo S la somma di questi prodotti. Si avrà, usando il simbolo di sommatoria, l'uguaglianza:

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È intuitivo che la somma S non è unica, anzi ne esiste un'infinità. Questo è dovuto sia al fatto che la scelta di fi nell'intervallo zi è arbitraria sia al fatto che la suddivisione dell'intervallo (a, b) negli intervalli zi, ..., zn è del tutto arbitraria. Consideriamo ora il limite della somma S quando tende a zero l'ampiezza del maggiore degli intervalli z, che diremo zj; sia I questo limite:

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Se questo limite I esiste ed è unico per tutte le somme S che si possono costruire, diremo che la funzione f(x) è integrabile nell'intervallo (a, b) e chiameremo I i. della f(x) o, più esattamente, diremo che I è l'i. definito della funzione f(x) fra a e b. Simbolicamente si scriverà:

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La parte destra dell'uguaglianza si legge i. fra a e b di f(x) in dx. Il significato di questa grafia è semplice: f(x) è la funzione integranda, sulla quale si esegue l'operazione d'integrazione; dx è il suo differenziale (V. DERIVATA); il simbolo

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è una deformazione della lettera S e ricorda come l'i. sia una somma di (infiniti) termini; infine a e b sono i limiti dell'i. o limiti d'integrazione. L'intervallo (a, b) si dice intervallo d'integrazione; a è detto anche primo limite o limite inferiore, mentre b è detto anche secondo limite o limite superiore. Naturalmente al posto delle lettere usate nell'esempio ne possono essere impiegate delle altre, sia per i limiti che per la variabile indipendente. Di solito questa viene chiamata con una delle ultime lettere dell'alfabeto (x, y, z, t, w, ecc.) o con una lettera greca. È invece unificata su tutti i testi la scrittura del simbolo di i. e la scrittura del differenziale, ottenuto premettendo una d alla variabile indipendente (ad es. dx, dy, dz, ecc.). È importante notare il significato del limite per mezzo del quale si è definito l'i. Esso va inteso in questo senso: è possibile determinare un

η > 0

tale che per qualsiasi suddivisione dell'intervallo (a, b) in parti aventi ampiezza minore di η valga sempre la disuguaglianza

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(in valore assoluto), con ε positivo e piccolo a piacere. Osserviamo ancora alcune proprietà intuitive (e del resto facilmente dimostrabili) dell'i. A) Proprietà additiva. Se c è un punto interno all'intervallo (a, b), cioè se è:

INSTILLA07.pngsi ha che:
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B) I. su intervallo nullo: se b coincide con a (cioè b = a), il valore dell'i. è nullo. Vale a dire che:

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Infine occorre ricordare che per definizione si ha che:

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cioè: scambiando fra loro i limiti l'i. definito cambia segno. Questa definizione è essenziale per rendere il calcolo i. meglio rispondente alla realtà della fisica. ║ Funzioni integrabili: il calcolo dell'i. nel modo in cui è stato definito non è né semplice né sempre possibile, onde ad esso si ricorre raramente. Dato che il calcolo di un i. può in certi casi risultare complesso anche con gli artifici che saranno esposti in seguito, riveste notevole interesse la possibilità di discriminare a priori le funzioni che ammettono un i., cioè sono integrabili su un certo intervallo, da quelle che non lo sono. L'enunciazione delle condizioni d'integrabilità e la loro dimostrazione in forma molto generale è dovuta a B. Riemann (onde si parla talvolta di i. secondo Mengoli-Cauchy-Riemann), ma è alquanto complessa. Più intuitive sono invece le condizioni nella formulazione classica (anche se meno rigorosa) di Mengoli-Cauchy. Affinché una funzione f(x) sia integrabile su un certo intervallo (a, b), posto all'interno del suo campo di definizione, deve essere limitata in tutti i punti di quell'intervallo. Vale a dire che se M è un numero grande a piacere ma finito, vale la condizione

|f(x)| < M

per tutti gli x compresi fra a e b. In particolare una funzione è integrabile su un intervallo (a, b) se in esso essa è continua o almeno generalmente continua, intendendo con quest'ultima definizione una funzione che presenta nell'intervallo (a, b) considerato un numero finito di discontinuità. Se infatti c è un punto interno all'intervallo (a, b), con

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si può considerare l'i. come limite di una somma di due i.:

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come si può dimostrare. Nel seguito si sottintenderà sempre che qualsiasi funzione scritta sotto il segno di i. sia integrabile. ║ Proprietà dell'i. infinito: oltre alla proprietà additiva, già vista, ne esistono altre degne di nota. Ricordiamo solo le principali. La proprietà distributiva si può esprimere con la seguente uguaglianza:

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essendo k una costante. In termini più correnti si dirà che una costante moltiplicativa può essere portata fuori o portata sotto il segno di i. Come corollario di questo si ha che, se la costante in causa è -1, vale la proprietà:

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Sempre applicando la proprietà distributiva, si può dire che l'i. di una funzione f(x) che sia somma di due funzioni g(x) ed h(x) è uguale alla somma degli i. delle due funzioni, naturalmente estesi allo stesso intervallo. In simboli:

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Naturalmente questo è generalizzabile al caso in cui f(x) non sia riconducibile alla somma di due sole funzioni, ma sia la somma (algebrica) di più di due funzioni. Invece l'i. di una f(x) prodotto di due (o più) funzioni è ben diverso dal prodotto degli i. delle singole funzioni, come si vedrà poi. Il teorema della media per l'i. definito afferma che, se f(x) e g(x) sono due funzioni integrabili in un certo intervallo (a, b) e se in questo la g(x) è sempre positiva o sempre negativa, vale l'uguaglianza:

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essendo w un valore numerico compreso fra il massimo ed il minimo valore assunti dalla f(x) nell'intervallo (a, b). Se si considera poi il caso particolare in cui la g(x) sia una costante ed in particolare l'unità, si ha come corollario che

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vale a dire che qualsiasi i. definito può ricondursi come valore numerico al prodotto fra l'ampiezza dell'intervallo d'integrazione (b - a) ed un valore assunto dalla funzione (nello stesso intervallo) opportunamente scelto. ║ Funzione i.: l'i. definito è stato finora considerato come un algoritmo da eseguirsi solo fra due estremi prefissati, costituenti l'intervallo d'integrazione. Si può anche considerare il caso in cui uno degli estremi non sia una costante, ma sia la variabile stessa d'integrazione. Si faccia l'esempio del limite superiore (il ragionamento è identico anche per quello inferiore, con un cambiamento di segno). È evidente che in questo caso il valore dell'i. non sarà più un numero: esso varierà al variare del limite superiore (che è x) e quindi sarà una funzione di x che diremo F(x), funzione i. di f(x). Avremo pertanto l'uguaglianza:

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Sotto condizioni abbastanza generali (ad es. che la f(x) sia continua su un certo intervallo), la F(x) risulta derivabile sullo stesso intervallo e la sua derivata è proprio la f(x). Vale a dire che:

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In questo senso l'operazione d'integrazione può essere considerata inversa di quella di derivazione, naturalmente sotto le condizioni dette. In tal caso si dirà che la F(x) è una primitiva (o funzione primitiva) della f(x). Osserviamo però che come la F(x) è una primitiva della f(x), allo stesso modo lo sono anche altre infinite funzioni F*(x) = F(x) + C essendo C una costante. Infatti nell'operazione di derivazione la costante scompare, onde è sempre verificato che:

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Possiamo quindi concludere che la ricerca della primitiva di una funzione, ottenuta con un'operazione d'integrazione, non porta mai ad un risultato univoco, ma soltanto ad un'infinità di soluzioni, differenti fra loro per una costante. ║ I. indefinito: alla funzione primitiva F *(x) che non è unica ma rappresenta un'infinità di funzioni differenti fra loro per una costante si dà il nome d'i. indefinito. Questo sarà dunque dato dall'espressione:

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ove C è una costante arbitraria, che rappresenta la differenza fra l'i. indefinito e la funzione i. Convenzionalmente l'i. indefinito di una funzione viene scritto nel seguente modo:

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senza i limiti d'integrazione. Per quanto sopra detto circa il rapporto fra derivazione ed integrazione si ha che le due operazioni sono l'una inversa dell'altra. Vale a dire che:

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La successione di un'operazione d'integrazione ed una di derivazione (o viceversa) applicata ad una funzione produce ancora la funzione stessa. Si tenga però presente sempre che l'i. indefinito è sempre una funzione definita a meno di una costante che dal punto di vista matematico è sempre indeterminata mentre dal punto di vista fisico può essere quantizzata. ║ Formula di Torricelli: si può dimostrare che il calcolo di un i. definito può essere ricondotto al calcolo di un i. indefinito. La formula di Torricelli afferma infatti che il valore di un i. definito di una f(x) nell'intervallo (a, b) è pari alla differenza tra il valore della F(x), primitiva della f(x), calcolato per x = b ed il valore della stessa primitiva calcolato per x = a. Pertanto:

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È facile dimostrare che il valore dell'i. definito è anche uguale al valore dell'i. indefinito calcolato per x = b diminuito del valore dello stesso i. per x = a, cioè alla differenza F(b) - F(a). Infatti la differenza fra F(b) o F(a) ed il valore dell'i. indefinito calcolato negli stessi punti consiste solo nella costante C, ma questa si annulla nella differenza. Infatti:

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Se diciamo ancora F* (x) l'i. indefinito della f(x) avremo, con una notazione di uso pressoché universale:

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Tutte le espressioni a destra del primo segno di uguaglianza sono soltanto diversi modi di scrivere la stessa cosa. È molto importante la distinzione fra i. definito ed i. indefinito, che a prima vista può sembrare una sofisticazione. Si deve però tenere ben a mente che l'i. definito rappresenta un numero, mentre l'i. indefinito è una funzione della variabile indipendente. Mentre il primo produce un risultato numerico (e quindi il suo calcolo può anche essere fatto in modo approssimato, a mezzo di calcoli numerici o grafici), il secondo rappresenta l'operazione inversa della derivazione. ║ Condizioni al limite: nel calcolo di un i. definito si è visto come la questione della definizione del valore dell'i. indefinito a meno di una costante sia inessenziale in quanto nella differenza fra il valore dell'i. indefinito calcolato per i due estremi del campo d'integrazione la costante si elide. Nel calcolo di i. indefiniti, allorché la funzione che in tal modo si ottiene ha un preciso significato fisico, si pone sovente il problema di determinare numericamente il valore della costante. Consideriamo un esempio. La quantità di cariche elettriche che un condensatore elettrico immagazzina in un certo tempo è data dall'i. della corrente I(t) funzione del tempo t nell'intervallo di tempo considerato. Genericamente potremo risalire a questo anche intuitivamente, pensando alla definizione d'i. secondo Mengoli-Cauchy: se dt è un piccolo intervallo di tempo in cui la corrente I(t) ha un certo valore, che si può considerare costante, dato che dt è per ipotesi molto piccolo, la quantità di carica che si accumula in quell'intervallo sul condensatore è appunto I(t) · dt. La quantità totale di carica che si accumula sul condensatore in un certo intervallo di tempo (t0, t1) è naturalmente la somma di tutti questi piccoli contributi nell'intervallo considerato. Pertanto la carica Q accumulata in quel tempo sarà:

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Consideriamo il caso in cui si voglia sapere l'andamento della quantità di cariche accumulate in funzione del tempo e non su un solo intervallo. In tal caso si deve integrare non fra t0 e t1 ma fra t0 ed il generico istante t. Pertanto la carica Q accumulata sarà data da un i.:

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ove C è la solita costante d'integrazione, che a questo stadio non è nota. Avremo quindi che Q è noto a meno della costante C. In questo caso, se si vuol dare un valore (ed un significato fisico) a C basta pensare che t coincida con t0 (cioè con l'istante di riferimento, al quale inizia l'esame dell'andamento dell'accumulo delle cariche). In questo istante sia Q0 (nota) la quantità di carica esistente sul condensatore. Potremo allora scrivere che:

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Tenendo conto che il valore dell'i. ora scritto è nullo per quanto prima detto (e anche per il teorema della media, essendo nullo l'intervallo d'integrazione), si ricava che C = Q0. Avremo quindi che la legge di accumulo delle cariche è la seguente:

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e che non presenta più ambiguità. Osserviamo che siamo pervenuti a questa specificazione della costante C imponendo che per t = t0 si avesse Q = Q0. Una tale imposizione si dice condizione al limite o condizione al contorno per il solo fatto che in generale simili condizioni vengono poste o sul limite minimo o sul limite massimo dell'i.: nulla vieta che vengano poste invece in un punto qualsiasi dell'intervallo d'integrazione. Il caso di dover calcolare la costante d'integrazione è molto comune nei problemi fisici; tuttavia non mancano casi in cui la sua conoscenza è inessenziale. Ad es. la definizione di entropia di un sistema viene fatta attraverso un i.:

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ove S è l'entropia, Q il calore fornito reversibilmente al sistema e T la temperatura alla quale è fornito. Evidentemente non sarà mai possibile conoscere esattamente (se non con una condizione al contorno) l'entropia di un sistema: in quasi tutti i casi però interessano solo variazioni di entropia. Si può quindi porre che l'entropia sia nulla ad uno stato di riferimento, ad es. lo stato di cristallo perfetto (principio di Nernst). ║ L'i. come quadratura di superfici: assegnata una certa regione di un piano, che descriveremo con le coordinate cartesiane (x, y), si abbia in essa una regione R chiusa da una linea di contorno di forma qualsiasi ma chiusa. Dalla geometria elementare è noto il concetto di area di tale regione di piano per i poligoni. Se la R ha una forma qualsiasi, è sempre possibile calcolarne l'area o, come anche si dice, eseguirne la quadratura, suddividendola in poligoni. Se A è l'area, è possibile quadrarla approssimativamente sia con poligoni inscritti (quadratura per difetto) sia con poligoni circoscritti (quadratura per eccesso). Sia Ad la prima quadratura ed Ae sia la seconda; si può dimostrare che:

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come si può anche dimostrare che, dato un numero ε > 0 piccolo ad arbitrio, è possibile eseguire le due quadrature in modo che sia verificata la disuguaglianza:

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In questo modo è possibile calcolare l'area di R con una precisione tanto spinta quanto si vuole, dato che ε è arbitrario ed A può scostarsi al più di una quantità ε da Ae o da Ad. Si può anche dimostrare che una qualsiasi regione R come detto può essere suddivisa in trapezoidi (quadrilateri aventi tre lati rettilinei, due dei quali paralleli fra loro e normali al terzo) o a triangoli curvilinei aventi due lati rettilinei fra loro perpendicolari. Il problema della quadratura di R si può dunque ricondurre ad una somma (algebrica) di aree di simili poligoni o di poligoni regolari. Nel trattare la quadratura di figure piane a mezzo dell'i. ci si può quindi anche limitare a questo caso. Nel seguito tratteremo quindi questi due casi (che sono riducibili ad uno solo in quanto il triangolo sopra detto non è che un quadrilatero curvilineo avente uno dei due lati paralleli di lunghezza nulla). Si consideri il caso di un trapezoide [V. fig.]; si scelgano gli assi di riferimento come in figura. La linea curva può in tal modo essere espressa nella forma di una funzione della variabile x assunta come indipendente, cioè come:

y = f(x)

Nulla vieterebbe però di esprimerla nella forma duale x = g(y), assumendo come variabile indipendente la y. La funzione y = f(x) sarà definita in un certo campo dell'asse x, precisamente fra due valori x = a ed x = b. Consideriamo di suddividere l'intervallo (a, b) in un certo numero di intervalli, il maggiore dei quali abbia ampiezza z*. Costruiamo ora due particolari somme (fra le infinite possibili, v. sopra) dei prodotti fra le ampiezze degli intervalli ed un valore assunto dalla funzione in quello stesso intervallo. Sia Smax la somma ottenuta assumendo come valore della funzione il massimo che essa assume in ogni intervallo ed Smin la somma ottenuta assumendo volta a volta il minimo valore che la funzione assume nell'intervallo. Da un punto di vista geometrico [V. fig.] la Smax equivale all'area dello scaloide esterno, mentre la Smin equivale all'area dello scaloide esterno della funzione. Se S è l'area del trapezoide, si può dimostrare che:

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Ma, per quanto prima detto, se la f(x) è integrabile, facendo tendere z* a zero, entrambe le somme Smin ed Smax devono tendere ad un unico limite, che è l'i. della f(x) sull'intervallo (a, b). Dato che il limite comune dell'area dei due scaloidi non può che essere l'area S del trapezoide, appare chiaro che questa area s'identifica numericamente proprio con l'i.:

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già precedentemente definito. Se poi si riesce a calcolare la primitiva F(x) della f(x) il calcolo dell'area è immediato:

S = F(b) - F(a)

Il calcolo dell'area, se si è in grado di calcolare la primitiva, è assolutamente esatto; allorché non si può fare questo, si ricorre ai metodi approssimati del calcolo numerico o del calcolo grafico. Il calcolo della quadratura si può anche fare per una regione di forma qualsiasi senza suddividerla in trapezoidi. Sia R la figura posta in un certo piano; se essa è tutta racchiusa da una linea chiusa, è sempre possibile tracciare due assi cartesiani tali che R stia tutto nel primo quadrante (questa condizione semplifica il calcolo, ma non è vincolante). In queste condizioni si potrà sempre tracciare due (e solo due) rette tangenti alla curva che delimita R e perpendicolari all'asse x; queste divideranno la linea contorno di R in due parti, una superiore e l'altra inferiore. Supponiamo note le due funzioni y = g(x) ed y = h(x) che rappresentano queste due curve; esse saranno definite in un intervallo (a, b), essendo x = a ed x = b il punto d'intersezione delle due tangenti con l'asse x. Si può allora vedere che l'area di R è data dall'area del trapezoide compreso fra y = g(x), l'asse x e le due tangenti, diminuita dell'area del trapezoide compreso fra la y = h(x), l'asse x e le due tangenti. Passando agli i., l'area A di R sarà data da:

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ovvero, applicando la proprietà distributiva, sarà data da:

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Esempio numerico: si consideri ad es. il caso di dover calcolare l'area compresa fra una parabola avente equazione y = x² - 2x + 2 e la retta y = x [V. fig.]. Cominciamo col calcolare i punti d'intersezione delle due curve, trovando le soluzioni del sistema:

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È facile verificare che le due soluzioni cercate sono:

INSTILLA39.png INSTILLA40.png

Come si vede, questi due valori della x (1 e 2) costituiscono i nostri punti a e b, limiti di integrazione. Applicando la formula sopra vista e tenendo conto delle regole di integrazione che saranno viste poi, si ottiene per la superficie A:

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Come si vede la quadratura viene ottenuta in modo preciso con un'operazione relativamente semplice ║ I. indefiniti elementari: il calcolo di un i., supposta integranda la funzione considerata, può essere fatto secondo quanto esposto nella definizione dell'i. stesso; questo metodo però è estremamente laborioso. Si preferisce quindi calcolare gli i. indefiniti delle più comuni funzioni elementari e tentare di ricondurre poi a questi gli i. più complessi, attraverso una serie di regole di integrazione. Molti di questi i. possono esser visti direttamente come presi dalla tabella delle derivate delle funzioni elementari. In effetti per verificare se un qualsiasi i. di f (x) è corretto, basta derivarlo rispetto ad x e vedere se si ritrova proprio la f(x). Ad es. se si ha f(x) = x, l'i. è ½ x2+ C (ove C indica una costante). Derivando questa espressione con le regole note (V. DERIVATA) si ottiene di nuovo x, cioè f(x). Riportiamo qui di seguito la tabella degli i. indefiniti delle funzioni elementari.

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Come si vede alcuni degli i. della tabella sono casi particolari di altri; sono però stati riportati per facilitare la ricerca. I testi di tavole matematiche riportano in generale un'ampia raccolta d'i. indefiniti già calcolati, che coprono la maggior parte dei casi che si presentano. Negli altri casi si possono applicare le regole di cui al punto seguente per riportare la funzione integranda in una forma tale per cui il problema si riconduce al calcolo d'i. elementari comunque già tabulati. ║ Regole d'integrazione: alcune regole sono abbastanza semplici; le enunciamo semplicemente senza dimostrazione. A) Integrazione per parti. Se la funzione f(x) integranda è esprimibile come combinazione lineare di due (o più) funzioni g(x) ed h(x), cioè se vale una relazione:

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(con c1 e c2 costanti) l'applicazione della proprietà distributiva già vista porta a dire che:

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Come corollario di questo si ha la risoluzione immediata delle funzioni razionali, cioè esprimibili nella forma:

f(x) = a0xn + a1xn-1 + ..... + an

L'applicazione della regola conduce infatti alla risoluzione di n i. elementari. B) Integrazione per parti. Sotto certe ipotesi abbastanza generali, se la funzione integranda f(x) può esprimersi come prodotto di due funzioni, cioè se vale:

f(x) = g(x)·h(x)

detta G(x) una primitiva di g(x) ed H(x) una primitiva di h(x), si può scrivere che:

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e inoltre:

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ovvero, per simmetria:

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essendo g'(x) ed h'(x) le funzioni derivate della g(x) e della h(x) rispettivamente. Se nel primo caso chiamiamo g(x) fattore finito ed h(x)dx fattore differenziale, mentre nel secondo chiamiamo fattore finito h(x) e fattore differenziale g(x)dx, possiamo dire che l'i. di una funzione prodotto di un fattore finito per un fattore differenziale è pari al prodotto del fattore finito per una primitiva del fattore differenziale diminuito dell'i. del prodotto fra la primitiva del fattore differenziale ed il differenziale del fattore finito. Nell'applicazione di questo metodo occorre avere una certa accortezza nella scelta di quale funzione [h(x) o g(x)] classificare come fattore finito e quale come fattore differenziale. È infatti evidente che l'integrazione viene semplificata solo se l'i. che appare a destra del segno di uguaglianza è più semplice di quello di partenza. C) Integrazione per sostituzione. Sia f(x) una funzione integranda; introduciamo un'altra variabile w tale che:

x = g(w)

Si può allora dimostrare l'uguaglianza:

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Se poi oltre ad esistere la funzione x = g(x) derivabile esiste anche la funzione inversa

w = h(x)

i calcoli risultano semplificati. Si debba ad es. eseguire il seguente i.:

INSTILLA50.png

Si ponga:

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allora si ha che:

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differenziando questa espressione si ha:

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ove a destra dell'uguale compare proprio l'equivalente del g'(w)dw. Allora, sostituendo nell'i. di partenza si passa all'i.:



Sostituendo in questa espressione il valore della w, cioè

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si ottiene la soluzione. Sovente, se si tratta d'integrazione definita, è più conveniente cambiare i limiti d'integrazione piuttosto che compiere questa operazione. Ad es. supponiamo che l'i. di partenza fosse limitato fra x = 1 ed x = 6. Allorché la x assume questi valori, la w assume rispettivamente i valori

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e
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Pertanto si può operare la trasformazione dei limiti e risolvere l'i. come se fosse un i. in w e non in x:

INSTILLA58.png

È da notare che queste regole semplificano, se usate con accortezza, l'esecuzione degli i., ma non risolvono tutti i problemi. D'altra parte non sempre gli i. sono risolubili: trattandosi di un'operazione inversa (rispetto alla derivazione, che può considerarsi un'operazione diretta) si dimostra che essa non può essere risolta in ogni caso. Vale a dire che se la funzione integranda f(x) è definita in una certa classe di numeri, non è detto che nella stessa classe esista una sua primitiva. Sovente anzi l'esecuzione d'i. porta a funzioni trascendenti anche non del primo ordine o addirittura è tutt'ora un problema aperto. Per esemplificare semplicemente questo fatto, ricorriamo ad un'analogia. È noto che l'elevamento a potenza è sempre possibile per tutti i numeri della classe dei numeri reali, sia positivi che negativi. Se si vuol compiere l'operazione inversa (l'estrazione di radice) si vede che essa non è sempre possibile nell'ambito dei numeri reali in quanto se il radicando è negativo e l'esponente della radice è pari non può esistere alcuna soluzione nel campo dei numeri reali. Per questa ragione si è creato il campo dei numeri complessi: in esso l'operazione di radice è sempre possibile. Nei casi in cui l'applicazione delle regole d'integrazione ora enunciate non porti ad alcun risultato, si possono seguire diverse strade; vediamo le principali. A) Integrazione per serie. La funzione integranda viene espressa come sviluppo in serie (ammesso che sia possibile); si vanno quindi ad integrare i singoli termini, sommando algebricamente i risultati. B) Integrazione numerica. Questo metodo ha avuto un grandissimo impulso con l'introduzione dei calcolatori elettronici numerici; anzi, il calcolo degli i. più complessi viene ormai fatto principalmente per questa via. I principali artifici per calcolo d'i. e le precisioni più o meno spinte che si possono avere sono oggetto di ampie parti dei trattati di calcoli numerici. C) Integrazione grafica. L'integrazione grafica viene fatta rappresentando la funzione da integrare in una scala opportuna su un foglio ed applicando i metodi dei calcoli grafici. In taluni casi l'integrazione può anche essere fatta a mezzo di strumenti appositi, detti planimetri. Viene utilizzata soprattutto nella tecnica, ad es. nel calcolo delle sollecitazioni, dove in generale non è necessaria una grande precisione. Tutti questi metodi citati sono però approssimati. D'altra parte occorre notare che la precisione di calcolo che essi possono dare è sempre sufficiente (naturalmente va scelto il metodo adatto problema per problema) e che per certi i. anche apparentemente molto semplici come:

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sono gli unici che possono essere applicati, non essendo possibile ridurre questi i. ad una delle forme elementari. ║ I. generalizzati: nell'enunciare le condizioni necessarie affinché una funzione sia integrabile, si è detto che essa deve essere limitata nell'intervallo d'integrazione. Esistono però delle funzioni che, pur venendo meno a questo requisito, sono pure integrabili e dànno come risultato dell'integrazione un valore finito: si parla in questi casi d'i. generalizzato. Senza addentrarci in dimostrazioni, consideriamo un esempio pratico. Si voglia integrare la funzione:

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sull'intervallo (0,4). Mentre per valori maggiori di zero la funzione è limitata, per x → 0 la f(x) tende a + ∞. Di conseguenza viene meno la condizione detta che la funzione sia integrabile su questo intervallo; dimostriamo invece che è integrabile in senso generalizzato. Assumiamo un ε > 0 ma piccolo a piacere, e consideriamo la funzione sul nuovo intervallo (ε, 4), sul quale è integrabile. Si può facilmente vedere che:

INSTILLA61.png

Se facciamo tendere a zero lo ε prima scelto arbitrariamente, abbiamo che:

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come si vede il risultato è finito. È facile vedere che non tutte le funzioni che non sono integrabili lo sono in senso generalizzato: lo sono solo quelle per cui esiste ed è finito il limite dell'i. sopra scritto. Allo stesso modo se la funzione non è limitata in corrispondenza al limite destro, che diciamo b. si può considerare il limite dell'i.:

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ove ε ha il solito significato. Se esso esiste ed è finito, la funzione ammette un i. generalizzato sull'intervallo (a, b). Nel caso poi che la funzione presenti un punto d'infinito in corrispondenza al valore x = c, interno all'intervallo d'integrazione, cioè con

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si possono ripetere le stesse considerazioni sui due i. che si ottengono spezzando il campo d'integrazione in due intervalli (a, c) e (c, b). È possibile fissare dei criteri generali per giudicare se una funzione ammette o no un i. generalizzato su un certo intervallo: si rimanda per questo ai testi di analisi matematica. ║ I. su campi illimitati: si è finora sottintesa che i limiti del campo d'integrazione siano dei valori finiti; è però possibile estendere la trattazione al caso in cui uno o entrambi gli intervalli sono infiniti. Si presentano quindi tre casi:

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Ci si può limitare a trattarne uno, ad es. il secondo: il primo si ricava con un ragionamento analogo mentre il terzo si può ricondurre ai primi due casi spezzando l'intervallo d'integrazione. Sia f(x) una funzione della variabile x; essa è integrabile sull'intervallo (a, + ∞) se, assunto un numero N grande a piacere esiste ed è finito il seguente limite:

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Anche in questo caso esistono dei criteri che permettono a priori di stabilire se la funzione è integrabile su un certo intervallo (infinito) senza dover calcolare il limite sopra visto. Alcuni i. su un campo illimitato hanno una notevole importanza pratica o un importante significato matematico. Ricordiamo brevemente solo i principali:

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Altri casi notevoli possono essere trovati sulle tavole d'i. definiti. Osserviamo che gli i. definiti su un campo illimitato hanno una notevole importanza in fisica. Molti fenomeni hanno un andamento asintotico (ad es. scarica di un condensatore su circuito resistivo) e quindi la condizione di stazionarietà si raggiunge solo in un tempo teoricamente infinito: di qui la necessità d'i. su campi illimitati. ║ Rettificazione di curve: il problema del calcolo della lunghezza di una data curva (o meglio, segmento curvilineo) s'incontra abbastanza spesso in molti campi della fisica. Utilizzando il calcolo i. esso può essere risolto in modo razionale ed il più delle volte anche abbastanza semplice. Sia assegnata una certa curva C, definita nello spazio cartesiano x, y, z mediante la rappresentazione parametrica:

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Si voglia calcolare la lunghezza di un arco di C compreso fra due punti A e B corrispondenti ai valori a e b del parametro t. Occorre anzitutto un criterio per stabilire se il problema è possibile, cioè se la curva C è rettificabile. Si pensi di suddividere la curva C in n parti mediante n-1 punti arbitrari. Si tracci la spezzata che, avendo origine in A e passando per tutti gli n-1 punti termina in B. Siano l1, l2, ..... ln le lunghezze dei segmenti di questa spezzata e sia l* la maggiore fra queste lunghezze. Costruiamo la somma:

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avendo indicato con 1i la lunghezza del generico segmento della spezzata. È evidente che di tali somme L* se ne possono costruire infinite. Se al tendere a zero della l* (e quindi al tendere di n ad ∞) esiste un unico limite, comune a tutte le somme L*, che diremo L, la curva C è rettificabile nel tratto A, B e L è la sua lunghezza. Si dimostra che nel caso in cui nell'intervallo (a, b) le funzioni x(t), y(t) e z(t) sono continue insieme con le loro derivate prime x'(t), y'(t) e z'(t), la lunghezza del segmento A, B della curva C è data da:

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Nel caso in cui la curva sia descritta nella forma parametrica vettoriale:

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con t compreso sempre fra a e b e che la funzione INSTILLA73.png sia continua in (a, b) insieme con la sua derivata prima INSTILLA74.png, la lunghezza L del tratto A, B di curva C può anche essere espressa nel modo seguente:

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intendendosi che il prodotto fra i due vettori è scalare. Nel caso particolare di una curva piana data nella solita forma y = f(x), detta f(x) la derivata della f(x), si può dimostrare facilmente che il calcolo della lunghezza del segmento A, B di curva si riduce al semplice i.:

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Ad esempio si voglia calcolare la lunghezza del tratto di parabola y = x² compreso fra l'origine degli assi (x=0) e il punto x = 2√2.
Derivando si ha che y'=2x. Allora:

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avendo risolto l'i. col metodo della sostituzione. ║ I. curvilinei: fino a questo punto sono stati trattati i. di una sola variabile. Esistono però anche i. di funzioni di più variabili. Gli i. curvilinei rappresentano, in caso d'i. di più variabili riconducibili all'integrazione in una sola variabile. Sovente in fisica si pone il problema di valutare il valore di un i. lungo un certo percorso, raffigurabile come una linea in uno spazio cartesiano x, y, z. Questa linea può essere espressa in più modi, precisamente: a) come funzione implicita: f(x, y, z); b) come funzione parametrica di un parametro t, cioè:

x = x(t); y = y(t); z = z(t)

c) come funzione parametrica di una coordinata s data lungo la linea (supposta orientata ed assunta su essa un'origine):

x = x(s); y = y(s); z = z(s)

Osserviamo che alla coordinata s sulla curva C può essere dato un preciso significato. Se la curva C è espressa in funzione di un parametro t., riprendendo quanto detto al punto precedente, si può porre:



se si assume il punto a come origine. Ricordando il significato d'i. indefinito, il secondo membro può scriversi appunto come tale (a meno di una costante). Se ora si derivano entrambi i membri di questa relazione e si dividono poi per il differenziale dt si ricava che:

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Questa formula verrà utilizzata poi. Si voglia ora integrare la funzione f(x, y, z) lungo la linea C, fra i punti A e B aventi coordinate rispettivamente s = a ed s = b. L'i. curvilineo esteso alla curva C, che scriveremo:

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si può dimostrare equivalente all'i. definito:

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ovvero nell'i. definito:

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ove t1 e t2 sono i valori che assume il parametro t, in corrispondenza ai punti A e B e ds/dt ha l'espressione sopra ricavata. Un tipico esempio d'i. curvilineo si ha nel calcolo del lavoro compiuto da una forza in un campo non conservativo. Osserviamo ancora che nella fisica si presenta sovente il calcolo di un i. curvilineo su una linea C chiusa (cioè con A ≡ B); si utilizza in questo caso il simbolo

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Il valore di un tale i. si annulla in certi casi particolari, assai importanti nei problemi di fisica. ║ I. doppi: l'integrazione finora vista considera solo funzioni di una sola variabile indipendente o riconducibili a questo caso. Vi sono però moltissimi casi in cui questo non può avvenire: l'integrazione allora deve essere fatta con rispetto di due variabili indipendenti e l'i. che così si ottiene è detto i. doppio. Sia R una regione del piano x, y, limitata, chiusa e quadrabile, cioè che può essere compresa in un cerchio avente raggio grande quanto si vuole ma finito, che contiene anche i punti della linea di contorno e di cui può essere determinata l'area. Procedendo per analogia con quanto fatto per introdurre l'i. semplice definito, dividiamo la regione R (di area A) in n2 areole mediante una serie di rette parallele all'asse x ed y. Se Ai è la generica di queste areole, consideriamo il prodotto

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essendo xi ed yi le coordinate di un qualsiasi punto di R appartenente all'areola Ai e fi il valore che la f(x, y) assume in corrispondenza a quel punto. Consideriamo ora la somma:

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è evidente che come questa ne possono essere costruite infinite altre. Se al rendere a zero dell'area della massima areola in cui R è stato diviso le infinite somme S * ammettono un limite comune S; questo limite è detto i. doppio esteso alla regione R e si indica con il simbolo

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Corrispondentemente si dice che la funzione f(x, y) è integrabile nella regione R. Anche in questo caso esistono teoremi d'integrabilità delle funzioni, che per semplicità omettiamo di citare. Anche per gli i. doppi si può enunciare un teorema della media: esiste un punto (x0, y0) tale che, se A è l'area della regione R, vale la relazione:

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per tutte le funzioni integrabili nella regione R. ║ Calcolo dell'i. doppio: l'esecuzione di un i. doppio sopra una certa regione R può essere effettuata con una doppia integrazione, integrando prima rispetto ad una variabile (e considerando l'altra alla stregua di una costante) e poi rispetto all'altra variabile (considerando la prima come costante). L'ipotesi di partenza è che la regione R sia descrivibile con le due disuguaglianze seguenti:

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ove a e b sono valori numerici ed f(x) e g(x) sono funzioni della sola x. Allora si può scrivere che:

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intendendo che la prima integrazione da eseguire è quella tra parentesi quadre. Se invece il campo R è descrivibile nel modo seguente:

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ove c e d sono valori numerici e p(y) e q(y) sono funzioni della sola y, la formula d'integrazione diventa la seguente:

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che è simmetrica alla precedente. Nell'esecuzione degli i. doppi è necessario molto sovente ricorrere alla sostituzione di variabili al fine di semplificare il problema. Si è già visto a proposito degli i. di una sola variabile che vale l'uguaglianza

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avendo posto x = g(w) da cui si ricava la funzione inversa w = g*(x). Si osservi che il cambiamento di variabile ha comportato la variazione dei limiti d'integrazione. Un procedimento del tutto analogo può essere adottato per gli i. doppi; naturalmente si dovranno introdurre non una ma due nuove variabili, ad es. u e v e si porrà:

x=g(u,v) y=h(u,v)

La variazione dei limiti significa che la nuova integrazione non sarà più fatta su un campo R*, legato ad R dalle relazioni che intercorrono fra le nuove variabili e le precedenti. Trattando funzioni di più variabili, compariranno le derivate parziali invece che derivate semplici. Introduciamo inoltre un operatore, lo Jacobiano (dal nome del celebre matematico C. G. J. Jacobi, 1804-1851), che indicheremo con il simbolo

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Questo operatore può essere esplicitato sotto forma di matrice in questo modo:

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Se sul campo d'integrazione R* lo Jacobiano è sempre positivo o negativo, allora vale l'uguaglianza:

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che esprime appunto la formula da adottare per il cambiamento di variabili. Uno dei cambiamenti più comuni è il passaggio dalle coordinate cartesiane x, y alle coordinate polari r, ϑ, essendo r il raggio polare e ϑ l'argomento. Le formule di passaggio sono le seguenti:

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Allora lo Jacobiano diventa:

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La relazione prima vista si presenta anche nella forma:

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Il punto delicato dell'operazione di sostituzione sta nella scelta proprio delle funzioni g(u, v) ed h(u, v) e quindi nella scelta della u e della v in modo che la trasformazione dell'i. ne renda effettivamente più semplice la risoluzione. ║ Calcolo dei volumi: l'i. doppio permette la risoluzione del problema di cubare certi solidi, cioè di determinarne il volume. Osserviamo anzitutto che se consideriamo uno spazio cartesiano x, y, z, la funzione

z = f(x, y)

rappresenta in tale spazio una superficie. Inoltre il valore della f(x, y) in ogni punto (x0, y0) rappresenta la lunghezza del segmento di normale al piano xy compresa fra la superficie f(x, y) ed il piano xy stesso. I singoli elementi della sommatoria introdotta per definire l'i. doppio rappresentano tanti volumetti e la loro somma approssima il volume dell'area di un cilindroide delimitato come faccia inferiore dal piano xy (che intercetta su tutta la regione R), come faccia superiore (curva) dalla z = f(x, y) e come pareti laterali dalle normali al piano xy passanti per la curva che costituisce il contorno di R. Il calcolo dell'i. doppio esteso ad R ha appunto il significato geometrico di calcolo del volume di questo cilindroide. È da notare che il calcolo del volume di un solido qualsiasi si può sempre ridurre al calcolo del volume di un siffatto cilindroide, suddividendo opportunamente il solido in parti e scegliendo volta a volta le terne di assi cartesiani convenienti. ║ Altre proprietà dell'i. doppio: accenniamo solo brevemente ad ulteriori sviluppi che si possono fare dell'i. doppio, in analogia con l'i. semplice. Come in quel caso si parlava d'i. di linea, si può in questo caso parlare d'i. di superficie: in una forma opportuna questo assume il significato di calcolo della superficie definita dalla funzione z = f(x, y) che deve naturalmente essere computata entro certi limiti. Inoltre, assegnata una certa regione R del piano xy, sia C la sua linea di contorno. Sotto opportune ipotesi esiste il teorema di Green che stabilisce un legame fra l'i. doppio esteso ad R e l'i. di linea esteso a C (che naturalmente è chiusa). ║ I. tripli e multipli: è immediata l'estensione del concetto d'i. doppio all'integrazione, su una regione T limitata di uno spazio x, y, z, di una funzione di tre variabili f(x, y, z). L'i. triplo si indica col simbolo:

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La generalizzazione può naturalmente essere ancora estesa, passando ad iperspazi numerici a 4 o più coordinate. Per gli i. tripli esiste un'estensione molto importante del teorema di Green, detta teorema della divergenza o di Gauss: sia f(x, y, z) la funzione da integrare su un campo T dello spazio, racchiuso da una superficie continua S. Sia v(x, y, z) un vettore, definito il T, continuo e con derivata prima continua in T. Se diciamo INSTILLA100.png la componente di v normale ad S in ogni suo punto, fra l'operatore divergenza di INSTILLA101.png (in simboli: div INSTILLA100.png) e l'i. di superficie di vn esiste la relazione:

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essendo dV = dxdydz l'elementino di volume di T e dA l'elementino di area di S. Il teorema di Gauss trova importanti applicazioni sia in analisi che in vari problemi di fisica, quali lo studio del moto dei fluidi, la conduzione del calore, l'elettrodinamica e così via. ║ Generalizzazione del concetto d'i.: benché l'enunciato d'i. secondo Mengoli-Cauchy, poi esteso agli i. generalizzati, sia dal punto di vista didattico elementare pienamente valido, il concetto base d'i. è stato più volte rimaneggiato ed esteso da vari matematici. Ricordiamo fra questi T. J. Stieltjes che alla fine del secolo scorso (1894) considerò come funzione integranda non il prodotto di una funzione per il differenziale della variabile indipendente, ma il prodotto di una funzione per il differenziale di un'altra funzione, a variazione limitata. La conseguenza è che il limite della sommatoria da lui definito come i. esiste sempre anche se non necessariamente finito. All'inizio del nostro secolo (1902) H. Lebesgue diede al concetto d'i. una definizione non più estesa ad un campo ma estesa ad un insieme E qualsiasi, purché misurabile e contenuto in uno spazio euclideo, rendendo l'operazione d'integrazione estendibile all'algebra. Allorché si fa riferimento a questi enunciati più generali, si parla anche d'i. secondo Stieltjes e d'i. secondo Lebesgue per distinguerli dall'i. secondo Mengoli-Cauchy.