Commedia di Girolamo Blunda, vincitrice del Premio Pirandello 1973. L'azione si
svolge in un tribunale di Palermo all'epoca di Ferdinando II re delle Due
Sicilie (1810-1859), il noto Re Bomba dei napoletani. Nell'aula si sta
dibattendo una causa civile intentata da un letterato contro la famiglia di un
cardinale che gli aveva commissionato l'epigrafe posta sulla tomba del defunto
presule, scritta funeraria che non era mai stata pagata al suo autore. Il
dibattito si svolge tra due avvocati, uno siciliano e l'altro napoletano, i
quali introducono una serie assai pittoresca di testimoni a carico o a
discarico. Tra questi un giornalista venduto, una contessina vanitosa e fatua,
un pittore, un notaio corrotto, un militare deficiente, ed altri ancora che
compongono una grottesca immagine della società siciliana del tempo.
Un'altra indovinatissima figura è quella del presidente che ascolta, o
meglio sopporta, le deposizioni dei testi manifestando comunque un grande
scetticismo. Quando l'udienza si è conclusa entra in sala un turista
inglese che chiede il permesso di osservare un'antica bifora che fa parte
dell'architettura del tribunale. Ottenuto il permesso il caratteristico
personaggio si sofferma a contemplare la bifora attraverso la quale, tra
l'altro, si gode di un bellissimo panorama. Il viaggiatore anglosassone esprime
allora la sua ammirazione e per la bifora e per il paesaggio. Sulle sue parole
si chiude la commedia. Quanto all'esito del processo, lo spettatore può
immaginarselo come più gli piace. La commedia, scritta da Blunda, di
professione archivista di Stato a Palermo, ha fatto pensare che il soggetto sia
stato tratto dalla realtà storica, da qualche antico documento
dell'epoca. È comunque scritta in un linguaggio rapido, incisivo che
presenta spesso momenti di poesia autentica.