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Imperialismo.

Tendenza espansionistica, militare o semplicemente politico-economica, attuata da popoli, nazioni e Stati. Le teorie più semplicistiche ravvisano le cause della formazione di ogni i. nella volontà di potenza di singoli uomini (Alessandro il Grande, Giulio Cesare, Napoleone), di élite di uomini o di intere popolazioni. Altre e più complesse teorie, invece, hanno cercato di evidenziare le cause ideali o puramente economiche del fenomeno stesso. Per quanto concerne le prime, la storia dell'i., dalle origini fino ai giorni nostri, è anche storia delle motivazioni ideali che esso, di volta in volta, ha addotto per giustificare il proprio espansionismo militare ed economico. Tra queste motivazioni un peso rilevante hanno spesso avuto le teorie razziali, di origine antichissima, che hanno ricevuto una consacrazione formale dagli scritti di J.A. Gobineau e F. Nietzsche. Per quanto concerne invece il tentativo di spiegare il fenomeno imperialistico in termini puramente economici bisogna risalire all'avvento del capitalismo. Già nel 1858 Rodbertus, sulle orme di Malthus e Sismondi, aveva affermato che "poiché la produttività cresce continuamente nel mercato interno ed il potere di acquisto del popolo rimane lo stesso, il commercio deve trovare uno sbocco nei mercati esterni", favorendo lo sviluppo di teorie economiche che identificavano le cause del fenomeno nella tendenza degli Stati ad accrescere i propri domini, onde evitare le crisi di sottoconsumo provocate dal disavanzo fra l'offerta e la domanda di merci (J.A. Hobson ne L'Imperialismo, 1902; Rosa Luxemburg ne L'Accumulazione del capitale, 1913). Un'altra interessante interpretazione, fornita da L. Robbins (Le cause economiche della guerra, 1939), pone l'accento sulla connessione tra lo sviluppo imperialistico e l'inevitabilità della guerra, quale strumento di conquista dei mercati. Prima di analizzare quest'ultima fase storica del fenomeno, è opportuno risalire ai secoli precedenti per tracciarne un breve cammino evolutivo. I grandi Imperi dell'antichità (assiro, babilonese, egiziano, persiano e quelli cinesi dell'Estremo Oriente) che hanno segnato tappe fondamentali nello sviluppo della civiltà, si differenziano dai successivi imperi (fenicio, cartaginese, cretese e greco) in quanto dalla conquista territoriale dei primi si passa alla conquista dei mari dei secondi, i quali tendono ad un'espansione politica e commerciale di vaste proporzioni. L'Impero romano, nella sua vastità geografica e nella sua continuità temporale, costituisce un i. meno drastico dei precedenti nei confronti dei popoli sottomessi. L'età medievale, in conseguenza della costituzione di diversi centri di potere (feudi), segnò per gli i., con l'eccezione di quello religioso (crociate), un'epoca di transizione verso le future forme imperialistiche imposte dallo sviluppo del potere statale. Dal consolidamento di quest'ultimo presero vita gli imperi mercantili (olandese, inglese), quelli coloniali (portoghese, spagnolo) e quello francese. Questi i. si rivolsero soprattutto alle terre dell'America, dell'India, della Cina e del Giappone. Anche l'Africa non venne risparmiata e da essa prese vita il commercio degli schiavi. La rivoluzione industriale, il sorgere del capitalismo e la conseguente espansione coloniale furono le cause alla luce delle quali oggi si studia il fenomeno imperialistico. Quella stessa borghesia che, nella prima metà del secolo, forte dei suoi ideali liberali e democratici, aveva realizzato l'indipendenza delle nazioni, si chiude adesso in un angusto nazionalismo impoverito di tutti i suoi fermenti universalistici e ricco solo di aggressività imperialistica. Un clima culturale esaltante la forza, l'arbitrio e la presupposta superiorità razziale di un gruppo su un altro costituiva la migliore delle giustificazioni teoriche per quelle forze economiche e finanziarie e per quelle classi dirigenti bisognose di ideologie per realizzare programmi di egemonia economica e politica. Si trattava di accaparrarsi più ampi mercati onde smerciare i prodotti delle industrie in pieno sviluppo, di impossessarsi delle fonti di materie prime, di imporre, attraverso una gara di prestigio e di potenza, il predominio di un certo Paese sugli altri, di assicurarsi colonie, sfere di influenza e vie marittime. Stati fino ad allora rimasti fuori dalla mischia, quali gli Stati Uniti, la Russia ed il Giappone, si inserivano prepotentemente in questa lotta senza esclusione di colpi. Il libero scambio dei prodotti industriali e delle derrate agricole era soppresso a favore del protezionismo doganale. Verso la fine dell'Ottocento cominciavano a delinearsi colossali fenomeni di concentrazioni industriali, sia verticali (per cui tutte le diverse fasi produttive di un determinato ramo industriale passavano sotto il controllo di un unico imprenditore) sia orizzontali (per cui si veniva a costituire un vero e proprio monopolio su una certa produzione attraverso i cartelli ed i trust). Risulta inoltre evidente la responsabilità degli opposti i. nello scatenarsi dei due conflitti mondiali e nell'affermazione di regimi autoritari di stampo fascista. Oggi gli i. non possono più affermarsi con gli sbrigativi metodi di un tempo, in quanto si è verificato un accresciuto peso dell'intervento pubblico nell'economia degli Stati ed il movimento di liberazione dei Paesi coloniali si è considerevolmente rafforzato. In questa nuova situazione, caratterizzata dalla continua evoluzione dei rapporti di forza sul piano internazionale, alla diretta pressione militare ed al privato dominio dei trust va sostituendosi l'accordo commerciale o di cooperazione economica fra singoli Stati o fra raggruppamenti di essi. È proprio in rapporto a questi mutamenti che oggi si parla di neocolonialismo e neoi., per indicare fenomeni in evoluzione, ma la cui sostanza non è profondamente cambiata.