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ITINERARI - PAROLE E IMMAGINI - LE LETTERATURE EUROPEE - IL SETTECENTO

INTRODUZIONE

Nel Settecento non c'è un comune quadro culturale, un indirizzo di gusto generale come per il Rinascimento o il Barocco.
Ci sono molteplici linee e tendenze: nel pensiero si afferma in tutta Europa l'Illuminismo; in letteratura è attivo un gusto classicista che poi si evolve in Neoclassicismo. Persiste pure un filone culturale del bizzarro e dell'irrazionale, derivato dal Barocco, che sfocia nel Preromanticismo. Infine in arte abbiamo il Rococò (un Barocco più leggero e minuzioso).
Il ruolo dello scrittore nel Settecento, diviso tra tradizione e innovazione, è duplice: accanto al tradizionale letterato di corte, (come Metastasio) vi è anche chi si impegna nelle battaglie civili tipiche della nascente società borghese. Vi sono autori profondamente vicini alla mentalità borghese (come Goldoni), altri che scelgono la via della solitudine e dell'isolamento (come Alfieri).
Gli scrittori dell'Illuminismo (egemoni in Europa sono inglesi e francesi) prediligono una letteratura saggistica piena di umori polemici, una scrittura agile, breve e pungente. Nascono i libelli di Swift, di Charles-Louis Montesquieu (1689-1755), di Voltaire, di Jean-Jacques Rousseau, di Cesare Beccaria (1738-1794), illuminista milanese autore del primo trattato contro la pena di morte (Dei delitti e delle pene, 1764), dal successo internazionale. In molti casi l'Illuminismo riprende temi del classicismo, non di quello interessato solo alle forme dell'Arcadia (comunque ben attiva nel Settecento come letteratura della tradizione aristocratica), bensì di un classicismo che ha come grande modello le satire del poeta latino Orazio, che vuole cioè fare incontrare eleganza della forma con contenuti polemici e spesso un po' scettici. Questa tendenza è ben rappresentata dal poeta inglese Alexander Pope (1688-1744), e da Parini.
Il Neoclassicismo si diffonde principalmente in Francia e in Italia e in una sorta di isola culturale tedesca che è il piccolo ducato di Weimar, animato da Goethe e Schiller. è dominato da un'esigenza assoluta di bellezza, in quanto questa è capace di dare all'uomo armonia e serenità; più che imitare, intende riprendere lo spirito della classicità, interpretata come cultura della libertà e della razionalità. Nella sua tensione al bello ideale il gusto neoclassico esprime un anelito all'assoluto che si incontra col Romanticismo, come accade in Goethe, Schiller, Foscolo.
La componente preromantica deriva invece piuttosto dall'Inghilterra e dalla Germania (ma va ricordato l'influenza del Rousseau delle Confessioni, pubblicato postumo nel 1782) e si articola in due filoni. Da un lato c'è il gusto dell'irrazionale, cioè la ricerca di mondi misteriosi e soprannaturali, emotivamente suggestivi e lontani dal bello tradizionale (si scopre il fascino dell'orrido con fantasmi, mostri, ecc., dell'esotico con terre e luoghi favolosi, fuori della civiltà). Dall'altro c'è l'esibizione dei sentimenti: si esaltano e analizzano i sentimenti di tipo eccessivo, primo di tutti, l'amore (inteso come forza irrazionale e travolgente) che suscita il commovente e il patetico.

QUALCHE NOME

METASTASIO

Pietro Trapassi detto Metastasio (1698-1782) è il maggior poeta dell'Arcadia e ai suoi tempi era considerato il maggior poeta d'Europa. Ebbe molta fortuna come autore di libretti per melodrammi e per molto tempo fu poeta di corte (poeta cesareo) a Vienna (1730-1782), vivendo sotto Maria Teresa. Metastasio fu un riformatore del libretto, opponendosi alla prevaricazione della musica sulla parola alla ricerca di una pari dignità; a questo scopo potenziò l'elemento melodico del linguaggio, con un lessico semplice e chiaro e con una versificazione molto leggera, sapientemente giocata su rime piane, sdrucciole e tronche. I drammi erano sempre inverosimili, ma Metastasio aveva coscienza della necessaria finzione dei suoi testi e della consistenza di cartapesta dei suoi eroi disegnati con gusto della costruzione e delle simmetrie.

ARCADIA

è un movimento letterario organizzato, fondato nel 1690 e formalmente tuttora esistente col nome di Accademia letteraria italiana. Il suo nome deriva da una regione greca, in cui, nel mito, abitavano pastori poeti. Il suo sviluppo occupa tutto il Settecento ed è caratterizzato da un netto rifiuto del Barocco e della sua sperimentazione per il ritorno ad una poesia classica, tradizionale. I suoi fondatori si proponevano infatti di «restaurare la poesia italiana, combattendo le esagerazioni del secolo trascorso, come pure di estirpare il cattivo gusto dovunque si annidasse». L'interesse dell'Arcadia era tutto incentrato sulla forma della letteratura, senza alcuna attenzione ai contenuti, molto spesso puramente convenzionali. L'elaborazione formale, metrica e linguistica assai vasta era tesa a recuperare un linguaggio chiaro e semplice, le cui tracce arrivano fino a Leopardi.

JONATHAN SWIFT

Jonathan Swift (1667-1745) fu segretario di sir William Temple, dove conobbe Esther Johnson (la sua «Stella»); sacerdote anglicano visse a Londra dove partecipò da protagonista alla vita culturale e politica (prima tra i wighs e poi tra i tories, diventando consigliere del Governo tra 1710 e 1714). Alla caduta del Governo tory, si ritirò a Dublino, come decano della cattedrale di S. Patrizio.
Dopo la morte di Stella, si chiuse in un cupo misantropismo, quasi folle (a causa dell'aggravarsi della sua malattia, la labirintite).
Straordinario polemista, amante del paradosso, è autore di brevi libelli, come Una modesta proposta (1729), in cui propone provocatoriamente di usare i bambini poveri come cibo per ricchi, onde risolvere il problema della miseria.
I viaggi di Gulliver (1726) sono il suo grande affresco satirico dell'umanità dove usa ironicamente lo strumento della narrazione di viaggi esotici, lo stesso adoperato più o meno contemporaneamente nel Robinson Crusoe (1719) di Daniel Defoe, (1660-1731). Di viaggio in viaggio il tono si fa più amaro e la satira diventa apocalittica: infatti mentre il mondo dei Lillipuziani è pieno di cose assurde e grottesche, l'immaginario mondo dei Giganti ha toni più raccapriccianti. Nella terza parte si ha una radicale contestazione della ragione illuminata e nella quarta si procede verso una disperazione nichilista, perché l'uomo è degradato ai suoi aspetti più ripugnanti e schifosi e la saggezza dei cavalli è una saggezza sterile, che esclude l'amore. Le ultime pagine ipotizzano la castrazione dell'umanità in modo che presto se ne estingua la razza.
D'altronde l'impietoso Swift non risparmiava neppure le cose a lui care; nelle poesie Lo spogliatoio della signora (1730) degrada l'immagine sublime della donna a donna che «caca» oppure prospetta, con gioia, un Dio disumano come quello che dice, il giorno del giudizio:

... La pazza faccenda del mondo è finita ed io non me la prendo più per quelle mariuolerie.
Io mettermi a tu per tu con questi sciocchi?
Io li mando all'inferno! - Eccoli bell'e incicciati...

Ma, come ha osservato il critico Mario Praz: «Per un destino ironico, il capolavoro di questo maestro dell'ironia che non sopportava la vicinanza dei bambini, è stato degradato da satira contro l'umanità a classico del ridere pei fanciulli».

VOLTAIRE

François-Marie Arouet è il vero nome di Voltaire (1694-1778); egli nasce a Parigi nel 1694 da un notaio. Ebbe una vita molto avventurosa: nel 1716 è incarcerato alla Bastiglia per alcuni scritti satirici, ma nel 1718 il successo della sua tragedia Edipo lo rende improvvisamente celebre e conteso nei salotti parigini. Condannato all'esilio a seguito di una lite con il cavaliere di Rohan vive in Inghilterra, dove ha molti contatti con il mondo intellettuale nel 1734 sono proibite le sue Lettere filosofiche (1733), che hanno molto successo clandestinamente.
Mentre vive prevalentemente a Cirey in Lorena, nel castello di Madame de Châtelet, è eletto all'Accademia di Francia (1746). Tra il 1750 e il 1753 vive a Berlino, presso la corte di Federico II di Prussia, sovrano illuminista, finché dopo varie vicissitudini, si stabilisce nel castello di Ferney, sul confine tra Francia e Svizzera. Di lì combatte molte battaglie polemiche di tipo politico e civile. Muore nel 1778 a Parigi, poco dopo avervi fatto trionfale ritorno.
L'attività di Voltaire è frenetica e multiforme verso tre settori: letteratura, filosofia e storia. Nel primo scrisse tragedie (che gli dettero molta fama in vita), poemi (dal celebrativo Enriade, sulle riforme di Enrico IV, al dissacrante La pulzella, su Giovanna d'Arco, al meditativo Poema sul disastro di Lisbona), racconti come Zadig (1747) o Candido (1759), che sono i suoi testi più importanti. Per la filosofia oltre alle citate Lettere filosofiche, che esaltano il liberalismo politico inglese, vanno ricordati il Trattato sulla tolleranza (1763), contro il fanatismo religioso e la prepotenza dell'assolutismo, e il Dizionario filosofico (1764), rubrica alfabetica delle sue idee; per la storia Il secolo di Luigi XIV (1751).
Voltaire è noto come polemista; la sua incessante contestazione riguarda ogni aspetto che non sia riconducibile a natura e ragione, i pilastri su cui deve fondarsi la vita umana, fuori delle ipocrisie e dei formalismi. Privilegiati oggetti di polemica sono il Cristianesimo, inteso come fede irrazionale e lo Stato assoluto, in quanto costrittivo e arbitrario. Il modo di vivere secondo natura e ragione è espresso dal liberalismo inglese e dalla nuova classe borghese, giacché la libertà politica mette anche in moto lo sviluppo commerciale. La tutela della libertà è data dalla legge, profondamente egualitaria (giacché per tutti basata su natura e ragione); da qui le sue accese battaglie contro l'arbitraria amministrazione della giustizia del suo tempo. A garanzia dell'ordine razionale del mondo, ipotizzò un dio astratto e provvidenziale (in Zadig), ma successivamente (per l'enorme impressione destata dal terremoto di Lisbona) prese coscienza della presenza del negativo nella natura (in Candido), anche se rimase inalterata la sua fede nella ragione, che comprende tutto questo e, anzi, si impegna maggiormente a migliorare il mondo.

CANDIDO

è un racconto lungo di Voltaire. Il giovane Candido è educato dal filosofo Pangloss nella convinzione che questo mondo sia il migliore possibile. è la teoria di Leibniz portata alle estreme conseguenze con feroce ironia. Candido (cacciato dal suo padrone perché innamorato della figlia Cunegonda) ha una serie di disavventure incredibili; in Olanda ritrova Pangloss in miseria e insieme raggiungono Lisbona, sconvolta dal terremoto, dove incontrano Cunegonda, divenuta amante di un ebreo e dell'Inquisitore. Candido uccide i due uomini e fugge con la donna in Argentina, dove vive altre disavventure fino a raggiungere l'Eldorado, terra dove gli uomini vivono in un felice stato naturale. Con Martino, un saggio disilluso e divenuto scettico torna in Europa: a Costantinopoli ritrova Cunegonda e la sposa, anche se è diventata vecchia e noiosa. Con lei e con gli altri protagonisti delle avventure si ritira a vivere in una fattoria, convinto che lavorare senza pensare sia il modo migliore di sopportare la vita.

JEAN-JACQUES ROUSSEAU

Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) fu un uomo difficile (come dimostra la sua vita errante tra Ginevra, Torino, Lione, Parigi, l'Inghilterra) e ben poco di società, come invece era il suo antagonista Voltaire.
Mutevole e solitario, musicista oltre che scrittore, sembra già avere quello che si può definire un «temperamento romantico», vivendo a fatica con le varie pulsioni del proprio io, soffrendo i limiti posti dalla società. Maturatosi nell'Illuminismo, ne costituisce la critica interna: la civiltà non è per lui affatto un bene indiscutibile, il progresso comporta altre perdite e, allontanandolo dallo stadio naturale di vita, fa vivere l'uomo in ambiente disumano. A parte le opere filosofiche e politiche (tra cui Il contratto sociale, 1762), Rousseau è autore di un romanzo epistolare La nuova Eloisa (1761), tra i primi esempi del fortunato genere (influì sulle analoghe opere di Goethe e Foscolo) e di scritti autobiografici (Le confessioni e Le fantasticherie del passeggiatore solitario, pubblicati postumi, 1781-88), in cui compaiono nuovi motivi: una nuova sensibilità verso il paesaggio, rappresentato attraverso l'emozione interiore di chi lo vede e vive; l'attenzione al ricordo e alla memoria, come fonte di fini suggestioni e piaceri interiori. Questi sono temi legati alla più vasta analisi dell'uomo, come animale sentimentale e non solo razionale fatta da Rousseau e fondamentale in tutto il Romanticismo.

LAURENCE STERNE

Laurence Sterne (1713-1768) è uno dei maggiori narratori inglesi; la sua opera più nota è Vita e opinioni di Tristram Shandy (1760-1767, in sette libri), un romanzo assai singolare per le proposte di sperimentazione anche tipografica e visiva; ci sono ad esempio una pagina bianca, una nera, una marmorizzata, capitoli di una frase, ecc. La vicenda si svolge in un solo giorno ma si complica in modo labirintico in miriadi di digressioni, che satireggiano usi e costumi d'epoca, come le convenzioni letterarie (rifiutando l'ordine cronologico delle vicende o il rapporto causa-effetto). In questo romanzo-magma, che procede per associazioni d'idee, Sterne vuole rappresentare l'infinito mutamento dell'esistenza.

CARLO GOLDONI

Goldoni (1707-1793) nasce a Venezia, da padre medico; dopo aver esercitato la professione d'avvocato (in Veneto e a Pisa) ed essere stato console di Genova a Venezia, si dedica interamente al teatro, la sua grande passione. Scrive per diverse compagnie veneziane (Medebach, 1748-1753; Vendramin, 1753-1762), ottenendo un grosso successo, ma anche invidie tra i letterati, che gli fanno campagne avverse. Nel 1762 si trasferisce a Parigi presso la Commédie italienne, non avendo però molto successo. Precettore dei principi reali a Versailles e pensionato del re, muore, in ristrettezze, a Parigi nel 1793, in pieno periodo rivoluzionario.
La sua produzione letteraria è vastissima (poesie, memorie, melodrammi), tra cui spiccano un centinaio di commedie, sia in italiano (La locandiera, 1753; La villeggiatura, 1761) che in dialetto veneto (I rusteghi, 1760; Le baruffe chiozzotte, 1762).
Nella sua lunga pratica, Goldoni rinnovò il teatro comico, dando risalto al testo e a personaggi concreti, rifiutando l'improvvisazione e le maschere della Commedia dell'Arte. In effetti il teatro goldoniano vuole rappresentare la realtà nei suoi aspetti quotidiani. Da Molière deriva la sua attenzione ai caratteri dei personaggi, ma si interessa soprattutto al rapporto psicologia-famiglia-società, fondando la commedia di ambiente, in genere borghese, ma anche popolare (Le baruffe chiozzotte). Ha vago sentore dell'Illuminismo: certamente esalta valori borghesi (famiglia, risparmio, moralità di costumi) ed inaugura una nuova stagione della commedia, costruendo il comico sul buon gusto e guardando con sorriso ironico i vari microconflitti (tra sposi, tra vecchi e giovani, ecc.), che la bonomia e la ragionevolezza portano sempre a lieto fine.

CANOVACCIO

Era la semplice traccia che serviva di base agli attori della Commedia dell'Arte, lo spettacolo scenico più tipico della cultura italiana tra fine Cinquecento e fine Settecento. Essa si basava sugli attori e non sul testo; gli attori improvvisavano lo spettacolo ed ognuno era specializzato in un ruolo, detto maschera (Arlecchino, Pantalone, Brighella, ecc.). L'azione si basava su un ritmo vorticoso di trovate, trucchi, scherzi scenici d'ogni tipo e comportava anche una notevole abilità mimica e di danza.

VITTORIO ALFIERI

Alfieri (1749-1803) nasce ad Asti da famiglia della alta e ricca aristocrazia. Dopo molti viaggi in Europa, scopre la sua vocazione di scrittore e si stabilisce a Firenze per apprendere meglio la lingua italiana. Legato sentimentalmente a Luisa Stolberg, contessa d'Albany (moglie del pretendente Stuart alla corona inglese), vive con lei a Parigi da dove fugge sdegnato dall'evoluzione della rivoluzione. Muore a Firenze nel 1803.
Alfieri fu autore di trattati politici (Della tirannide, 1777) e di volumi di versi e commedie, ma le sue opere principali sono l'autobiografia (Vita, 1790) e le 19 tragedie in versi (tra cui il Filippo, 1775, il Saul, 1782 e la Mirra, 1786).
Alfieri è uno degli scrittori più estremisti della letteratura italiana ed anche uno dei più originali ed isolati. All'opposto del conciliante Goldoni, egli ama esasperare i contrasti e le contraddizioni; ha una concezione pessimistica della realtà, che lo porta a dubitare delle concrete possibilità dell'Illuminismo e della fede nella ragione. Le sue opere politiche (dove si rifiuta l'assolutismo, ma anche il dispotismo illuminato e poi la democrazia) portano in qualche modo al rifiuto della politica e alla disperata esaltazione dell'anarchismo individualista, nel mito dell'eroe solitario che si contrappone ai vari tiranni. Tutto questo si spiega con l'attenzione che Alfieri ha sempre prestato all'individuo, visto come una forza unica e irripetibile.
è un mondo nuovo che si apre e che egli indaga, nella straordinaria autoanalisi della Vita o nei radicali e inconciliabili contrasti di personalità dei personaggi nelle tragedie. La dimensione tragica scaturisce dal desiderio di affermazione assoluta di sé che, nel fascino dell'eroico, rifiuta ogni mediazione per lo scontro. L'Alfieri più maturo avverte come la macerazione sia anche interna all'io, mosso da passioni a volte contrastanti, dove l'inettitudine può diventare disumana ferocia (come in Saul) o la nobiltà morale della persona può essere infangata da una mostruosa deformazione, voluta da una natura matrigna (come in Mirra). Molto originale è il suo stile, sempre aggressivo e rapido, nel rappresentare la meccanica dei conflitti, senza indugi patetici e descrittivi.
Vittorio Alfieri


GIUSEPPE PARINI

Giuseppe Parini (1729-1799) sacerdote senz'entusiasmo e poi docente delle scuole pubbliche fino a diventare sovrintendente nella Milano austriaca, scrive 19 Odi in cui si alternano aspetti arcadici, spunti illuministici ed eleganze neoclassiche, ma la sua opera più celebre è il Giorno, poema satirico su una giornata tipo di un «giovin signore» di ceppo aristocratico.
La polemica illuminista è maggiormente presente nelle prime due parti (n mattino, 1763; Il mezzogiorno, 1765) in cui rappresenta e critica un mondo di fannulloni che vivono in una cornice fastosa, opponendovi la semplicità di costumi del «volgo».
Nelle altre due sezioni (Il vespro e La notte, pubblicate postume nel 1801) accanto a parti sarcastiche si accrescono minute descrizioni, si sviluppa la ricerca del bello nelle sue varie forme, si dà spazio al mondo dell'interiorità, cogliendo più ambiguamente, tra eleganza e malinconia, il tramonto del mondo aristocratico.
Giuseppe Parini