Qualsiasi forma di psicoterapia in cui siano presenti più di due
pazienti. Tale metodo è stato adottato sia per ragioni terapeutiche
intrinseche, dato che in vari casi con tale tecnica si possono ottenere
risultati migliori e più rapidi di quanto possa avvenire con sedute
individuali, sia per poter curare un numero di pazienti maggiore di quanto non
sia consentito attraverso interventi individuali, soprattutto in relazione con
le difficoltà che si opponevano all'introduzione della terapia
psicoanalitica individuale, che richiede numerose e frequenti sedute e quindi un
numero massimo di una ventina di pazienti per ogni psicoterapista, in quelle
istituzioni che si debbono occupare di un numero molto alto di pazienti
nevrotici o psicotici, come gli ospedali psichiatrici. Il trattamento di gruppo
si esplica in forme che vanno dalla
terapia didattica di gruppo, allo
psicodramma, all'
intervista o
terapia analitica di gruppo,
e in numerose altre attività di gruppo, quali, per esempio, la formazione
di comitati tra i pazienti per sovraintendere a vari aspetti della loro
attività. Prima di essere introdotta fu la
psicoterapia didattica,
consistente in una serie di lezioni, su testi facilmente comprensibili, sulle
malattie mentali e le loro cause, integrate da sedute in cui viene esposto lo
svolgimento di malattie curate, mentre in altre sedute sono gli stessi pazienti
a raccontare delle proprie vicende personali, oppure si intavolano discussioni
su argomenti psicoterapeutici, ecc. Se non si tiene conto delle sedute di gruppo
da parte di E. Coué (1857-1926) a Nancy, l'introduzione della terapia di
gruppo va fatta risalire ad alcuni medici americani, tra cui E.W. Lazell che
introdusse il metodo della terapia didattica, tenendo lezioni di psicoanalisi ai
malati, e L.C. Marsh che invece usò il metodo della terapia didattica
tenendo conferenze su argomenti vari, ma comunque non a carattere psichiatrico,
e interessandoli ad altre varie attività di gruppo Rilevante è
stato anche il contributo di A. Adler che si dedicò alla
p. di g.
negli anni Venti, in concomitanza con la costituzione di centri per
l'orientamento infantile in cui egli procedeva interrogando il bambino insieme
coi genitori o in sedute allargate ad altri genitori, bambini e insegnanti. Ma
nonostante numerosi siano stati gli esperimenti negli anni Venti e Trenta, lo
sviluppo della
p. di g. si è avuto soprattutto nel secondo
dopoguerra con l'introduzione dell'attività in comune, di tipo sociale,
tra i pazienti degli ospedali psichiatrici. A questo riguardo va ricordato il
contributo dell'inglese J. Bierer, seguace di Adler, la cui convinzione che gli
ospedali per la cura delle nevrosi e delle psicosi si potessero trasformare in
"comunità terapeutiche" ha avuto notevole influenza sulla successiva
conduzione degli ospedali psichiatrici inglesi. Secondo Bierer, non soltanto lo
psicoterapista, ma tutto il personale ospedaliero con cui il paziente viene a
contatto deve essere informato sulle sue condizioni e difficoltà, in modo
da poter essere opportunamente istruito sul modo di trattarlo. Inoltre i
pazienti devono essere incoraggiati a praticare varie attività da
svolgere in comune e a darsi essi stessi delle regole, anziché sottostare
a quelle imposte autoritariamente dall'esterno. Parallelamente a questa nuova
concezione "comunitaria" dell'ospedale psichiatrico, si è sviluppata la
terapia analitica di gruppo (o
interviste di gruppo), divenuta la
principale branca della moderna
p. di g. Essa si attua facendo incontrare
regolarmente, come per i trattamenti psicoterapeutici individuali, un gruppo di
pazienti (composto sempre dalle stesse persone, generalmente scelte tra quelle
che presentano lo stesso tipo di sintomi), sotto la guida dello stesso
psicoterapista. Nelle sedute, la cui durata in genere non è superiore a
quelle individuali, cioè di circa 45-60 minuti, i pazienti vengono
incoraggiati a parlare fra loro dei propri sintomi, delle proprie
difficoltà personali e dei propri conflitti emotivi. Il grado di
intervento da parte dello psicoterapista varia a seconda dei casi delle tecniche
adottate, dalle concezioni personali del medico, dal modo come il gruppo si
comporta, ecc. Inoltre, alcuni ammettono nei gruppi pazienti dei due sessi,
altri sostengono che questo inibisce la discussione; alcuni ritengono che il
trattamento di gruppo non sia adatto a tutti i pazienti, altri escludono
completamente le sedute individuali. In genere, però, l'analisi di gruppo
che consente l'applicazione di alcune tecniche, viene integrata da interviste
individuali. Comunque il fatto di sapere che altri pazienti provano le stesse
loro difficoltà personali, conflitti emotivi, sentimenti sgradevoli,
rende più facile accettarli in se stesso. Naturalmente sia la pratica che
la teoria della terapia di gruppo differisce non poco a seconda delle varie
scuole cui gli psicoterapisti fanno capo. Per esempio, secondo i seguaci di
Freud, nella
p. di g. operano gli stessi fattori della psicoanalisi
individuale, cioè: "rapporti di trasfert, catarsi, introspezione, oppure,
rafforzamento dell'ego, prova della realtà e sublimazione" (S.R.
Slavson). Pertanto "la maggior parte dei freudiani classici ritengono che ogni
paziente reagisca al gruppo in modo simile a quello in cui, durante l'infanzia,
reagiva verso i membri della propria famiglia e che tratti il terapista come se
fosse il padre o la madre e gli altri pazienti come se fossero fratelli e
sorelle, pur ammettendo che l'interazione fra i membri di un gruppo terapeutico
dà loro la possibilità di vedere quelle risposte emotive che nella
psicanalisi individuale dovrebbero essere immaginate, dando così la
possibilità di una comprensione più rapida della natura e
dell'origine di tali risposte" (S.K. Foulkes). Gli adleriani, invece, credono
nella funzione terapeutica del "senso sociale" e, in genere, come R. Dreikurs,
ritengono che questo si manifesti nel sentirsi tutt'uno col gruppo quando
scoprono che gli altri provano quegli stessi sentimenti che supponevano tanto
anormali in sé (processo di universalizzazione); nella solidarietà
di gruppo, nell'aiuto reciproco, ecc. Inoltre, il senso di inferiorità
sembra poter essere alleviato dall'effetto egalitario ottenuto associando nello
stesso gruppo pazienti diversi per status sociale, preparazione culturale e
capacità intellettive. Meno convinti sembrano invece essere gli junghiani
di stretta osservanza. Jung espresse infatti notevoli riserve sull'efficacia
della terapia di gruppo, da lui considerata un metodo di valore limitato, in
grado solo di "educare la parte
sociale dell'uomo", indispensabile solo
per "educare l'uomo a diventare un essere sociale", senza trascurare il fatto
che "per la ben nota tendenza della gente ad appoggiarsi ad altre persone e ad
astrazioni, invece di cercare la sicurezza e l'indipendenza in se stessi, la
formazione di questi gruppi presenta pure il pericolo che l'individuo consideri
il gruppo come considera la propria madre o il proprio padre, e perciò
rimanga dipendente, insicuro e infantile come era prima". Pertanto, gli
junghiani di più stretta osservanza si limitano ad integrare il
trattamento psicoterapeutico individuale con varie attività di gruppo
cercando però di sviluppare lo spirito comunitario e di facilitare
l'instaurazione di rapporti amichevoli all'interno della comunità
terapeutica. Vari e ormai largamente riconosciuti sono i fattori positivi del
trattamento di gruppo. E questo, sia che si tratti di gruppi didattici, che di
psicodramma, che di gruppi di gioco (per il trattamento dei bambini,
V. GIOCO, TERAPIA DEL), che dei gruppi di
interviste, ossia della terapia analitica di gruppo, che è senz'altro la
tecnica psicoterapica destinata ad avere le maggiori possibilità di
sviluppo in futuro. Essa, infatti, applicata, oltre che negli ospedali, anche
ambulatorialmente su pazienti che continuano a vivere in famiglia, consente di
curare più persone contemporaneamente ed è perciò alla
portata anche di coloro che non potevano beneficiare dei lunghi e costosi
trattamenti psicoanalitici individuali. Anche in Italia, con ritardo e tra
innumerevoli difficoltà per l'arretratezza della nostra legislatura e
istituzioni psichiatriche, sono stati fatti e si stanno facendo esperimenti di
"comunità terapeutiche".