Uomo politico sovietico. Ambasciatore dell'URSS a Washington dal 1943 al 1946,
assunse (aprile 1946-maggio 1948) la carica di delegato permanente sovietico
all'ONU. Viceministro agli Esteri dal 1948, ritornò ad un incarico
diplomatico nel 1952, allorché venne nominato ambasciatore a Londra.
Ministro degli Esteri dal 1957, fu tra gli artefici della politica del
"disgelo". Dopo la caduta di Krusciov, rimase in carica al Cremlino, continuando
la sua paziente opera di distensione anche negli anni Settanta (accordi fra le
due Germanie, guerra del Vietnam, questione mediorientale). Anche nei primi anni
Ottanta, nonostante i frequenti mutamenti al vertice del Cremlino e l'insorgere
di nuove tensioni nei rapporti fra Est e Ovest (questione afghana, caso
Polonia),
G. continuò a svolgere con successo le missioni
affidategli. Nel luglio del 1985 venne sostituito nella carica di ministro degli
Esteri da Edward Shervarnadze e venne eletto presidente del
Praesidium
del Soviet Supremo, carica che ricoprì fino al 1989, anno in cui si
ritirò dalla scena politica.
G. è stato definito da alcuni
commentatori un "paradosso": l'uomo capace di adattarsi con pari efficacia alla
gestione dogmatica e gelida della Russia di Stalin come alla
perestroika
e alla
glasnost di Gorbaciov suscita infatti meraviglia. Questo
personaggio - paradosso è tornato alla ribalta nei primi mesi del 1989,
quando, ormai lontano dalla scena pubblica e dai vertici del potere, ha deciso
di raccontare la sua esistenza di protagonista della politica mondiale
nell'ultimo mezzo secolo nel libro autobiografico
Memories (Minsk 1909 -
Mosca 1989).