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Gracco, Tiberio Sempronio.

Tribuno della plebe romano. Figlio del console Tiberio Sempronio Gracco e di Cornelia. Ebbe per maestro Diofane di Mitilene e Blossio di Cuma meritandosi in moglie la figlia del console Appio Claudio Pulcro. Si distinse nell'assedio di Cartagine sotto suo cognato Scipione Emiliano; poi, questore del console Mancino, davanti a Numanzia, salvò l'armata, posta in una posizione senza scampo, trattando coi Numantini. Il Senato e il popolo rifiutarono di ratificare quell'accordo e Mancino fu consegnato ai nemici; G. fu invece salvato dal popolo e si dedicò da allora alle rivendicazioni della plebe. Pertanto, per migliorarne le condizioni economiche, propose una legge, detta Sempronia, che contemplava la spartizione fra il popolo dell'agro pubblico e delle terre conquistate in guerra, ma la sua azione fu stroncata dal patriziato. P. Scipione Nasica, alla testa di una schiera di nobili, aggredì G. e i suoi seguaci. Con G. perirono trecento dei suoi seguaci i cui cadaveri furono gettati nel Tevere. Invano il fratello Caio chiese il suo corpo per dargli sepoltura: come quello dei suoi seguaci, sparì anch'esso nei gorghi del fiume. Fu la prima strage fratricida di Roma. Più tardi anche i suoi avversari resero omaggio alle sue virtù e alle sue intenzioni: Cicerone fece l'elogio della dolcezza e della serenità della sua eloquenza (162 circa - 133 a.C.).