(detto dai polemisti cristiani
l'Apòstata). Imperatore romano.
Figlio di Giulio Costanzo e di Basilina, nipote di Costantino il Grande.
Proclamato Cesare (354), governò le Gallie, riaprì i templi
pagani, tentando di rivalutare la cultura classica e di contenere l'invadenza
economico politica della Chiesa cristiana. Si dimostrò giusto, ma
proibì cariche ai cristiani, imponendo loro la restituzione dei beni
municipali elargiti da Costantino. Sogno costante della sua vita, alla
realizzazione del quale rivolse ogni sua azione, fu la restaurazione di un
politeismo più raffinato dell'antico e il ritorno dell'Ellenismo sulle
rovine del cristianesimo, ritenuto responsabile delle sventure e della
decandenza dell'impero. Ma questa ardita concezione filosofica e idealistica
cozzava contro l'ineluttabilità dei tempi, sì che
G.
cercò di riempire il vuoto dell'inevitabile tramonto dei suoi sogni con
imprese militari. Mosse guerra ai Persiani, guidati da Sapore II, ma morì
sul campo. Sotto il suo nome ci pervennero scritti greci ed orazioni
epidittiche, sessantatré lettere, i
Caesares, ritratti degli
imperatori da Cesare in poi, una specie di commedia politica che è il suo
capolavoro, piena di spirito e di ironia, al modo di Luciano, e una satira
contro gli abitanti di Antiochia che lo avevano schernito (Costantinopoli 331 -
in Mesopotamia 363 d.C.).