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Gioia.

Vivo godimento dell'anima. Diversa dall'allegria che può considerarsi come una vacanza dell'anima, in quanto corrisponde a uno stato di agitazione piacevole, la g. è meno visibile, ma anche meno labile e occasionale e, quindi, più vicina all'autentica felicità. Quindi la g., che è accettazione di sé, della propria natura e della propria condizione di vita, non coincide col divertimento che, anzi, per larga parte, è il suo opposto. Esso, infatti, nasce spesso come un bisogno per sfuggire al disagio interiore, ed è quindi evasione, fuga da se stessi, dalla routine quotidiana e dalla noia che questa comporta. Secondo Spinoza, la g. è per sua natura buona, mentre la tristezza è cattiva. Egli, infatti, considera la cupiditas come l'essenza stessa dell'uomo, da cui discendono le due prime passioni: laetitia (che rappresenta il passaggio dell'uomo a una maggiore perfezione) e tristitia (l'opposto della prima) che allontana l'uomo dall'idea della perfezione nella misura in cui la prima lo avvicina ad essa. Comunque, anche sul piano psicologico, nel sentimento della g. è evidente l'elemento che porta a unire l'uomo agli altri, l'aspirazione a comunicare, a partecipare alla vita in comune. Secondo A. Adler, nella g. è evidente la linea di passaggio dal sentimento di insoddisfazione al sentimento di superiorità, e di pari passo con essa si esplica la manifestazione del ridere come effetto liberatorio "che rappresenta, in un certo senso, la chiave di volta di questo sentimento". Anche nella g., ovviamente, vi possono essere manifestazioni di abuso, tali da poter rientrare nel campo della psicopatologia, ma in tali casi si tratta di un sentimento solo apparentemente simile alla g.. Non si può infatti parlare di g., cioè di un sentimento che porta all'unione con gli altri, nel caso di piacere dell'altrui male o, anche, del compiacimento per la propria superiorità sugli altri, cioè di sentimenti di separazione che sono il contrario della g., ossia dell'aspirazione a comunicare, a partecipare, a godere con gli altri.