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Giansenismo.

Movimento religioso che prende il nome da Giansenio. Erede del Baianismo, la dottrina enunciata da Baio, il G. si proponeva il ritorno alla dottrina più autenticamente agostiniana e alla pratica cristiana dei primi secoli, sia sotto l'aspetto teologico che della pratica religiosa. Il G. non si presentò mai come un movimento ereticale e, nonostante le molte condanne da parte della Chiesa di Roma, i suoi rappresentanti rimasero fermi nel proposito di rimanere in seno alla Chiesa cattolica. Dal Belgio il G. passò in Francia, dove ebbe grande diffusione soprattutto per opera di J. Duvergier de Hauranne, abate di Saint-Cyran (1581-1643). Suo centro fu l'abazia di Port-Royal-des-champs, nei pressi di Parigi, dove vivevano, dedicandosi alla meditazione e agli esercizi ascetici, i seguaci di Giansenio. I più noti rappresentanti del G. in Francia furono: A. Arnauld, P. Nicole, B. Pascal. Il movimento si diffuse anche in Italia ed ebbe i suoi maggiori centri a Pistoia, dove fu introdotto dall'arcivescovo Scipione de' Ricci e nell'università di Pavia. Le monache e i solitari di Port-Royal si opposero a lungo e con coerente fermezza alle varie condanne pontificie. Furono scritte opere come il De la fréquente communion e il Cum occasione di A. Arnauld; Le Lettres provinciales di B. Pascal; le Réflexions morales di P. Quesnel. La resistenza di Port-Royal, anche dopo l'emanazione della bolla pontificia Vineam Domini (1705), indusse il re Luigi XIV a far disperdere con la forza le monache nel 1709 e a ordinare la distruzione dell'abbazia nel 1712. Quest'azione sollevò le proteste in tutto il Paese. Al coro delle proteste si unirono anche quattro vescovi che furono scomunicati con la Pastoralis officii del 1718. In loro sostegno intervenne il Parlamento francese e la questione finì con l'assumere carattere, oltre che religioso, anche politico, affermando l'autonomia dei vescovi dalla Santa Sede e i diritti delle Chiese nazionali. Fondamentale, nel pensiero giansenista, è la netta distinzione posta tra stato di natura e stato di grazia. Dopo il peccato originale, la natura è diventata moralmente impotente, sino al punto di essere incapace di qualsiasi buona azione. Il solo rimedio efficace è la grazia divina alla quale essa non può resistere. La grazia non è però accordata a tutti, ma solo ai predestinati. Cristo è morto solo per essi, non per tutta l'umanità. Nell'uomo toccato dalla grazia, il libero arbitrio è in balìa dell'azione divina, e perciò è a Dio che risalgono le azioni virtuose degli uomini, così come anche le buone intenzioni e gli slanci del cuore. Alla grazia di Dio risale non solo il dono della fede, ma la stessa volontà di credere. Al contrario, nell'uomo privo della grazia, il libero arbitrio è in balìa della concupiscenza e dell'egoismo. La dottrina giansenista dichiarava impossibile l'amore naturale di Dio e colpevole ogni concessione, anche minima, fatta alla natura. Merito del G., come del Pietismo, che fu il corrispettivo tedesco, fu quello di aver ricondotto il Cristianesimo alle fonti dell'interiorità e di aver collegato la pratica cristiana a un sincero rigorismo morale. Nell'ambito più propriamente filosofico, reagendo al Razionalismo dei neopelagiani, rappresentato soprattutto dai gesuiti, la dottrina giansenista preannuncia e anticipa le rivendicazioni del Romanticismo nei confronti della cultura illuministica, esaltando il sentimento sulla ragione, l'ispirazione, le esigenze individuali, e rivendicando inoltre una certa autonomia morale.