Fisico, astronomo e filosofo italiano. Per volere della famiglia (il padre,
Vincenzo, era un celebre musico), si orientò verso gli studi di medicina.
Iscrittosi all'università di Pisa nel 1581, preferì tuttavia
dedicarsi a osservazioni di fisica e a speculazioni filosofiche. Nel 1583
cominciò le sue famose osservazioni sulle oscillazioni del pendolo. Nel
1585 lasciò Pisa, senza aver conseguito alcun titolo accademico, ma nel
1589 fu chiamato nella stessa università per assumervi la cattedra di
matematica. Nel 1592 passò all'università di Padova, dove
trascorse diciotto anni in un grande fervore di ricerche, garantite dalla grande
libertà di pensiero offerta dalla Repubblica di Venezia che lo protesse
contro ogni interferenza da parte dell'Inquisizione. Nel 1610 fece ritorno a
Pisa, accettando un incarico assai remunerativo offertogli dal Granduca di
Toscana. L'anno prima aveva costruito il famoso telescopio con cui poté
condurre le osservazioni astronomiche che lo portarono alla scoperta (1609-10)
dei quattro satelliti di Giove, delle macchie della Luna, delle fasi di Venere e
delle macchie solari. Intanto andava perfezionando il suo "occhiale", con cui
poté iniziare ricerche di microscopia. Nel 1615 aveva ottenuto la nomina
a membro dell'Accademia dei Lincei. Nel 1615, in seguito alla denuncia del
domenicano Nicolò Larini, ebbero inizio le sue difficoltà col
Sant'Uffizio che aveva condannato il sistema copernicano, accettato e sostenuto
pubblicamente da
G. Nel 1616 venne "ammonito" ufficialmente dal cardinale
Bellarmino. Nel 1623, divenuto pontefice il cardinale Maffeo Barberini (Urbano
VIII) uomo colto e di larghe vedute,
G. riprese, con rinnovato vigore, la
propria battaglia e pubblicò
Il Saggiatore contro padre Orazio
Grassi che, nel 1619, aveva pubblicato una
Disputatio astronomica,
spiegando la natura delle comete sulla base di quanto aveva sostenuto alcuni
decenni prima Tycho Brahe. Criticato da
G., egli aveva poi pubblicato,
sotto lo pseudonimo di Lotorio Sarsi, un
Libra astronomica et
philosophica contro cui
G. intervenne col
Saggiatore. Negli
anni successivi continuò a operare in difesa dell'accettazione del
sistema copernicano, e nel 1632 pubblicò il
Dialogo sui massimi
sistemi del mondo, che gli costò il processo romano, la condanna e la
pronuncia dell'abiura. Relegato ad Arcetri, non riottenne mai la completa
libertà e poté solo concedersi qualche soggiorno a Firenze. Nel
1638 pubblicò l'ultima delle sue grandi opere,
Discorsi e
dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla
matematica, nella quale sono riuniti e rielaborati gli studi sulla meccanica
che aveva proseguito per oltre quarant'anni. Passò gli ultimi anni, cieco
e ammalato, a curare la pubblicazione delle ricerche sul moto, alle quali si era
dedicato nei decenni precedenti. È sepolto a Firenze, in Santa Croce.
Antiaristotelico e nemico di ogni forma di sapere codificato e statico, sostenne
la necessità di una continua ricerca, basata sull'esperienza e sulla
ragione, rimanendo per tutta la vita attivamente fedele a questa impostazione.
Contro ogni forma di autoritarismo, s'impegnò a porre una netta
distinzione tra i compiti della scienza e quelli della religione, affermando che
esistono due ordini diversi di verità e che le "altissime contemplazioni
divine" non dovrebbero scendere sul piano delle "speculazioni delle scienze
inferiori" alle quali competono fini diversi, da raggiungersi seguendo vie
diverse. Egli si tenne appartato da tutti i filosofi suoi contemporanei,
assumendo nei loro confronti un atteggiamento di chiusura. Questo non solo verso
i tradizionalisti aristotelici, ma anche verso coloro che si opponevano al
conservatorismo dei primi, come B. Telesio, G. Bruno, T. Campanella che, nel
1616, mentre si trovava in carcere, aveva scritto un'
Apologia pro
Galileo. Per salvaguardare la libertà di ricerca, egli insistette sul
fatto che la religione ha come suo compito precipuo quello di operare per la
beatitudine dell'anima, e a questo compito deve attendere, senza interferire
nell'ambito della ricerca scientifica: se il campo scientifico fosse lasciato
alla ragione e all'esperienza, ogni conflitto con l'autorità religiosa
verrebbe a cadere. Per evitare accuse di ateismo,
G. tuttavia, non
mancò di sottolineare che il fondamento ultimo dello stesso sapere
scientifico è quello di operare per avvicinare sempre più l'uomo
alla verità divina. Di qui, l'affermazione famosa che il mondo è
il vivente libro di Dio, scritto in lettere matematiche. Tuttavia, anche se tra
mente umana e Dio sussiste una corrispondenza perfetta, solo attraverso
l'esperienza l'uomo è in grado di pervenire a una più vasta
visione del mondo e capire quali cose, di fatto, Dio ha realizzato tra le
infinite possibilità: "noi non cerchiamo quello che Iddio poteva fare, ma
quello che Egli ha fatto". Pertanto, è necessario che l'analisi parta dal
dato sperimentale, per giungere alla struttura matematica, che costituisce
l'ossatura della realtà. Tale analisi s'integra con processi autonomi
della ragione, attraverso i quali il pensiero giunge alla formulazione di leggi
universali che l'esperienza tornerà poi a confermare. Coerentemente con
quanto sostenuto in sede teorica, egli dedicò l'intera sua vita alla
ricerca, elaborando innumerevoli teorie e metodi di analisi scientifica. Esiste
un'edizione completa delle opere di
G., in 20 volumi (1890-1909), di cui
sono state fatte alcune ristampe (Pisa 1564 - Arcetri, Firenze 1642).
Galileo Galilei ritratto da Justus Sustermans (Firenze, Uffizi)