Saggio economico politico dello studioso francese Josef Proudhon (1809-63),
pubblicato nel 1846. Esponente di rilievo di quella corrente culturale e
politica che prese poi il nome di
socialismo utopistico e si
sviluppò in Europa nel corso del XIX sec., Proudhon affronta qui il
problema della creazione di una società diversa, che deve essere
costruita, a suo avviso, eliminando gli aspetti più irrazionali del
capitalismo. Egli critica innanzitutto il concetto di proprietà privata
quale si è determinato nel corso della società borghese e auspica
la formazione, al suo posto, del possesso, vale a dire di un sistema tale che
permetta al lavoratore stesso di appropriarsi dei frutti del suo lavoro senza
con ciò vivere della rendita di un lavoro altrui. Essendo però
evidente che per poter adeguatamente sviluppare una tal rete di produttori
è necessario disporre di forti capitali, Proudhon auspica la formazione
di una banca statale che offra un credito gratuito e senza interessi a chi ne
faccia richiesta, credito che sarà reso con i frutti del lavoro. Le
posizioni assunte dall'autore suscitarono non poche perplessità non solo
nell'ambito degli studiosi di economia, ma soprattutto fra i socialisti che ne
criticarono l'eccessiva astrattezza e il carattere tutto utopistico
dell'insieme. Va ricordato al proposito che Karl Marx replicò a Proudhon
con un celebre testo dal titolo ironicamente beffardo
La miseria della
filosofia.