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Extracomunitario.

Che non appartiene alla comunità europea. ║ Detto generalmente di cittadini dell'America Latina, dell'Africa e dei Paesi dell'Est che emigrano in Europa per sfuggire ai gravi disagi economici e sociali in cui versano nelle loro Nazioni. ║ Gli e. in Italia: nell'arco di pochi anni l'Italia si trasformò da tradizionale Paese di emigrazione in Paese di immigrazione, non solo perché si andava consolidando un'economia industriale, ma soprattutto perché, fino alla fine degli anni Ottanta, la politica di immigrazione fu molto meno restrittiva di quella adottata dagli altri Stati europei. Al primo massiccio flusso risalente agli anni Settanta, costituito da immigrati africani (Tunisia, Marocco, Egitto, Senegal, Capo Verde, Etiopia, Somali, Madagascar), fece seguito un'ondata migratoria proveniente dai Paesi dell'Europa orientale (Polonia, Ucraina) negli anni Ottanta, e dagli Stati asiatici (Pakistan, Sri Lanka) e della penisola balcanica (Albania, Kossovo) dagli anni Novanta. La prima legge che riconobbe i diritti degli e. fu la L. 943 del 1987 che, pur presentando norme molto restrittive, introdusse l'accesso al lavoro con la clausola che potevano essere svolte solo quelle mansioni che fossero rifiutate dal lavoratore italiano; il permesso di soggiorno per motivi di studio; il permesso di soggiorno per turismo; la possibilità di accesso alle prestazioni sanitarie. La vera svolta in ambito di regolamentazione fu rappresentata dalla L. 28-2-1990, n. 39 (conosciuta come legge Martelli), che introdusse il diritto di cittadinanza come diritto realmente fruibile. L'e. iscritto al collocamento poté lavorare godendo degli stessi diritti del lavoratore italiano; l'accesso alla sanità diventò automatico dal momento in cui l'e. otteneva il permesso di soggiorno rilasciato dalla Questura; si costituirono i centri di prima accoglienza; si istituirono borse di studio per gli studenti; si inaugurò la fase della programmazione dei flussi migratori; si istituirono le consulte nazionali, regionali e provinciali dell'immigrazione; vennero previsti fondi destinati alle politiche dell'immigrazione. Nel 1995 fu emanato il decreto 416 (conosciuto come legge Dini), che regolarizzò le posizioni contributive dei lavoratori immigrati. La L. 25 luglio 1998, n. 286 (conosciuta come legge Turco-Napolitano) previde espulsioni più rapide per i clandestini e maggiori diritti per i regolari. Stabilì la programmazione degli ingressi legata alla capacità di assorbimento nell'economia nazionale; il rilascio del permesso di soggiorno della durata di tre anni per gli immigrati in regola da oltre cinque anni, che diede accesso all'assistenza sanitaria e ai bandi per le case popolari; l'introduzione della figura dello sponsor (cittadino italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia, ente pubblico o associazione autorizzata), che fungeva da garante per l'accesso di uno straniero personalmente individuato. La L. 30 luglio 2002, n. 189 (conosciuta come legge Bossi-Fini) introdusse norme più severe per l'ingresso e la permanenza in Italia degli e.. Stabilì l'obbligo di fornire le proprie impronte digitali agli immigrati che chiedono il permesso di soggiorno o il rinnovo; la concessione del permesso di soggiorno della durata di due anni (non più di tre) allo straniero che già possiede un contratto di lavoro (il datore di lavoro deve fornire garanzie sulla disponibilità di un alloggio e l'immigrato che rimane senza lavoro deve tornare in patria); l'abolizione della figura dello sponsor; il passaggio da cinque a sei anni per ottenere la carta di soggiorno (che a differenza del permesso non ha scadenza); la regolarizzazione di colf e badanti; la concessione di maggiori poteri alle navi della Marina Militare per bloccare le carrette che trasportano clandestini; l'introduzione di sconti di pena per gli scafisti pentiti; norme più severe sui ricongiungimenti familiari (il cittadino e. può essere raggiunto da un familiare solo se a carico). Il Governo attuò inoltre una maxi-sanatoria (L. 9 ottobre 2002, n. 222) che regolarizzò gli e. (non solo colf e badanti) che lavorano in aziende da oltre tre mesi con contratto di lavoro a tempo indeterminato o per un periodo non inferiore a un anno.