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Evidenza.

Carattere di ciò che è evidente. ● Filos. - Nell'ambito della gnoseologia, l'e. tende a persuadere della verità di un commento in forza della chiarezza e della coerenza da esso posseduta. All'e., quale criterio di verità, si richiamano l'epicureismo, secondo cui la sensazione è il primo fondamentale criterio di verità, dato che, essendo prodotta dagli efflussi emanati dal corpo, è una fedele riproduzione della realtà esterna; essa è perciò immediatamente evidente. Tutto il pensiero scolastico, da San Tommaso in poi, fa dell'e. la condizione necessaria della certezza della fede. G. d'Ockham, che della scolastica rappresenta la fase critica e che pone le basi per il distacco del mondo della fede da quello della ricerca razionale, nega l'e. della verità della fede. Non per questo egli respinge la fede, anzi considera un privilegio per il cristiano credere a verità che un filosofo dovrebbe senz'altro respingere. L'adesione alla fede non è fondata sulla conoscenza e la stessa mancanza dell'e. conferisce rilievo alla fede. Cartesio, fondatore del razionalismo moderno, afferma l'e. intrinseca del pensiero a se stesso. Soltanto il soggetto, come pura coscienza, è originaria e.: cogito ergo sum. La fenomenologia ritorna all'originario concetto dell'e. oggettiva. Secondo Husserl, si ha e. quando l'intenzione della coscienza volta verso un oggetto è riempita dalla determinazione con cui l'oggetto si definisce e appare alla coscienza.