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Evaporatore.

Nell'industria chimica e nella tecnica è l'apparecchiatura che consente di concentrare una soluzione per evaporazione parziale del suo solvente. Non sono comprese con questo nome quelle apparecchiature destinate alla semplice evaporazione di un liquido puro o di una miscela di liquidi (tutti volatili), che sono di più raro uso, eccetto che come umidificatori, cioè per saturare di vapori un certo gas. Un e. è quindi un'apparecchiatura (o sistema) nella quale si alimenta una soluzione diluita, fornendole nel contempo calore e da cui si ottiene una soluzione concentrata (o addirittura un solido umido) e del vapore. I mezzi per fornire calore possono essere quanto mai diversi: i più comuni sono il vapor acqueo (che condensa cedendo il suo calore di condensazione), il riscaldamento elettrico, il riscaldamento per irraggiamento, per contatto con una corrente di gas caldo, e così via. La classificazione di alcuni e. si basa appunto sul metodo usato per fornire il calore; in particolare si distinguono due tipi di e.: quelli a riscaldamento diretto e quelli a riscaldamento indiretto. Fra i primi sono le saline, quelli a fiamma immersa, ecc.; fra gli altri sono quelli a fascio tubiero. Vediamoli dettagliatamente. ║ Saline: benché siano antichissime, anch'esse vanno considerate degli e. del tipo a riscaldamento diretto per irraggiamento (da parte dei raggi solari). Il loro scopo è l'ottenimento del comune sale da cucina dall'acqua di mare per evaporazione di questa. Il costo di una tale operazione sarebbe enorme, se non si potesse usare il calore solare come appunto si fa. L'acqua viene chiusa in un bacino piano, sul fondo del quale forma uno strato di piccolo spessore. Il calore del sole fa evaporare l'acqua e l'operazione è relativamente veloce per la grande superficie evaporante che si ha. Allorché la concentrazione porta l'acqua di mare a contenere tanto cloruro sodico quanto è il suo limite di solubilità (circa 360 g/litro) inizia la precipitazione del sale, che si raccoglie sul fondo del bacino. Questo è però bianco, e riflette una quantità sensibile della luce solare (e quindi anche del calore) che riceve. Si usa pertanto colorare con opportune sostanze l'acqua del bacino per ridurre al minimo le perdite del calore ricevuto dal sole. ║ E. a fiamma immersa: sono anche questi a riscaldamento diretto; il calore è fornito da una corrente di gas caldo che attraversa la soluzione da concentrare. Sono indicati per quelle soluzioni che non subiscono alterazioni chimiche anche se portate ad alta temperatura, e sono particolarmente convenienti per liquidi corrosivi. Si ha un piccolo inquinamento della soluzione, ma accettabile per molti usi. Consistono in un recipiente che contiene la soluzione da trattare; in questa sono immersi uno o più bruciatori, alimentati con aria ed un combustibile (metano, gas di raffineria, nafta, ecc.). I prodotti della combustione uscendo dal bruciatore devono attraversare un battente di soluzione cui cedono il calore, asportandone nel contempo umidità per umidificazione adiabatica. Se la disposizione è buona, il gas combusto esce disperso in bollicine e praticamente tutto il suo calore sensibile è ceduto alla soluzione; il gas esce saturo di umidità e ad una temperatura superiore a quella della soluzione di 3 ÷ 5°C. è intuitivo che questo metodo ha una resa altissima, prossima al 100% del teorico; sfortunatamente non si può sempre impiegare. ║ E. a fascio tubiero: questi e. sono indiretti, in quanto lo scambio termico avviene attraverso una parete. In generale essi comprendono un fascio tubiero nel quale passa la soluzione per convenzione naturale (favorita dallo sviluppo di bolle gassose che salgono, se il fascio è verticale) o spinta da una pompa. Il vapore generalmente entra nel mantello (attorno ai tubi del fascio) e condensa su questi. Molto più raro è il caso di vapore che condensa nei tubi e di soluzione che circola attorno a questi; si cerca infatti di evitare il più possibile le perdite di carico per variazione di direzione sul flusso di soluzione. Il fascio tubiero è in generale del tutto analogo a quello dei comuni scambiatori di calore liquido-liquido. Il fascio può essere sia interno sia esterno al corpo dell'e.; la prima soluzione è la più comune. In quasi tutti gli apparati si ha una camera di espansione del vapore (eventualmente munita di opportuni setti) per ridurre il trascinamento di goccioline di liquido da parte del vapore. Di solito si impiega vapore pressoché a 2 ÷ 3 ata, e quindi a temperatura di 120-130°C, dato che la maggior parte delle soluzioni bollono a temperatura un po' minore di queste. Vi sono due buone ragioni per non usare vapore a più alta temperatura e pressione: in primo luogo il suo costo è maggiore, e quindi viene impiegato per scopi più remunerativi della concentrazione (es. produzione di energia elettrica o meccanica); in secondo luogo questo evita di dover calcolare e costruire l'e. come un'apparecchiatura a pressione (più costosa). Il vapore a bassa pressione impiegato è di solito prodotto in caldaia di recupero, e quindi di basso costo. Qualora la soluzione bolla (a pressione atmosferica) a temperatura troppo alta per vapore di tal tipo, si preferisce abbassarne il punto di ebollizione facendo avvenire l'evaporazione sotto vuoto moderato. Si può scendere con la pressione sopra la soluzione da concentrare fino a 100 ÷ 150 mm Hg; a queste basse pressioni si lavora di solito per la concentrazione di succhi naturali, che verrebbero danneggiati da una temperatura di 100°C o più. Per lavorare sotto vuoto basta porre sull'uscita del vapore che si libera dalla soluzione un condensatore: dalla temperatura di questo (e dalle perdite di carico nelle tubazioni) è immediatamente fissata la pressione nell'e., e quindi anche la temperatura. L'impianto per il vuoto può avere un costo ben diverso nei vari casi; soprattutto dipende dal fatto che si voglia recuperare il vapore svolto dalla soluzione o no. Se lo si vuol recuperare non resta che ricorrere ad un condensatore a fascio tubiero, nei cui tubi scorre aria fredda; esso è però costoso e deve essere munito di una pompa per il vuoto il cui consumo è sensibile. Normalmente si usa invece uno scambiatore a miscela, nel quale il vapore che si libera dalla soluzione è condensato per miscelazione insieme all'acqua di raffreddamento. La bassa pressione si può mantenere in tale apparato semplicemente con una canna barometrica per lo scarico delle infiltrazioni di aria o di altri gas incondensabili. Se si dispone di acqua a 25°C per la condensazione si può far scendere la pressione nell'e. teoricamente fino a 30 mm Hg; in pratica non conviene e non si giunge mai a operare sotto i 100 mm Hg. Infatti un aumento del vuoto porta ad un aumento dei costi di esercizio; anche il coefficiente di trasporto del calore viene influenzato negativamente. Altri sistemi che consentono a volte un risparmio nelle spese (sempre ingenti) di concentrazione sono la disposizione di più e. in multiplo effetto e la termocompressione, descritti alla voce evaporazione (V.). Altri e., sempre indiretti, sono quelli a camicia di vapore o d'acqua calda. Consistono semplicemente in un'autoclave con una camicia per il riscaldamento, eventualmente dotata di un agitatore. Questo e. (spesso detto boulle) è comune nell'industria conserviera. ║ Conduzione degli e.: il problema principale, una volta stabilite le condizioni di lavoro, è il fissare un funzionamento di tipo continuo o discontinuo. Il primo ha i grandi vantaggi insiti nella continuità di un processo, può quindi essere preferito in processi che richiedono forti e continue produttività. Tuttavia, da un punto di vista economico (limitando il bilancio al solo costo dell'operazione in sé, senza quello delle operazioni accessorie), il funzionamento continuo appare svantaggioso. Infatti, quello in discontinuo lavora in condizioni variabili, e precisamente il delta T, cioè la differenza di temperatura fra il vapore condensante e la soluzione è massimo all'inizio e va diminuendo fino ad essere minimo alla fine. è chiaro che la resa (o meglio la produttività) dell'apparato e tanto maggiore quanto più alto è il delta T. Nell'operazione in continuo invece entra sempre soluzione diluita ed esce sempre soluzione concentrata; l'e. lavora quindi in condizioni pari a quelle finali di un e. in discontinuo, e quindi mediamente peggiori. Ne consegue che per le piccole produzioni si lavora generalmente in discontinuo, mentre per le grandi si lavora preferibilmente in continuo.
Schema di evaporatore sotto vuoto