Qualità e fatto dell'esistere. Nel suo significato generico
e.
è sinonimo di vita. Come termine filosofico indica, in generale, lo stato
di ogni realtà in quanto tale; in senso specifico, lo stato della
realtà che può essere oggetto di un'esperienza sensibile. Con
questo significato, si contrappone a
essenza che è realtà
puramente concettuale, ideale. Il problema dell'
e. e del suo rapporto con
l'essere ha costituito materia di indagine sin dagli albori della filosofia,
dato che i problemi dell'
e., quale riflessione critica sulla condizione
umana, costituiscono i problemi-base della filosofia. Così, da Platone ad
Aristotele, da San Paolo a Sant'Agostino da Anselmo D'Aosta a Pascal, da Spinoza
a Kant, sino alla recente filosofia dell'
e. o
Esistenzialismo,
l'
e. ha costituito il tessuto dei problemi (gli "eterni problemi") che
riguardano l'uomo in quanto "ente" in cui tutti i problemi sono presenti. Il
problema dell'
e. umana si lega strettamente a quella dell'
e. di
Dio che ha portato all'elaborazione di diverse
prove. Una
prova
ontologica (Agostino, Anselmo d'Aosta, Descartes), secondo cui l'essere
pensabile col massimo di perfezioni deve esistere; una
prova cosmologica
(Tommaso d'Aquino), per cui ciò che è contingente e condizionato
postula un essere necessario e incondizionato; una
prova morale
(sostenuta da vari pensatori moderni) secondo cui nella coscienza che rimorde si
riconosce la voce di Dio. La dimostrazione dell'
e. di Dio costituisce la
parte essenziale della speculazione di Anselmo d'Aosta (1033-1109) che fu
arcivescovo di Canterbury. Partendo dal presupposto della disuguaglianza nel
grado di perfezione delle cose e posto che tale perfezione deriva dal grado di
partecipazione a ciò che rappresenta la
perfezione in assoluto,
Anselmo svolge tre prove dell'
e. di Dio. La prova più stringente
è, per Anselmo, quella
ontologica: per negare Dio, bisogna avere
il concetto di Dio, ossia di un essere di cui non è possibile pensare
niente che lo sovrasti. Pertanto, chi afferma che "Dio non esiste" si
contraddice. I presupposti di questo argomento sono la nozione di Dio data dalla
fede; il principio che esistere nel pensiero significa esistere anche nella
realtà, per cui l'
e. della nozione di Dio nel pensiero richiede
logicamente che se ne affermi anche l'
e. reale. Stabilita l'
e. di
Dio, se ne possono indicare gli attributi di cui il principale è quello
di essere la pienezza della realtà, ossia l'
essenza. Dio è
ciò la cui natura propria è di esistere, le altre cose derivano da
Dio la loro
e. Mentre l'essenza divina coincide con l'
e.,
l'essenza degli esseri finiti non implica necessariamente l'
e. che
verrà loro conferita da Dio, mediante la creazione. Dio non è la
materia di cui è fatto l'universo, ma la causa produttiva di esso.
L'argomento ontologico, basato sul principio che ciò che esiste nel
pensiero esiste anche nella realtà, fu ripreso da San Bonaventura,
Leibniz, Hegel; esso fu invece respinto da Tommaso d'Aquino, che pone una
precisa distinzione tra essenza ed
e.; l'
e. di Dio è resa
possibile solo partendo dagli effetti sensibili, ossia attraverso prove
a
posteriori. Tommaso segue cinque vie che hanno come fondamento comune quello
secondo cui gli esseri, considerati sotto l'uno o l'altro dei loro aspetti, non
hanno in se stessi la ragione sufficiente della loro
e.: ognuno di tali
esseri esiste, ma nessuno di essi coincide con la stessa
e. Pertanto, la
ragione riconosce come "necessaria" l'
e. di Dio, anche se essa non
è in grado di elaborare delle dimostrazioni sui problemi riguardanti la
trinità, l'incarnazione, l'inizio del tempo della creazione; anche
Alberto Magno segue spunti aristotelici e nella dottrina della dimostrazione
dell'
e. di Dio si basa su prove
a posteriori. Secondo G. Duns
Scoto, di poco posteriore a Tommaso d'Aquino, non si può separare Dio dal
mondo, senza impedirsi la comprensione sia di Dio che del mondo. La
dimostrazione
a posteriori dell'
e. di Dio è possibile,
anche se non tutti gli attributi di Dio si possono dimostrare e, del resto, il
vero fondamento dell'essenza divina è la volontà di chi crede. G.
d'Ockham, opponendosi alla metafisica aristotelica e al razionalismo logicistico
delle sue derivazioni scolastiche, si distacca da Tommaso d'Aquino e da Duns
Scoto. Egli nega l'
e. di una realtà universale, dato che
realtà significa essenzialmente individualità, e afferma che
dell'
e. di una cosa si può parlare solo con riferimento alla
conoscenza intuitiva di essa. Le stesse prove dell'
e. di Dio non hanno
per Ockham valore dimostrativo, e perciò l'adesione alla fede non
è fondata sulla conoscenza. Nella filosofia moderna il problema
dell'
e. si pone al centro del pensiero di Schelling, sia come
e.
di Dio che come
e. delle cose finite. Essenzialmente teologico, il
problema dell'
e. di Dio ha continuato a costituire oggetto di ricerca da
parte delle correnti spiritualistiche, mentre gli altri indirizzi si sono
decisamente orientati verso la costruzione di un rinnovamento essenzialmente
umanistico. Secondo L. Lavelle, rappresentante della corrente filosofica
francese nota come
filosofia dello spirito, l'
e. (che è
da Dio) è ricerca attiva dell'essenza (che è
in
Dio), è "possibilità dell'essenza". Il merito di aver capovolto la
teologia in antropologia va particolarmente ad A. Comte, L. Feurbach, F.
Nietzsche che, in modo diverso, criticarono l'uomo astratto della filosofia
tradizionale ed esaltarono l'uomo concreto che si sostituisce a Dio.
L'esistenzialismo, in quanto filosofia dell'
e., dissolve ogni astratto
razionalismo che tenda a ridurre la realtà a concetto, rivaluta la
singolarità dell'esperienza umana e insiste sull'
e. dell'uomo,
intesa come
e. singola di ognuno. Pertanto, la filosofia dell'
e.
si propone come una filosofia dell'uomo nella sua storicità e finitezza,
in contrapposizione alla filosofia dell'assoluto che annulla la distinzione tra
l'umano e il divino. Tale distinzione è netta anche nell'esistenzialismo
religioso, in particolare in quello di S. Kierkegaard.