Tragedia di Sofocle scritta tra il 425 e il 416 a.C. Il mito di Oreste è
visto da Sofocle da un solo punto di vista: l'attesa di lui da parte della
sorella Elettra. La tragedia inizia con un lamento di Elettra che piange il suo
destino, chiedendosi se si debba credere alla pietà degli dei e alla
gratitudine degli uomini. Infatti essa visse per la salvezza del fratello
Oreste, sopportando la madre Clitennestra ed il suo amante Egisto, uccisori del
padre Agamennone. Mentre essa ha con la madre uno dei soliti alterchi, giunge un
messo che annuncia la morte del fratello e figlio. Per la madre è giorno
di giubilo ma Elettra soffre di un profondo dolore. Dopo vari colpi di scena si
viene a sapere che Oreste è vivo e la vendetta si attua in tutta la sua
ferocia e ineluttabilità. Il dramma si svolge con una tensione costante
che avvince lo spettatore, rimandando Sofocle abilmente la conclusione.
L'
E. si può ben definire la tragedia dell'odio e
dell'ineluttabilità. Il mondo degli dei è visto da Sofocle come
distaccato dalle tragedie umane. Il loro rapporto con gli uomini non è
più quello indicato da Eschilo: la loro ragione e il loro ordine non
riescono ad essere gli stessi degli uomini, che lottano e combattono in preda a
passioni non da loro stessi determinate, ma di cui sono vittime.