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Ecuador.

Stato (272.045 kmq; 13.027.000 ab.) dell'America meridionale. Capitale: Quito. Confina a Nord con la Colombia, a Est e a Sud con il Perú; si affaccia a Ovest sull'Oceano Pacifico. Amministrativamente l'E. è diviso in 21 province; è una Repubblica presidenziale, indipendente dal 1822; il potere esecutivo spetta a un presidente, eletto per 4 anni; il potere legislativo spetta al Congresso Nazionale formato da 125 membri con mandato quadriennale. Lingua: spagnolo. Religione: cattolica. Moneta: sucre. La popolazione comprende amerindi, meticci e creoli. Oltre la capitale, centri importanti sono Cuenca e Guayaquil, principale porto e centro commerciale.

GEOGRAFIA

Il Paese è attraversato da Nord a Sud da due catene parallele che fanno parte del sistema andino: la Cordigliera Occidentale e la Cordigliera Reale, sovrastate da imponenti coni vulcanici (Chimborazo, 6.267 m), molti dei quali ancora attivi. A Est della Cordigliera Orientale fino al Pacifico si estende una regione pianeggiante. Dell'E. fa parte integrante anche l'arcipelago di Colón (o delle Galápagos), distante circa 1.000 km dalla costa. Il clima sulla costa è caldo umido a Nord e diventa gradatamente più arido procedendo verso Sud; presenta caratteri tropicali sulle pendici più basse delle Cordigliere; è rigido nelle zone più elevate. Il nome del Paese deriva dalla linea dell'equatore, che lo attraversa poco a Nord di Quito.
Cartina dell'Ecuador

Paesaggio agricolo nei pressi di Lactacunga (Ecuador)


ECONOMIA

L'economia è basata principalmente sull'agricoltura e risente tuttora della struttura fondiaria. Sebbene dal 1976 sia stata attuata un'opera di confisca dei latifondi, questi occupano ancora il 60% della superficie coltivata. I principali prodotti sono cereali, caffè, canna da zucchero, banane, cotone, tabacco, cacao (sesto produttore del mondo). Di rilevante importanza economica la coltura della coca. Sviluppato l'allevamento del bestiame. Minerali argentiferi, oro, e petrolio costituiscono la risorsa più importante. Dal 1970 si è assistito ad uno sviluppo del settore manifatturiero: industrie tessili, farmaceutiche, di cemento, di birra, di cioccolato, di fiammiferi e di esplosivi.

STORIA

Il territorio ecuadoriano acquistò una struttura politica unitaria ancor prima della colonizzazione europea, quando le popolazioni che lo occupavano, sino allora organizzate in tribù autonome, furono poste sotto l'autorità del regno Cara (XIV sec.). Alcuni decenni più tardi questo regno fu incorporato nell'impero peruviano degli Incas. Anche dopo la conquista spagnola, il territorio ecuadoriano (Audencia de Quito) rimase legato al Perú, organizzato in vicereame. Nel 1740 la regione ecuadoriana fu staccata dal Perú e sottoposta all'autorità del viceré della Nuova Granada e la sua emancipazione coloniale non si differenziò da quella degli altri territori latino-americani. Dopo la conquista dell'Indipendenza del 1822, avvenuta per opera di J.A. de Sucre, luogotenente di Simon Bolivar, l'E. entrò inizialmente a far parte della Repubblica federale della Grande Colombia, insieme a Venezuela, Colombia e Panama. Scioltasi la Federazione, nel 1830 si costituì in Repubblica indipendente, ma non riuscì a darsi uno stabile assetto costituzionale a causa delle sanguinose lotte tra liberali (laicisti) e conservatori (clericali). Nel 1860 il potere fu assunto da G. Garcia Moreno che istituì un regime conservatore, improntato al più rigido clericalismo. Anche dopo l'assassinio di Garcia Moreno (1875), che aveva consacrato la Repubblica al Sacro Cuore, la situazione non subì modifiche di rilievo sino al 1895. In quell'anno fu eletto alla presidenza il liberale Eloy Alfaro e, salvo alcune brevi parentesi, i liberali rimasero al Governo sino al 1940. Lo sviluppo economico e sociale del Paese fu tuttavia frenato dal permanere delle tensioni interne, dal prevalere dei gruppi di potere oligarchico, nonché da una serie di sconfitte che privarono l'E. di buona parte del suo territorio in favore dei Paesi confinanti: Brasile (1904), Colombia (1916), Perú (1942). Nel 1944 il potere fu assunto da José Velasco Ibarra, che dominò la vita del Paese sino al 1961, sia pure tra molte interruzioni. Avversato dagli Stati Uniti e dall'oligarchia conservatrice per aver accentuato, dopo l'affermazione elettorale del 1960, l'impronta nazionalista e populista del suo regime, Velasco Ibarra dovette cedere il potere nel novembre 1961. Non riuscendo le forze conservatrici a imporre un proprio uomo, la presidenza venne assunta da Carlo J. Arosemena Monroy, già vicepresidente della borghesia progressista. Deposto da un colpo di Stato militare nel luglio 1963, il potere fu assunto da una giunta, presieduta dall'ammiraglio R. Castro Jijòn che governò sino al marzo 1966. Nel novembre successivo, l'Assemblea Costituente nominò presidente provvisorio O. Arosemena Gomez che formò un Governo di coalizione tra i partiti moderati. Nel giugno 1967 fu promulgata una nuova Costituzione (la diciassettesima dall'Indipendenza) e a un anno di distanza Velasco Ibarra venne eletto per la quinta volta alla presidenza della Repubblica. Il programma di Velasco Ibarra, per quanto confuso e venato di demagogia, incontrò la dura opposizione della destra tradizionale che riuscì a imporsi nelle elezioni parziali del giugno 1970. Su pressione degli alti gradi militari, Velasco Ibarra assunse i pieni poteri per meglio fronteggiare l'opposizione conservatrice. Nel febbraio del 1972, con alcuni mesi di anticipo sulle elezioni presidenziali, Velasco Ibarra veniva però destituito da un golpe militare e i pieni poteri furono assunti da una giunta formata dai comandanti in capo di tre armi: G. Rodriguez Lara (Esercito), R. Vallejo (Marina), J. Espinoza Pineda (Aeronautica). I militari definirono il loro regime come "rivoluzionario" e "nazionalista", presentando un programma articolato in vari punti e che prometteva "giustizia sociale" e "trasformazione delle strutture di base". Forti dell'esempio peruviano i militari al potere adottarono un programma di riforme, non senza cautele e correttivi, anche per la carenza di strutture adeguate. Essi potevano contare sui proventi derivati dalla nuova fonte di ricchezza del Paese, il petrolio, le cui esportazioni ebbero inizio nel 1972. Pertanto, anche l'E. sembrò avere finalmente imboccato la via del rinnovamento dopo un letargo secolare. Venne impostato un piano di sviluppo quinquennale (1973-77) presentato ufficialmente dal presidente, il generale Guillermo Rodriguez Lara. Esso conteneva uno studio particolareggiato della situazione economica del Paese e un programma sociale, detto di movilizaciòn social, chiaramente ispirato all'esperienza peruviana. Tra l'altro, esso proponeva di associare i villaggi andini per intraprendere opere collettive di utilità comune: costruzioni di scuole, ospedali, strade, ecc. Inoltre il piano prevedeva un grande incremento agricolo per migliorare soprattutto l'alimentazione interna, opere di irrigazione e la creazione di cooperative. Mancava invece un vero e proprio programma di riforma agraria, segno evidente del persistente potere dell'oligarchia terriera, arroccata sul fertile altipiano andino e proprietaria del 50% delle terre coltivate. Un'altra iniziativa, fu quella di far entrare l'E. nell'OPEC e di vendere, con agevolazioni, il petrolio, principale fonte di ricchezza del Paese, alla Texaco Gulf. A causa di uno sciopero generale, Rodriguez Lara decadde, lasciando all'inizio del 1976 una situazione caratterizzata da lotte fra militari, riguardanti in specifico il problema del petrolio; lotte che si conclusero con un golpe dei settori più conservatori. Gli anni successivi furono segnati da lotte sindacali operaie contadine, organizzate da strutture nascenti che costrinsero la giunta a indire nel 1978 nuove elezione presidenziali. Jaime Roldós Aguilera, nuovo eletto, fu impegnato in una breve guerra di frontiera contro il Perú, rimandando in tal modo le riforme auspicate. Alla sua morte (1981) il nuovo presidente Osvaldo Hurtado si trovò a fronteggiare le grosse manifestazioni indette dal Fronte unitario dei lavoratori contro le misure di austerità e il carovita. Nel 1982 Hurtado decretò lo stato di emergenza e impose il coprifuoco. Nelle elezioni presidenziali del 1984 la vittoria andò a Leon Febres Cordero, conservatore di centrodestra che negli anni seguenti si sarebbe trovato a fronteggiare la grave situazione economica e sociale. Nel 1987 il presidente veniva sequestrato da un gruppo di oppositori, ma veniva rilasciato dopo la restituzione del generale Frank Vargas che, pochi mesi prima, aveva tentato un golpe. Alle elezioni del 1988 venne eletto il rappresentante della sinistra democratica Rodrigo Borja che dovette fronteggiare tra l'altro la grave situazione sociale ed economica creatasi con il sisma che devastò il Paese nel 1987. Nel 1989 un nuovo tentativo di golpe rese ancora più precario l'equilibrio politico ecuadoriano. Nel 1992 Sixto Duran Ballen, esponente del partito liberale, venne designato alla carica di presidente della Repubblica. Le elezioni del 1994 per il rinnovo dei deputati sancirono la vittoria dei due partiti di orientamento conservatore, il Partito social-cristiano (PSC) e l'Unione repubblicana (UR). Nel 1995 si riaprirono le ostilità con il Perú composte definitivamente con il trattato di "reciproca fiducia" firmato dai due Paesi nel 1997 e da un accordo di pace siglato nel 1998 in base al quale la zona contesa dalle due parti fu istituita in riserva naturale e all'E. fu assicurato l'accesso al bacino del Rio delle Amazzoni. Dopo la destituzione per “incapacità mentale” del presidente A. Bucaram Ortiz (1997), si acuì l'instabilità politica. L'aggravarsi della crisi economica e l'impossibilità di una parità forzosa con il dollaro USA determinarono imponenti manifestazioni delle popolazioni amerinde (gennaio 2000) e l'intervento dell'esercito che deponeva il presidente J. Mahuad sostituendolo con il vicepresidente G. Noboa, poi confermato dal Congresso alla guida del Paese fino alla naturale scadenza del mandato presidenziale (2003). Noboa annunciò che avrebbe proseguito la politica di Mahuad e che avrebbe mantenuto la "dollarizzazione" dell'economia. Contro questa linea politica, tra il giugno e il luglio 2000 si scatenò la protesta di sindacati, organizzazioni contadine e indie che dichiararono l'adesione dell'E. al Piano Colombia, voluto dal presidente colombiano Pastrana per sradicare il narcotraffico. Nel gennaio 2001 l'E. dichiarò lo stato d'emergenza, in seguito alla fuoriuscita di carburante dalla petroliera Jessica, incagliatasi nei pressi delle Isole Galápagos, che mise in pericolo il delicato ecosistema della zona. Nel settembre dello stesso anno Luis Maldonado, leader indigeno, venne nominato ministro degli Affari Sociali, divenendo il primo indio ad occupare un posto non dedicato esclusivamente a problematiche indigene. Nell'ottobre 2002 si tennero le elezioni legislative e presidenziali: queste ultime si conclusero con il ballottaggio del 24 novembre, quando si affrontarono Álvaro Noboa, ricco uomo d'affari che aveva nel suo programma elettorale l'abolizione della tassa sui redditi, e Lucio Gutierrez, ex colonnello che aveva partecipato al golpe del 2000, le cui posizioni di sinistra erano appoggiate da organizzazioni indigene, dalla sinistra e dalla popolazione più povera. Con il 54% delle preferenze, Gutierrez divenne presidente del Paese. Insediatosi nel gennaio 2003, disattese fin da subito le promesse fatte a elettori e alleati, rafforzando i legami con gli Stati Uniti (appoggiò tra l'altro la guerra in Iraq), privatizzando i servizi essenziali e tentando un avvicinamento con la destra. In seguito al licenziamento della Corte Suprema (dicembre 2004), a capo della quale venne posto Guillermo Castro che permise all'ex presidente Abdala Bucaram di rientrare nel Paese dopo otto anni di esilio a Panama, scoppiò una violenta rivolta popolare che si concluse nell'aprile 2005 con la destituzione di Gutierrez, che riparò in Colombia. La presidenza dell'E. venne assunta dal vicepresidente Alfredo Palacio, che riscosse il consenso della piazza grazie al varo di un pacchetto di riforme per ridistribuire i proventi del petrolio a favore della spesa sociale. Nell'ottobre 2005 Gutierrez tornò in patria, venendo arrestato con l'accusa di mettere in pericolo la sicurezza nazionale. Nel novembre 2006 le elezioni presidenziali furono vinte dal candidato della sinistra Rafael Correa, che si impose al ballottaggio sul conservatore Alvaro Noboa.