La
d.e. consiste in un insieme di spiegazioni sistematiche del modo
razionale di agire dell'uomo di fronte ai problemi economici e delle regole che
dovrebbero informarlo per conseguire una condotta razionale, rispetto agli
ideali ritenuti veri. Ogni
d.e. si compone formalmente di due parti: la
prima costituita da
idee-base (presupposti) di natura etico-filosofica;
la seconda costituita da
osservazioni sui meccanismi che regolano la vita
economica. Per quanto l'economia, come scienza, abbia cominciato a svilupparsi
solo nel XVIII sec., essa affonda le proprie radici nel pensiero dei due
millenni precedenti. Come ha rilevato J. A. Schumpeter, nella sua
Storia
dell'analisi economica, la situazione classica della seconda metà del
Settecento trasse origine da due tipi di lavoro. Da un lato, l'insieme delle
conoscenze empiriche e, dall'altro, l'apparato concettuale che era andato
lentamente sviluppandosi durante i secoli, attraverso il pensiero filosofico.
Inoltre, sussisteva tutto un patrimonio di concetti e di esperienze accumulato
nel corso delle discussioni sui problemi politici correnti. L'evoluzione delle
varie
d.e. è stata ricostruita, seguendo criteri tra loro molto
diversi, da vari autori, a cominciare dagli studi storiografici di G. B. Say e
F. Ferrara. Pur potendosi far risalire la storia del pensiero economico ai
più antichi Stati nazionali (per es., l'antico Egitto ebbe una specie di
economia pianificata, basata sul suo sistema d'irrigazione), i primi riferimenti
teorici si hanno nella cultura greco-romana. ● St. - Nell'ambito della
cultura greco classica, l'analisi economica non giunse ad acquisire, come invece
accadde per la ricerca matematica, la geometria, l'astronomia, la meccanica, un
proprio spazio autonomo. Il termine economia (
oikonomica, da
oikos: casa), indicava anzi soltanto la saggezza praticata nel governo
della casa. I pensatori greci inclusero frammenti di teoria economica nella loro
filosofia generale dello Stato e della società, e solo raramente giunsero
a trattare un problema economico come problema autonomo. Frammenti scientifici
del pensiero economico greco si trovano soprattutto nelle opere di Platone e di
Aristotele. Tracciando l'immagine di uno Stato ideale perfetto, Platone, nella
Repubblica, toccò, seppure incidentalmente, vari argomenti
economici. Tra l'altro, presentando il suo sistema di caste, egli toccò
il problema della divisione del lavoro. Inoltre osservò che la moneta
è un simbolo escogitato per facilitare gli scambi, dichiarandosi
sfavorevole all'uso dei metalli preziosi, d'accordo in ciò con le moderne
teorie, secondo cui il valore della moneta è indipendente dalla materia
di cui è fatta (V. MONETA). Quanto ad
Aristotele, egli distinse il valore d'uso dal valore di scambio, e
considerò il caso del monopolio quale presenza sul mercato di un solo
venditore, condannandolo come ingiusto. Aristotele, si occupò inoltre
della formazione dei prezzi e presentò una teoria della moneta. In
opposizione a Platone, sostenne la validità dei metalli e la funzione
fondamentale della moneta come mezzo di scambio. Piuttosto limitato fu anche il
contributo dato dagli studiosi romani alla
d.e. Considerazioni di
carattere economico si trovano tuttavia in vari scrittori, tra cui Cicerone,
Plinio il Vecchio, Varrone, Columella, Catone. Trattati con una certa ampiezza
furono soprattutto i problemi di economia agraria. Alcuni autori, in particolare
Varrone e Columella, con le loro osservazioni anticiparono temi sviluppati poi
dall'economia moderna. Essi videro o intuirono certe resistenze all'ordinamento
economico, ma non impostarono alcuna osservazione sistematica, dato che negavano
l'esistenza di un ordine economico razionale suggerito o imposto dalla natura.
║
Età medioevale. Una nuova impostazione dei problemi
economici si ebbe col prevalere dell'etica cristiana. Per quanto alcuni
risalgano sino a san Paolo e a sant'Agostino per individuare le radici delle
teorie economiche suggerite dall'etica cristiana, per trovare argomentazioni
propriamente economiche è necessario risalire almeno sino a Bernardo di
Chiaravalle (1091-1153). Infatti, mentre nulli o molto scarsi sono gli accenni
di carattere economico presenti nel pensiero cristiano delle origini, in
età medievale, col sorgere dei Comuni e il rifiorire dell'attività
economica, i problemi ad essa connessi vennero presi in considerazione dai
maggiori pensatori della Scolastica. Questi pensatori, da Alberto Magno a
Tommaso d'Aquino, da Bernardino da Siena ad Antonino da Firenze, non si
occuparono di economia per scoprirne le leggi, ma per condannare alcune delle
manifestazioni moralmente riprovevoli. I teorici medioevali accettarono tutti i
presupposti degli studiosi dell'antichità classica, circoscrivendoli nel
modo seguente: 1) i beni economici esistono affinché tutti gli uomini
possano raggiungere il fine eterno, rispettando, nell'acquisto dei beni, la
giustizia commutativa e, nell'uso, quella distributiva; 2) la società e
lo Stato esistono per agevolare l'uomo nella sua opera di salvezza eterna; 3) il
fine della razionalizzazione della vita economica è il conseguimento
dello sviluppo pieno e completo dell'uomo; 4) l'uomo, dopo il peccato originale,
tende a usare male i beni, ma è suscettibile di rieducazione e di
disciplina; 5) tutti i talenti esistenti devono servire al bene comune e
ciascuno deve usare socialmente i beni che possiede. Sulla base di queste
premesse, l'osservazione dei fatti ebbe essenzialmente lo scopo di individuare
le cause di tentazione e di sviamento dell'uomo, per accertare i pericoli e
predisporre i rimedi. Numerose furono le prescrizioni tendenti a far sì
che l'attività economica assumesse carattere razionale e giusto. Esse
riguardavano il retto acquisto della ricchezza; il rispetto delle giuste misure
e dei patti convenuti; l'astensione da coalizioni monopolistiche e da rialzi
speculativi; l'osservanza delle regole sul giusto prezzo. Da queste ultime fu
dedotto il principio del salario vitale. Altre regole si riferivano alla
moderazione nell'acquisto di beni e nel loro uso: la ricchezza superflua ai
propri bisogni doveva esser distribuita sotto forma di elemosine o di lavoro.
║
Età moderna. Gli studi sui problemi economici cominciarono
a farsi più frequenti e specifici a cominciare dai secc. XVI-XVII. I
problemi affrontati si imperniavano sulla moneta e sul commercio. Nel
Cinquecento, e anche più tardi,
oeconomia significava ancora
"governo della casa" e basate su tale materia furono varie opere dell'epoca, tra
cui, l'
Opus Oeconomicum (1593-1607) di T. Colerus e
L'economo
prudente (1629) di B. Frigerio, secondo cui per economia doveva considerarsi
"una certa prudenza con cui governare una famiglia". Assai più
importanti, rispetto a queste opere basate su consigli pratici circa il governo
della casa, furono le opere che trattavano di problemi monetari e commerciali,
tra cui si ricordano l'opera di J. Savary,
Le parfait negociant (1675).
Inoltre, già nel tardo Medioevo, furono pubblicate opere di politica
economica non prive di acume. Tra le numerose opere di questa letteratura,
emerse, nel Quattrocento, un'opera che Schumpeter definisce talmente superiore a
tutto quello che s'era scritto prima, da potere, a buon diritto, essere
considerata il primo vero trattato di politica economica. L'autore è il
napoletano Diomede Carafa (
De regis et boni principis officio, 1480). Nel
Cinquecento, questo tipo di letteratura economica fiorì in tutti i Paesi.
Tra le opere più significative si ricordano quelle di Jean Bodin e di
Giovanni Botero. Contemporaneamente, altri studiosi si occuparono di problemi
più particolari, come quelli del valore e della moneta. Si ricordano G.
Scaruffi, B. Davanzati, G. Montanari. Le esigenze politiche degli Stati
nazionali e le motivazioni adottate dall'Umanesimo e dal Protestantesimo per
giustificare l'insorgere di un egoismo sempre più sfrenato, fornirono
alcuni degli elementi che maggiormente contribuirono a indebolire il sistema
teorico medioevale e al sorgere di un sistema nuovo. Le vecchie soluzioni del
problema economico non soddisfacevano più e tra i secc. XVI-XVIII vennero
formulate nuove dottrine. Pur persistendo nella tradizionale convinzione che la
vita economica doveva essere ordinata dall'uomo, i nuovi teorici (N.
Machiavelli, G. Botero, J. Bodin, A. Serra, A. Montchrétien, Th. Mun, A.
Genovesi, ecc.) partivano dal presupposto che il fine dell'ordinamento non
doveva essere né la virtù, né la salute eterna dell'uomo,
ma la potenza dello Stato. L'economia cominciò a essere considerata
un'arte il cui compito era quello di predisporre e applicare le regole per la
crescita dello Stato, ossia per renderlo più popolato, più ricco,
più potente. Politica agraria, fiscale, marittima, demografica,
coloniale, dovevano concorrere ad accrescere la potenza dello Stato: accumulando
ricchezza e popolazione entro i confini, scoraggiando l'importazione, proibendo
l'emigrazione e conquistando imperi coloniali si dette inizio a una vera e
propria guerra di tariffe, dazi, monete, cambi, che caratterizzò il
periodo mercantilistico (V. MERCANTILISMO). A
partire dal XVII sec., cominciarono a farsi sempre più intense le
critiche ai fondamenti del mercantilismo economico. Nella seconda metà
del XVII sec. il matematico e astronomo italiano G. Montanari e il medico
inglese W. Petty, influenzati dalle proprie conoscenze scientifiche,
cominciarono a formulare l'ipotesi che la natura dominasse il mondo economico
così come dominava quello fisico. Ma l'anticipazione chiara di una nuova
visione fu presentata da R. Contillon (1697-1734). Il suo
Essai sur la nature
du commerce en général rappresenta il primo trattato di
economia, imperniato sulla teoria del valore e del prezzo. Esso si basa
sull'ipotesi che l'uomo agisca solo in vista del tornaconto personale. Convinto
che questo modo egoistico di agire finisca per dare al mondo economico l'assetto
migliore, il Cantillon propose come unica regola quella della massima
libertà concessa a ciascuno per consentirgli di conseguire il proprio
vantaggio. Vengono così rovesciati i termini delle dottrine tradizionali
che consideravano l'egoismo individuale il massimo ostacolo alla realizzazione
della vita economica. A partire dall'
Essai del Cantillon, cominciò
a formarsi una
d.e. di tipo naturalistico, costruita per dimostrare la
non necessità, per l'uomo, di dettare regole per razionalizzare
l'attività economica. Unico compito spettante all'uomo è quello di
individuare le leggi alle quali la natura ha sottoposto il mondo economico. Nel
corso dei secc. XVII-XVIII. la letteratura economica andò acquistando
maggiore sistematicità e, tra gli autori più rappresentativi, si
ricordano il francese A. Montchrétien e i tedeschi J. Bornitz e C.
Besold. Montchrétien fu il primo a pubblicare un libro presentandolo come
trattato di "economia politica" (
Traité de l'oeconomie politique,
1615). Si trattava però di un'opera mediocre e di scarsa
originalità. Nel Settecento, rilevante fu soprattutto il contributo degli
italiani. Si ricordano A. Genovesi, P. Verri, C. Beccaria, F. Galliani. In
Francia, in contrapposizione alle tesi mercantilistiche, fu elaborata la
cosiddetta dottrina fisiocratica. ║
I fisiocratici. La
fisiocrazia prese avvio da un gruppo di studiosi costituitosi attorno a
F. Quesnay (1694-1774), denominato dapprima "setta degli economisti", poi
"scuola dei fisiocratici". Testo fondamentale della scuola fu il
Tableau
économique pubblicato dal Quesnay nel 1758. Aderirono alla scuola
fisiocratica e ne svilupparono la dottrina M. de la Rivière, D. de
Nemours, V. de Mirabeau, J. Turgot. Era convinzione dei fisiocratici che la
natura avesse predisposto un ordine economico benefico, fondato su leggi fisiche
necessarie e immanenti e su leggi morali estremamente utili, se liberamente
adottate dall'uomo. Secondo la dottrina fisiocratica, finché l'uomo
è vissuto senza conoscere l'ordine naturale, ne è stato privato
dei benefici. Spetta all'economista far conoscere le leggi economiche naturali,
dato che la scomparsa dell'ignoranza delle leggi economiche naturali
segnerà anche la fine della miseria. Secondo i fisiocratici, la prima
legge economica insegna che solo la natura produce ricchezza moltiplicando i
beni, come dimostra l'agricoltura. Le attività economiche praticate
dall'uomo altro non fanno che trasformare i beni prodotti dalla natura. ║
Economisti classici inglesi. Per quanto ai fisiocratici si debba il primo
tentativo di sistemazione scientifica dei fenomeni economici, di vera e propria
scienza economica si può tuttavia parlare solo a cominciare dall'opera di
Adam Smith,
Ricerca sulle cause della ricchezza delle nazioni (1776),
frutto del pensiero di una generazione di scrittori inglesi ai quali si era
aggiunto il contributo del francese Quesnay e dei fisiocratici. Oggetto
dell'economia politica è per Smith la ricchezza e per ricchezza egli
intende il "complesso dei prodotti del lavoro capaci di soddisfare i bisogni
economici". Sostenitori della teoria economica di A. Smith furono, in
Inghilterra, D. Ricardo, R. Malthus, J.-S. Mill; in Francia J.B. Say e in Italia
F. Ferrara. Comune a questi studiosi era la convinzione che il mondo è
popolato da egoisti la cui azione contrastante realizza l'ordine economico
razionale e benefico previsto e voluto dalla natura. Pertanto, l'azione del
politico diventa priva di senso al fine di razionalizzare la vita economica che
è presieduta da forze naturali equilibratrici. Compito del politico
è unicamente quello di garantire la massima libertà d'azione a
tutti i cittadini. L'economia classica ebbe la sua importante enunciazione nei
Principi di economia politica (1817) di David Ricardo che, raccogliendo i
numerosi suggerimenti di Smith, elaborò la prima rigorosa analisi
economica del sistema capitalistico. I
Principi comprendevano anche la
dottrina della popolazione e quella della rendita enunciata da T.R. Malthus. Pur
aspirando l'economia classica ad essere considerata una scienza e quindi ad
assumere una totale indipendenza dalle particolari circostanze politiche e
sociali in cui nasceva, essa non mancò di essere caratterizzata dai
propositi di riforma dei suoi creatori. Per quanto volesse presentarsi come un
sistema rigidamente logico, l'economia classica abbracciava di fatto due diversi
punti di vista. Da una parte, la fede che l'ordine naturale sia in sé
semplice e armonico; dall'altra quella che esso sia privo di ogni qualità
etica e che le sue leggi non abbiano nessun rapporto con la giustizia, con la
ragione e col benessere degli uomini. Nell'economia di Ricardo si trattava di un
contrasto tra ciò che egli chiamava la
teoria statica e la
teoria dinamica. Le principali componenti di quest'ultima sono la teoria
della rendita, quella dei profitti e quella dei salari. Ricardo affronta anche
il problema della divisione della società in classi, osservando che il
destino di ogni singolo è in gran parte determinato dalla posizione di
ricchezza che le forze economiche concedono alla classe di appartenenza, tenendo
inoltre conto che gli interessi di ciascuna classe sono in genere sempre
contrari a quelli delle altre (V. RICARDO, DAVID).
Nonostante l'approfondita analisi dei meccanismi che regolano il sistema
capitalistico, Ricardo li considerava immutabili. Questo condizionamento, dovuto
all'accettazione del capitalismo come realtà economica immutabile e
universale, fu messa in luce da K. Marx le cui critiche hanno avuto grande
importanza nell'evoluzione della teoria economica generale. Attualmente,
infatti, anche da parte dei sostenitori del sistema capitalistico si riconosce
la storicità di tale sistema, la cui difesa non viene più fatta
sulla base di una supposta universalità, bensì su argomentazioni
più contingenti. Non si procede più ad interpretazioni complessive
dell'economia capitalistica di mercato, ma si tende ad affrontare costruzioni
esatte di particolari settori e a costruire modelli basati su formule
matematiche. è prevalsa infatti la tendenza a trattare di economia
teorica al di fuori della realtà umana, così come si fa per le
scienze che si occupano della natura fisica, mediante sistemi di equazioni
funzionali. La nascita dell'
econometria
(V.) testimonia dello sviluppo di questa tendenza.
Alla situazione attuale si è giunti attraverso le varie correnti
sviluppatesi nel secolo scorso, dall'Utilitarismo al Socialismo premarxista (E.
Saint-Simon, R. Owen, Ch. Fourier, L. Blanc, P.J. Proudhon, ecc.), alla scuola
storica tedesca (W.R. Roscher, B. Hildebrand, K. Knies, G. Schmollera). ║
Dottrine economiche neovolontaristiche. L'asserzione di Smith secondo cui
il mondo economico, lasciato alle forze naturali, avrebbe conseguito
l'assestamento migliore, non resse a lungo. Già intaccata dallo stesso
Ricardo e da Malthus, poi da J.S. Mill che fece presente la necessità di
un ordinamento esterno alla natura, essa incontrò l'energico dissenso di
S. Sismondo (1773-1842) che denunciò per primo l'inadeguatezza delle
spiegazioni date da Smith, rimproverandogli l'incapacità di scorgere le
ingiustizie e i dissidi sociali creati dalla sfrenata concorrenza. Non meno
critico fu F. List (1789-1846) che al Liberalismo attribuì la colpa dello
squilibrio tra le diverse economie nazionali. La critica alla regola del
"lasciar fare" all'iniziativa dei singoli, portata avanti anche dai tedeschi G.
Roscher (1817-1894) e B. Hildebrand (1812-1878), fu accentuata dai sostenitori
di dottrine volontaristiche quali F. Lassalle e J.K. Rodbertus. ║
Teorie neoclassiche. Le critiche dei teorici del Socialismo contro la
supposta esistenza di leggi economiche naturali, indussero alla fine dell'XI
sec. un gruppo di seguaci di A. Smith a rivedere le posizioni della scuola
classica, seguendo orientamenti diversi. Rientrano nel filone neoclassico gli
economisti marginalisti (o psicologici), rappresentati da K. Menger, F. von
Wieser, M. Pantaleoni; gli economisti matematici rappresentati da L. Walras e V.
Pareto; i sintetici che sono poi gli economisti neoclassici in senso stretto,
rappresentati da S. Jevons e A. Marshall; i neoliberali, rappresentati da L.
Robbins e G. Röpke. Partendo dal presupposto che l'uomo
reale non
è affatto economico come volevano i classici, questi economisti sono
pervenuti alla conclusione che la società non è razionalizzata
economicamente. Pur presentando tra loro non trascurabili divergenze
metodologiche e concettuali, le scuole neoclassiche hanno come base comune
quella di concepire l'economia come disciplina scientifica, ossia come un
insieme organico di leggi in grado di interpretare i fenomeni economici.
L'economia viene considerata una scienza pura che astrae dalle situazioni
concretamente date. Viene costruita una meccanica del mondo economico secondo
uno schema logico in cui i problemi vengono ridotti a equazioni e i fenomeni
rappresentati con grafici. ║
Il pensiero economico contemporaneo.
La ricerca economica, così come è andata sviluppandosi negli
ultimi decenni, ha messo in crisi il pensiero economico neoclassico.
Caratteristica fondamentale dei nuovi metodi di analisi economica è la
specializzazione delle ricerche. I principali campi d'indagine si sono
sviluppati lungo tre direttrici: 1) analisi dinamica dei fenomeni economici; 2)
analisi delle diverse forme di mercato; 3) economia del benessere. Vari sono gli
orientamenti sviluppatisi nell'ambito della dinamica economica. Un posto di
particolare rilievo occupano le teorie elaborate dall'economista inglese J.M.
Keynes, che si contrappongono a quelle elaborate dal pensiero neoclassico.
Secondo gli economisti neoclassici, che in ciò si richiamano al Say, a
una determinata quantità di risorse disponibili corrisponderebbe un solo
livello di attività economica compatibile con le condizioni necessarie
per l'equilibrio del sistema. Keynes rigetta questo teorema e, sulla base di
dati riguardanti le tecniche produttive, i gusti, il grado di concorrenza
esistente nel sistema, contrappone ad esso la tesi che il grado di occupazione
dipende dalla
domanda effettiva che corrisponde al reddito nazionale.
Questo è costituito da due componenti: il consumo e gli investimenti. Il
livello del consumo può considerarsi funzione sufficientemente stabile
del reddito. Gli aspetti nuovi delle teorie keynesiane riguardano soprattutto la
teoria del
risparmio (V.). A differenza
degli economisti neoclassici, Keynes ritiene che il saggio d'interesse non abbia
alcuna influenza rilevante nella teoria puramente monetaria del saggio
d'interesse. L'analisi keynesiana si mostra inoltre favorevole a una situazione
di sottoccupazione. Altra caratteristica del pensiero di Keynes è la
rivalutazione dell'analisi macroeconomica abbandonata dagli economisti
neoclassici, orientati verso lo studio del comportamento del singolo consumatore
o delle singole imprese. Fra gli economisti che hanno maggiormente sviluppato e
perfezionato il pensiero keynesiano, un posto di primo piano occupano Joan
Robinson e L.A. Metzler. Rilevanti sono stati anche i contributi degli
economisti della scuola svedese, in particolare di G. Myrdal e E. Lindahl.
All'analisi keynesiana, sostanzialmente fondata sul metodo dell'equilibrio, gli
economisti della scuola svedese contrappongono l'
analisi del processo
dinamico basata sullo studio dei risparmi e degli investimenti programmati
ed effettivamente attuati. Analogie del processo dinamico presenta l'
analisi
periodale applicata dall'economista inglese D. Robertson allo studio delle
reazioni tra reddito, consumo e investimenti. Tra gli autori che maggiormente si
sono impegnati nell'analisi della dinamica del sistema capitalistico, un posto
di particolare rilievo occupa l'americano F.H. Knight, secondo cui la scienza
economica deve tendere alla scoperta delle leggi che regolano un sistema
economico razionale. Tale sistema, secondo Knight, non può che essere
fondato sulla libertà di scelta, ragione per cui l'economia dev'essere
considerata essenzialmente economia di mercato. Contemporaneamente alla teoria
della
concorrenza imperfetta della Robinson, veniva presentata la teoria
della
concorrenza monopolistica di E.H. Chamberlin. Il punto di partenza
è lo stesso. Infatti Chamberlin, al pari della Robinson, ritiene che la
differenzazione dei prodotti, l'inerzia dei consumatori, la distribuzione
geografica delle imprese, rendano impossibile l'applicazione del modello di
libera concorrenza allo studio del mercato. Egli ritiene inoltre che neppure la
nozione di monopolio serva a tale scopo. Secondo la concezione del Chamberlin,
occorre pertanto fondere le nozioni di
concorrenza e di
monopolio
(V.). La nozione di monopolio e di potere
monopolistico è stata oggetto di interessanti ricerche anche da parte
della Robinson e di vari altri studiosi, tra cui: A.P. Lerner, L. Amoroso e G.
Demaria. Tra gli economisti che hanno riformulato i contributi del Keynes, si
ricordano: lo statunitense F. Machlup, al quale si deve la teoria del
moltiplicatore, il francese A. Aftalion, il norvegese R. Frisch, l'austriaco J.
B. Clark. Parallelamente alle elaborazioni di questi economisti, sono andate
sviluppandosi le ricerche econometriche (V.
ECONOMETRIA). Modelli econometrici per lo studio delle fluttuazioni
cicliche sono stati elaborati da vari economisti, tra cui J. Timbergen e M.
Kalecki. Il campo di applicazione dell'analisi econometrica non riguarda
però solo lo studio delle fluttuazioni cicliche. Tra le indagini
econometriche svolte in altri campi di ricerca economica, particolare rilievo
hanno avuto quelle di H. Schulz sulla
curva di domanda. Il tentativo
più rigoroso di fondare l'economia come scienza in senso proprio è
quello compiuto dall'economista inglese neoliberale L.C. Robbins. ║
Economia del benessere. Grande sviluppo hanno avuto dopo la seconda
guerra mondiale gli studi sull'economia del benessere condotti sulla base di
notevoli differenze metodologiche e ideologiche. Gli autori neoclassici di
scuola marshalliana tendono a concepire il benessere sociale come la somma delle
utilità dei singoli individui. Tra questi, un posto di primo piano occupa
l'inglese A.C. Pigou. Altri autori, per stabilire le condizioni necessarie al
massimo benessere si sono ispirati all'analisi del comportamemto razionale di
consumatori e produttori. Notevoli sono però le differenze di
impostazione degli economisti che si collocano in questo gruppo, tra cui J.R.
Lerner, P. Samuelson, N. Kaldor, P.A. Lerner, O. Lange. Altri autori si sono
soprattutto impegnati a mettere in luce le valutazioni etiche inerenti al
passaggio dalle scelte preferenziali individuali a quelle collettive. Alcuni
studiosi sono del parere che spetti all'autorità centrale determinare il
contenuto della funzione del benessere sociale, dato che le preferenze degli
individui, espresse dal mercato non sempre riflettono i loro reali interessi.
Gli autori di questo gruppo sono perciò favorevoli a un'azione organica
di pianificazione economica da parte dello Stato. Risultati interessanti hanno
dato le applicazioni dei metodi di analisi econometrica allo studio
dell'economia del benessere. ║
L'efficienza del sistema.
Discordanti sono le valutazioni sull'efficienza del sistema capitalistico e
sulla sua giustificazione storica e morale come risultato delle diverse ricerche
economiche. Le principali linee di pensiero possono essere ridotte a tre. 1) Gli
economisti che si richiamano al pensiero liberalista hanno cercato di
riformulare e riabilitare le teorie neoclasssiche seguendo due diverse
direzioni. Da un lato i liberisti "puri", secondo cui il sistema capitalistico
è il solo sistema compatibile con la libertà di scelta (F.H.
Knight e F.A. Hayek), dall'altro lato, coloro che, pur non condividendo
l'invidualismo dei primi, ritengono che il sistema capitalistico sia in grado di
assicurare il massimo sviluppo economico e, quindi, attraverso un progressivo
aumento del reddito, un illimitato progresso sociale. Tra gli autori di questo
secondo gruppo figura J.A. Schumpeter che individua però nei meccanismi
stessi del capitalismo i fattori di crisi capaci di portare al rovesciamento del
sistema. Secondo Schumpeter, infatti, l'importanza crescente che i dirigenti
tecnici sono andati assumendo nell'attuale fase di sviluppo del sistema, la
spersonalizzazione dell'attività imprenditoriale, la formazione di una
classe intellettuale che il sistema non è in grado di assorbire, e quindi
la crescente ostilità verso il sistema capitalistico da parte dei quadri
intellettuali, sono tutti fattori che portano alla crisi del capitalismo e
all'avvento del socialismo. 2) Gli economisti che si richiamano al pensiero di
Keynes, secondo i quali il sistema capitalistico, pur corrispondendo nelle sue
caratteristiche essenziali alle esigenze di un razionale ordinamento e sviluppo
delle forze economiche, presenta alcune deficienze di funzionamento alle quali
è possibile porre rimedio attraverso un'adeguata politica fiscale, di
investimenti pubblici e di assicurazioni sociali. Ricerche econometriche e
statistiche vengono considerate mezzi efficaci per orientare la nuova politica
economica. 3) Gli economisti di tendenza socialista, secondo cui il superamento
delle deficienze del sistema capitalistico, unitamente a una soddisfacente
distribuzione del reddito, esigono l'avvento di un sistema economico socialista.
Tra gli autori di maggior prestigio figurano l'americano P.M. Sweezy e l'inglese
M. Dobb che hanno integrato l'analisi economica con l'analisi storica, tentando
di operare un'integrazione tra le teorie di ispirazione keynesiana e l'analisi
marxista.