I SETTORI ECONOMICI
L'Italia fa parte dei
cosiddetti Paesi sviluppati, vale a dire i suoi abitanti godono di un tenore di
vita mediamente elevato. Infatti non si limitano a lavorare per nutrirsi e
sopravvivere, ma hanno un reddito che permette loro di studiare, tutelare la
propria salute, comprare una molteplicità di beni, divertirsi e praticare
hobby e sport. L'Italia insomma non è una nazione sottosviluppata,
malgrado il perdurare di risacche di miseria e di sottosviluppo soprattutto
nelle regioni meridionali.
Le varie attività produttive esistenti
formano il sistema economico. In campo economico, si suole distinguere tre
settori: a) settore primario, b) settore secondario e c) settore terziario.
Il settore primario comprende tutte quelle attività produttive
legate alla terra e allo sfruttamento delle sue risorse. A questo settore
appartengono agricoltura, allevamento e pesca, ovvero quelle attività che
permettono all'uomo di nutrirsi.
Il settore secondario comprende tutte le
lavorazioni dei prodotti ricavati dalla natura o creati dall'uomo e la loro
trasformazione in merci. Molti beni necessitano quindi non solo di materia
prima, ma soprattutto di una lavorazione con mezzi e impianti industriali che
permetta di creare le merci più diverse. Ad esempio la coltivazione dei
pomodori appartiene al settore primario, cioè al ramo dell'agricoltura,
mentre il loro inscatolamento e la produzione di pomodori pelati fa parte del
settore secondario. Tutte le attività industriali appartengono a questo
settore.
Il settore terziario include tutte quelle attività in cui
i lavoratori non sono impegnati nella diretta produzione di merci, ma compiono
altri lavori o forniscono dei servizi altrettanto indispensabili alla
società.
Tornando all'esempio precedente, il negoziante che vende i
pomodori pelati o il fruttivendolo che vende gli ortaggi freschi non partecipa
alla produzione di quella merce, ma si limita a smerciarla. Così il
guidatore di autobus o l'impiegato o la commessa non creano con il loro lavoro
alcun prodotto concreto, ma svolgono un servizio, prestano un'opera molto
importante, che richiede loro impegno ed energie. Le attività
commerciali, quelle legate ai servizi sanitari, alla scuola, alle banche, agli
uffici ecc. fanno tutte parte del settore terziario.
In Italia questi tre
settori hanno raggiunto un alto grado di sviluppo. Il primo si è
meccanizzato e col tempo ha visto diminuire il numero degli addetti. Il secondo,
quello industriale, ha vissuto una continua evoluzione a partire dal secondo
dopoguerra (1945), tanto che negli anni Sessanta si parlò di boom
industriale.
Il settore terziario, prima di proporzioni limitate, è
quello che oggi si va maggiormente espandendo. Le macchine e i computers
sostituiscono sempre più il lavoro manuale e quindi aumentano i
lavoratori addetti al funzionamento e al controllo dei macchinari e dei
calcolatori. I progressi della tecnologia del nuovo millennio portano
all'ampliamento continuo di questo settore a spese di quello
secondario.
IL SETTORE PRIMARIO
Il settore primario è quello strettamente
legato alla terra e perciò molto influenzato dai fattori naturali. In
particolare hanno soprattutto importanza:
- il carattere pianeggiante o
montuoso del terreno;
- la natura del terreno, fertile o arido, argilloso
o calcareo;
- la presenza d'acqua;
- il clima.
Per quanto
riguarda il primo punto, l'Italia non possiede molte pianure; più di tre
quarti del suolo nazionale è occupato da colline e montagne e sette
regioni sono prive di pianure.
Ciò significa che l'agricoltura
è naturalmente poco favorita: coltivare le zone collinari richiede una
fatica che spesso non è proporzionale alla resa. In montagna sia la
pendenza del terreno e la sua natura rocciosa, sia il clima poco favorevole non
fanno dell'agricoltura un'attività redditizia.
Nelle zone montuose
prevale l'allevamento: quello bovino sulle Alpi e prevalentemente quello ovino
sulle pendici dell'Appennino centro-meridionale.
L'uomo ha combattuto
contro le asprezze del suolo, dissodando terreni sassosi o ricavando colture a
terrazze lungo le balze delle colline. Ha stimolato la fertilità usando
prima concimi naturali e poi fertilizzanti chimici. Ha così ottenuto
quanto di meglio riusciva a ricavare da un territorio non sempre favorevole.
Abbiamo già parlato del lavoro compiuto per portare l'acqua dove
non c'era e per togliere e prosciugare quella in eccesso. Tutta l'opera
dell'uomo per garantire la disponibilità d'acqua ha portato a risultati
fino ad un secolo fa insperati. Infine il clima dell'Italia è in genere
mite e temperato e quindi favorevole all'agricoltura.
L'irrigazione
Da sempre l'agricoltura ha avuto necessità
di un giusto apporto idrico: qualora l'acqua manchi bisogna compensare questa
carenza con opere adeguate; se invece è in eccesso, occorre prosciugare
il terreno paludoso e guidare l'acqua con opere di regimentazione (argini,
canali, serbatoi ecc.). Ma come si attua l'irrigazione del terreno, qualora le
piogge non siano sufficienti? L'acqua viene prelevata da fiumi, laghi e sorgenti
naturali; per fare questo è necessario arrivare al deposito acquifero
sotterraneo, che è alimentato dalle piogge infiltratesi attraverso gli
strati permeabili. Il fondo di questo deposito idrico (detto anche falda
freatica) è invece impermeabile, cosicché impedisce una
dispersione d'acqua. Per raggiungere la falda si perfora il terreno tramite la
costruzione di un pozzo artesiano, attraverso il quale l'acqua può
sgorgare, per pressione interna o aiutata da una pompa. Da qui l'acqua è
immessa in un canale principale e quindi in canali secondari, in modo da essere
distribuita capillarmente.
L'irrigazione può essere svolta solo in
alcuni momenti, oppure essere attuata per tutto il periodo della coltivazione.
Esempi significativi di questo secondo tipo di irrigazione permanente sono le
risaie e le marcite. Queste ultime sono prati, sempre irrigui, tipici della
Pianura Padana, che sfruttano la ricchezza idrica delle risorgive. D'inverno da
queste sorgenti perenni fuoriesce un'acqua che possiede una temperatura
superiore a quella esterna e impedisce il raffreddamento del suolo consentendo
alla vegetazione di continuare a svilupparsi.
I metodi di irrigazione sono
diversi anche a seconda dei tipi di coltura; la diffusione d'acqua può
essere svolta a sommersione, quando copre la superficie del terreno di qualche
centimetro (risaie); a scorrimento, in cui scorre sulla superficie del suolo; a
infiltrazione, se è incanalata in piccoli fossi; a pioggia, qualora venga
spruzzata da apposite motopompe.
La varietà dei paesaggi agrari
Tenendo conto degli elementi che abbiamo sopra
esposto, è possibile rintracciare cinque paesaggi agrari fondamentali:
1) colture promiscue;
2) seminati intensivi irrigui;
3)
seminati estensivi asciutti;
4) colture specializzate;
5) boschi e
pascoli montani.
Diversi sono gli aspetti che caratterizzano ognuno di
questi paesaggi: il tipo di coltivazione (presenza di varie piante oppure
monocoltura) e il suo carattere intensivo o estensivo; le piante più
diffuse (grano, olivo, vite, alberi da frutta ecc.); il tipo di proprietà
e di conduzione, ovvero se si tratta di un latifondo o di un piccolo podere, se
vi lavorano dei braccianti salariati o è a conduzione familiare ecc.; il
tipo di insediamento umano (case sparse, borghi agrari ecc.) e i suoi rapporti
con le grandi città.
L'agricoltura: metodi di coltivazione
In genere si è abituati a parlare di
attività agricola in termini di prodotti, cioè si osservano le
varietà di colture presenti nelle diverse aree del Paese. Ma occorre
precisare che sul medesimo suolo agricolo non è quasi mai coltivato
soltanto un unico prodotto, in quanto il terreno si impoverirebbe troppo. Al
contrario, viene preferito un avvicendamento delle colture (rotazione agricola),
che permette una razionale sostituzione di alcune coltivazioni con altre (ad
esempio i legumi), che reintegrano il suolo e gli ridanno fertilità. Lo
schema più seguito nell'Italia insulare e peninsulare è il
seguente: grano il primo anno, riposo e pascolo il secondo, coltivazione di una
leguminosa il terzo; il quarto anno si riprende la semina del grano.
Le
colture vengono inoltre divise in intensive ed estensive. La coltura intensiva
è praticata nell'agricoltura moderna; mira a ottenere elevate produzioni
per ettaro, grazie a sementi selezionate, concimi, antiparassitari, irrigando e
lavorando con cura il terreno. Questo tipo di agricoltura richiede un notevole
impiego di capitale, che però è reintegrato da un'elevata resa del
suolo.
Tipica coltura estensiva è invece il latifondo,
proprietà di vaste dimensioni, coltivata a grano alternato a pascolo; un
tempo era diffusa soprattutto nell'Italia meridionale. Non offriva alla
manodopera un lavoro fisso, ma occupava soltanto braccianti stagionali,
lavoratori a giornata, raccolti sulle piazze del paese al mattino presto e
ingaggiati per pochi giorni. Dopo la riforma agraria del 1950 i latifondi sono
stati in parte espropriati, suddivisi e distribuiti ai contadini che avevano
chiesto di gestire delle terre in proprio.
Un'altra forma di conduzione che
sta via via scomparendo è la mezzadria, un tempo diffusa soprattutto
nell'Italia centrale. Essa non era un sistema a carattere intensivo. Infatti il
proprietario del podere e il contadino si associavano e dividevano i prodotti
ottenuti all'incirca a metà: 42% al primo e 58% al secondo. Il
proprietario metteva la terra, il contadino i mezzi di produzione e il lavoro e,
dovendo comunque dividere la resa, nessuno dei due era disposto a investire
ingenti capitali per apportare migliorie al terreno. Oggi molti contratti di
mezzadria sono stati trasformati in canoni d'affitto, consentendo così al
contadino di godere integralmente del frutto del proprio lavoro.
Ai nostri
giorni la forma di conduzione più diffusa è quella di coltivatore
diretto: in questo caso è il proprietario stesso che conduce l'azienda.
Qualora il suo podere sia piccolo o poco produttivo, ne affitta altri, o si
associa con altri coltivatori diretti, formando delle cooperative. A questo
sistema di conduzione se ne affianca un altro, presente ove il terreno è
particolarmente esteso. Il proprietario è un vero e proprio imprenditore:
non lavora direttamente ma dirige l'azienda agricola; l'attività è
affidata a salariati che in genere operano con l'aiuto di macchine.
A
queste due moderne forme di conduzione si è recentemente aggiunta quella
del lavoro part-time, cioè a mezza giornata. Questa attività,
piuttosto diffusa ma marginale dal punto di vista produttivo, è svolta da
lavoratori e pensionati che dedicano parte del loro tempo libero alla
coltivazione dell'orto o del podere familiare.
Le colture promiscue
Le colture promiscue presentano - come suggerisce
il nome stesso - una grande varietà: i vigneti si alternano ai frutteti,
il grano lascia posto al prato; filari di alberi e boschi suddividono questo
mosaico di campi coltivati. È un susseguirsi di colori che mutano ad ogni
stagione. Le aziende sono prevalentemente di piccole o medie dimensioni e sono
presenti soprattutto nell'alta Pianura Padana e nelle fasce collinari
circostanti, estendendosi fino al paesaggio collinare tosco-umbro-marchigiano e
ai pendii più dolci delle aree costiere meridionali.
Date le
dimensioni non elevate, l'azienda è condotta da una sola famiglia che
vive in una casa colonica isolata. Ecco perché il paesaggio piemontese o
toscano è punteggiato da tante case sparse, talvolta raccolte in piccoli
nuclei abitati. Le forme geometriche dei campi che occupano la pianura o quelle
più irregolari che ritroviamo in collina segnano il susseguirsi di una
coltivazione ad un'altra e riflettono la frantumazione delle aziende agricole.
Un tempo, soprattutto nell'Italia centrale, era molto diffuso un
particolare rapporto tra proprietario e lavoratore, detto di mezzadria. Il
contadino non era proprietario del podere ma ciò che ricavava doveva
dividerlo con il padrone (58% al mezzadro e 42% al padrone). Ciò faceva
sì che né il padrone, né il lavoratore avessero interesse
ad apportare migliorie all'azienda e ad incrementare la resa per ettaro, dato
che il guadagno, eventualmente ricavato, sarebbe stato anch'esso diviso a
metà. Questo tipo di agricoltura bloccava l'ammodernamento dell'azienda,
che così rimaneva statica e poco produttiva.
Negli ultimi decenni
la mezzadria è andata via via scomparendo e il paesaggio delle colture
promiscue si è progressivamente trasformato; oggi prevalgono colture
specializzate dalle quali si ricavano ortaggi e frutta destinati ai mercati
cittadini.
I seminati intensivi irrigui
Questa definizione - solo apparentemente complessa
- comprende i paesaggi rurali della bassa Pianura Padana e delle zone bonificate
dell'Italia centro-meridionale. Sono colture intensive, ovvero ogni podere
è coltivato intensivamente, in modo da ricavarvi la maggiore
quantità possibile di prodotti della migliore qualità.
I
campi occupano una certa estensione e hanno forme regolari. Predominano i prati,
i cereali e le barbabietole da zucchero.
Ovunque è un intrecciarsi
di canali e corsi d'acqua, fiancheggiati da pioppeti, boschi o filari di alberi.
Infatti l'elemento distintivo è la ricchezza dell'irrigazione,
cioè l'acqua.
I seminati intensivi variano da regione a regione: al
Nord ai prodotti sopra citati si aggiungono il riso e i foraggi. A questi ultimi
sono legati l'allevamento bovino e la presenza di industrie casearie (che
lavorano il latte per farne formaggi e latticini). Al Sud foraggi e cereali sono
seguiti da barbabietole e tabacco.
In questo tipo d'agricoltura predomina
la media e soprattutto la grande azienda. La prima è a conduzione
familiare, mentre nella seconda c'è un proprietario, che non risiede
nella fattoria e incarica una persona di fiducia della sua gestione e
conduzione. È inoltre diffuso l'impiego di macchine, di sementi
selezionate e di fertilizzanti, per permettere una maggiore rapidità nel
lavoro e garantire una elevata qualità dei prodotti richiesti dai mercati
cittadini.
I seminati estensivi asciutti
È il paesaggio rurale più diffuso
nell'Italia meridionale e insulare. Il terreno è prevalentemente ondulato
e collinoso, con il suolo calcareo o argilloso, poco adatto a colture intensive
e irrigue.
I piccoli poderi, con resa modesta e poco meccanizzati, si
alternano ai latifondi, grandi estensioni di terra sfruttate solo in parte o
destinate al pascolo degli ovini.
Il paesaggio è verdeggiante a
primavera; poi i prati cedono il passo alla maturazione del grano, ma in
seguito, coll'imperversare della calura estiva, la campagna è arsa dal
sole e si trasforma in una distesa stepposa.
Pochi sono i corsi d'acqua ei
filari di alberi; rare e isolate le abitazioni sparse; le grandi masserie paiono
piccole fortezze, con la casa padronale, l'aia, le stalle e le dimore per i
braccianti. Più spesso al posto di case sparse troviamo grossi centri
rurali. Sono borghi a carattere agricolo, i cui abitanti ogni giorno raggiungono
i campi lontani, per fare ritorno in paese solo al tramonto.
Le colture specializzate
Sotto questo nome vanno inclusi gli orti, i
giardini e le serre, ovvero quelle colture che necessitano dell'opera
insostituibile dell'uomo e che le macchine non potranno mai svolgere quasi
interamente.
Sono praticate lungo le fasce collinari soleggiate o le valli
irrigue che hanno clima mite e mediterraneo. Le piante più diffuse sono
olivo, vite, agrumi, fiori, ortaggi e alberi da frutta.
Il tipo di
conduzione prevalente è la piccola proprietà, perché queste
colture, che richiedono un alto grado di specializzazione, garantiscono un buon
margine di guadagno e perciò permettono al piccolo proprietario di
vivere. Le vigne della Toscana o della Puglia, così come gli agrumeti di
Sicilia o la floricoltura ligure necessitano tutti di una assidua e attenta cura
da parte dell'uomo, che spesso ha saputo rendere fertile un terreno inospitale e
poco redditizio.
I problemi dell'agricoltura
Esaminata la varietà dei paesaggi rurali,
emerge un dato importante, che rivela una tendenza comune, che riguarda tutta
l'Italia: la popolazione agricola è diminuita e tende ancora
inesorabilmente a calare. Nell'arco di un ventennio, dal 1961 al 1981, è
passata da 7.720.000 persone a 2.400.000, ovvero si è più che
dimezzata (nel 2004 gli occupati in agricoltura
erano circa un milione). In particolare hanno lasciato la campagna, la collina e la montagna
gli individui di età giovane e adulta, mentre gli anziani e i vecchi sono
rimasti in maggior numero.
Questo esodo rurale, che ha provocato
l'abbandono di molte migliaia di ettari di suolo agrario, è stato
incessante dall'Unità d'Italia (1861) ad oggi, ma si è
ulteriormente accentuato nell'ultimo trentennio. I motivi di questa fuga dalla
campagna sono diversi: in parte ciò è dovuto alla progressiva
meccanizzazione dell'agricoltura, che ha sostituito il lavoro umano e animale,
in parte è legato al desiderio di abbandonare condizioni di vita spesso
difficili, soprattutto in collina e in montagna.
Le mete principali di
quest'esodo massiccio sono state le regioni della Pianura Padana, le grandi
città del Centro-Sud (come Roma, Napoli, Palermo) e all'estero i Paesi
europei più industrializzati (Germania, Francia, Belgio ecc.).
Le
città e il lavoro nell'industria sono stati per molti la garanzia di una
vita più confortevole e di un lavoro più sicuro.
Oggi
l'introduzione di tecniche moderne nella coltivazione dei campi ha permesso di
razionalizzare l'agricoltura e di ottenere una maggiore resa per ettaro.
Tuttavia anche in questo settore economico necessitano continui investimenti e
migliorie. Ciò richiede un investimento di capitali che non tutti gli
agricoltori hanno a disposizione. Mentre le grandi aziende riescono a far fronte
a questo continuo aggiornamento, le medie e piccole aziende spesso entrano in
crisi, soprattutto dove il suolo è più difficile da coltivare.
Allora la famiglia contadina è spinta ad abbandonare i campi e a
preferire la vita di città. Il suolo agrario viene così
trasformato in pascoli o macchia, in collina e montagna, e spesso in terreno
edificabile, in pianura.
I boschi e i pascoli
Molto abbiamo già detto riguardo ai boschi
quando abbiamo parlato del manto forestale delle nostre montagne nel capitolo
omonimo. I boschi sono presenti non solo nelle colture promiscue, cioè in
collina e in pianura, ma anche e soprattutto nelle vallate dei sistemi alpino e
appenninico. Sulle Alpi prevalgono le fustaie di aghifoglie, sulle Prealpi e
sugli Appennini sono più diffusi i boschi cedui di latifoglie (ceduo
significa che viene tagliato periodicamente). Entrambi vengono utilizzati per
ricavare legna da ardere o legname per costruzione. Un discorso a parte meritano
i pioppeti, molto diffusi nella bassa Pianura Padana; infatti il legno del
pioppo è richiesto dalle industrie della cellulosa e serve per produrre
carta, compensato e imballaggi. La pioppicoltura è una buona fonte di
guadagni, perché il pioppo cresce in fretta e non richiede molte cure.
Le foraggere sono diffuse sui pendii delle colline e delle montagne, oltre
che in pianura; vi crescono erbe usate per l'alimentazione animale e la loro
coltivazione è legata alle esigenze dell'allevamento
stallivo.
L'acquedotto pugliese
Strumento indispensabile per l'agricoltura moderna
è l'irrigazione. Infatti non vi può essere una fiorente
attività agricola senza una sufficiente disponibilità d'acqua. In
alcune regioni del nostro Paese questa è presente in abbondanza: nevi
perenni, corsi fluviali, terreni impermeabili e ricchezza di precipitazioni
fanno sì che la vegetazione arborea si sviluppi in abbondanza e il clima
non tocchi mai punte di prolungata aridità. Viceversa in altre regioni,
soprattutto in quelle meridionali, mancano queste condizioni atmosferiche e
ambientali, e quindi si verifica una vera e propria carenza di rifornimenti
idrici, non solo per l'utilizzo agricolo, ma anche per l'uso
domestico.
Puglia, Calabria e Sicilia sono da sempre regioni che presentano
problemi endemici a questo proposito, che per ora sono stati risolti solo
parzialmente. In estate queste terre sono esposte ai venti caldi del
Mediterraneo orientale e meridionale e i mesi di siccità sono lunghi. In
inverno, altri venti, come quelli freddi provenienti dai Balcani, riducono i
periodi piovosi. Ad esempio una parte della provincia di Foggia beneficia di
meno di 500 mm di pioggia all'anno. Inoltre le acque si infiltrano nei terreni,
finiscono in profondità e scompaiono. La rete idrografica è molto
scarsa e molti fiumi hanno carattere torrentizio.
In Puglia si è
cercato di porre rimedio a questa situazione che, nelle zone collinari e nella
penisola salentina, ha arrecato spesso disagi molto gravi, con la costruzione di
una delle maggiori opere di irrigazione presenti in Italia: l'acquedotto
pugliese. Esso attinge l'acqua dal Sele, in Campania, e dai fiumi appenninici e,
passando nella parte settentrionale della Basilicata, arriva in Puglia,
ramificandosi fino alla punta meridionale della regione. La sua costruzione,
cominciata ai primi del XX secolo, è durata più di trent'anni ed
è arrivata a distribuire acqua per centinaia di chilometri, con
innumerevoli canali principali e secondari. L'acquedotto pugliese fornisce oggi
un apporto idrico utilizzato sia per scopi agricoli, sia per uso domestico.
L'agricoltura della regione, una delle fonti maggiori dell'economia pugliese, ha
ricevuto un notevole beneficio e impulso da quest'opera imponente, che conferma
come l'attività trasformatrice dell'uomo possa spesso sconfiggere le
avversità della natura.
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| PRINCIPALI COLTIVAZIONI AGRARIE (in 1000 q) |
+------------------------------------------------------------------------|
| | 1995 | 1996 | 1997 | 1998 | 2003 |
+--------------------------+--------+--------+---------+--------|--------|
| CEREALI | | | | | |
| frumento | 79.555 | 80.095 | 69.143 | 83.642 | 62.293|
| orzo | 14.216 | 13.505 | 11.940 | 13.888 | 10.085|
| avena | 3.013 | 3.498 | 3.160 | 3.835 | 3.043|
| riso (risone) | 13.281 | 13.582 | 14.425 | 13.537 | 14.024|
| granoturco | 84.403 | 95.475 | 101.502 | 91.032 | 87.222|
| | | | | | |
| LEGUMINOSE DA GRANELLA | | | | | |
| fave | 987 | 792 | 718 | 835 | 596|
| | | | | | |
| COLTIVAZIONI ORTIVE | | | | | |
| patate | 20.809 | 20.552 | 20.797 | 23.197 | 15.961|
| fave fresche | 855 | 905 | 854 | 844 | 551|
| fagioli freschi | 2.007 | 1.950 | 1.997 | 1.989 | 1.904|
| melanzane | 3.016 | 3.277 | 3.709 | 3.486 | 3.689|
| zucchine | 3.560 | 4.169 | 4.996 | 4.908 | 4.711|
| carote | 3.964 | 3.462 | 4.665 | 5.090 | 5.709|
| peperoni | 3.251 | 3.465 | 3.675 | 3.611 | 3.607|
| pomodori | 51.826 | 66.550 | 58.019 | 59.495 | 66.637|
| carciofi | 5.172 | 4.616 | 5.454 | 5.371 | 3.917|
| finocchi | 5.534 | 4.329 | 5.278 | 5.332 | 5.552|
| cavoli e broccoli di rapa| 4.532 | 4.509 | 5.010 | 4.902 | 4.299|
| cavolfiori | 4.708 | 4.757 | 5.496 | 5.365 | 4.841|
| cipolle e porri | 4.720 | 4.450 | 4.565 | 4.691 | 3.694|
| | | | | | |
| COLTIVAZIONI INDUSTRIALI | | | | | |
| barbabietole da zucchero |131.883 |121.142 |138.862 |134.185 | 71.365|
| soia | 7.324 | 8.255 | 11.571 | 12.546 | 3.885|
| girasole | 5.315 | 5.423 | 5.036 | 4.781 | 2.374|
| tabacco | 1.245 | 1.325 | 1.397 | 1.325 | 1.250|
| | | | | | |
| COLTIVAZIONI LEGNOSE | | | | | |
| uva | 84.792 | 94.298 | 82.713 | 92.883 | 74.829|
| vino (in 1000 hl) | 56.410 | 58.772 | 50.563 | 56.912 | 44.086|
| olive | 32.886 | 21.951 | 37.802 | 27.154 | 29.635|
| olio | 5.862 | 3.901 | 7.042 | 4.729 | 5.573|
| agrumi | 26.061 | 28.477 | 32.504 | 31.395 | 28.099|
| - arance | 15.968 | 17.711 | 21.026 | 20.131 | 17.673|
| - limoni | 5.431 | 6.080 | 6.119 | 6.172 | 5.140|
| mele | 19.320 | 20.713 | 20.181 | 21.517 | 19.447|
| pere | 8.741 | 9.664 | 6.295 | 9.616 | 8.265|
| pesche e nettarine | 16.711 | 17.544 | 11.928 | 14.524 | 13.549|
| albicocche | 1.047 | 1.363 | 1.054 | 1.395 | 1.083|
| ciliegie | 1.270 | 1.454 | 1.285 | 1.258 | 1.091|
| susine | 1.043 | 1.811 | 1.172 | 1.551 | 1.277|
| actinidia | 3.140 | 3.440 | 2.734 | 2.672 | 3.300|
| mandorle (con guscio) | 603 | 910 | 1.086 | 924 | 914|
| nocciole (con guscio) | 1.001 | 1.039 | 920 | 1.211 | 868|
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L'ALLEVAMENTO IN ITALIA
L'Italia possiede un consistente patrimonio
zootecnico; vengono allevati milioni di capi di bovini, ovini, suini, equini e
volatili. Soprattutto delle prime tre specie spiccano razze particolarmente
pregiate che forniscono prodotti di ottima qualità.
I bovini
costituiscono la parte più importante dell'intero patrimonio italiano. Un
tempo i buoi erano impiegati nei lavori agricoli ed erano soprattutto un mezzo
di lavoro. Con l'evoluzione delle tecniche agricole e l'utilizzo di macchine
moderne anche l'allevamento ha subito profonde trasformazioni.
Quasi
scomparso è l'allevamento di tipo seminomade che si verifica quando il
bestiame pascola nei prati fino a 2.000 m d'altezza in estate, per poi fare
ritorno nelle stalle dei fondivalle nella stagione invernale. Oggi, soprattutto
nelle aree irrigue della Pianura Padana, è presente l'allevamento
stallivo. I bovini non pascolano all'aperto ma sono rinchiusi in grandi
capannoni e alimentati con foraggi e mangimi industriali. Ciò permette di
produrre carne e latte in grande quantità, materie prime indispensabili
per l'industria alimentare.
+---------------------------------------------------------------+
| CONSISTENZA DEL BESTIAME (1.000 capi - anno 2001) |
+---------------------------------------------------------------|
| REGIONE | BOVINI E | OVINI |CAPRINI | SUINI | EQUINI |
| | BUFALINI | | | | |
+----------------+----------+---------+--------+-------+--------|
| Piemonte | 819 | 88 | 46 | 924 | 12 |
| Valle d'Aosta | 39 | 2 | 3 | 1 | - |
| Lombardia | 1.609 | 91 | 51 | 3.809 | 20 |
| Trentino-A.A. | 189 | 60 | 21 | 22 | 7 |
| Veneto | 933 | 31 | 13 | 702 | 13 |
| Friuli-V.G. | 101 | 6 | 6 | 292 | 2 |
| Liguria | 17 | 18 | 8 | 1 | 3 |
| Emilia-Romagna | 623 | 79 | 11 | 1.552 | 16 |
| Toscana | 104 | 555 | 17 | 172 | 19 |
| Umbria | 63 | 150 | 6 | 251 | 8 |
| Marche | 79 | 163 | 7 | 148 | 5 |
| Lazio | 273 | 636 | 39 | 89 | 23 |
| Abruzzo | 83 | 282 | 15 | 115 | 8 |
| Molise | 57 | 113 | 10 | 47 | 3 |
| Campania | 343 | 327 | 49 | 142 | 5 |
| Puglia | 158 | 218 | 52 | 27 | 7 |
| Basilicata | 78 | 336 | 98 | 83 | 5 |
| Calabria | 102 | 237 | 139 | 101 | 4 |
| Sicilia | 308 | 708 | 122 | 42 | 8 |
| Sardegna | 250 | 2.809 | 210 | 194 | 17 |
| | | | | | |
| ITALIA | 6.228 | 6.809 | 923 | 8.614 | 185 |
+---------------------------------------------------------------+
+------------------------------------------------------------+----------|
| PRINCIPALI PRODOTTI ZOOTECNICI (1.000 q) |
+-----------------------------------------------------------------------|
| PRODOTTI | 1994 | 1995 | 1996 | 2002 |
+---------------------------+----------+----------+----------|----------|
| Carne (totale) | 36.596 | 36.574 | 37.451 | 38.487 |
| - bovina | 9.643 | 9.787 | 9.794 | 9.136 |
| - ovina e caprina | 548 | 539 | 533 | 419 |
| - suina | 12.939 | 12.759 | 13.416 | 14.566 |
| - equina | 222 | 219 | 141 | 155 |
| - pollame | 10.941 | 10.939 | 11.192 | 11.690 |
| - conigli e selvaggina | 2.303 | 2.331 | 2.375 | 2.521 |
| Latte (totale) | 106.076 | 111.578 | 115.852 | 114.671 |
| - per il consumo diretto | 46.194 | 48.558 | 49.336 | 47.061 |
| Burro | 928 | 1.097 | 1.173 | 1.261 |
| Formaggio | 9.003 | 9.818 | 9.845 | 11.116 |
| Uova | 6.720 | 6.760 | 6.971 | 7.199 |
| Lana (sucida) | 129 | 110 | 117 | 105 |
| Bozzoli (q ) | 114 | 170 | 236 | - |
+------------------------------------------------------------+----------|
+----------------------------------------------------------------+
| POPOLAZIONE AGRICOLA ITALIANA PER ETÀ |
+----------------------------------------------------------------|
|ANNI| 14-19 |% | 30-40 |% | 45-64 |% | OLTRE |% | TOTALE |
| | ANNI | | ANNI | | ANNI | |64 ANNI| | |
+----+---------+--+---------+--+---------+--+-------+--+---------|
|1961|3.000.000|40|2.500.000|29|1.900.000|24|570.000|7 |7.720.000|
|1990| 408.000|17| 816.000|34|1.056.000|44|120.000|5 |2.400.000|
+----------------------------------------------------------------+
+-------------------------------------------------------+
| SUPERFICIE IRRIGATA PER REGIONE (1997) |
+-------------------------------------------------------|
| | Sup. irrigata | % sulla sup. |
| | (ettari) | totale |
|------------------------|---------------|--------------|
| Piemonte | 485.187 | 8 |
| Valle d'Aosta | 44.267 | 13 |
| Liguria | 23.598 | 4 |
| Lombardia | 766.247 | 32 |
| Trentino-Alto Adige | 49.388 | 3 |
| Veneto | 370.963 | 20 |
| Friuli-Venezia Giulia | 53.582 | 7 |
| Emilia Romagna | 446.739 | 20 |
| Marche | 49.559 | 5 |
| Toscana | 80.304 | 4 |
| Umbria | 24.864 | 3 |
| Lazio | 119.206 | 7 |
| Campania | 148.707 | 11 |
| Abruzzo e Molise | 58.017 | 4 |
| Puglia | 56.071 | 3 |
| Basilicata | 24.171 | 2 |
| Calabria | 100.140 | 7 |
| Sicilia | 163.460 | 6 |
| Sardegna | 35.150 | 2 |
+------------------------+---------------+--------------|
| ITALIA | 3.099.720 | 10 |
+-------------------------------------------------------+
IL SETTORE SECONDARIO
La città è sempre stata il centro
del potere politico, economico e religioso fin dai tempi antichi. A partire
dall'800 essa divenne la sede principale degli impianti industriali. Infatti
finché esistevano semplici manifatture, soprattutto tessili, che avevano
bisogno soltanto di pochi mezzi e di corsi d'acqua, le industrie restarono
ubicate in campagna; ma quando le nuove invenzioni resero possibili lavorazioni
più complesse, fu necessario trasferire le industrie dove c'era maggior
manodopera, dove erano ubicati banche, uffici commerciali e porti, al centro
delle più importanti vie di comunicazione. La rivoluzione industriale
portò alla trasformazione della città: ovunque sorsero officine e
fabbriche, in periferia si svilupparono i quartieri operai, il centro divenne
sede dei servizi bancari e commerciali necessari alla produzione
industriale.
Le miniere e le fonti d'energia
Le materie prime sono essenziali per lo sviluppo
di industrie come quella siderurgica (che lavora il ferro), metallurgica e
meccanica, settori fondamentali per la produzione di macchinari e di moderne
tecnologie.
L'Italia è un Paese purtroppo povero di giacimenti
minerari. Alcuni sono stati sfruttati molto in passato (come i giacimenti di
ferro dell'Isola d'Elba), altri non hanno più l'importanza di un tempo
(ad esempio le miniere di carbone della Sardegna e della Valle d'Aosta), altri
ancora sono diventati poco convenienti, come quello di zolfo in Sicilia e del
mercurio del Monte Amiata.
Ma, oltre che di materie prime, l'economia di
oggi ha bisogno di fonti d'energia in grande quantità. Scarsa è la
presenza di carbone, molto poco è il petrolio, mentre possediamo una
certa quantità di gas metano, però del tutto insufficiente
rispetto al nostro fabbisogno nazionale. L'Italia quindi deve spendere molto
denaro per importare materie prime e fonti d'energia che non possiede.
Riesce infine a produrre una buona quantità di energia
idroelettrica sfruttando la forza delle acque dei fiumi, ma essa è appena
sufficiente e ce ne vorrebbe di più per soddisfare la richiesta
esistente.
+----------------------------------------------------------------+
| PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA |
| PER FONTE ENERGETICA UTILIZZATA (ml kWh - anno 1998) |
+----------------------------------------------------------------|
| REGIONE | IDRO- | TERMO- |GEOTERMO-| TOTALE |
| |ELETTRICA| ELETTRICA|ELETTRICA| |
+----------------------+---------+----------+---------+----------|
| Piemonte | 6.810 | 8.829 | - | 15.639 |
| Valle d'Aosta | 2.482 | - | - | 2.482 |
| Lombardia | 11.765 | 27.073 | - | 38.838 |
| Trentino-Alto Adige | 9.096 | 292 | - | 9.338 |
| Veneto | 4.004 | 28.294 | - | 32.298 |
| Friuli-Venezia Giulia| 1.545 | 6.794 | - | 8.339 |
| Liguria | 228 | 12.304 | - | 12.532 |
| Emilia-Romagna | 1.226 | 8.153 | - | 9.379 |
| Toscana | 645 | 15.341 | 3.958 | 19.944 |
| Umbria | 1.452 | 1.603 | - | 3.055 |
| Marche | 460 | 350 | - | 810 |
| Lazio | 1.038 | 22.611 | - | 23.649 |
| Abruzzo | 1.604 | 1.564 | - | 3.168 |
| Molise | 152 | 880 | - | 1.032 |
| Campania | 1.795 | 1.995 | - | 3.790 |
| Puglia | 134 | 21.317 | - | 21.451 |
| Basilicata | 259 | 1.004 | - | 1.263 |
| Calabria | 1.010 | 6.891 | - | 7.901 |
| Sicilia | 904 | 20.791 | - | 21.695 |
| Sardegna | 403 | 9.887 | - | 10.290(_)|
+----------------------+---------+----------+---------+----------|
| ITALIA | 46.012 | 195.973 | 3.958 |246.943(_)|
+----------------------------------------------------------------|
| (_) compresa energia da fonte eolica e solare |
+----------------------------------------------------------------+
La nascita dell'industria
Oggi l'Italia è tra i primi dieci Paesi
industrializzati del mondo. Questo sviluppo risale al secondo dopoguerra (1945)
e pertanto è relativamente recente. Prima l'attività produttiva
prevalente era l'agricoltura; poi la crescita industriale si è andata via
via affermando, seppure concentrandosi in alcune aree e trascurandone altre.
Diversi sono i motivi di questo sviluppo diseguale. Per comprenderli
occorre soffermarsi sui fattori necessari alla nascita dell'industria. Per
insediare un'industria occorrono molti capitali, cioè denaro; servono
infatti per costruire l'edificio, acquistare i macchinari e le materie prime.
Sono poi necessarie l'energia, per far funzionare le macchine, e la manodopera,
che sappia compiere bene il proprio lavoro. Infine i prodotti finiti devono
poter raggiungere i consumatori per essere venduti; ciò richiede mezzi di
trasporto, vie di comunicazione efficienti e negozi per la distribuzione.
L'insieme complesso di tutti questi fattori fa comprendere come mai non
sia così facile che si realizzino queste condizioni in modo uniforme su
tutto il territorio nazionale; dobbiamo infatti tener presente non solo la
scarsità di materie prime sopra accennata, ma anche la configurazione
montuosa di buona parte del nostro Paese, l'arretratezza di molte zone
meridionali, lo sviluppo secolare così diseguale delle diverse regioni
italiane, ognuna con una storia sua propria.
Infatti l'industria italiana
è nata alla fine dell'Ottocento nell'Italia settentrionale, da sempre
area economicamente più attiva e legata ai commerci con l'Europa
continentale. Il punto di partenza furono gli opifici e le fabbriche soprattutto
tessili (lana, cotone, seta e canapa). Poi molti ricchi proprietari terrieri
investirono i guadagni ricavati dalla modernizzazione dell'agricoltura nelle
nascenti attività industriali e divennero degli imprenditori. La
meccanizzazione del lavoro agricolo da un lato permise di ricavare maggiori
prodotti dalla terra, dall'altro liberò molta manodopera, che andò
a lavorare in città nelle fabbriche appena sorte.
Il vero decollo
industriale si verificò agli inizi del Novecento, quando nelle regioni
settentrionali sorsero le grandi industrie siderurgiche e meccaniche che
producevano materiale navale e ferroviario. Anche grazie agli aiuti forniti
dallo Stato, questo fragile apparato andò progressivamente rafforzandosi,
vedendo la nascita successiva di industrie metalmeccaniche e chimiche.
A
partire dagli anni Sessanta altri settori produttivi si sono industrializzati
(calzature, mobili, prodotti alimentari ecc.), facendo dell'Italia uno dei Paesi
più industrializzati. Negli anni Settanta l'aumento del costo del
petrolio incise pesantemente sui costi di produzione, determinando una crescita
dei prezzi di vendita e quindi uno smercio più difficoltoso dei prodotti.
Ciò ha generato una crisi del settore industriale, che vive fasi cicliche
di benessere e di malessere.
Le industrie più importanti
In Italia vi sono vari tipi d'industrie. Qui
ricordiamo le più importanti.
-
Industria siderurgica.
Produce ferro e acciaio, con tutti i loro derivati, che a loro volta
costituiscono le materie prime per altre industrie. È situata soprattutto
nel Nord del Paese, con l'aggiunta di due stabilimenti di proprietà
pubblica a Bagnoli (Napoli). È un settore che, dopo una grande
espansione, è andato incontro a grosse difficoltà a causa della
concorrenza delle materie plastiche più leggere e meno costose.
-
Industria metalmeccanica. È il settore più importante e
comprende le industrie che lavorano i metalli fino ad arrivare ai prodotti
finiti. Tra le diverse merci ricordiamo gli autoveicoli; la FIAT (Fabbrica
Italiana Automobili Torino) costituisce la principale azienda privata italiana
di questo settore e si pone tra i primi produttori del mondo di autoveicoli.
FIAT produce anche macchine utensili ed opera in campi
molteplici, come l'ingegneria civile, l'energia, il turismo e la siderurgia.
Vanno tuttavia ricordate altre aziende automobilistiche, i cui prestigiosi
marchi sono conosciuti in tutto il mondo: l'Alfa Romeo di Milano, la Lancia di
Torino (entrambe facenti parte del gruppo FIAT), la Ferrari di Maranello (MO) e
la Lamborghini di Sant'Agata Bolognese (BO), entrata nell'orbita del gruppo
tedesco Volkswagen-Audi.
Modello tridimensionale di Alfa Romeo 2300 da competizione
Modello tridimensionale della macchina sportiva Lamborghini Diablo
Modello tridimensionale di Ferrari F250
Modello tridimensionale di Ferrari F40
Modello tridimensionale di Fiat 500
Modello tridimensionale di Lancia Aurelia B24 SpiderMalgrado i volumi di produzione decisamente inferiori è molto apprezzata -
soprattutto all'estero - anche l'industria motociclistica italiana. In quest'ambito
operano con profitto marchi storici come la Moto Guzzi di Mandello del Lario
(CO), la Ducati di Bologna, la MV Agusta di Schiranna (VA), l'Aprilia di Noale
(VE), la Piaggio di Pontedera (PI)
Modello tridimensionale della moto Ducati 640
Modello tridimensionale di Moto Guzzi Falcone allestita per il corpo dei Carabinieri
Modello tridimensionale di Moto Guzzi V7 Special 750
Modello tridimensionale di Moto Guzzi California 1100i del 1996
Modello tridimensionale di Piaggio Vespa 50Oltre all'industria automobilistica
e a quella motociclistica, ricordiamo
quella degli elettrodomestici, situata soprattutto in Veneto, Marche e
Lombardia.
-
Industria tessile. Comprende la lavorazione di fibre
tessili naturali, come il cotone, la lana e la seta, e di quelle artificiali
(nylon, rayon ecc.). Ad essa sono collegate le industrie della confezione e
dell'abbigliamento. Questo tipo di industria ha in Italia una grande tradizione,
a cominciare dai lanaioli fiorentini al tempo dei Medici per arrivare sino alle
seterie comasche e alle lanerie del Biellese. Tra le zone più famose per
la produzione della lana, oltre a Biella, ricordiamo Prato in Toscana, Valdagno
e Schio in Veneto. Numerosi sono i cotonifici sparsi un po' in tutt'Italia.
Altrettanto numerose sono le fabbriche che provvedono alla confezione di capi di
abbigliamento, concentrate soprattutto nell'Italia centro-settentrionale. Questo
settore si è ultimamente molto sviluppato grazie anche alla
capacità inventiva e creativa degli stilisti italiani, che hanno
esportato in tutto il mondo il cosiddetto Italian style, vale a dire la moda
italiana, punto di riferimento per la moda internazionale.
Di antica
tradizione è anche l'industria produttrice di pellami e calzature
dislocata soprattutto nell'Italia centrale, che ha saputo creare modelli e
prodotti apprezzati in tutto il mondo.
-
Industria chimica e
petrolchimica. Questo settore opera in diversi ambiti; produce dai
fertilizzanti alle materie plastiche, dagli idrocarburi ai medicinali. Numerosi
impianti sono stati insediati nel Mezzogiorno e nelle isole, spesso con l'aiuto
finanziario dello Stato. Se all'inizio hanno contribuito ad assorbire parte
della manodopera disoccupata, poi, in seguito, aggiungendosi a quelli già
esistenti al Nord, hanno vissuto una crisi di sovrapproduzione che si presenta
di lenta e difficile risoluzione.
-
Industria alimentare. È
collegata all'agricoltura e alla pesca e provvede alla lavorazione dei beni
prodotti dal settore primario. Quest'industria è diffusa in tutto il
Paese, con una notevole presenza nel Sud.
-
Altri settori. Numerose
altre attività industriali sono legate all'edilizia e all'arredamento,
all'elettronica e all'elettrotecnica. Questi ultimi sono in continua espansione
e si presentano come i settori chiave dell'era del computer.
-
Industria turistica. È legata al turismo e comprende tutte quelle
attività legate alla valorizzazione delle bellezze del nostro Paese. Ad
essa fanno capo gli alberghi, i servizi commerciali e dei trasporti ed è
strettamente connessa con molti ambiti del settore terziario.
+----------------------------------------------------------------+
| PRODUZIONE DELLE MINIERE (t) |
+----------------------------------------------------------------|
| | 1996 | 1997 | 1998 |
+--------------------------+------------+------------+-----------|
| MINERALI ENERGETICI | | | |
| lignite | 192.936 | 222.421 | 93.689 |
| petrolio | 5.368.971 | 5.892.055 | 5.629.670 |
| gasolina | 18.071 | 9.772 | 11.816 |
| metano (1000 mc) | 20.047.548 | 19.123.396 |18.729.572 |
| vapore endogeno | 31.027.107 | 31.235.870 |34.054.903 |
| | | | |
| MINERALI METALLIFERI | | | |
| manganese | 6.523 | 2.128 | 974 |
| piombo | 20.260 | 17.630 | 10.102 |
| zinco | 20.137 | 15.416 | 5.242 |
| | | | |
| MINERALI NON METALLIFERI | | | |
| salgemma | 3.528.120 | 3.594.549 | 3.413.522 |
| marna da cemento | 12.480.388 | 12.166.878 |13.199.967 |
| feldspato | 2.287.086 | 2.118.117 | 2.503.541 |
| silicati di alluminio (1)| 1.460.482 | 1.480.219 | 1.680.264 |
| talco e steatite | 132.647 | 140.816 | 133.557 |
| fluorite | 126.671 | 105.794 | 104.187 |
+----------------------------------------------------------------|
| (1) caolino grezzo, terre caoliniche, argille e terre refratta-|
| rie, argille smettiche e da sbianca, bentonite |
+----------------------------------------------------------------+
L'industria siderurgica
La siderurgia è l'attività che
procede alla fusione e alla lavorazione del ferro. Infatti il termine siderurgia
deriva dal greco
sìderos che significa appunto ferro. Essa fa
parte delle cosiddette industrie pesanti, che cioè lavorano i metalli per
fabbricare semilavorati, prodotti finiti e macchinari. Il settore siderurgico
più importante - e fra l'altro fondamentale per lo sviluppo di una
nazione - è quello che produce l'acciaio. Senza questo materiale, che
possiede requisiti quali l'elevata resistenza, la durezza, la
lavorabilità e l'elasticità, non avremmo merci, macchine e
strutture oggi indispensabili al continuo progresso industriale e
tecnologico.
Per giungere a creare l'acciaio, la siderurgia segue un
processo piuttosto complesso. I minerali contenenti ferro vengono fusi negli
altiforni e, durante tale procedimento, si trasformano in ghisa, lega di ferro
con un'alta percentuale di carbonio. Quando la ghisa è ancora rovente e
liquida viene posta nei forni dell'acciaieria insieme a rottami ferrosi. Qui,
grazie alla temperatura di oltre 1.000 °C, avviene la trasformazione in
acciaio, che risulta così una lega formata da ferro e da una
quantità di carbonio molto bassa, dallo 0,3% all'1,7%. Quest'ultimo
elemento così ridotto conferisce all'acciaio quelle caratteristiche di
durezza sopra ricordate. Una volta fuso, l'acciaio è versato in ampi
recipienti, detti siviere, e quindi è colato in grandi forme, chiamate
lingottiere, o trasformato in pani d'acciaio (bramme).
L'Italia, Paese da
sempre povero di materie prime, a partire dal secondo dopoguerra ha cercato di
accrescere la propria produzione di acciaio per rendersi il più possibile
autosufficiente. Per questo ha dovuto da un lato aumentare le importazioni di
ferro e carbone, dall'altro costruire un certo numero di impianti per la
lavorazione, che fossero facilmente rifornibili. Sono sorte così le
acciaierie di Genova, Napoli e Taranto, oltre a quella di Terni già
esistente. La localizzazione lungo le coste permette infatti un più
agevole rifornimento delle materie prime, che sono trasportate dalle navi.
Tuttavia la crisi economica degli anni Settanta del XX sec., unitamente
all'aumento del costo delle materie prime, all'invecchiamento degli impianti e
alla concorrenza dei prodotti stranieri, ha fatto sì che la siderurgia
italiana andasse incontro a un periodo di difficoltà e, a partire dagli
anni Ottanta, la sua produzione cominciasse a diminuire. L'attuale crisi degli
stabilimenti siderurgici impone la necessità di una celere e razionale
ristrutturazione, che garantisca un futuro rilancio del
settore.
Le aziende pubbliche e private in Italia
Oggi l'Italia figura fra le dieci maggiori potenze
economiche del mondo. Tuttavia non ha occupato da sempre tale posizione: infatti
è solo a partire dai primi anni Settanta che è riuscita a
collocarsi fra i Paesi più sviluppati. Ciò è stato frutto
di un periodo di rapido ed intenso sviluppo, che ha preso avvio dal 1950, tanto
che si è parlato di "miracolo economico". Grazie all'attività di
ricostruzione del dopoguerra, alla manodopera abbondante e a poco prezzo e alla
capacità d'iniziativa, il settore industriale ha compiuto veloci e
continui progressi, accrescendo notevolmente la propria
produzione.
L'industria pubblica, ovvero quella che fa capo allo Stato, ha
dato un'importante contributo all'opera di ricostruzione: nel 1933 fu costituito
l'IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), con l'obiettivo di provvedere
al salvataggio del sistema bancario italiano rimasto (coinvolto nella crisi
delle aziende industriali dei primi anni Trenta), al risanamento di queste
aziende e alla loro successiva vendita. Nel 1953 lo Stato istituisce l'ENI (Ente
Nazionale Idrocarburi), sotto la guida di Enrico Mattei, per promuovere e
sviluppare le attività energetiche nazionali.
IRI e ENI si sono
dedicate innanzi tutto allo sviluppo di industrie per la lavorazione di base,
come quelle siderurgiche e chimiche, estendendo poi il proprio intervento in
altri settori (tessile, trasporti, autostradale, farmaceutico ecc.). L'area
privilegiata dall'intervento pubblico è stata quella meridionale, fino al
1950 poco coinvolta nella crescita generata dalle aziende private, che invece
erano accentrate al Nord. Per volontà dell'IRI e dell'ENI sono sorti
così numerosi insediamenti industriali che, pur creando posti lavoro per
molte persone, tuttavia quasi mai sono riusciti a innescare un processo di
sviluppo industriale che si irradiasse in tutto il territorio circostante.
Nel 1992 il Governo italiano, nell'ambito di una ridefinizione della
presenza diretta dello Stato nell'economia, ha trasformato l'IRI e l'ENI da enti
economici a Società per Azioni, affidando loro l'obiettivo prioritario
delle privatizzazioni.
Come si è accennato, il cosiddetto "boom" o
miracolo economico si è popolarizzato soprattutto al Nord, perché
più ricco di infrastrutture, di capitali e caratterizzato da una
tradizione industriale e mercantile secolare. Qui si è accentrata
l'iniziativa privata che, data la carenza di ferro, carbone, petrolio, si
è specializzata nell'attività di trasformazione, cioè nella
lavorazione e produzione di beni finiti e di largo consumo. In particolare sono
decollate le industrie meccaniche e metallurgiche, tessili, alimentari, chimiche
e cantieristiche. Un esempio di questa capacità di sviluppo
dell'industria privata è stata la FIAT. Grazie al lancio di modelli d'auto
utilitarie, al miglioramento della viabilità e alla costruzione di strade
e autostrade, soprattutto dopo il 1950 l'azienda torinese ha contribuito alla
diffusione dell'auto come mezzo di trasporto di massa e ha consentito e
stimolato la crescita di altre attività produttive connesse al settore
automobilistico.
L'ARTIGIANATO
Caratteristica dell'industria è produrre un
gran numero di pezzi utilizzando macchine (spesso molto sofisticate e
automatizzate) e manodopera generica o specializzata. La macchina garantisce un
minor tempo di produzione e i beni prodotti sono fatti in serie e sono
quantitativamente elevati.
Invece l'artigianato produce pochi pezzi,
servendosi anche dell'aiuto delle macchine, ma giovandosi soprattutto
dell'esperienza dell'uomo, conoscitore di quella particolare lavorazione. Spesso
i prodotti artigianali sono vere opere d'arte; è raro che un pezzo sia
eguale all'altro e ognuno richiede un notevole numero di ore di lavoro da parte
dell'artigiano.
Quest'ultimo talvolta lavora da solo, ma più
spesso, nella sua bottega o nel suo laboratorio, è aiutato da poche
persone o familiari, che posseggono anch'essi un'elevata specializzazione.
I prodotti artigianali del nostro Paese sono tanti e variano da regione a
regione. Ricordiamone solo alcuni: le ceramiche di Firenze, i vetri di Murano,
l'alabastro di Volterra, le porcellane di Capodimonte, gli oggetti in rame e in
ferro degli Abruzzi e i pizzi del Sud.
Questo artigianato tipico non
è solo un'importante eredità di tradizioni antiche e secolari, ma
è anche una cospicua fonte di guadagno per molti cittadini. Il nostro
artigianato trova un buon mercato presso i turisti italiani e stranieri ed
è apprezzato anche all'estero.
IL SETTORE TERZIARIO
Mentre il settore secondario si occupa delle
attività produttive di trasformazione, quello terziario comprende il
commercio e i servizi, nei quali il lavoratore fornisce una prestazione non
producendo direttamente dei beni.
Questo settore tende a crescere,
perché in una società economicamente sviluppata le industrie
debbono sempre più avvalersi di coloro che forniscono servizi. È
logico che aumentando il numero delle merci prodotte, cresca anche il numero di
coloro che trasportano le materie prime e che mettono in commercio i beni,
così come cresce il numero delle banche che offrono i crediti, dei
ragionieri e dei commercialisti che danno la loro consulenza o il loro parere in
materia di amministrazione.
Il settore terziario comprende anche gli
addetti alla pubblica amministrazione e coloro che operano nel ramo
turistico-alberghiero.
Se questo comparto economico è tutto in
espansione, va sottolineato che particolare sviluppo sta avendo e avrà il
cosiddetto terziario avanzato, ovvero tutte quelle attività connesse alle
telecomunicazioni e all'informatica. La progressiva meccanizzazione e
automazione dei processi produttivi da un lato ridurrà il lavoro manuale,
dall'altro richiederà sempre più tecnici e operatori in grado di
controllare, far funzionare e riparare i calcolatori
elettronici.
+----------------------------------------------------------------+
| FORZE DI LAVORO PER REGIONE |
| (1000 – media 1999) |
+----------------------------------------------------------------|
| REGIONE | AGRI- |INDUSTRIA| ALTRE | TOTALE | SENZA |
| | COLTURA | |ATTIVITÀ | |OCCUPAZ.|
+----------------+---------+---------+---------+--------+--------|
| Piemonte | 65 | 688 | 972 | 1.725 | 135 |
| Valle d'Aosta | 3 | 13 | 36 | 52 | 3 |
| Lombardia | 80 | 1.614 | 2.139 | 3.833 | 194 |
| Trentino-A.A. | 36 | 108 | 262 | 406 | 14 |
| Veneto | 87 | 808 | 991 | 1.886 | 90 |
| Friuli-V.G. | 19 | 163 | 292 | 474 | 28 |
| Liguria | 20 | 138 | 428 | 586 | 64 |
| Emilia-Romagna | 117 | 629 | 997 | 1.743 | 83 |
| Toscana | 44 | 483 | 866 | 1.393 | 109 |
| Umbria | 16 | 102 | 195 | 313 | 26 |
| Marche | 28 | 241 | 317 | 583 | 38 |
| Lazio | 58 | 374 | 1.451 | 1.883 | 249 |
| Abruzzo | 29 | 146 | 262 | 437 | 49 |
| Molise | 13 | 31 | 61 | 105 | 20 |
| Campania | 121 | 370 | 1.059 | 1.550 | 482 |
| Puglia | 134 | 313 | 728 | 1.175 | 275 |
| Basilicata | 25 | 55 | 98 | 178 | 37 |
| Calabria | 65 | 101 | 365 | 531 | 207 |
| Sicilia | 129 | 259 | 938 | 1.326 | 429 |
| Sardegna | 45 | 115 | 354 | 514 | 137 |
| | | | | | |
| ITALIA | 1.134 | 6.751 | 12.808 | 20.693 | 2.669 |
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LE VIE DI COMUNICAZIONE
L'industrializzazione e la creazione di mezzi di
trasporto sempre più veloci e sofisticati hanno provocato un rapido
aumento del movimento di merci e persone. La rete viaria è diventata
più fitta. Al traffico tradizionale si è aggiunto quello
aeroportuale.
Se si considera la rete ferroviaria, all'epoca
dell'Unità d'Italia essa era lunga 1.800 km, mentre oggi raggiunge 21.000
km (tra ferrovie statali e private). Il traffico ferroviario è più
intenso al Nord e al Centro,
mentre è meno ricco di linee al Sud e nelle isole.
La rete stradale
è stata completamente rinnovata e si è moltiplicata. Alle
polverose carrozzabili di fine secolo si sono sostituite le strade asfaltate
statali, provinciali e comunali, per uno sviluppo complessivo di 450.000 km. A
fianco di queste sono sorte le autostrade, che coprono ormai l'intero territorio
nazionale e sono lunghe oltre 6.000 km.
L'Italia è all'avanguardia
nella rete autostradale e negli ultimi dieci anni lo Stato ha finanziato il suo
ampliamento. Questo è servito a collegare le aree più arretrate
del Meridione con quelle più sviluppate.
Nonostante la maggiore
facilità di comunicazioni, lo squilibrio economico esistente è
solo parzialmente attenuato, anche se l'afflusso di merci e di turisti ha
portato un indubbio giovamento all'economia meridionale.
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| RETE STRADALE E AUTOSTRADALE |
| (lunghezza complessiva in km - 1996) |
+----------------------------------------------------------------|
| REGIONE | AUTO- | STATALI| PROVIN- | COMUNALI | TOTALE |
| | STRADE| | CIALI | EXTRAURB.| |
| | | | | | |
+-----------------+-------+--------+---------+----------+--------|
| Piemonte | 788 | 2.948 | 11.005 | 22.655 | 37.396 |
| Valle d'Aosta | 100 | 153 | 496 | 1.238 | 1.987 |
| Lombardia | 560 | 3.385 | 8.520 | 19.149 | 31.614 |
| Trentino-A.A. | 207 | 1.690 | 2.672 | 9.633 | 14.202 |
| Veneto | 457 | 2.366 | 7.260 | 18.884 | 28.967 |
| Friuli-V.G. | 207 | 1.180 | 2.169 | 5.134 | 8.690 |
| Liguria | 374 | 1.040 | 2.623 | 7.353 | 11.390 |
| Emilia-Romagna | 633 | 2.941 | 7.239 | 23.334 | 34.147 |
| Toscana | 413 | 3.679 | 7.394 | 16.264 | 27.750 |
| Umbria | 64 | 1.387 | 2.768 | 6.059 | 10.278 |
| Marche | 200 | 1.354 | 5.368 | 9.961 | 16.883 |
| Lazio | 478 | 2.558 | 6.992 | 19.224 | 29.252 |
| Abruzzo | 319 | 2.344 | 5.027 | 14.671 | 22.321 |
| Molise | 52 | 951 | 1.806 | 4.839 | 7.648 |
| Campania | 445 | 2.678 | 6.948 | 15.400 | 25.471 |
| Puglia | 281 | 3.120 | 8.128 | 22.786 | 34.315 |
| Basilicata | 40 | 1.984 | 2.862 | 9.594 | 14.480 |
| Calabria | 279 | 3.414 | 6.114 | 18.417 | 28.224 |
| Sicilia | 582 | 3.869 | 13.081 | 20.294 | 37.826 |
| Sardegna | - | 3.002 | 5.452 | 12.916 | 21.370 |
+-----------------+-------+--------+---------+----------+--------|
| ITALIA | 6.479 | 46.043 | 113.924 | 277.805 |444.251 |
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L'EVOLUZIONE ECONOMICA ITALIANA
Abbiamo detto che dal momento dell'Unità
(1861) ad oggi l'economia del nostro Paese è notevolmente cambiata. A
partire dall'inizio del XX secolo si è avuto un rapido sviluppo
dell'industrializzazione, che ha comportato notevoli trasformazioni non solo per
il settore secondario, ma anche e soprattutto per quelli primario e terziario.
Le macchine e le fabbriche hanno rivoluzionato la vita dell'uomo e hanno anche
operato mutamenti dell'ambiente e del paesaggio. Ad esempio gli scarichi
industriali, degli impianti di riscaldamento, delle automobili, così come
quelli delle fognature, hanno inquinato i corsi d'acqua e il mare; l'aria delle
grandi metropoli è diventata satura di gas.
Lo sviluppo accelerato
di molte città, accanto ai problemi ambientali, ha generato altre
difficoltà. Infatti spesso esiste uno squilibrio tra popolazione e
servizi ancora carenti (scuole, ospedali, mezzi pubblici); il verde urbano
è insufficiente e mal curato; il posto di lavoro è assai distante
dall'abitazione: ciò crea problemi per gli spostamenti e il traffico;
infine la casa stessa diviene un bene raro, difficile da reperire e spesso
è a caro prezzo.
Questo sviluppo urbano convulso ha gravi
ripercussioni sulla vita dei cittadini e sulla loro salute. Il malessere e le
inefficienze si presentano più gravi nelle metropoli meridionali, che
hanno dovuto assorbire in poco tempo la manodopera immigrata dalle aree interne
più povere. Oltre ai problemi sopra menzionati, ce ne sono altri
direttamente connessi all'economia. Il più grave di questi è la
disoccupazione. Dopo il cosiddetto boom degli anni Sessanta, la richiesta di
manodopera è diminuita; le aziende sono state investite da diverse crisi
internazionali ed hanno dovuto rinnovarsi nei macchinari e nelle tecnologie.
Entrambi questi fattori hanno portato a una riduzione del numero dei dipendenti;
si sono trovati particolarmente penalizzati soprattutto i giovani in cerca di
prima occupazione. Nonostante lo sviluppo del settore terziario, questo problema
è ben lontano dall'essere risolto e rimane uno dei più gravi.
Un ultimo, rilevante squilibrio si riscontra valutando la distribuzione
del reddito nazionale italiano, vale a dire del valore dei beni, dell'insieme
della ricchezza prodotta su tutto il territorio nazionale. Infatti se prendiamo
in considerazione il reddito di ciascuna regione e lo dividiamo per il numero
dei suoi abitanti otteniamo il reddito medio pro capite (cioè per ciascun
abitante), che è estremamente rappresentativo del benessere economico di
quella regione.
L'economia italiana dunque si presenta poco omogenea,
ancora a distanza di oltre un secolo essa forma un mosaico di realtà
diverse che si possono raccogliere in tre gruppi, che se osserviamo hanno una
precisa collocazione geografica. Infatti al primo appartengono le regioni
nord-occidentali, il secondo abbraccia le regioni nord-orientali e centrali,
mentre nel terzo sono comprese tutte le regioni meridionali e insulari. Possiamo
concludere che quest'ultima area, per quanto si sia sviluppata, rimane pur
sempre lontana dal tenore di vita del resto del Paese; il divario, che ha
origini antiche, malgrado gli sforzi operati, resta tuttora
sensibile.
L'ITALIA, LA COMUNITÀ ECONOMICA EUROPEA E L'UNIONE EUROPEA
Nel 1957 i rappresentanti di Italia, Belgio,
Francia, Germania Federale, Lussemburgo e Paesi Bassi hanno istituito la CEE
(Comunità Economica Europea), una sorta di federazione che ha stretto
legami per lo più di tipo economico. Agli originali sei Paesi membri si
sono aggiunti in seguito Danimarca, Irlanda e Regno Unito (1973), Grecia (1981),
Spagna e Portogallo (1986), Austria, Finlandia e Svezia (1995). Con il Trattato
di Maastricht (1991-92) la Comunità si è trasformata in Unione
europea (UE).
L'appartenenza all'Unione ha avuto e ha tuttora importanti
conseguenze per l'economia italiana. Infatti all'interno della UE vige per
l'industria il principio della libera concorrenza; ovvero i prodotti possono
circolare ed essere scambiati liberamente entro i confini della UE senza pagare
dazi doganali. Importazioni ed esportazioni sono esenti da tasse e quindi il
prezzo di un determinato prodotto non subisce gravi alterazioni, fatta eccezione
per le spese di trasporto.
Ciò ha fatto sì che l'industria
italiana nel secondo dopoguerra si sia trovata di fronte alla possibilità
di produrre e vendere per un mercato non più solo nazionale, ma europeo,
con milioni e milioni di consumatori. Questo ha stimolato il desiderio di
produrre beni di ottima qualità e a un prezzo conveniente, in grado di
sostenere la concorrenza straniera. L'industria italiana ha dovuto così
misurarsi con quella degli altri paesi occidentali, con esiti alterni, ma sempre
comunque facendo pesare la propria presenza sui mercati.
Un discorso
diverso va fatto per l'agricoltura. La Comunità ha stabilito che le
agricolture dei vari Paesi non potessero essere lasciate in libera concorrenza
tra di loro. Questo per evitare che un Paese soccombesse a causa della scarsa
competitività dei suoi prodotti, con conseguente crisi e tracollo
economico per l'agricoltura di quello Stato. Si sono così creati dei
complicati meccanismi che stabiliscono i criteri commerciali per i diversi
prodotti agricoli.
La debole agricoltura italiana non trae però
molti vantaggi da tali meccanismi, anche per l'ostracismo di paesi più
potenti dal punto di vista agricolo, come la Francia e la
Germania.
L'appartenenza all'Unione ha inoltre permesso una maggiore
facilità negli spostamenti e quindi un incremento del flusso turistico, e
di conseguenza monetario, per il nostro Paese. A questo proposito nel 1978
è stato creato il sistema monetario europeo (SME), che aggancia tra loro
le varie monete europee, permettendo ad esse di fluttuare all'interno di limiti
prefissati in rapporto alla parità determinata.
Il 31 dicembre 1992
è stato realizzato il progetto di completamento del Mercato Unico
Europeo. Dal 1° gennaio 1993, infatti, sono venute meno le frontiere tra
gli Stati membri della Comunità (libera circolazione all'interno degli
Stati membri di merci e persone; controllo degli scambi e dei movimenti limitato
solo a contatti con Stati non membri della Comunità); sono state abolite
le frontiere cosiddette tecniche, sanitarie, commerciali che regolano la
produzione di macchinari, elettrodomestici, macchine da trasporto, prodotti
agricoli e alimentari in genere; sono stati eliminati i limiti professionali che
ostacolavano i liberi professionisti tramite il riconoscimento e la
parificazione dei vari diplomi e titoli di studio; inoltre i cambi di valuta
sono stati sottoposti a controlli in modo da tutelare i risparmiatori in maniera
omogenea; infine, in materia fiscale, si è cercato di rendere omogenei i
tassi, variabili da Paese a Paese, sulle imposte indirette. Dopo tre anni di doppia
circolazione, il 1° gennaio 2002, l'Italia - insieme ad altri 11 stati membri
dell'Unione Europea (Belgio, Germania, Grecia, Spagna, Francia, Irlanda,
Lussemburgo, Paesi Bassi, Austria, Portogallo e Finlandia) - adotta definitivamente
l'Euro quale unica unità monetaria circolante.
IL COMMERCIO CON L'ESTERO
La vita economica di ogni Paese si basa su scambi
commerciali, ovvero alcune merci prodotte al suo interno vengono esportate e
vendute all'estero, mentre se ne importano altre che non sono presenti nel Paese
stesso. È infatti difficile che una nazione possegga tutte le risorse
necessarie per produrre tutti i beni di cui abbisogna. È inoltre
più conveniente specializzarsi in alcuni settori ed esportare la parte di
merci eccedenti, in modo da acquistare in cambio i prodotti che mancano. Questo
tipo di scambi è chiamato commercio con l'estero e anche l'Italia
necessariamente vi partecipa. Infatti, essendo povera di materie prime e di
alcuni prodotti alimentari, li deve importare. Tra le spese maggiori sostenute
dal nostro Paese vi sono quelle per il petrolio, carbone e ferro, affiancati da
altre voci come il latte, la carne bovina, la cellulosa e il legno. Attraverso
una politica economica adeguata parte di queste spese potrebbero senz'altro
essere ridotte o ridimensionate.
D'altro canto l'Italia è una
nazione che esporta, sia prodotti agricoli (vino, olio, ortaggi, agrumi,
frutta), che manufatti industriali (lavorati, semilavorati meccanici, mezzi di
trasporto, prodotti tessili, calzature, mobili ecc.). L'insieme delle
importazioni e delle esportazioni di merci costituisce la bilancia commerciale.
Essa fa parte del più ampio bilancio nazionale e contabilizza e registra
tutti gli scambi di prodotti con l'estero. Il suo saldo è solitamente
negativo, ovvero le importazioni superano le esportazioni. Questo deficit (o
saldo negativo) è in parte attenuato da altre entrate, come gli introiti
di valuta estera provenienti dal turismo straniero, dalle rimesse degli emigrati
che inviano i loro guadagni alle famiglie in Italia, ecc. Se alle esportazioni
di beni si aggiungono anche queste voci sopra citate, si allarga il movimento di
scambio con l'estero, che nella sua globalità viene chiamato bilancia dei
pagamenti. Grazie all'intero movimento di valuta (commerciale e non), il saldo
della bilancia dei pagamenti risulta meno passivo di quello della sola bilancia
commerciale e fornisce un'idea completa dei rapporti che intercorrono con gli
Stati esteri. I Paesi con cui l'Italia svolge scambi più intensi sono
quelli europei, soprattutto dopo l'entrata in vigore dell'Euro, la moneta unica
europea, la cui effettiva circolazione ha avuto inizio nel 2002.