eXTReMe Tracker
Tweet

GEOGRAFIA - ITALIA - EMILIA-ROMAGNA

PRESENTAZIONE

A differenza di altre regioni, l'Emilia-Romagna si presenta formata da due zone che, seppure caratterizzate da una complessiva omogeneità, posseggono tuttavia alcune differenze di carattere storico e ambientale. Essa è infatti nel suo insieme nettamente individualizzata, essendo delimitata dal basso corso del Po a Nord, dall'alto crinale dell'Appennino a Sud e Ovest e dal Mare Adriatico a Est. Entro tali limiti geografici naturali l'Emilia-Romagna confina a Settentrione con la Lombardia ed il Veneto, ad Occidente con il Piemonte e la Liguria, a Meridione con la Toscana, le Marche e la Repubblica di S. Marino e ad Oriente col Mare Adriatico.
La sua superficie è di 22.124 kmq e la pone al sesto posto tra le regioni italiane. La popolazione raggiunge 3.959.770 abitanti, con una densità di 179 abitanti per kmq. L'intenso popolamento della regione è stato favorito dalla fertilità del suolo, per la maggior parte pianeggiante, e dalla facilità di comunicazione. La Via Emilia è stata da sempre l'asse principale della sua progressiva urbanizzazione.
Il capoluogo di regione è Bologna; gli altri capoluoghi di provincia sono: Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena, Forlì-Cesena, Ravenna, Ferrara e Rimini.
Cartina dell'Emilia Romagna


IL TERRITORIO

Occupando la fascia centrale di transizione dalla zona padana dell'Italia del Nord alla zona montana dell'Italia centrale ed essendo formata dall'estrema propaggine del bassopiano padano e dal versante Nord dell'Appennino Tosco-Emiliano, la regione partecipa dei caratteri geo-morfologici sia della Pianura Padana che della montagna appenninica. Una cresta di monti, con vette tra i 1.500 e i 2.200 metri, interrotta da stretti valichi, segna il limite tra il versante emiliano e quello toscano. Le cime più alte sono il Monte Cimone (2.163 m), il Monte Cusna (2.121 m) e l'Alpe di Succiso (2.017 m).
I valichi stradali e ferroviari permettono i collegamenti fra l'Italia settentrionale e l'Italia centrale; i più importanti sono: la Futa (903 m), il Passo delle Cento Croci (1.032 m), la Cisa (1.041 m), il Passo dei Mandrioli (1.173 m), il Passo del Cerreto (1.261 m), il Passo dell'Abetone (1.338 m).
Dai rilievi montani, con direzione Nord-Sud, si dipartono una serie di vallate. Queste presentano scarpate molto incise; l'erosione naturale infatti qui ha trovato materiale favorevole, essendo il terreno formato in massima parte da strati calcarei e arenacei e, quindi, particolarmente teneri. Gli avvallamenti più rilevanti sono stati prodotti dall'erosione fluviale.
Parecchi corsi d'acqua, affluenti di destra del Po, scendono lungo il versante montano appenninico emiliano-romagnolo. Tra i più importanti di essi si ricordano: il Trebbia, il Taro, il Parma, l'Enza, il Secchia, il Panaro. Ma il maggiore fiume della regione è il Reno, che sfocia nell'Adriatico formando un'ampia laguna costiera. È lungo 211 km e ha un bacino di 4.630 kmq. Gli altri fiumi romagnoli presentano un corso breve e a carattere torrentizio; tra questi citiamo: il Lamone, il Savio, il Rubicone e il Marecchia.
Procedendo da Sud a Nord la fascia montana digrada verso la Pianura Padana, formando dei contrafforti collinari che progressivamente si addolciscono e infine cedono il posto alla pianura. Quest'ultima occupa quasi la metà dell'intera superficie della regione. È fertile e ricca d'acque, solcata dagli affluenti del Po sopra ricordati. Il paesaggio è quello padano, con una fitta trama di campi coltivati intensivamente, filari di pioppi ed agglomerati urbani che punteggiano il suolo pianeggiante. Dalla Via Emilia, che taglia diagonalmente la regione, si diparte un fitto sistema di comunicazioni che collega l'Italia settentrionale a quella centrale e meridionale. Da sempre l'Emilia-Romagna ha assolto la funzione di regione cerniera tra le diverse aree della penisola.
La zona costiera della regione costituisce la Romagna; è bassa e sabbiosa e con caratteristiche uniformi. È formata da una spiaggia assai larga, specialmente fra Cattolica e Marina di Ravenna. In questa zona si trovano i centri balneari e di villeggiatura più importanti della regione, quali Bellaria, Cattolica, Cervia, Marina di Ravenna, Milano Marittima, Cesenatico, Rimini, Riccione. In prossimità del mare, tra la foce del Reno e quella del Po di Goro, che rappresenta una delle foci del grande delta, si trova la laguna di Comacchio. Si tratta di un vasto e poco profondo specchio d'acqua che si è formato per la pendenza quasi insensibile del terreno. In comunicazione con il mare, la laguna è difesa dall'interramento con opere di arginatura ed il livello delle acque salse è opportunamente regolato per mezzo di canali muniti di chiuse.
Il clima dell'Emilia è caratterizzato da nebbie autunnali, persistenti e abbondanti precipitazioni piovose e nevose, condizioni climatiche tipiche della Valle Padana. Diversa è la climatologia della Romagna, per effetto della vicinanza del mare che ne mitiga le asprezze. La riviera romagnola è una delle zone turistiche e di villeggiatura più frequentate d'Italia. Notevole rigoglio presenta la vegetazione, anche a causa dell'abbondanza delle acque. Estese pinete marine caratterizzano il retroterra costiero, specialmente quello di Ravenna. Assai diffusi sono i querceti ed i castagneti. Foreste di abeti e di faggi sono presenti sui versanti più elevati delle zone montane. La piovosità supera i 600 mm sul delta padano e i 2.000 mm sui rilievi appenninici.
Frequenti sono le frane e gli smottamenti provocati dalle acque correnti e piovane. Caratteristiche forme di erosione sono i calanchi, piccoli avvallamenti con profonde incisioni del terreno, con pareti soggette a facili e rovinosi franamenti. Le frane si producono soprattutto sulla scarpata appenninica nel periodo dello scioglimento delle nevi ed in quello delle piogge primaverili.
La Pianura Padana


PARCHI NAZIONALI E REGIONALI

Le aree protette della Regione coprono l'8% dell'intero territorio, ripartite in due Parchi Nazionali (Parco Nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano; Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna) condivisi con la confinante Toscana, e in numerosi Parchi regionali e riserve naturali, distribuiti nelle varie province, istituiti allo scopo di preservare la grande ricchezza di ambienti caratterizzati da rilevante biodiversità.

Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, del Monte Falterona e di Campigna

Istituito nel luglio 1993, il Parco si estende per circa 36.000 ettari su un vasto territorio a cavallo tra Romagna (province di Forlì e Cesena) e Toscana (province di Arezzo e Firenze). In Romagna ne fanno parte le valli romagnole dei torrenti Montone, Rabbi e Bidente, che discendono veloci dalla ripida dorsale appenninica. Il territorio romagnolo è caratterizzato da vallate strette e incassate, con versanti a tratti rocciosi e brulli, a tratti fittamente boscati.
Il versante toscano molto più dolce, è solcato dalle valli dei torrenti Staggia, Fiumicello e Archiano, affluenti di sinistra dell'Arno che, nella parte iniziale, scorre quasi parallelo al crinale principale. Il settore toscano comprende, oltre ad una piccola porzione del Mugello, il Casentino, cioè il territorio che abbraccia l'alta Valle dell'Arno, le cui sorgenti sono situate sulle pendici meridionali del Monte Falterona (1.654 m.). Questo rilievo, insieme al vicino Monte Falco (1.658 m), costituisce il punto più elevato del tratto di crinale incluso nel parco. Verso Est l'area protetta si prolunga fino al suggestivo rilievo calcareo di Monte Penna, con il celebre santuario francescano della Verna.
Il cuore del Parco è rappresentato dalle Foreste Demaniali Casentinesi, un complesso forestale antico, la cui oculata gestione, protrattasi nel corso dei secoli, ha consentito la conservazione di lembi estesi di foresta di notevole interesse naturalistico per l'elevata integrità e la straordinaria ricchezza di flora e fauna. Sono comprese in queste foreste la riserva naturale integrale di Sasso Fratino, la prima istituita in Italia nel 1959, e quella della Pietra oltre ad altre riserve naturali biogenetiche, gestite tuttora dal Corpo Forestale dello Stato. Ruscelli e cascate attraversano queste estese foreste dove si elevano imponenti e solenni abeti e faggi colonnari. Queste terre hanno sempre suscitato intense emozioni nei visitatori di ogni epoca storica: dagli eremiti in cerca di luoghi di preghiera, come S. Romualdo e S. Francesco, ai letterati come Dante e Ariosto, che cantarono in versi questi paesaggi, fino ai moderni studiosi, ai quali va il merito di aver operato per la salvaguardia di questi territori.
Del Parco fanno parte, nel versante romagnolo, diverse migliaia di ettari di territorio, in gran parte di proprietà regionale, che negli ultimi decenni, a causa dell'esodo dell'uomo dalle montagne e alle successive opere di rimboschimento, hanno acquistato un elevato grado di naturalità. Sono tornati stabilmente il lupo e l'aquila reale; consistenti popolazioni di cervi, caprioli e daini rappresentano solo il più visibile effetto di un riacquistato equilibrio ecologico. Nel paesaggio i segni dell'uomo non sono tuttavia scomparsi, ma congelati dall'abbandono: case, maestà, ponti, mulattiere conducono l'escursionista alla scoperta di una civiltà, quella della cosiddetta "Romagna Toscana" che ha caratteri propri e particolari.
Nel versante toscano il quadro ambientale è completato da un territorio submontano chiaramente segnato dall'attività dell'uomo che ha modellato un paesaggio fatto di boschi alternati a pascoli e coltivi, pievi, eremi, monasteri, emblema di tutta una regione. Proprio l'Eremo e il Monastero di Camaldoli, il Santuario della Verna e l'ambiente naturale in cui sono immersi offrono al visitatore le emozioni più intense.

Parco Nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano

Istituito nel 2001, il Parco si estende per 26.000 ettari, per tre quarti in Emilia-Romagna (province di Parma e Reggio Emilia) e per un quarto in Toscana (province di Lucca e Massa Carrara). Il Parco Nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano raccoglie in un'unica grande area protetta il Parco naturale regionale del Gigante, parte del Parco naturale regionale dell'Alta Val Parma e Cedra, in Emilia-Romagna, e aree toscane della Lunigiana e della Garfagnana che vantano alcune fra le cime più alte della dorsale appenninica settentrionale. Ricco di foreste, dove alle faggete si alternano nuclei spontanei di abete bianco e conifere, il territorio del Parco è solcato da tracciati storici millenari (i passi delle Radici, di Pradarena, del Cerreto, del Lagastrello) ed è ricco di architetture tradizionali (teggie, metati, carbonaie, mulini, antiche dimore contadine di montagna), coniugando così due termini apparentemente antitetici, uomo e natura. Come ovunque sull'Appennino, la presenza umana si è retta per secoli sullo sfruttamento delle risorse del bosco (legna, cereali minori, castagne, funghi, piccoli frutti) e sulla trasformazione casearia. Il formaggio più tipico e noto è il Parmigiano-Reggiano (particolarmente pregiato quello fatto con latte di vacche Rosse), ma c'è anche una produzione rilevante di pecorini, disseminata in piccoli caseifici.

Parco naturale regionale dell'alto Appennino reggiano

Il Parco del Gigante, come viene comunemente chiamato, comprende la fascia di crinale dell'Appennino reggiano per un'estensione complessiva di 23.700 ettari, cingendo alcune tra le vette più alte dell'Appennino settentrionale: Monte Cusna, Monte Prado e Alpe di Succiso, che si elevano oltre i 2.000 m.
Istituito con Legge regionale nel 1988, custodisce preziosi e delicati ambienti montani, dove sono presenti molte specie botaniche rare e una ricca fauna d'alta quota. Chiari segni dell'azione di modellamento del paesaggio operata dai ghiacciai del Quaternario sono osservabili intorno a molte cime: ampi circhi glaciali, come quello che ospita le sorgenti del Secchia, chiudono la testata valliva dei principali torrenti e i depositi morenici ospitano spesso laghi, specchi d'acqua in fase di interramento e torbiere.
I boschi coprono gran parte del territorio, stentando solo sulle pareti arenacee ripide e profondamente incise degli schiocchi, particolari forme erosive osservabili a tratti nelle valli dell'Ozola, del Riarbero e del Secchia. Scendendo lungo i versanti montuosi del parco si incontrano estesi boschi di faggio, nuclei spontanei di abete bianco e rimboschimenti a conifere, come la celebre abetina reale. Sulle praterie di altitudine sono presenti l'aquila reale, lo spioncello, il sordone e il raro stiaccino; tra i mammiferi, la marmotta. Vallette e brughiere conservano la maggior parte delle specie botaniche regionali considerate relitti delle glaciazioni, come il pennacchio rotondo e l'erica baccifera.

Parco naturale regionale di crinale alta Val Parma e Cedra

Comprende la fascia alto-appenninica orientale della provincia di Parma. Istituito nel 1995, ha un'estensione complessiva di 12.580 ettari, con altitudini che vanno da 746 m a 1.859 m s.l.m. Lungo le pendici che risalgono dai fondovalle sino a 900-1.000 m, il paesaggio vegetale risente maggiormente della secolare presenza dell'uomo: il clima fresco e umido e il secolare sfruttamento delle faggete per la produzione di legna hanno favorito lo sviluppo pressoché esclusivo di questa latifoglia, alternata a praterie per lo sfalcio e il pascolo, segnate da siepi, filari alberati e muretti a secco, più frequenti intorno ai centri abitati. Dai 900-1.000 m sino ai 1.700 ancora i boschi di faggio rivestono i versanti montani e incorniciano le conche lacustri, interrompendosi in corrispondenza di radure prative e affioramenti rocciosi, sui quali cresce una rada vegetazione in prevalenza di felci. Nel parco sono visibili specchi d'acqua privi di vegetazione, in genere alle quote più elevate, altri sono circondati da una fascia di piante palustri e altri ancora sono portati gradualmente a interrarsi per evoluzione naturale. Oltre il limite degli alberi, segnato da faggi cespugliosi e contorti, le zone sommitali fino al crinale sono rivestite da basse brughiere e praterie, protette nei mesi invernali da spesse coltri di neve e in grado di resistere ai venti che spazzano le cime tutto l'anno. I boschi cresciuti sui detriti morenici sono stati in passato sostituiti con castagneti da frutto, che dal dopoguerra hanno subito un lento abbandono. Nel parco, tuttavia, sopravvivono castagneti ben curati.
Nell'alta Valle del Parma, isolati nuclei spontanei di abete bianco, abete rosso e tasso sono preziose testimonianze di un remoto paesaggio forestale ormai scomparso, rappresentano cioè i relitti di boschi ben più estesi che in epoche remote rivestivano i rilievi appenninici. Le condizioni climatiche succedutesi su queste montagne dopo l'ultima glaciazione favorirono la formazione di boschi di abete bianco e in seguito di abete rosso, mentre il clima attuale, adatto al faggio, ha provocato la graduale regressione di queste conifere. Anche lo sfruttamento da parte dell'uomo del pregiato legname di abete ha accelerato il naturale declino di queste specie. I nuclei relitti tutelati nel parco conservano un patrimonio genetico unico e originale, utile agli studiosi per ricostruire la storia naturale di questi luoghi, e sono un prezioso serbatoio di diversità biologica per i boschi appenninici.

Parco naturale regionale del Delta del Po

Il Parco è stato istituito nel 1988 con apposita legge regionale. Dichiarato dall'UNESCO patrimonio dell'umanità, il Parco naturale regionale del Delta del Po preserva una delle zone umide più singolari del mondo.
Il Parco è il più esteso tra i parchi regionali ed è suddiviso in sei "ambiti territoriali omogenei", ciascuno contraddistinto da particolarità ambientali e paesaggistiche: Volano-Mesola-Goro, Centro storico di Comacchio, Valli di Comacchio, Pineta di San Vitale e Piallasse di Ravenna, Pineta di Classe e Salina di Cervia, Campotto di Argenta. Per tutte queste aree il denominatore comune è l'acqua, ancorché a vari gradi di salinità, che ha determinato l'origine di splendidi ambienti naturali. E dall'acqua, accanto all'acqua, si sono sviluppate nei secoli tutte le attività dell'uomo legate alla pesca, all'agricoltura, alla tradizione, alla cultura, all'arte.
La storia dell'area del delta del Po è la storia dell'interazione millenaria tra la natura e l'intervento dell'uomo, che ha reso possibile l'esistenza di una grande varietà di ambienti all'interno di un unico territorio. Le lagune costiere, gli stagni, le valli salmastre e d'acqua dolce che caratterizzano questo lembo di pianura emiliano-romagnola offrono estremo rifugio a diverse specie animali e soprattutto a molti uccelli stanziali e migratori (aironi, anatre, svassi, cavalieri d'Italia, avocette, ecc.). Queste oasi naturali, che oggi convivono con rinomate stazioni balneari e altre zone a elevata antropizzazione, non custodiscono solo rari ecosistemi, ma anche testimonianze storiche e architettoniche di grande rilievo: il castello estense di Mesola, presso l'omonimo bosco di lecci secolari, l'abbazia di Pomposa, tra i più preziosi esempi di arte romanica, la necropoli etrusca di Spina, la città lagunare di Comacchio, la basilica di S. Apollinare in Classe, con i suoi celeberrimi mosaici, che svetta tra Ravenna e le sue antiche pinete. Numerose sono anche le tracce delle opere umane legate alla produzione di sale, all'allevamento del pesce (in particolare dell'anguilla) e alle bonifiche.
Il comprensorio deltizio è nato grazie al deposito di detriti avvenuto nel corso dei millenni da parte del fiume Po, che ha determinato il progressivo spostamento della linea di costa del Mar Adriatico. Sui passi dei pellegrini medioevali, e prima ancora delle legioni romane, un triangolo geografico ideale aveva (e ha tutt'oggi) come vertici Venezia, Ferrara e Ravenna. Gli scavi archeologici hanno evidenziato l'esistenza dell'emporio etrusco di Spina, e di importanti relazioni commerciali con le civiltà della Grecia e dell'Europa del Nord. All'epoca etrusca risalgono anche le prime opere idrauliche, finalizzate sia allo sviluppo della navigazione che alla piscicoltura e all'agricoltura. Furono i Romani ad occuparsi della zona e a dotarla di vie di comunicazione per acqua e per terra, potenziando i porti e tutte le attività economiche dell'area. Protetta dalle sue Valli, la città di Comacchio, vera testimonianza storica della civiltà lagunare, si sviluppò fin dal periodo longobardo sfruttando la pescosità delle valli circostanti e la fondamentale risorsa del sale. Il legame ideale fra la città e il prezioso "oro bianco" si coglie a Cervia: fa parte del Parco naturale regionale del Delta del Po la Riserva naturale della salina di Cervia, di 765 ettari, sede di una avifauna caratteristica. Comacchio e Cervia, centri del delta, più di ogni altri, testimoniano la cultura marinara e la vocazione all'acqua dell'intero comprensorio.
L'abbazia di Pomposa, fondata dai Benedettini e costruita tra il VII e XI secolo nel cuore del delta, con i suoi straordinari mosaici pavimentali e affreschi, e con il campanile dal perfetto equilibrio architettonico, evidenzia i brillanti risultati raggiunti nell'area dall'arte del periodo. Si tratta di un'epoca che fu peraltro contrassegnata anche da importanti opere di bonifica che migliorarono l'assetto agricolo ed idraulico. L'imbarbarimento dei secoli successivi ricondusse il territorio ad un lento e progressivo impaludamento, finchè nel XVI secolo furono operate nuove opere di bonifica per iniziativa del Duca Alfonso II D'Este, che individuò nel Castello della Mesola, residenza della corte estense durante le partite di caccia nell'omonimo Bosco, il punto di riferimento per le attività da realizzare.
La graduale stabilità del paesaggio del delta ha inizio nel Seicento e in particolare dopo l'Unità d'Italia, quando fu dato avvio ad opere di bonifica meccanica colossali, che, nel tempo, hanno interessato decine di migliaia di ettari di palude, portando a cambiamenti radicali sia nella natura che nel paesaggio, sia negli insediamenti che nelle attività antropiche. Nella configurazione attuale del comprensorio deltizio protetto dal Parco, si alternano così aree suggestive dominate dal tema dell'acqua e caratterizzate da una vasta complessità di varietà ambientali e di particolarità paesaggistiche e floro-faunistiche. La straordinaria presenza di uccelli, con oltre 300 specie fra nidificanti, svernanti o di passo insieme ad alcuni mammiferi, come il "cervo delle dune" del Bosco della Mesola, costituisce un patrimonio di fauna di elevato valore. Così come tutti gli elementi "verdi" del Parco, come boschi planiziali o igrofili, pinete e dune rappresentano il patrimonio della flora del delta del Po.
Il Parco racchiude al suo interno straordinarie testimonianze ambientali, artistiche, naturalistiche di quello che c'è intorno al delta del Po. Un delta storico ma anche l'attivissimo delta di oggi.

L'ECONOMIA

All'inizio del XXI secolo, nonostante l'agguerritissima concorrenza dei Paesi emergenti asiatici che insidiano l'industria regionale soprattutto in alcuni settori tradizionali - come il tessile-abbigliamento -, l'economia dell'Emilia-Romagna mostra una sostanziale tenuta nel suo aspetto strutturale, caratterizzato da una miriade di piccole-medie imprese la cui vitalità è stata dovuta alle dimensioni ridotte e all'iperspecializzazione, soprattutto nei settori meccanici. Per valore aggiunto l'Emilia-Romagna si colloca al quarto posto tra le regioni italiane, con l'8,5% del totale nazionale; è ai primi posti anche per le esportazioni. Particolarmente alte le quote rispetto al totale nazionale per minerali e prodotti non metallici (32%, grazie soprattutto alla ceramica), prodotti alimentari (18,7%) e macchine agricole (18%). La regione vanta uno dei tassi di imprenditorialità più alti d'Italia: gli occupati indipendenti sono infatti il 32,6% contro una media nazionale che non supera il 28,7%. Il tessuto produttivo è caratterizzato da realtà di piccole e medie dimensioni (in media 5,4 addetti per ogni unità locale), imprese artigiane e cooperative. Per ottimizzare i vantaggi e ridurre i limiti connessi alla presenza di aziende di ridotte dimensioni, sono nati i cosiddetti distretti industriali nei quali il processo produttivo viene segmentato tra diversi subfornitori ognuno dei quali realizza per conto di un'azienda capofila un componente del prodotto finale. Ogni impresa può spingere al massimo il proprio livello di specializzazione, sapendo di poter contare su un numero di commesse sufficiente ad ammortizzare il costo degli investimenti.
Settori di punta dell'economia emiliano-romagnola sono l'agroalimentare, il metallurgico-metalmeccanico, il tessile-abbigliamento (il distretto di Carpi), la ceramica (Faenza e Sassuolo), le costruzioni e l'impiantistica. Settore tuttora fondamentale dell'industria è quello della trasformazione alimentare strettamente legato al territorio: basti ricordare i marchi storici del Parmigiano-Reggiano e del Prosciutto di Parma. La fortuna economica della regione poggia innanzitutto sulla forza del settore primario. L'agricoltura emiliano-romagnola è oggi la più meccanizzata d'Italia e ai primi posti per produzione frutticola, orticola, cerealicola e zootecnica. Nelle zone collinari prevale la viticoltura, da cui la moderna industria enologica ottiene vini di pregio (Lambrusco, Trebbiano, Sangiovese, Albana). La suddivisione del territorio in tanti poderi a coltura intensiva è la causa fondamentale della prosperità agricola dell'Emilia-Romagna. Altre concause sono state una capillare rete irrigua e l'estesa opera di bonifica per alcune terre del Ferrarese, iniziata addirittura nel Cinquecento dagli Estensi (si tratta delle cosiddette Terre Vecchie, caratterizzate da filari d'alberi e da isolate cascine, le boarie). L'assenza di alberi e la suddivisione dei campi secondo forme perfettamente geometriche sono i segni distintivi dei territori sottoposti a bonifica in tempi più recenti. Oltre un terzo del suolo romagnolo è stato bonificato. In particolare il drenaggio idrico ha riguardato i territori del Po dove, con l'impiego di gigantesche idrovore e l'escavazione di circa 6.000 chilometri di canali, sono stati guadagnati all'agricoltura oltre 300.000 ettari di terra.
Risorsa importante della zona lagunare è l'allevamento di anguille e cefali. Nati in mare aperto, questi pesci emigrano nelle acque di Comacchio per completare il loro sviluppo e poi ridiscendono al mare nel periodo della riproduzione. Nelle valli lagunari, in cui sono state riprodotte le condizioni ambientali più favorevoli per le periodiche migrazioni di tali specie ittiche, la pesca ha assunto strutture e caratteri industriali.
L'industria occupa un posto importante nell'economia della regione. La scoperta del metano in provincia di Piacenza (Cortemaggiore) ha fatto dell'Emilia il primo produttore italiano di gas naturale. Il metano rappresenta la necessaria fonte d'energia per molte industrie meccaniche e la materia prima da lavorare per le industrie chimiche, concentrate nelle province di Ravenna e Ferrara. Di grande prestigio e tradizione l'industria motoristica, legata a marchi di auto di gran lusso, come Ferrari e Lamborghini (acquisita totalmente dal Gruppo tedesco Audi nel 1998), e di motociclette, come Ducati e Morini. Nel 1996 il marchio Moto Ducati, insieme a quello Morini, viene acquisito dal fondo d'investimento statunitense TPG (Texas Pacific Group). Nel 1999 la Morini torna alla società della famiglia Morini, specializzata nella produzione di propulsori a due e quattro tempi per motocicli e ciclomotori, mentre la Ducati, con il nuovo management, inizia a trasformarsi da un'azienda puramente metalmeccanica in un'azienda di intrattenimento, incentrata sull'eccellenza tecnologica delle sue moto, ma che si estende anche alle corse, agli accessori e all'abbigliamento.
Se lo sviluppo industriale ha riguardato soprattutto l'area emiliana, la Romagna non è rimasta estranea al progresso economico. La costa adriatica è conosciuta come uno dei maggiori poli turistici del Mediterraneo. Vanta infatti la spiaggia più estesa d'Europa e numerose strutture per lo sport, il divertimento e il tempo libero (discoteche, parchi acquatici, campi da golf e maneggi). Qui sorgono il 52% degli alberghi della regione e si concentra il maggiore afflusso di turismo estero, grazie anche a una favorevole politica dei prezzi. Molte tra le stazioni balneari hanno fama internazionale, come Rimini, Riccione e Cesenatico. Rinomate le stazioni termali come Salsomaggiore e Bagno di Romagna, Castrocaro, Porretta e le Terme Marine. L'imponente afflusso turistico consente buone possibilità di guadagno per imprenditori ed artigiani locali e per migliaia di lavoratori stagionali del settore.
A livello occupazionale il mercato del lavoro in Emilia-Romagna è prossimo da tempo ad una situazione di pieno impiego, con tassi di disoccupazione a livello fisiologico. A fronte di un certo rallentamento della crescita economica, la struttura del mercato del lavoro regionale si mantiene solida e con spiccati elementi qualitativi: l'alto tasso di occupazione, la partecipazione delle donne, l'alta scolarizzazione e l'ampliamento occupazionale nei servizi. A livello settoriale, l'andamento è però differenziato: alla crescita del numero di addetti nei servizi privati e di lavoratori nell'industria si affianca, infatti, un calo rilevante del numero di occupati nell'agricoltura. I segmenti forti della struttura produttiva regionale sono caratterizzati da livelli retributivi più elevati della media nazionale. è il caso dei lavoratori del settore "minerali e prodotti a base di minerali non metalliferi" e del settore "prodotti alimentari". Infine, in Emilia-Romagna piccolo è meglio anche dal punto di vista salariale. I dipendenti delle imprese di grandi dimensioni (che occupano 500 e più addetti) ottengono in media retribuzioni nettamente meno elevate di quelle degli occupati nelle imprese più piccole.

CENNI STORICI

I primi insediamenti umani

La regione emiliano-romagnola cominciò ad essere abitata al termine dell'ultima glaciazione, oltre 10.000 anni fa, quando le prime popolazioni sparse si insediarono sulle terrazze fluviali dell'alta pianura e lungo la fascia pedemontana. Nel periodo Neolitico (3500-2000 a.C.), sul territorio padano tra il Po e l'Appennino si formano i primi gruppi di popolazione stanziale, corrispondenti alle culture di Fiorano e dei "vasi a bocca quadrata". Con l'Età del Rame (2000-1800 a.C.) e soprattutto con l'Età del Bronzo (1800-900 a.C.) ai villaggi di capanne costruite su palafitte si aggiungono le "terremare", abitati protetti da poderosi argini di terra. La "cultura villanoviana" - cosiddetta- contraddistingue l'Età del Ferro (dal IX secolo a.C.) con la nascita dei primi abitati protourbani. Gli importanti ritrovamenti di Villanova di Castenaso, pochi chilometri a Est di Bologna (da cui la denominazione "cultura villanoviana"), consistenti in corredi funebri ora custoditi al Museo Civico di Bologna, sono la testimonianza di una civiltà dedita al culto dei morti. In epoca storica (fine del VI secolo a. C.) l'abitarono gli Etruschi che vi fondarono Misa (Marzabotto) nella valle del Reno e Fèlsina (Bologna). Vie e percorsi terrestri e fluviali si intrecciano nella regione: il grande emporio commerciale di Spina diventa il luogo di relazione tra il mondo etrusco, quello greco e l'entroterra padano.
Alla metà del IV secolo a.C. vi fu l'invasione dei Galli boi venuti dalla Lombardia, portatori di una civiltà rurale che introduce tra l'altro l'allevamento dei suini, blocca il processo di espansione etrusca e favorisce la diffusione dell'insediamento sparso.

L'epoca romana e l'Alto Medioevo

L'occupazione da parte dei Romani della regione avviene dalla valle del Po, per l'esigenza di contrastare le offensive dei Galli e l'azione dei Cartaginesi. Nel 268 a.C., al termine della Via Flaminia, i Romani fondano Ariminum (Rimini), da cui nel 225 a.C. iniziano la conquista della regione che sarà completata solo dopo la seconda guerra punica e la definitiva vittoria sui Galli.
Tra il 191 e il 187 a.C. il console Marco Emilio Lepido traccia la Via Emilia, la strada dall'andamento lineare che congiunge Rimini con Piacenza. Lungo questa fondamentale via di comunicazione sorgono via via, nei punti dove la Via Emilia incontra i corsi d'acqua appenninici, a breve distanza l'uno dall'altro, i principali centri: Caesena (Cesena), Forum Popilii (Forlimpòpoli), Forum Livii (Forlì), Faventia (Faenza), Forum Cornelii (Imola), Bononia (Bologna), Mùtina (Modena), Regium Lepidi (Reggio nell'Emilia) e Parma. Tutti adottano il modello dell'accampamento militare romano (castra) di cui la Via Emilia costituisce il decumanus maximus.
La campagna fu divisa in appezzamenti quadrati basati su moduli di 740 m di lato, che vennero assegnati ai veterani. Questa suddivisione (detta centuriazione), visibile ancor oggi, effettuata su una fascia continua larga dai 15 ai 20 km tra alta e media pianura, determinò il geometrismo del territorio, condizionando la rete della viabilità principale e secondaria, quella dei canali e degli scoli di bonifica e di irrigazione, la distribuzione degli insediamenti.
La colonizzazione agricola e la fertilità del suolo concorsero a fare della regione una delle realtà più ricche del mondo romano, mentre Bologna diventò una delle maggiori città della penisola. Per tutto il periodo romano l'Appennino non venne toccato dall'urbanizzazione, a eccezione della parte sud-orientale, dove sorsero piccoli centri.
Sotto l'imperatore Ottaviano Augusto venne fondato il grande porto militare di Classe (27 a.C.) presso Ravenna, sede della flotta imperiale del Mediterraneo orientale. Tutte le terre comprese tra il Po, l'Adriatico e l'Appennino furono riunite nella Regio VIII Aemilia. Nel 215 d.C. il riordinamento amministrativo dell'Italia romana sancisce la separazione dell'Aemilia a Occidente tra Bologna e Piacenza, e della Flaminia a Oriente; legittimato il Cristianesimo con Costantino, si modellerà anche l'organizzazione ecclesiastica intorno alle due sedi arcivescovili di Milano e di Ravenna, dove nel 402 Onorio trasferisce da Milano anche la sede imperiale.
Caduto l'Impero Romano d'Occidente, il territorio fu percorso dalle schiere degli Eruli di Odoacre e quindi subì quindi la dominazione degli Ostrogoti di Teodorico che, vincitore (493), regnò sull'Italia da Ravenna. Presso la sua corte soggiornarono gli ultimi scrittori latini (Boezio e Cassiodoro) e furono conservate le tavole del diritto romano del Corpus iuris giustinianeo. La fortuna di Ravenna con il suo porto militare e commerciale crebbe durante il periodo dei Bizantini (chiamati i Romani di Bisanzio, da cui il nome Romagna), che nel 540 d. C. ne fecero la capitale dell'esarcato. Nel 568 iniziò la conquista da parte dei Longobardi, che crearono nel 579 il ducato di Parma; si ripropose la divisione della regione in due parti lungo la linea dal Panaro fino al Po, la Longobardìa a Ovest e la Romagna bizantina a Est. Nei due secoli successivi i Longobardi proseguirono la loro azione di conquista del territorio fino alla definitiva caduta di Ravenna nel 751.
In questo lungo periodo fu fondamentale l'opera che organizzazioni come i monasteri e le abbazie intrapresero per la bonifica e lo sfruttamento agricolo del territorio: Bobbio (614), Nonàntola (751-52), Pomposa (documentata dal IX secolo) sono i centri attorno ai quali si creano nuovi agglomerati urbani. Il fiume Po con il suo delta diventa il fulcro di un nuovo sviluppo, nascono i nuclei di Ferrara (sec. VII) e Comacchio, sede vescovile fin dal V secolo e città dotata, tra il VI e il IX, di una potente flotta.
La reazione dei Franchi all'invasione longobarda determinò nel 754-56 un nuovo rivolgimento politico: Ravenna e l'antico esarcato bizantino passarono sotto il controllo papale, mentre nelle città le funzioni comitali furono assunte direttamente dai vescovi. Tra X e XI secolo si diffuse nelle campagne l'incastellamento, complesso di torri e altre costruzioni come efficace difesa contro le incursioni di Ungari e Saraceni. Notevolissimo fu il ruolo politico della famiglia degli Attoni di Canossa, signori di un territorio amplissimo, comprendente le province di Reggio, Modena, Bologna, Mantova, Ferrara, Bergamo, Brescia, fino al marchesato di Toscana; durante la lotta per le investiture spiccò la figura di Matilde di Canossa, alleata del papa Gregorio VII contro l'imperatore Enrico IV.

L'età comunale

Con la rinascita che segue l'anno Mille si verificò un intensificarsi di scambi commerciali con un progressivo accrescersi dell'importanza economica e politica delle città rispetto ai feudatari del contado, importanza che condurrà alla costituzione dei Comuni. Alla fine del XII secolo la Via Emilia riprende il suo ruolo di grande arteria insieme alla nuova direttrice Bologna-Firenze. La nuova struttura urbana valorizza la piazza come centro della vita cittadina, dove sorgono le monumentali sedi dei poteri religioso, civile ed economico. Grazie alla fondazione dell'Università (1088), Bologna diventa polo di riferimento di tutta la regione, ma soprattutto della parte nord-orientale, dove si diffonde lo Studio (Ferrara, Parma, Modena, Reggio). L'arte conosce una sua prima grande rinascita grazie all'opera di Wiligelmo e Benedetto Antelami.
Le autonomie comunali, soppresse dall'imperatore Federico I Barbarossa nella dieta di Roncaglia (1158), presso Piacenza, vennero definitivamente riconquistate dai Comuni riuniti nella Lega lombarda con la battaglia di Fossalta (presso Modena) nel 1249; il figlio di Federico II, re Enzo, venne fatto prigioniero e rinchiuso nel Palatium novum di Bologna fino alla sua morte (1272). Si diffondono i borghi fortificati con funzioni di presidio dei confini e punte avanzate del popolamento, come Castel Guelfo, Castel San Pietro, Castel San Giovanni, Rubiera, Reggiolo, Castel Bolognese. Nel 1152 il Po, che passava a Sud di Ferrara dove si divideva nel Po di Volano e nel Po di Primaro, muta il suo corso con la rotta di Ficarolo, aprendo un nuovo alveo - il Po di Venezia o Po Grande - che segna il limite attuale della regione. Le città sulla Via Emilia individuano ancora nel fiume uno strumento economico fondamentale e vi si collegano tramite canali navigabili. Nelle campagne si diffonde la mezzadria, che dominerà fino al XIX secolo.

Il rinascimento emiliano-romagnolo

Le istituzioni comunali non sopravvissero alle lotte civili tra Guelfi e Ghibellini, sostenitori rispettivamente del papato e dell'Impero. Della situazione di instabilità politica dei comuni approfittarono alcune famiglie altolocate, che fra il XIII e il XIV secolo riuscirono a prendere il potere nelle città istituendo le signorie: gli Estensi a Ferrara, i Da Polenta a Ravenna, i Malatesta a Rimini, i Manfredi a Faenza, gli Ordelaffi a Forlì, i Pio a Carpi, i Pepoli a Bologna, gli Alidosi a Imola, i Landi nelle valli del Taro e del Ceno, i Visconti e poi gli Sforza di Milano a Parma e Piacenza. Tuttavia, alla fine del Duecento l'imperatore Rodolfo d'Asburgo riconobbe al papato il possesso della Romagna e di Bologna, che con i suoi quasi cinquantamila abitanti è tra le dieci maggiori città d'Europa. Durante il periodo avignonese del papato i suoi legati, i cardinali Bertrando del Poggetto e soprattutto Egidio Albornoz, ristabiliscono anche con la forza militare il dominio sulla parte centro-orientale della regione: il nuovo ordinamento, sancito dalle Costituzioni dette poi "Egidiane", durerà fino al 1796. Le signorie favorirono ovunque il rinnovamento economico e culturale, mentre l'influsso dell'arte toscana si fa sentire nell'intera regione e il ducato mediceo si espande politicamente fino alle porte di Forlì. Nel richiamo all'antichità classica viene riesumato il nome Emilia, perso a partire dai rivolgimenti del VI secolo. L'azione militare aggressiva di Cesare Borgia, figlio di papa Alessandro VI, sconvolge la Romagna. Il conflitto prosegue anche con il successore papa Giulio II, concludendosi con la definitiva conquista di Bologna da parte del potere pontificio (1506). L'influenza romana, che si manifesta con Baldassarre Peruzzi e Jacopo Barozzi e il Vignola, sostituisce quella fiorentina. Dopo il Trattato di Cateau- Cambrésis (1559) l'assetto geopolitico della regione è questo: ducato di Ferrara con Modena, Reggio e Carpi agli Estensi; ducato di Parma e Piacenza ai Farnese; Bologna e Romagna allo Stato pontificio; Guastalla a un ramo dei Gonzaga; Correggio ai Da Correggio; Miràndola ai Pico; Repubblica di San Marino. Dal punto di vista economico, il Cinquecento è caratterizzato soprattutto dall'avvio delle grandi bonifiche, rese possibili dallo sviluppo della scienza idrografica. La regione si mantiene prospera e densamente popolata, mentre si accentua la separazione culturale tra città e campagna.

Il Seicento e il Settecento

Con l'annessione (1598) di Ferrara allo Stato della Chiesa, la regione restò per secoli suddivisa in tre parti: la Chiesa e i due ducati estense (Modena e Reggio) e farnesiano (Parma e Piacenza). Tra il XVII e il XVIII secolo fiorisce la stagione della civiltà di villa, con le dimore, connesse a estesi fondi, della nobiltà e della borghesia facoltosa e le regge ducali ispirate ai modelli d'oltralpe, soprattutto francesi: Colorno, Rivalta, Sassuolo.
Nel Settecento le idee illuministiche e riformistiche iniziano a diffondersi e a trovare concreta applicazione nelle scelte di governo dei principi e dello stesso Stato pontificio. Inizia in agricoltura la specializzazione delle colture, si aprono nuove vie di comunicazioni o si sistemano tracciati già esistenti, come la Via Giardini (1766-76) per il passo dell'Abetone, la strada dei due mari, la strada della Futa (1759-60), la strada Modena-Mantova (1778-81), la strada della Lunigiana per il passo del Cerreto (iniziata nel 1785), poi già nell'Ottocento la strada per Genova della Val Trebbia (1807), la strada Pontremolese (1808), la strada della Cisa (1809-33), la strada Porrettana (1816-43), la strada del Muraglione (1831). La costruzione di queste strade incentiva, tra l'altro, il moto di emigrazione verso la pianura. L'attività rinnovatrice interessa anche la Via Emilia, lungo la quale tra il 1771 e il 1838 sono ripristinati o realizzati quasi tutti i ponti della parte emiliana. Dopo l'estinzione dei Farnese, il Trattato di Aquisgrana (1748) assegna il ducato di Parma, Piacenza e Guastalla a Filippo di Borbone, genero del re Luigi XV di Francia.

Dalla Repubblica cisalpina allo Stato unitario

L'epopea napoleonica in Italia condusse alla proclamazione, il 7 gennaio 1797, della Repubblica Cispadana, comprendente i territori di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio, che adottò quale propria bandiera il vessillo tricolore. La Repubblica Cispadana si fuse quindi alla Repubblica Cisalpina. La regione ritrovò così l'unità politica fino al Congresso di Vienna (1815) e visse una stagione di riforme, alle quali si accompagnò il consolidamento della borghesia imprenditoriale e intellettuale, liberale e moderata. Caduto Napoleone, il Congresso di Vienna riportò nella regione i signori di prima e il dominio temporale della Santa Sede, salvo Parma e Piacenza governate da Maria Luisa d'Austria. Dopo aver attivamente partecipato ai moti risorgimentali, nel 1859-60 la regione si liberò dell'occupazione austriaca e dei governi dei ducati e delle legazioni. Il territorio della regione, riunificato sotto la dittatura di Luigi Carlo Farini, fu unito al Piemonte di Vittorio Emanuele II con il plebiscito del 1860 e, quindi, allo Stato italiano.
Alla fine dell'Ottocento le antiche mura medioevali delle città vengono demolite per fare spazio alle circonvallazioni. Nelle città nascono le prime industrie e i quartieri operai, mentre verso Sud e le colline si diffonde la residenza di qualità, oggetto delle prime speculazioni immobiliari. Nell'agricoltura predomina la coltura del frumento, che nel 1913 fornirà i due terzi della produzione italiana, mentre l'allevamento si concentra nella pianura irrigua. Nel 1872 prende avvio la "Grande bonifica ferrarese", finanziata da capitali stranieri, che utilizzando innovazioni tecniche come le idrovore a vapore trasformerà radicalmente il territorio ferrarese orientale.

Movimenti sociali e lotta politica

Nell'Italia post-unitaria la regione Emilia-Romagna è teatro di proteste sociali come quelle dette "del macinato" (1869). Il panorama politico vede già una contrapposizione tra il socialismo, particolarmente diffuso nelle campagne, e il movimento cattolico, particolarmente forte a Modena e Bologna - dove, nel 1856, viene fondata l'Associazione cattolica italiana, poi l'Opera dei Congressi, matrice del futuro Partito popolare. Nel 1881 a Rimini è fondato il Partito socialista rivoluzionario di Romagna; poco dopo a Imola il settimanale "Avanti!" e, nel Congresso di Reggio del 1893, il Partito socialista italiano, mentre emergono le personalità carismatiche dell'imolese Andrea Costa e del reggiano Camillo Prampolini. Nel 1896 viene fondata la prima cooperativa, premessa di un futuro, massiccio sviluppo del movimento cooperativo, le cui figure più rappresentative sono Giuseppe Massarenti e Nullo Baldini. Nel 1911 si contano più di 900 cooperative agricole e più di 1.700 cooperative di consumo. Socialista è anche Benito Mussolini, nato a Predappio (Forlì); espulso per la sua scelta interventista e nazionalista dal PSI, ne diventa il maggior nemico quando, dopo la prima guerra mondiale, fonda il Partito nazionale fascista, del quale l'Emilia-Romagna esprimerà altri esponenti di primo piano come Italo Balbo e Dino Grandi. Attraverso i suoi agrari, l'Emilia-Romagna dà un contributo fondamentale all'affermazione del fascismo; allo stesso tempo, proprio per la diffusa presenza del movimento socialista e cooperativo, la sua popolazione è tra le più colpite dalla violenza delle squadre fasciste.
Nel periodo compreso tra le due guerre mondiali inizia il processo di modernizzazione delle strutture socio-economiche con lo sviluppo dell'industria moderna, del turismo balneare e dei servizi. Le trasformazioni agricole che accompagnano un sistema economico in via di industrializzazione vedono un incremento dell'allevamento bovino e suino. La tragica parentesi della seconda guerra mondiale impone un altissimo tributo di sangue alla popolazione civile: la fucilazione dei sette fratelli Cervi a Reggio (28 dicembre 1943), la strage di Marzabotto (28 settembre - 5 ottobre 1944) e le vittime del campo per deportati politici e razziali di Fòssoli, vicino a Carpi. La lotta partigiana si concentra soprattutto nelle zone montane e nelle valli del delta del Po. Nel 1947, la Costituzione repubblicana attribuisce ufficialmente alla regione la denominazione di Emilia-Romagna.

Il "modello" emiliano

Nel secondo dopoguerra la regione diventa una delle principali protagoniste del miracolo economico italiano. Negli anni Sessanta si conclude la fase delle bonifiche delle valli di Comacchio, con una ulteriore riduzione delle aree umide, passate da 153.000 ettari nel 1865 a 15.000. Le alterazioni ambientali del territorio regionale sono assai rilevanti anche nella pianura, dove le coltivazioni estensive hanno causato la scomparsa di milioni di alberi, e lungo la costa, dove la cementificazione ha distrutto le pinete e le dune costiere. Notevole lo sviluppo delle infrastrutture: tra il 1956 e il 1967 sono realizzate le autostrade Milano-Bologna, Bologna-Firenze e Bologna-Rimini, alle quali seguiranno nel 1970 la Bologna-Padova e nel 1972 la Parma-La Spezia.
Caso unico in Italia e nell'intero Occidente, lo sviluppo capitalistico emiliano degli anni Settanta e Ottanta del XX secolo ha avuto tra i suoi principali protagonisti il sistema cooperativo e un'amministrazione politica egemonizzata a tutti i livelli (regionale, provinciale e comunale) dai partiti di sinistra e in particolare dal Partito comunista, che ha conseguito importanti risultati anche nelle politiche sociali, nella sanità, nella scuola. Negli ultimi decenni si è avuto un fortissimo tasso di urbanizzazione, dovuto a un ulteriore, intenso sviluppo delle strutture produttive. L'economia regionale, basata su piccole e medie imprese, ha registrato una forte espansione anche sui mercati internazionali grazie al suo dinamismo e alla capacità di creare "aree-sistema": Sassuolo, con il comprensorio delle ceramiche; Carpi e in genere Reggio e Modena per il tessile-abbigliamento legato alla moda; Ferrara e Ravenna per l'industria chimica; Bologna e Modena per il settore manifatturiero, in particolare metalmeccanico. Fortissima inoltre emerge l'industria alimentare-conserviera legata alla ricca tradizione gastronomica e a un'agricoltura fiorente, anche se impiega sempre meno addetti. Lungo la costa è determinante l'industria turistica, tra le più qualificate del mondo, sostenuta da un'imponente organizzazione alberghiera.
Nei mutamenti economici e politici, italiani e internazionali, che hanno caratterizzato gli ultimi anni del XX secolo, il modello emiliano ha dimostrato una buona tenuta, anche se da quegli sconvolgimenti la regione non è uscita indenne, perdendo alcuni dei tratti, in parte reali e in parte leggendari, che ne facevano il posto più socialista dell'Occidente capitalista. L'egemonia di sinistra nel sistema politico-amministrativo è stata in taluni casi interrotta, come nel caso di Bologna dove, dopo 54 anni di ininterrotta maggioranza di sinistra, il governo cittadino è stato retto, dal 2000 al 2004, da una coalizione di centro-destra.

IL PERCORSO ARTISTICO E CULTURALE

Il periodo villanoviano

L'Età del Ferro (dal IX secolo a.C.) fu caratterizzata nell'Emilia padana dal fiorire della cultura villanoviana che si consoliderà, nel corso del VI secolo a.C., anche grazie a movimenti migratori provenienti dalla zona tosco-umbra. Il nome deriva dalla località di Villanova, presso Bologna, dove nel 1853 venne scoperta una necropoli.
Considerata la più importante cultura italiana della prima Età del Ferro, e la prima che in Italia esprimesse forme di insediamento urbano, la cultura villanoviana ebbe in Fèlsina (Bologna) la sua capitale, nella vicina Misa (Marzabotto), sulla strada per l'Etruria centrale, uno dei centri più ricchi, e in Spina il porto principale, aperto ai commerci con la Grecia, come documentano numerosi ritrovamenti di ceramica attica. La pianura si configura come luogo di scambi e di confronti tra le culture del Centro Italia e quelle celtiche e del Veneto, con diffusi fenomeni di convivenza tra popolazioni di ceppi diversi.
Caratteristico del villanoviano è il vaso di forma biconica per conservare le ceneri del defunto. In seguito ai numerosi sepolcreti scoperti, la civiltà villanoviana viene divisa in quattro fasi: quella di S. Vitale, la Benacci I (VIII sec.a.C.), la Benacci II (VII sec. a.C.) e quella di Arnoaldi (VI sec.a.C.), dopo di che confluì nella civiltà etrusca.

Dalla romanità all'Alto Medioevo

All'inizio del II secolo a.C. l'area emiliano-romagnola entrò nell'orbita romana. Di fondamentale importanza fu la realizzazione della Via Emilia, voluta dal console Marco Emilio Lepido, asse di collegamento fra Nord e Centro Italia, nonché di congiunzione tra le città di Piacenza, Parma, Reggio, Modena, Bologna, Faenza, Forlì e Rimini. Altre opere con funzione celebrativa o civile risalenti all'epoca romana furono l'arco di Augusto e il ponte di Tiberio a Rimini, là dove la Via Emilia si congiunge alla Flaminia. Ma la colonizzazione romana segnò in modo profondo la regione sia attraverso la centuriazione, cioè la ripartizione degli appezzamenti coltivabili assegnati ai veterani dell'esercito, sia attraverso lo schema viario dei centri cittadini, le cui strade erano ortogonalmente disposte attorno ai due assi viari principali; ciò è ben evidente nella zona archeologica di Velleia. Gli scavi archeologici hanno riportato alla luce reperti che testimoniano una condizione di prosperità delle città nel I e nel II secolo: monumentali sarcofagi, lastre a rilievo, stele con ritratti di defunti - talora notevoli saggi d'arte provinciale - provenienti dalle necropoli spesso situate lungo la Via Emilia, epigrafi e statue provenienti dai fori e dalle aree pubbliche, elementi decorativi e d'arredo dai ricchi palazzi cittadini e dalle ville-azienda sparse nella fertilissima campagna padana.
Dal 402 d.C. Ravenna fu capitale dell'Impero romano d'Occidente e, alla caduta di questo (476), dell'esarcato bizantino sino al 751, anno della conquista longobarda. Grazie alla sua importanza politica, Ravenna fu in questi secoli il luogo in cui si concentrarono eccezionali testimonianze dell'arte e dell'architettura: il mausoleo di Galla Placidia (anteriore al 450), a croce greca, dove il rivestimento interno a mosaico realizza una delle più suggestive creazioni della storia dell'arte; il mausoleo di Teodorico (prima metà del VI secolo), che ripropone la struttura centrale dei sepolcreti romani con inedita potenza plastica, impressa dal motivo a tenaglia - riscontrabile nell'oreficeria barbarica - che scandisce la superficie della cupola monolitica; le chiese di S. Apollinare Nuovo, S. Vitale e S. Apollinare in Classe (VI secolo), che custodiscono esempi straordinari dell'arte musiva ravennate.
Dal VII secolo si impone un altro fondamentale fattore di cultura, cioè la fondazione delle abbazie benedettine, luoghi in cui l'eredità classica viene preservata grazie all'attività degli scriptorium, e la produzione artistica viene favorita: celebri le abbazie di S. Colombano a Bobbio e di S. Silvestro a Nonàntola, sorte rispettivamente nel 614 e nel 752 sotto la protezione dei re longobardi, e nella Romagna l'abbazia di S. Maria di Pomposa, che si ritiene risalga all'VIII secolo. Testimonianze eloquenti del periodo abbaziale sono la lastra nella cripta di S. Colombano (IX secolo), con il motivo longobardo dell'intreccio stilizzato, e il Liber gradualis di Nonántola (X secolo), che racchiude nella preziosa copertura in avorio il prodotto di uno scriptorium di rilievo europeo.

Il romanico padano

Il fiorire dell'età dei Comuni, fra l'XI e il XII secolo, corrisponde all'affermarsi di personalità artistiche come l'architetto Lanfranco, che nel 1099 inizia l'edificazione del Duomo di Modena, e lo scultore Wiligelmo, attivo nello stesso cantiere, la cui influenza si ritrova nelle chiese abbaziali di Nonántola e di S. Benedetto in Polirone, nell'Oltrepò mantovano.
Lo stile romanico padano si impone nelle architetture delle cattedrali a Piacenza, Parma, Reggio, Modena, Bologna, Ferrara, nelle quali l'impianto della basilica romana viene armonizzato con la struttura chiesastica borgognona; il duomo (da domus, casa di Dio) è l'edificio simbolo della città, e rappresenta la continuità ideale, attraverso i secoli, del nascente Comune con il glorioso municipium romano. Il concetto stesso di "romanico" ha insita l'idea del recupero dell'arte romana, e non soltanto come ripresa di soluzioni formali - da sarcofagi, stele, capitelli, ritratti - ma anche come reimpiego di parti riesumate dal sottosuolo, che vanno a decorare le cattedrali di Modena e Parma. Il linguaggio di Wiligelmo utilizza modelli tardo-antichi, di cui si serve per esprimere una visione drammatica della realtà umana. I temi raffigurati nei rilievi che affollano gli elementi architettonici delle cattedrali di Modena e Ferrara, del Battistero di Parma, sono tratti dall'Antico e dal Nuovo Testamento, accostati in un parallelismo che è fondamento dottrinario della riforma cluniacense, ma si ricorre anche alle favole di Esopo e di Fedro, o a remote leggende come quella di Barlaam e Josaphat (Battistero di Parma), ai bestiari sia del mito classico sia medioevali, alle raffigurazione dei Mesi dell'anno: un'eterogenea moltitudine di immagini, spesso assunte a metafora della condizione umana su cui si esercita la missione di salvezza della Chiesa.
Posteriori a Lanfranco e Wiligelmo sono artisti come Nicolò, attivo nelle cattedrali di Ferrara e di Piacenza (iniziata nel 1122), Anselmo, maestro campionese sensibile ai modi provenzali, e Benedetto Antelami, legato al Duomo e al Battistero di Parma e alla Cattedrale di Fidenza, che introduce elementi dell'Ile-de-France nello stile romanico-lombardo.
In epoca medioevale, alla Via Emilia si aggiunge una serie di assi verticali che collegano la Pianura Padana all'area oltreappenninica. Il passo di Monte Bardone (attuale Cisa), sulla strada Romea, e le valli solcate dai fiumi Trebbia, Taro, Enza, Secchia, Marecchia diventano percorsi consueti a pellegrini e a mercanti. Dai crinali appenninici, in punti di rilievo logistico - da Marola a Toano, da Fiumalbo a Monteveglio - attorno al 1100 si dirama l'influenza della contessa Matilde di Canossa, il cui dominio spazia verso la pianura lombarda e verso la Toscana.

Il gotico

La presenza di Giotto a Ferrara e a Rimini - testimoniata dal Crocifisso del Tempio Malatestiano, databile intorno al 1312 - fu tra gli elementi che determinarono uno straordinario sviluppo della pittura riminese. Caratterizzata da una ritrovata classicità e da un'umanizzazione di figure e gesti, questa stagione pittorica si rivela appieno nelle opere di artisti come Giovanni da Rimini, autore nel 1309 del Crocifisso di Mercatello sul Metauro (Pesaro), e Pietro da Rimini, autore del Crocifisso di Urbania (1320 ca.) e, presumibilmente, degli affreschi nell'ex chiesa di S. Chiara a Ravenna. Altre opere significative del periodo sono gli anonimi affreschi di S. Pietro in Sylvis a Bagnacavallo, della chiesa riminese di S. Agostino, del refettorio dell'abbazia di Pomposa e in S. Maria in Porto Fuori presso Classe.
Intanto Bologna si impone come il centro culturalmente più vivace della regione, grazie soprattutto all'attività della sua celebre università. I rapporti con la Francia e la presenza di opere d'oltralpe favoriscono il fiorire di un'arte originale, anche a fronte delle contemporanee esperienze toscane, di cui è protagonista Vitale da Bologna. Negli affreschi della chiesa di Mezzaratta (Bologna, Pinacoteca nazionale) e in particolare nel Presepe (1340 ca.) egli manifesta un'espressività "gotica", ovvero anticlassica, e un vivace realismo. Negli affreschi dell'abbazia di Pomposa (1351), lo stile di Vitale si fa più solenne e riflessivo. Accanto al caposcuola s'impone lo Pseudo Jacopino, autore dell'affresco di S. Giacomo alla Battaglia di Clavijo, già in S. Giacomo Maggiore (Bologna, Pinacoteca nazionale). L'attenzione al dato naturale si ritrova anche nella scultura del tempo, che si esprime nelle scene scolastiche raffigurate sui sepolcri dei dottori dell'ateneo bolognese. Un altro artista di area emiliana, Tommaso da Modena, elabora uno stile lineare e narrativo che anticipa il gotico internazionale, esemplato da due affreschi modenesi, le Madonne di S. Biagio e di S. Agostino.
Nel 1390 viene iniziata a Bologna la costruzione di S. Petronio, su progetto di Antonio di Vincenzo, che del gotico offre una versione dai moduli ampi e distesi. Proprio in S. Petronio, Giovanni da Modena affrescò la Cappella Bolognini con il Paradiso e l'Inferno e le Storie dei Magi (1410 ca.), secondo la poetica tardo-gotica e con l'efficacia rappresentativa che è propria di un largo filone dell'arte emiliana. Il gotico internazionale vanterà testimonianze di squisita raffinatezza in Ferrara, con il soggiorno di Pisanello (1438) e con l'attività di Antonio Alberti.

Il Rinascimento padano

Sin dall'inizio del Quattrocento è documentata nella regione la presenza di numerosi artisti toscani: a Bologna, dal 1425 Jacopo della Quercia scolpisce i rilievi e le statue nel portale maggiore di S. Petronio, nel 1437 Paolo Uccello lascia in S. Martino mirabili prove di sperimentazione prospettica nell'affresco della Natività. Verso la metà del secolo operano a Carpi i fiorentini Della Robbia, le cui ceramiche invetriate si trovano nel Castello dei Pio. Nel Duomo di Modena lavorano Michele da Firenze e Agostino di Duccio (1445 ca.), quest'ultimo attivo, dopo il 1450, anche presso il Tempio Malatestiano di Rimini. Quest'ultimo, su progetto di Leon Battista Alberti, rappresenta nell'architettura l'aspirazione dell'Umanesimo toscano verso la bellezza ideale, elaborata alla luce della classicità greco-romana. All'interno, l'affresco di Piero della Francesca (1451) e i marmi scolpiti di Agostino di Duccio contribuiscono a fare del Tempio uno degli esempi più alti della cultura artistica rinascimentale. Ritroviamo sia l'Alberti che Piero alla corte degli Este, a Ferrara, dove il primo progettò il campanile della Cattedrale e, forse, l'arco del Cavallo, mentre il secondo eseguì affreschi, andati perduti, nel Castello (1449). Da qui si diffonde, in Emilia e Romagna, il concetto umanistico di arte, imperniato su un'idea di spazio organizzato tramite la prospettiva, subito recepita dagli artisti locali, tra cui Cristoforo e Lorenzo da Lendinara, autori del Giudizio universale affrescato nel Duomo di Modena (1460 ca.).
Poco dopo la metà del Quattrocento, Ferrara diventa il luogo di una straordinaria fioritura artistica, definita dallo storico dell'arte Roberto Longhi "officina ferrarese". In questo filone pittorico anticlassico sono riconoscibili diversi influssi: la lezione di Piero della Francesca, rielaborata in chiave di drammatica espressività, l'esperienza di Rogier van der Weyden, pittore fiammingo attivo presso gli Estensi, lo stile donatelliano dei celebri bronzi. Espressione di questo fermento artistico è il ciclo di affreschi di Palazzo Schifanoia (1469-70), dove Francesco del Cossa, con il giovane Ercole de' Roberti e probabilmente sotto la direzione di Cosmè Tura, rappresenta la corte di Borso d'Este, scandita nei dodici mesi, sotto l'egida dei segni zodiacali, accostando scene di vita quotidiana a fantasiose visioni astrologiche. Verso la fine del Quattrocento la città di Bologna conosce un periodo di straordinaria vivacità artistica sotto la signoria dei Bentivoglio, che cesserà nel 1506 con l'avvento del governo papale: presso la corte bolognese operano i ferraresi del Cossa, de' Roberti, Lorenzo Costa e il bolognese Francesco Francia, i cui dipinti del periodo maturo riflettono un classicismo sensibile agli influssi del Perugino. Una stagione felicissima, rappresentata ai massimi livelli dagli affreschi perduti della Cappella Garganelli in S. Pietro, opera di Ercole de' Roberti (un frammento superstite è nella pinacoteca nazionale).
Di particolare rilievo, inoltre, la produzione scultorea in terracotta, materiale che sopperisce alla locale carenza di marmi e materiali lapidei. Protagonisti sono Niccolò dell'Arca, pugliese operoso a Bologna ove esegue il Compianto su Cristo morto nel santuario di S. Maria della Vita (1463), e il modenese Guido Mazzoni, autore del Presepe nel Duomo della sua città (1430) e di vari Compianti ancora a Modena, a Ferrara, a Guastalla, a Busseto, gruppi in terracotta policroma di acuta espressività con influssi ferraresi e franco-fiamminghi.
Il primo Cinquecento è pervaso anche nell'area emiliano-romagnola dalla preponderante influenza di Michelangelo, attraverso le statuette dell'arca di S. Domenico (1494) a Bologna e lo scomparso monumento bronzeo a papa Giulio II sulla facciata di S. Petronio, e di Raffaello, autore di due pale emiliane, l'Estasi di S. Cecilia già in S. Giovanni in Monte a Bologna (1514, Pinacoteca nazionale) e la Madonna Sistina già in S. Sisto a Piacenza (1515 ca., Gemäldegalerie di Dresda). Importante anche il contributo di seguaci di Raffaello come Baldassarre Peruzzi (disegni per le fabbriche bolognesi di S. Petronio e di S. Pietro), Giulio Romano (progetto per la tomba di Claudio Rangoni, ora nel Duomo a Modena, 1537), Jacopo Barozzi detto il Vignola (Palazzo Farnese a Piacenza, 1559, il portico dei Banchi a Bologna, 1565-68). La tradizione plastica prosegue con Alfonso Lombardi, ferrarese attivo a Bologna; suo il Transito della Vergine in S. Maria della Vita (1522), dalla gestualità eloquente, e la posteriore Madonna e santi di Faenza (1524, Pinacoteca comunale), classicamente misurata. Seguace del Lombardi è il modenese Antonio Begarelli, autore dei complessi statuari di S. Pietro in Modena (1536-1553) e di S. Giovanni in Parma (1540 ca.).
Il territorio della regione fu interessato da un altro fenomeno squisitamente rinascimentale, favorito dal mecenatismo dei vari signori locali: il progetto e la realizzazione di quartieri urbani o intere cittadine ideate secondo la concezione umanistica di "città ideale". Tra gli esempi più cospicui vi è la cosiddetta "addizione erculea" di Ferrara, voluta dal duca Ercole I d'Este (dal 1492): a Nord del Castello un nuovo quartiere sorge su una razionalissima pianta ortogonale progettata da Biagio Rossetti; all'incrocio degli assi principali, Rossetti concepisce il Palazzo dei Diamanti, dal rivestimento marmoreo a bugnato, geniale alternativa al laterizio, tipico delle città padane. Sull'esempio ferrarese vengono realizzate l'"addizione erculea" di Modena, altra città estense (dal 1535), la riqualificazione urbanistica di Carpi, capitale di Alberto III Pio, il nuovo impianto di Guastalla voluto da Ferrante Gonzaga su disegno di Domenico Giunti (metà del Cinquecento); di lì a breve Mirandola si riorganizza come munitissima roccaforte sotto l'impulso di Ludovico Il Pico. Tardo modello dell'urbanistica rinascimentale è Terra del Sole, cittadella a pianta stellata eretta da Cosimo de' Medici ai confini della Toscana (dal 1564). Caso a sé stante in quanto sede periferica di una signoria non locale, il forte di San Leo, nella valle della Parecchia, commissionato da Federico da Montefeltro al senese Francesco di Giorgio Martini (dopo la metà del XV secolo). Fra Quattrocento e Cinquecento, inoltre, vengono edificate nelle campagne dimore signorili e numerose strutture difensive vengono trasformate in senso residenziale, come avviene per il Palazzo dei Pio a Carpi, la Rocca dei Boiardo a Scandiano (Modena), il Castello dei Rossi a San Secondo Parmense, la Rocca dei Meli Lupi a Soragna. Viene privilegiata la struttura con torri angolari, desunta dal modello del fortilizio: così la Rocca di Riolo, il Palazzo dei Bentivoglio a Gualtieri e il castello estense della Mésola, entrambi su progetto di G.B. Aleotti, la "Villa di delizie" estense del Verginese presso Portomaggiore (Ravenna), attribuita a Girolamo da Carpi.

Manierismo e classicismo

Attivo soprattutto a Parma fino alla morte (1534), Correggio è l'originale personalità artistica che accoglie ed elabora sia l'esempio del Raffaello operante a Roma sia suggestioni lombarde e venete provenienti da Mantenga e da Leonardo. Tali influenze sono ravvisabili negli affreschi parmensi della camera di S. Paolo (dal 1519), dove "lombarda", ovvero padana, è la ricca sostanza umana che permea l'intero ciclo. Nei grandi affreschi a S. Giovanni Evangelista (1520) e nel duomo (1526-30) Correggio conferma l'essenza "lombarda" della sua idea di spazio: non definito da architetture ma alluso dalle forme di corpi e nubi, investite dalla luce spiovente. Ancora "lombardo", di impronta leonardesca, è quel tono colloquiale e coinvolgente delle pale dell'artista, come la Madonna di S. Girolamo, o il Giorno (Parma, Galleria nazionale). In senso decisamente manierista si sviluppa invece l'opera del Parmigianino (affreschi in S. Maria della Steccata di Parma, 1530-39), che si contraddistingue per l'esasperazione della tensione compostiva, fino ad esiti di raffinata astrazione.
Presso la corte estense, intanto, si affermano personalità artistiche come il Garofano, Girolamo da Carpi e soprattutto Dosso Dossi, influenzati dal classicismo raffaellesco; evidente, in quest'ultimo, la predilezione per i temi mitologico-allegorici. La maniera del Dossi rappresenta un elemento costitutivo nell'opera di artisti come Bastianino e i Filippi, attivi a Ferrara nella seconda metà del Cinquecento. Altri esempi cospicui di come il Manierismo si manifesta in Emilia sono gli affreschi di Niccolò dell'Abate nella Sala del Fuoco del Palazzo comunale di Modena (1545) e nei palazzi Torfanini e Poggi di Bologna (1550-52), le storie di Ulisse del lombardo Pellegrino Tibaldi, ancora a Palazzo Poggi. Il michelangiolismo di Tibaldi si ritrova anche nella maniera di Lelio Orsi, autore degli affreschi delle dimore dei Gonzaga di Novellara (Modena, Galleria estense). A Parma, la squisita eleganza del Parmigianino trova seguito nella pittura di Girolamo Mazzola Bedoli e di Jacopo Bertoja, frescanti presso il Palazzo ducale del Giardino.
Nell'ultimo quarto del Cinquecento Bologna diventa centro di rinnovamento artistico grazie ai Carracci - i fratelli Annibale e Agostino e il cugino Ludovico - fondatori dell'Accademia del "naturale", poi degli Incamminati, di tendenza antimanierista. La "riforma" figurativa dei Carracci rivitalizza lo stile corrente in senso naturalistico, impiegando modi e temi desunti dall'esperienza del reale. Evidente vi è, inoltre, la lezione cromatica di pittori veneti come Tiziano, Veronese, Tintoretto. Attivi anche nel romano Palazzo Farnese - dove lasciano un esempio di fondamentale importanza per la transizione al Barocco -, i Carracci danno una superba prova del loro magistero nel fregio con le storie di Romolo del bolognese Palazzo Magnani (1590-92). Custodite nella Pinacoteca nazionale sono le pale della Madonna dei Bargellini di Ludovico (1588) e della Madonna di S. Ludovico di Annibale, con un preludio del futuro paesaggio classico. I Carracci lasciano una profonda traccia sui pittori emiliani rappresentanti del "classicismo seicentesco" come Domenichino, Francesco Albani e Guido Reni, geniale autore della celebre Strage degli innocenti (Bologna, Pinacoteca nazionale), e una schiera di artisti tra i quali Bartolomeo Schedoni, Giovanni Lanfranco, Carlo Bononi, Guido Cagnacci, Alessandro Tiarini. Ormai in pieno Barocco, il Guercino si orienta, per influsso del Reni, verso un levigato classicismo arricchito di un cromatismo vibrante (Assunzione e Ss. Pietro e Girolamo del Duomo di Reggio, 1626).

Il Barocco

In Emilia il linguaggio architettonico barocco viene declinato secondo uno stile definito "classicismo scenografico" di cui l'esempio più precoce è la chiesa bolognese di S. Salvatore del lombardo Ambrogio Magenta (primo decennio del Seicento). Si tratta di un modo di moltiplicare e amplificare gli spazi ricorrendo a soluzioni di matrice scenografica, come le prospettive dipinte, o "quadrature", su volte e pareti, con effetti di sorprendente illusionismo ottico. Ne sono esempi la chiesa di S. Giorgio a Modena, su disegno del reggiano Gaspare Vigarani (1646), con l'interno articolato da tribune a foggia di palchetti, o la Villa Albergati a Zola Predosa del bolognese Gian Giacomo Monti (1665 ca.), dove l'altezza del salone centrale è suggestivamente resa indefinita.
Il materiale che meglio si presta alla decorazione, tanto importante da diventare complementare all'architettura, è lo stucco, virtuosisticamente plasmato dai Reti nella Parma farnesiana, da Lattanzio Maschio e da Antonio Traeri nella Modena estense, da Giuseppe Maria Mazza e da Angelo Piò a Bologna. Nella prestigiosa scuola bolognese, in campo figurativo spiccano i binomi di Agostino Mitelli e Angelo Michele Colonna e di Gian Giacomo Monti e Baldassarre Bianchi, che affrescano la reggia estense di Sassuolo. Qui, verso la metà del Seicento, si impone la personalità pittorica di Giovanni Boulanger, allievo del Reni. Tra Seicento e Settecento, particolarmente significativa è la figura di Ferdinando Bibiena, architetto e ingegnere teatrale, massimo esponente della scenografia emiliana. Suoi gli esiti spettacolari nella volta a doppia calotta traforata in S. Antonio Abate di Parma e nel loggiato del Palazzo ducale di Colorno.
La grande stagione del Barocco romano - con le grandi personalità che espresse - ebbe naturalmente ripercussioni sugli ambienti artistici emiliani. Bartolomeo Avanzini, con la consulenza di Francesco Borromini e Gian Lorenzo Bernini, progetta il grandioso Palazzo ducale (dal 1630) di Modena, commissionato da Francesco I d'Este. Il Bernini in persona esegue poi nel marmo il ritratto di Francesco I (Modena, Galleria estense), e il suo seguace Antonio Raggi modella il bozzetto della statua del Tritone per la reggia estense di Sassuolo (Modena, Galleria estense). Il bolognese Alessandro Algardi, attivo soprattutto a Roma, antagonista del Bernini e discepolo dei Carracci, scolpisce il gruppo marmoreo della Decollazione di S. Paolo (1642; Bologna, chiesa di S. Paolo).
Il Barocco figurativo è ben rappresentato in ambito bolognese dall'Ercole di Domenico Maria Canuti nella volta del salone di Palazzo Pepoli (1669), edificio che accoglie anche gli affreschi delle Stagioni (1691) di Giuseppe Maria Crespi, pervasi da una freschissima vena di naturalismo. Di pochi anni più tardi sono gli affreschi del soffitto nel Palazzo ducale di Modena (1694), opera di Marcantonio Franceschini, e quelli della cupola nel duomo di Forlì (1702-6), di Carlo Cignali.
Oltre ad essere per oltre un secolo la città più autorevole nel campo della pittura, Bologna esprime interessanti personalità anche nell'architettura, quali Giuseppe Maria Torri, Alfonso Torreggiani, Carlo Francesco Dotti, legato, quest'ultimo, al santuario della Madonna di S. Luca (1723-57), congiunto a Bologna dal lungo porticato, rappresentativo degli esiti propri dell'architettura emiliana nel Seicento e Settecento.

Dal Rococò al Novecento

Verso la metà del Settecento l'influsso dello stile diffusosi in Francia durante il regno di Luigi XV si fa sentire, soprattutto nella Parma borbonica. Il salottino d'Oro nel Palazzo ducale di Modena, a boiseries, e gli interventi di Ennemond-Alexandre Petitot nella reggia di Colorno sono esiti raffinatissimi del periodo, appena precedente all'affermarsi del gusto neoclassico, che avrà il maggiore rappresentante in Felice Giani, pittore e disegnatore attivo anche a Roma. Capitale del gusto neoclassico sarà Faenza, ma anche Bologna, Ferrara, Forlì, Ravenna, Rimini, Modena rientrano nel raggio d'influenza del Giani, con esiti di livello europeo.
L'architettura teatrale, la scenografia e la decorazione d'interni trovarono un importante sviluppo nel corso dell'Ottocento, sulla scia di una tradizione iniziata con il Teatro Farnese di Parma, eretto dall'Aleotti (1618), e proseguita con il Comunale di Bologna, di Antonio Bibiena (1763). Vengono costruiti numerosi teatri, con prevalente struttura a palchetti di derivazione barocca, spesso con importanti sipari e apparati decorativi: il Regio di Parma (1829); il Comunale di Modena (1841), con sipario di Adeodato Malatesta; il Valli di Reggio, con l'esterno neogreco di Cesare Costa e il sipario di Alfonso Chierici (1857); il Municipale di Rimini (1857), su disegno di Luigi Poletti.
La corrente figurativa Verista della metà dell'Ottocento annovera tra i suoi esponenti artisti come il reggiano Antonio Fontanesi, il bolognese Luigi Bertelli e il forlivese Silvestro Lega, che presto aderì al movimento toscano dei Macchiaioli. Frequentazioni con la scuola fiorentina dei Macchiaioli ha anche il ferrarese Giovanni Boldini, a cavallo tra Ottocento e Novecento. Il gusto tipicamente tardo-ottocentesco per il revival guida gli interventi sulla Bologna medioevale condotti da Alfonso Rubbiani tra restauro e "falso in stile". Nel Novecento, nel periodo tra le due guerre, il ferrarese Filippo De Pisis elabora in modo personale molti assunti dei movimenti artistici del suo tempo, mentre il bolognese Giorgio Morandi, nonostante l'adesione alla corrente metafisica, appare sensibile alla lezione di maestri quali Giotto, Vermeer, Cèzanne; dominano nella sua arte le nature morte, semplici oggetti del quotidiano trasposti in una sfera atemporale e metafisica.

LE CITTÀ

Bologna

Capoluogo della regione, Bologna (ab. 383 761) sorge alla destra del fiume Reno, ai piedi degli ultimi rilievi appenninici e al centro di un territorio molto fertile nell'Appennino Tosco-Emiliano. La città, che deve soprattutto alla sua centralità geografica l'affermazione del suo ruolo dominante nella regione, è parte di un'area metropolitana che si sviluppa lungo l'asse costituito dalla romana Via Emilia. La città è il principale nodo di comunicazione autostradale e ferroviario fra il Nord e l'Italia peninsulare. Notevole l'attività industriale che conta industrie metalmeccaniche, elettrotecniche, chimiche, farmaceutiche, alimentari, distillerie, calzaturifici, fabbriche di ceramica e vetrerie.
Bologna è detta "la dotta" per le sue antiche tradizioni culturali (università del XII sec.) e "la grassa", per le sue tradizioni gastronomiche. è inoltre Fèlsina pittrice, per l'importantissima, secolare attività figurativa che vi si svolse e per le personalità artistiche che vi si formarono e che vi operarono: dai trecenteschi Vitale e Jacopino alle scuole dei Carracci, di Guido Reni e del Guercino, dall'architettura e la scenografia teatrali fino all'arte contemporanea di Giorgio Moranti. La città registra poi l'inconsueta presenza artistica femminile, con Lavinia Fontana ed Elisabetta Sirani. A riprova del segno lasciato nei secoli in campo culturale, Bologna è stata designata "città europea della Cultura per l'anno 2000". Pur non possedendo testimonianze artistico-architettoniche eccezionali, Bologna conserva un centro storico di pregio, le cui caratteristiche dominanti sono il caldo colore rosso e ocra dei muri (il fosco vermiglio mattone ricordato da Carducci in una sua celebre ode) e la presenza di lunghi portici i quali, estendendosi per quasi 38 km, uniscono e armonizzano il paesaggio, attenuando il contrasto tra edifici di epoche e stili diversi.
STORIA. Risalgono all'Età del Bronzo i primi insediamenti abitativi nell'area della città, sviluppatasi successivamente nel periodo villanoviano e poi etrusco, durante il quale prese il nome di Fèlsina. Dopo la conquista da parte dei Galli Boi (V sec. a.C.), popolazione celtica della Gallia, la città mantenne il ruolo di capitale con il nome di Bononia. L'inizio della storia urbana si ha tuttavia con la colonizzazione romana (dal 189 a.C.) e con l'apertura della Via Emilia. Nonostante la distruzione a causa di un incendio (53 d.C.), la città continuò a prosperare fino al III sec., durante il quale fu eretta una cinta muraria, ricordata come "cerchia di selenite" perché costruita in blocchi di quel materiale. Le successive invasioni barbariche causarono un periodo di crisi demografica e urbanistica. Come parte dell'esarcato bizantino di Ravenna, la città iniziò uno sviluppo urbano verso Est, che proseguì anche durante l'occupazione longobarda (VIII sec.). La costruzione di importanti sedi di culto fuori dalle mura portò alla formazione di nuovi insediamenti. Nell'XI sec. si ebbe una ripresa generale della vita urbana, culminata con la fondazione, nel 1088, del primo nucleo universitario (Studium) con la scuola di diritto.
Al XII sec. risale la costituzione del Comune, quando l'imperatore Enrico V concesse a Bologna una serie di diritti; venne iniziata la costruzione di nuove mura, già in gran parte compiute nella seconda metà del secolo. Nello stesso periodo vennero erette numerose torri e case-torri, per iniziativa di feudatari inurbati e mercanti emergenti, e si iniziò a costruire i portici, che ampliavano lo spazio a disposizione delle attività artigianali e commerciali. Nel corso del Duecento Bologna raggiunse i 50.000 abitanti, collocandosi tra le prime dieci città più popolose d'Europa. Dal punto di vista delle trasformazioni urbanistiche, i fatti più significativi furono la costruzione di una nuova cerchia difensiva (ultimata nel 1374) e lo sviluppo di nuovi insediamenti lungo il perimetro della città, dovuto al formarsi degli ordini mendicanti. Il Duecento segnò un periodo di potenza e benessere economico: segno del prestigio anche militare della città fu la vittoria di Fossalta contro le truppe imperiali di Federico II (1249). Il secolo successivo vide la città travagliata da lotte intestine fra Guelfi e Ghibellini e contesa fra la Chiesa e i Bentivoglio; tale situazione durò fino al 1446, quando Sante Bentivoglio divenne il signore di Bologna. Tuttavia, alla fine del Trecento, in un clima di tardiva quanto fervida ripresa edilizia nel rinato libero Comune, ci fu una serie di importanti interventi e l'avvio della costruzione di S. Petronio.
Nella seconda metà del Quattrocento, durante la signoria dei Bentivoglio, Bologna conobbe un profondo rinnovamento urbano che vide un largo impiego della pietra e del laterizio anche nell'edilizia minore. La signoria dei Bentivoglio durò fino al 1506, anno in cui la città venne annessa allo Stato Pontificio. Governata da un'oligarchia di nobili, il Senato, insieme ad un cardinale legato, la città iniziò ad assumere la fisionomia che conserva ancor oggi: sorsero i grandi palazzi "senatori" lungo le vie principali, le chiese ispirate ai modelli della controriforma e nuovi conventi. Nella seconda metà del Seicento iniziò l'opera di collegamento della città al santuario di S. Luca tramite il lunghissimo portico.
Nel XVIII secolo Bologna fu un importante centro di diffusione del giacobinismo e, dopo le vittorie napoleoniche, fece parte della Repubblica Cispadana prima, poi di quella Cisalpina e infine del Regno Italico. In epoca napoleonica fu spostata la sede dell'università nell'odierna via Zamboni, laddove era sorto l'Istituto delle Scienze, una scuola a moderno indirizzo scientifico promossa da Luigi Ferdinando Marsili. L'istituto venne inaugurato nel 1714 e restituì a Bologna un ruolo importante nella comunità scientifica europea e internazionale. Dopo la Restaurazione la città ritornò a far parte dello Stato della Chiesa; durante il Risorgimento aderì alle idee liberali e fu sede dell'attività di alcune società segrete. Dopo i moti del 1859 venne instaurato un Governo provvisorio e il 18 marzo 1860 la città fu annessa al Regno d'Italia. Sin dai primi anni successivi all'unità nazionale si mise mano al tessuto viario del centro, aprendo le vie Farini e Garibaldi e le piazze Cavour e Minghetti. Via dell'Indipendenza divenne il nuovo collegamento fra piazza Maggiore e la stazione ferroviaria (1888). La città fu dotata di un piano regolatore nel 1889. Secondo il criterio prevalente del tempo, Bologna subì numerosi interventi di "restauro" che tendevano al ripristino dell'aspetto medioevale della città, in antitesi alla sua immagine pontificia e barocca. All'inizio del XX secolo furono abbattute le antiche mura e vennero eseguiti altri lavori di apertura e ampliamente di vie adiacenti al nucleo storico. Dal secondo dopoguerra Bologna ha cominciato ad estendersi in popolosi quartieri periferici, mentre a Sud la sua dilatazione è stata frenata dalle colline. Notevole lo sviluppo dei settori secondario e terziario, e determinante anche la presenza della fiera, la seconda in Italia, sostenuta da un importante aeroporto internazionale.
ARTE. Il capoluogo dell'Emilia-Romagna è una città di grandi tradizioni artistiche e culturali, con una configurazione urbanistica compatta ed omogenea. Osservando la pianta della città si colgono le tappe del suo sviluppo urbanistico: al centro l'impianto della città romana e altomedioevale, quadrangolare con un reticolo di strade che si incrociano ortogonalmente; a Est e a Ovest di questo spazio l'irraggiamento di strade nella direzione delle porte dell'antica cinta muraria, tuttora riconoscibile nel tracciato poligonale dei viali di circonvallazione.
Il volto della città è prevalentemente sei-settecentesca, con inserimenti realizzati nei due secoli successivi, mentre la parte settentrionale della città, colpita dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, presenta un aspetto moderno.
Piazza Maggiore costituisce il cuore di Bologna. è da sempre sede dei più importanti avvenimenti civili, sociali e religiosi della città; fino al 1877 fu anche luogo di mercato. Su di essa affacciano il Palazzo comunale, la basilica di S. Petronio e il complesso formato dai palazzi del Podestà e di Re Enzo. Oltre a questi edifici simbolo, ai lati della basilica sorgono il tardo-trecentesco Palazzo dei Notai, radicalmente restaurato da Alfonso Rubbiani nel 1908, e il Palazzo dei Banchi, in realtà una facciata eretta su disegni del Vignola (1565-68) per definire il lato orientale della piazza in funzione prospettico-teatrale, con due grandi aperture che danno accesso alle vie del mercato.
La piazza (m 100 x 75) ebbe origine fra il 1200 e il 1203 quando, in piena età comunale, crebbe l'esigenza di avere uno spazio che rappresentasse le istituzioni del governo cittadino; l'assetto attuale fu raggiunto nella prima metà del Quattrocento. Il Palazzo del Podestà, posto di fronte alla basilica di S. Petronio, forma un tutto unico con il retrostante Palazzo di Re Enzo. Dell'edificio d'epoca comunale, abbattuto per volere di Giovanni II Bentivoglio, resta la Torre dell'Arengo (1212) munita di una grande campana, detta il Campanazzo (collocata nel 1453), che suona in occasione di avvenimenti cittadini di rilievo. La facciata con portici del nuovo palazzo, voluto dai signori Bentivoglio, è un pregevole esempio di architettura rinascimentale (1485). Il Palazzo di Re Enzo deve il nome al figlio di Federico II che, catturato durante la battaglia di Fossalta (1249), vi fu tenuto prigioniero fino alla morte (1272); il palazzo venne edificato nel 1244 come sede delle magistrature di governo della città, ma ha assunto il suo aspetto attuale nel 1913, dopo un radicale intervento di restauro. Di rilievo, sotto le volte dell'incrocio coperto, le statue dei quattro santi protettori della città, terrecotte di Alfonso Lombardi (1525).
Accanto a questo complesso sorge il Palazzo comunale, noto anche come Palazzo d'Accursio. Si tratta di un edificio a pianta quadrangolare, vasto e composito a causa di successivi interventi di ampliamento.
Al centro dell'omonima piazza, tra il Palazzo del Podestà e il Palazzo comunale, si trova la celebre Fontana del Nettuno con la statua in bronzo del Giambologna (1563-66) che raffigura il dio del mare in atto di placare le onde, e con quattro putti con delfini e quattro sirene, pure del Giambologna.
La basilica di S. Petronio, dedicata al vescovo patrono della città, domina Piazza Maggiore con la sua mole imponente. La sua realizzazione, iniziata nel 1390 su progetto di Antonio di Vincenzo, fu voluta dall'autorità civile per ribadire il principio dell'autonomia e della libertà comunali.
L'elemento monumentale più caratteristico della città è costituito dalla due torri, la Torre Garisenda e la Torre degli Asinelli, entrambe pendenti per un cedimento del terreno. Esse sono le superstiti, con altre circa venti altre torri, delle numerosissime altre strutture difensive, oltre cento, che dal Duecento hanno valso alla città l'appellativo di turrita.
Tra le numerose chiese di Bologna, ricche di tesori artistici, quella di S. Domenico rappresenta con l'annesso convento uno dei complessi monumentali di maggior rilievo.
Tra gli edifici religiosi storicamente più importanti della città vi è il complesso di S. Stefano, formato da un insieme di fabbricati costruiti e rimaneggiati in epoche diverse.
Eretta dagli Agostiniani fra il 1267 e il 1343, la chiesa di S. Giacomo Maggiore ebbe l'interno, a una navata, rifatto nella seconda metà del Quattrocento; alla stessa epoca risale l'elegantissimo porticato laterale, a colonne scanalate in arenaria, impreziosito da fregi in terracotta.
L'Università, considerata la più antica d'Europa, ha sede nel Palazzo Poggi, edificio attribuito a Bartolomeo Triachini (1549). Fu qui trasferita nel 1803, a seguito della riforma della Pubblica Istruzione elaborata nel clima di rinnovamento democratico della Repubblica Cisalpina. Il palazzo ospitava già da un secolo l'Istituto delle Scienze fondato da Luigi Ferdinando Marsili e le collezioni da questi donate al Senato bolognese purché venisse creata una nuova scuola. All'istituto il Marsili affiancò l'Accademia delle Scienze e l'Accademia Clementina, poi Accademia di Belle Arti. Nei secoli successivi operarono a Bologna i più rilevanti pittori, scenografi e scultori, nonché scienziati di fama internazionale quali Marcello Malpighi e Luigi Galvani, Augusto Righi e Guglielmo Marconi.
La data di nascita dell'Università bolognese è stata convenzionalmente fissata al 1088, anno in cui in città esisteva sicuramente una scuola di diritto; tuttavia la scuola giuridica bolognese raggiunse grande prestigio alla metà del secolo seguente per merito di Irnerio, rinnovatore della scienza del diritto. Egli si dedicò allo studio delle leggi romane, commentandole in pubblico. Intorno a Irnerio, morto nel 1125, e poi ai suoi allievi, si radunò la "Universitas Scholarium". Nel Duecento alla scuola di diritto si aggiunsero le scuole di medicina, chirurgia e filosofia. L'Università non aveva tuttavia una sede unitaria, finché nel 1563 non fu edificato il Palazzo dell'Archiginnasio che ospitò lo Studio fino al 1803. La costruzione dell'Archiginnasio, sotto la stabile dominazione pontificia, sancì in modo definitivo la dipendenza della "universitas" degli scolari dal potere politico.
La Torre della Specola (1721) che sovrasta Palazzo Poggi fu un osservatorio astronomico di primaria importanza e ospita oggi l'interessante Museo di Astronomia, con una ricca raccolta di strumenti a partire dagli antichi astrolabi medioevali. Nei Musei di Palazzo Poggi è possibile visitare gli antichi laboratori del settecentesco Istituto delle Scienze, luoghi di didattica, ricerca e conservazione insieme. In questo ambito sono allestite le varie stanze riguardanti: Nautica; Architettura militare; Anatomia umana; Ostetricia. Il Museo storico dello Studio, inaugurato in occasione delle celebrazioni dell'ottavo centenario (1888), raccoglie documenti e cimeli che illustrano la storia dell'Università. La Biblioteca universitaria, che vanta numerosi manoscritti rari, una raccolta di incunaboli e antichi papiri, ha una vastissima sala di lettura con scaffalature settecentesche in noce e altre sale con decori pittorici cinquecenteschi. Il nono centenario della fondazione dell'Università, celebrato nel 1988, ha aggiunto altri spazi allo Studio: l'incompiuta chiesa gesuita di S. Lucia in via Castiglione, restaurata e divenuta Aula Magna, e il complesso dell'antico monastero di S. Giovanni in Monte.
Il Palazzo dell'Archiginnasio, voluto da papa Pio IV come sede stabile dell'Università cittadina, fu progettato da Antonio Morandi detto il Terribilia nel 1563. L'edificio presenta un lungo portico e, all'interno, un cortile quadrato a doppio loggiato; questo, come quasi tutti gli ambienti, è decorato dagli stemmi, scolpiti o dipinti, dei rettori, dei priori e degli studenti che frequentarono lo Studio fra Cinquecento e Settecento. Lo storico Teatro anatomico in legno, progettato da Antonio Levanti (1649) e ricostruito dopo gli eventi bellici, costituisce il simbolo del prestigio della scuola di medicina, ove fu praticata la prima dissezione dell'età moderna. Il palazzo, sede dell'Università sino al 1803, dal 1835 ospita la prestigiosa Biblioteca comunale, ricca di oltre 650.000 volumi, 12.000 manoscritti, cospicue raccolte di carteggi, carte geografiche e stampe.
Tra i musei cittadini spicca la Pinacoteca Nazionale, fondamentale per ripercorrere la storia artistica della città dal Trecento al Settecento attraverso le opere qui custodite, in gran parte eseguite per le chiese locali. La raccolta ha origine dalla quadreria dell'Accademia di Belle Arti, insediatasi nel 1804 nell'attuale sede, un palazzo progettato da Francesco Martini nella seconda metà del Seicento.
Tra le istituzioni cittadine a carattere scientifico, nate a corollario dell'attività universitaria, vi sono il Museo di Fisica, con strumenti che vanno dal Seicento a oggi; l'interessante Museo di Geologia e Paleontologia Giovanni Capellini, la più grande raccolta paleontologica italiana; il Museo di Mineralogia Luigi Bombici; il complesso dell'Orto botanico ed Erbario: il primo, fondato nel Cinquecento da Ulisse Aldrovandi, comprende oltre di 5.000 esemplari di piante locali ed esotiche; il secondo, tra i più antichi d'Europa, comprende circa 110.000 piante essiccate.
Nei dintorni della città sorge il santuario settecentesco della Beata Vergine di S. Luca, eretto sul luogo di un antico eremo. Esso domina il colle della Guardia (m 289) ed è raggiungibile da Porta Saragozza seguendo la via porticata con 666 archi lunga oltre 3 km, costruita tra il 1674 e il 1715 per collegare Bologna al santuario, a significare lo stretto rapporto tra la città e questo luogo di devozione.
Il Palazzo di re Enzo, a Bologna

LA PROVINCIA. La provincia di Bologna (913.119 ab.; 3.702 kmq) si estende su un territorio per la maggior parte pianeggiante. L'economia è prevalentemente agricola: cereali, foraggi, frutta, barbabietole da zucchero, canapa, pomodori, ortaggi; allevamento di bovini e suini. Non mancano però le industrie alimentari, tessili, meccaniche e chimiche. Centri principali sono Budrio, Casalecchio di Reno, Castel San Pietro Terme, Crevalcore, Imola, Marzabotto, Medicina, Molinella, Porretta Terme.

Luoghi di interesse

Palazzo comunale o Palazzo d'Accursio
Il Palazzo comunale è costituito da un insieme di edifici che nel corso dei secoli sono via via stati uniti ad un nucleo più antico acquisito dal Comune alla fine del Duecento, comprendente fra l'altro l'abitazione di Accursio, maestro di diritto nello Studio bolognese. Fu inizialmente destinato a conservare le pubbliche riserve granarie e ad ospitare alcuni uffici municipali; da quando nel 1336 divenne residenza degli Anziani, la massima magistratura di Governo del Comune, è la sede del Governo della città. Al nucleo originario (XIII-XIV sec.), costituito dal corpo porticato sormontato dalla torre, si aggiunsero su tre lati i corpi di fabbrica (1365) che fanno assomigliare il palazzo ad una roccaforte. Ingentiliscono la facciata grandi finestre quattrocentesche e una Madonna col Bambino, terracotta di Niccolò dell'Arca (1478). Dal portale cinquecentesco del palazzo si accede al cortile, oltre il quale vi è il grande scalone da alcuni attribuito al Bramante. Al primo piano, si trova la Sala d'Ercole, che conserva l'originario impianto rinascimentale, riveduto dai rifacimenti sei-settecenteschi. La statua in terracotta di Ercole che abbatte l'Idra di Lerna (1519), dipinta in finto bronzo, è opera di Alfonso Lombardi (cui si debbono fra l'altro anche i Quattro Santi Protettori di Bologna posti sotto il voltone del Podestà); può alludere alla caduta dei Bentivoglio e alla definitiva restaurazione pontificia nel governo della città. Sulla parete destra si trova un affresco con la Madonna del Terremoto, di Francesco Francia, dipinta su una parete della vicina Cappella degli Anziani come ex voto per il terremoto del 1505, qui trasportata nel secolo scorso. All'ingresso calchi di bassorilievi della Fontaine dei Innocents di Parigi dono dello stato francese al Comune di Bologna negli anni Trenta, in ricordo dello sculture francese Jean Goujon, attivo a Bologna subito dopo la metà del Cinquecento. Gli ambienti monumentali all'interno conservano memoria di momenti storici e vicende politiche della città. Al primo piano vi è una seconda galleria, adibita oggi a Sala del Consiglio Comunale, la cui volta fu affrescata fra il 1675 e il 1677 da Angelo Michele Colonna e Gioacchino Pizzoli per il Senato Bolognese, con quadrature architettoniche e allegorie che alludono alla ricchezza, alla fama, alle arti e alla cultura della città. Al secondo piano si apre la Sala Farnese e la cappella omonima, luogo del cerimoniale civico, di impianto rinascimentale, era ricoperta da una volta dipinta, demolita alla fine del secolo scorso e sostituita con l'attuale soffitto a cassettoni. Fin dalla metà del Cinquecento contro la parete di fondo era collocata una statua in marmo di papa Paolo III Farnese, poi rimossa nel periodo giacobino. Fu un cardinale della medesima famiglia, Girolamo Farnese, a promuovere nel 1665 il restauro dell'attigua cappella e il ciclo di affreschi che nella sala rievocano i fasti bolognesi legati alla dominazione simbolica dello stato pontificio sulla città. Gli affreschi sono dovuti ad una equipe di pittori guidati da Carlo Cignani, fra cui Lorenzo Pasinelli, Luigi Scaramuccia, Girolamo Bonini, Giovanni Maria Bibiena. Il monumento ad Alessandro VII, posto nel 1660 nell'attigua Sala degli Svizzeri, fu collocato contro la parete di fondo nel corso dei restauri del 1845. L'arcaica tecnica della lamina metallica su anima di legno è dovuta ad un orafo di origine senese, Dorastante d'Osio. La Cappella Farnese o Cappella del Legato (anticamente "palatina"), luogo dei luoghi più importanti del cerimoniale cittadino, fu costruita dall'architetto Aristotele Fioravanti intorno alla metà del Quattrocento, all'epoca dei lavori voluti nel palazzo dal Cardinal Bessarione. Tra il 1551 e il 1565, su commissione del cardinal legato Girolamo Sauli, fu ampliata da Galeazzo Alessi cui si deve anche il fronte architettonico esterno - originariamente in arenaria - rivestito in scagliola a metà Ottocento durante gli interventi di restauro in Sala Farnese. La decorazione ad affresco risale al 1562, quando era papa Pio IV, sotto la legazione di Carlo Borromeo e la vice legazione del Cardinale Pier Donato Cesi, artefice del riassetto monumentale del centro cittadino (Palazzo dell'Archiginnasio, portico dell'Ospedale della Morte, Palazzo dei Banchi, Fontana del Nettuno). L'aspetto attuale è determinato da alterne vicende succedutesi nei secoli: il restauro seicentesco voluto dal cardinale Girolamo Farnese, l' uso incongruo come archivio e deposito nel periodo napoleonico e nel corso dell'Ottocento, fino al più recente recupero del 1992. Nel palazzo trovano spazio due importanti raccolte museali: il Museo Giorgio Morandi, inaugurato nel 1993, che raccoglie 281 opere di ogni peperiodo del grande artista bolognese e che ospita inoltre la ricostruzione dello studio di via Fondazza con gli oggetti che furono materia della sua ricerca artistica; le Collezioni comunali d'Arte, che raccolgono dipinti dal XIII al XIX secolo, prevalentemente di scuola bolognese ed emiliana; importanti le opere di artisti quali Vitale da Bologna, Luca Signorelli, Francesco Francia, Jacopo Tintoretto, Ludovico Carracci, Guido Cagnacci, Giuseppe Maria Crespi.
Basilica di S. Petronio
La basilica di San Petronio, dedicata al patrono cittadino (ottavo vescovo di Bologna dal 431 al 450), è la più grande (m 132 di lunghezza, 66 di larghezza totale, 47 di altezza) ed importante chiesa bolognese. Fino ad anni recenti la chiesa è stata amministrata come un'istituzione cittadina, essendo sempre stata considerata un simbolo del potere locale in contrapposizione al potere del Vaticano, rappresentato dalla cattedrale San Pietro. La costruzione fu iniziata nel 1390 sotto la direzione di Antonio di Vincenzo. Il modello originale fu commissionato all'architetto per celebrare il potere riconquistato dal Comune. La costruzione dell'edificio si poté dire conclusa solo alla metà del Seicento. Vi si svolsero, a riprova del prestigio di cui la chiesa godeva, importanti avvenimenti storici quali l'incoronazione di Carlo V da parte di Clemente VII (24 febbraio 1530) e le sessioni IX e X del Concilio di Trento, qui trasferitosi nel 1547 per sfuggire all'epidemia che imperversava in quella città.
Nella facciata, incompiuta, in pietra d'Istria e marmo rosso di Verona, si aprono tre portali; quello di mezzo è ornato dalle bellissime sculture di Jacopo della Quercia (1425-38): scene bibliche nei pilastri, i profeti nella strombatura, storie del Nuovo Testamento nell'architrave e una Madonna col Bambino nella lunetta. Sui lati si aprono ampie finestre a trafori marmorei; a destra sorge il campanile, eretto nel 1492.
L'interno, in stile gotico, è di grande suggestione; a quest'impressione contribuiscono l'equilibrio formale dello spazio, scandito in tre navate, e la sua luminosità diffusa. Quasi tutte le cappelle laterali sono chiuse da pregevoli transenne marmoree o in ferro battuto (XV-XVII sec.). Esse racchiudono opere d'arte di grande pregio, tra le quali vanno citati una Madonna e santi e un S. Girolamo di Lorenzo Costa (1492 e 1484), un Compianto su Cristo morto, gruppo in terracotta dipinta di Vincenzo Onofri (fine XV sec.), un S. Rocco del Parmigianino e un notevole Martirio di S. Sebastiano di scuola emiliana della seconda metà del Quattrocento. Nella quarta cappella sinistra, affreschi di Giovanni da Modena e aiuti (1410-15), raffiguranti il Viaggio dei Re Magi, scene della vita di S. Petronio, il Paradiso e l'Inferno. Nella bellissima cappella che custodisce la reliquia del capo di S. Petronio, una ricca decorazione di Alfonso Torreggiani (1750). Nel presbiterio si eleva la tribuna del Vignola (1548) rimaneggiata nel Seicento; degli organi laterali, quello di destra è tra i più antichi d'Italia (1475). Da notare la meridiana tracciata sul pavimento sino alla controfacciata, opera di Gian Domenico Cassini (1655), e ritenuta una delle curiosità cittadine dai viaggiatori stranieri che nell'Ottocento compivano il loro Grand Tour in Europa.
Visita virtuale all’interno della Basilica di San Petronio, a Bologna. Veduta della navata centrale

Visita virtuale all’interno della Basilica di San Petronio, a Bologna. Veduta della parte occidentale

Torre degli Asinelli
La Torre degli Asinelli, eretta nel 1119 da Gherardo Asinelli, un nobile di fazione ghibellina, è alta 97,20 metri, all'interno ha una scala composta da 498 gradini, pende verso Ovest per 2,32 metri. Nel XII secolo il Comune l'acquistò dai suoi proprietari per destinarla a fini militari, a prigione e appoggio ai gabbioni in cui venivano rinchiusi i condannati alla berlina. Nella seconda metà del '300, durante il decennio di dominazione dei Visconti, la torre venne trasformata in fortilizio. Intorno alla torre fu realizzata una costruzione in legno, posta a trenta metri da terra e unita alla attigua Garisenda da un passaggio aereo dal quale era possibile dominare la città e il "Mercato di Mezzo", centro commerciale e possibile fulcro di sommosse. Questa incastellatura lignea fu distrutta da un incendio nel 1398. Nel 1448, per accogliere i soldati di guardia, alla base fu costruita una rocchetta merlata in muratura fornita di portici in sostituzione di preesistenti strutture lignee. Oggi gli archi del portico della rocchetta sono stati chiusi con vetrine per alloggiare alcune botteghe di artigiani a ricordo della funzione di centro commerciale del medioevale "Mercato di Mezzo".
Torre Garisenda
La Torre Garisenda, eretta nel XII secolo dai nobili Garisenda, anch'essi ghibellini, è alta 48,60 metri e pende verso Nord-Est per 3,22 metri. Ai tempi di Dante, che la cita nel sonetto sulla Garisenda del 1287 e nel canto XXXI dell'Inferno, raggiungeva i 60 metri d'altezza. Tra il 1351 e il 1360 Giovanni da Oleggio, che governava la città per conto dei Visconti, la fece abbassare di 12 metri temendo che potesse crollare.
Chiesa di S. Domenico
La chiesa risale al XIII secolo, e fu costruita dai domenicani accanto al convento dove morì il fondatore dell'ordine (1221). Costruita in forme tardo-romaniche fra il 1228 e il 1238, venne rinnovata da Carlo Francesco Dotti nel 1727-33. All'interno, a tre navate e notevolmente sviluppato in lunghezza, si apre la Cappella di S. Domenico, progettata da Floriano Ambrosini (1597-1605); a croce greca e sormontata da cupola, mostra nel catino la Gloria di S. Domenico di Guido Reni (1613-15). Qui si trova l'arca di S. Domenico, straordinaria composizione scultorea di più artisti di epoche diverse: il sarcofago è opera di Nicola Pisano con la collaborazione di Arnolfo di Cambio, Pagno di Lapo e fra' Guglielmo (1265-67), il coperchio e il coronamento marmoreo, adorni di statue e festoni, sono di Nicolò da Bari (1469-73) che per questo lavoro fu poi detto dell'Arca; l'angelo e le statuette di S. Petronio e S. Procolo sono probabilmente di mano del giovane Michelangelo (1494).
Complesso monumentale di S. Stefano
Fabbricato sul luogo di un antico culto pagano, il Complesso di S. Stefano si articola in una serie di edifici sacri (chiese, cappelle e monastero) davanti ai quali si apre la splendida piazza triangolare, chiusa al traffico e recentemente riportata al suo aspetto antico, con la pavimentazione a ciottoli che discende verso la facciata della chiesa principale, detta del Crocifisso. Secondo la tradizione fu fondato dal vescovo Petronio nel V secolo, in seguito, tra il X e l'XI secolo, venne a strutturarsi a imitazione dei santuari di Gerusalemme. Oggi il complesso consta di quattro chiese: la chiesa del Crocifisso, con facciata romanica e interno a una navata; la chiesa dei Ss. Vitale e Agricola, eretta nell'XI secolo su una precedente, con interno a tre navate con pilastri cruciformi alternati da colonne romane; la chiesa della Trinità, costruzione a due navate trasversali ripristinata nel 1924, che custodisce il gruppo ligneo dell'Adorazione dei Magi (XIV sec.), dipinto da Simone dei crocifissi; la chiesa del S. Sepolcro, uno dei rari esempi di edificio religioso a pianta centrale: il riferimento alla Rotonda del S. Sepolcro in Gerusalemme è testimonianza di nessi con l'Oriente, sulle vie dei pellegrinaggi. Edificata nel XII secolo su una chiesa più antica, è cinta da un peribolo e sormontata da matronei e presenta alcune colonne e capitelli romani di reimpiego; al centro un tempietto del XIII secolo accoglie la tomba di S. Petronio, adorna di rilievi del XIV secolo.
Chiesa di San Giacomo Maggiore
Situata su una delle più attraenti piazze di Bologna, venne costruita fra il 1267 e il 1315 dai frati eremitani di S. Agostino e ristrutturata alla fine del '400. L'interno, formato da un'unica vasta e luminosa navata, accoglie insigni tesori d'arte tra cui la Cappella Bentivoglio, di architettura toscana attribuita a Pagno di Lapo Portigiani (1486); pala d'altare di Francesco Francia (1494 ca) raffigurante la Madonna in trono col Bambino e santi, nel lunettone superiore Visione dell'Apocalisse, affresco di Lorenzo Costa; alle pareti, sempre del Costa, Trionfo della Morte e trionfo della Fama (1490), a destra Madonna col Bambino e famiglia Bentivoglio (1488). Di grande interesse anche la Cappella Poggi, architettata nel 1561 da Pellegrino Tibaldi, autore anche dei dipinti, nonché la tomba di Anton Galeazzo Bentivoglio di Jacopo della Quercia (1453). Notevoli pure il quadro con S. Rocco di Lodovico Carracci, due crocifissi lignei di Jacopo di Paolo (sec. XV), vari polittici gotici e pregevoli dipinti dei secoli XVI, XVII e XVIII nelle cappelle. Di non comune eleganza il portico rinascimentale (1477-81) che affianca la chiesa, sorretto da agili colonne scanalate in arenaria e coronato da un ricco fregio scolpito (vi si aprono varie arche sepolcrali gotiche con avanzi di pitture e da esso si accede alla chiesa di S.Cecilia, ammantata di splendidi affreschi con episodi della vita della santa e di san Valeriano, eseguiti nel 1504-06 dai migliori maestri della scuola bolognese).

Musei e Gallerie di Bologna

Pinacoteca Nazionale
La Pinacoteca Nazionale ha sede nell'ex noviziato gesuita di Sant'Ignazio nel quartiere universitario della città di Bologna. Il museo, oggi completamente rinnovato (1997) nelle sue strutture secondo i più moderni criteri conservativi e museografici, offre un affascinante percorso attraverso la pittura emiliana dal XIII al XVIII secolo. Tra i numerosi capolavori della Pinacoteca vanno almeno citati, nella sezione dei primitivi e del Trecento bolognese, due S. Giacomo alla battaglia di Clavijo dello Pseudo Jacopino di Francesco (prima metà XIV sec.), il polittico Madonna col Bambino e santi di Giotto e della sua bottega (1333-34) e un nucleo di opere di Vitale da Bologna; nella sezione rinascimentale, opere di scuola ferrarese, come la pala dei Mercanti di Francesco del Cossa (1474) e due Madonne di Lorenzo Costa (1491-96), e di scuola bolognese, come le pale di Francesco Francia. Provenienti dalla chiesa di S. Giovanni in Monte sono la Madonna in gloria e santi del Perugino, la Madonna col Bambino di Cima da Conegliano e l'Estasi di S. Cecilia di Raffaello. Il Manierismo emiliano è rappresentato, tra gli altri, dall'arte del Parmigianino di cui si può ammirare una Madonna col Bambino e santi. Notevolissima la sezione della pittura bolognese dalla fine del Cinquecento alla seconda metà del Seicento, con opere dei Carracci - Madonna degli Scalzi di Ludovico e Madonna di S. Ludovico di Annibale - e di Guido Reni - Strage degli innocenti, Sansone vittorioso, Ritratto della madre. Il Settecento è soprattutto rappresentato da opere di Giuseppe Maria Crespi, Donato Creti e dei tre Gandolfi: Ubaldo, Gaetano e Mauro.
Secondo quanto riferisce Luigi Crespi nelle sue Vite (1769), un primo progetto di costituzione di un istituto pubblico nel quale potessero trovare ricovero e tutela i tesori artistici della città, era stato formulato dal Cardinale Lambertini, dal 1740 papa Benedetto XIV. Egli infatti meditò di erigere all'interno del celebre Istituto delle Scienze - fondato dal Marsili - "una Galleria che fosse superiore a quante altre Gallerie Principesche si ammirano nella nostra Europa, collocandovi tutte le più superbe tavole d'altare, che sono nelle chiese, de' più celebrati autori, redimendole così e salvandole dalle ingiurie, per cui altre si compiangono rovinate e guaste". Già nel 1762 l'Istituto delle Scienze entrò in possesso di un primo nucleo di dipinti, destinati all'Accademia Clementina. Si trattava di otto tavole di primo Cinquecento che Mosignor Francesco Zambeccari (prelato vicinissimo a papa Lambertini) aveva recuperato sul mercato artistico cittadino: un mercato che si arricchiva in quegli anni coi numerosi quadri che le frequenti ristrutturazioni chiesastiche privavano del contesto originario. Ancora nel 1776, poi, si aggiunsero una dozzina di tavole trecentesche e di icone bizantine, provenienti dal lascito del veneziano Urbano Savorgnan, già Oratoriano di S. Filippo Neri. Contemporaneamente, però, un altro luogo cittadino era venuto assumendo i connotati della pubblica Galleria, pur meno connotata didatticamente della prima: l'Appartamento del Gonfaloniere in Palazzo Pubblico, che fin dall'ultimo scorcio del Seicento si era andato arricchendo di dipinti donati da notabili cittadini a gloria della città (opere della scuola di Raffaello, di Cantarini, di Lavinia Fontana, di Annibale Carracci, di Guido Reni) o là conservati per l'alto significato civico rappresentato (la Pala del Voto dello stesso Reni). La svolta definitiva giunse con la caduta del regime pontificio, nel 1796, e con la nuova legislazione repubblicana. La soppressione di numerosi conventi maschili e femminili - che mirava alla concentrazione in un minor numero di luoghi degli ordini religiosi ancora significativi; quella di tutte le corporazioni di mestiere (spesso ricche di arredi anche chiesastici); quella ancora delle sedi dell'antico regime, come il Palazzo Pubblico, permisero di prelevare (ad opera dei Commissari clementini, responsabili delle scelte fatte "guida alla mano") quasi un migliaio di opere provenienti dagli edifici sconsacrati e chiusi, e di raccoglierle prima nell'ex convento di S. Vitale (già in qualche modo attrezzato a quadreria); poi - dopo la fondazione della moderna Accademia Nazionale di Belle Arti (1802) - nella recente sede di questa, l'ex convento di Sant'Ignazio (eretto, nelle sue forme attuali, dal Torreggiani nel 1726), poco distante dall'antica sede dell'Accademia Clementina in Palazzo Poggi.
Museo Civico Archeologico
Fondato nel 1881 è ospitato nell'ex ospedale di S. Maria della Morte, edificio quattrocentesco rimaneggiato da Antonio Morandi (1565). La sezione preistorica presenta numerosissimi reperti dal Paleolitico all'Età del Bronzo, soprattutto di provenienza bolognese. Le raccolte che documentano la cultura villanoviana (IX sec.-metà VI sec. a.C.) sono costituite da suppellettili provenienti da arredi funerari. La sezione etrusca raccoglie materiali provenienti dalle necropoli di Fèlsina; tra questi la situla della Certosa, vaso in lamina di bronzo con scene di vita civile e religiosa. Tra le Antichità etrusco-italiche sono di particolare interesse gli specchi incisi, fra cui la celebre patera cospiana (V sec. a.C.). Fanno parte della raccolta greca la testa Palagi, replica in marmo di età augustea dell'Athena Lemnia di Fidia, e splendide ceramiche attiche come l'anfora di Nicostene e la tazza di Codro. La sezione romana presenta un'interessante serie di oggetti di uso quotidiano e un ricchissimo lapidario, con stele funerarie figurate, numerosi miliari e altra statuaria. Nel sotterraneo si trova la sezione egizia, fra le più ricche d'Italia e d'Europa. Di grande interesse i rilievi in calcare della tomba di Horemheb (1332-23 a.C.), il sarcofago a cassa di Usai con la mummia (664-525 a.C.), una raccolta di 120 tipi di amuleti, alcuni importanti esempi di statuaria fra cui l'effigie di Neferhotep I (1759-1640 a.C.) e quella in calcare dei coniugi Amenhotep e Merit (1319-1279 a.C.).

Cesena

(ab. 89.393). Dal 1992 forma insieme a Forlì la provincia di Forlì-Cesena. Situata presso la riva destra del Savio, laddove il fiume si interseca con la Via Emilia, sorge ai piedi del colle Garampo e ha davanti una pianura coltivata e tuttora segnata dal sistema di centuriazione romano, orientato da Sud a Nord. Il centro storico è ben definito dalla cinta muraria del Tre-Quattrocento, che gli conferiscono la caratteristica forma di scorpione.
STORIA. I primi insediamenti umani sorsero sul colle Garampo, da dove era possibile dominare il passaggio sul fiume Savio e la via di comunicazione transappenninica che ne risale la valle. Come importante municipio romano sulla Via Emilia, col nome di Caesena, si sviluppò anche in pianura. Tolta a Odoacre da Teodorico nel 493; passata nel VI sec. a far parte dell'Esarcato, seguì di questo le incerte vicende, subendo numerose distruzioni. Dopo si susseguirono al potere i conti di Montefeltro, gli Ordelaffi di Forlì finché la città fu inglobata nello Stato della Chiesa nel 1357. Cesena si ribellò più volte al Governo dei papi, fino al tragico eccidio compiuto dalle truppe bretoni inviate da papa Gregorio XI (1377). Fu quindi concessa in vicariato da Urbano VI a Galeotto Malatesta (1379). Con la signoria malatestiana, protrattasi fino al 1465, Cesena conobbe un periodo di rinnovamento urbano e culturale. Tornata nel 1466 sotto il dominio papale, fu fatta capoluogo del Ducato di Romagna (1502-03) da Cesare Borgia, duca Valentino e figlio di papa Alessandro VI. Durante il lunghissimo periodo di governo papale si mise mano al rifacimento di edifici religiosi e all'edificazione di nuovi conventi. L'operazione urbanistica più significativa del XX secolo fu lo spostamento a Nord della Via Emilia (1920). Nel secondo dopoguerra la città ha subito alcuni drastici, discutibili interventi, fra cui l'abbattimento del neoclassico foro annonario e l'apertura, a ridosso della Cattedrale, di piazza della Libertà. Negli ultimi tempi, Cesena si è progressivamente ampliata in tutte le direzioni.
ARTE. Il centro cittadino riesce tuttora a mantenere una fisionomia omogenea, anche se reca alcune tracce di poco rispettosi interventi moderni. Il gioiello più prezioso della città è la biblioteca Malatestiana, tra le massime testimonianze della cultura umanistica, perfettamente conservata nella struttura, negli arredi e nel patrimonio librario.
Tra gli altri monumenti insigni di Cesena figura la Cattedrale, iniziata alla fine del XIV secolo su progetto del tedesco Underwalden. Venne in parte rifatta in stile rinascimentale veneziano (1499), evidente nella parte superiore della facciata e nel corpo porticato del lato destro. Il portale romanico proviene dalla chiesa di S. Lorenzo fuori le mura. Nell'interno, a metà della navata destra è l'altare di S. Giovanni, pregevole opera scultorea di G.B. Bregno (1494-1505).
La Rocca Malatestiana, sul colle Carampo, sorse nei secoli XIV e XV su precedenti fortificazioni medioevali. La fortezza è circondata da mura pentagonali con torrioni a diversa sezione; all'interno sorgono il maschio e il palatium; in quest'ultimo è alloggiato il Museo della Civiltà contadina, con interessanti ricostruzioni di ambienti tipici.

Luoghi di interesse

Biblioteca Malatestiana
Nata come biblioteca pubblica per volere di Malatesta Novello, venne progettata da Matteo Nuti (1447-52) sulla falsa riga della biblioteca di S. Marco a Firenze, ma probabilmente anche su indicazioni di Leon Battista Alberti. Si trova all'interno dell'ex convento di S. Francesco, a sua volta incorporato in un edificio ottocentesco di gusto neoclassico. Si accede all'aula da un elegante portale che reca scolpito nel timpano un elefante, simbolo araldico dei Malatesta. L'interno ha impianto basilicale, con tre navate rette da colonne marmoree; nei banchi d'epoca, recanti simboli malatestiani, sono ancora al loro posto 343 codici miniati e 48 incunaboli, legati con le catenelle originali, tutti pezzi assai pregevoli per le preziose miniature di scuola bolognese, ferrarese e lombarda. Nel grande salone antistante è conservata la biblioteca Piana, raccolta privata di papa Pio VII, il cesenate Gregorio Chiaramonti, che conta circa 5.000 volumi, fra cui notevoli manoscritti, incunaboli ed edizioni rare; vi sono esposti anche 14 corali quattrocenteschi, splendidamente miniati. Nello stesso edificio ha sede il Museo archeologico, che conserva reperti di provenienza locale, dalla preistoria all'epoca romana.

Ferrara

(ab. 133.270) Situata in pianura, a pochi km dalla riva destra del basso Po, Ferrara è la città capoluogo dell'Emilia-Romagna più distante dalla Via Emilia e dal tratto costiero maggiormente urbanizzato. Questo isolamento le consente di mantenere una vivibilità ormai sconosciuta ad altre realtà urbane. La sua prerogativa di città a misura d'uomo è anche dovuta ad una struttura urbana che la lungimiranza di Ercole I d'Este ha saputo far sopravvivere per secoli, contenendo la crescita entro le mura sino a tempi recenti. Città d'arte e di cultura, Ferrara è anche un importante mercato agricolo e conta fiorenti industrie per la maggior parte legate all'agricoltura (molini, zuccherifici, riserie, canapifici) unitamente ad industrie chimiche, metalmeccaniche, tessili, del legno.
STORIA. Di origine altomedioevale (VI sec.), Ferrara fu donata da Carlo Magno alla Chiesa nel 774. Infeudata dalla Chiesa agli Attoni, la famiglia di Matilde di Canossa (986-1115), divenne quindi libero Comune. La tipica forma di città lineare, al seguito dell'antica riva fluviale, è ribadita dalle fortificazioni e ampliamenti del periodo canossiano e poi comunale. Il ramo ferrarese del Po, via di comunicazione che aveva grandemente favorito i traffici commerciali della città, perdette importanza a seguito della rotta di Ficarolo (1152) dopo la quale il corso principale del Po deviò verso Nord. Nel 1240 si attuò il passaggio da Comune a signoria con l'avvento di Azzo VII Novello d'Este, appoggiato da Venezia. Gli Estensi eressero il Castello (1385) e promossero la fondazione dell'Università (1391). Verso la fine del Trecento la città si ampliò dapprima verso Nord; poi, alla metà del secolo successivo, si estese a Sud, inglobando un tratto dell'alveo fluviale abbandonato. Borso d'Este otterrà ufficialmente l'investitura a Duca di Ferrara dal papa nel 1471. Lo splendido mecenatismo dei duchi estensi rese Ferrara uno dei principali centri del Rinascimento, famoso in tutta Europa. Qui furono attivi Piero della Francesca, Mantegna, Pisanello, Leon Battista Alberti, il fiammingo Rogier van der Weyden; fiorì inoltre la straordinaria stagione della pittura ferrarese con Cosmè Tura, Ercole de' Roberti e Francesco del Cossa. Alla corte ferrarese esercitò la sua azione pedagogica innovatrice il grande umanista Guarino e, più tardi, vi operò Matteo Maria Boiardo, autore del poema cavalleresco Orlando innamorato. Il Cinquecento fu ancora un periodo di splendore dal punto di vista sia figurativo (Dosso Dossi, Tiziano, Giovanni Bellini) che letterario (Ludovico Ariosto e Torquato Tasso); tuttavia la politica estense di sviluppo del territorio non fu sostenuta da un'accorta politica finanziaria e il governo dovette ricorrere a tassazioni sempre più elevate che alienarono ai duchi le simpatie della cittadinanza e del contado, i quali non si opposero all'annessione di Ferrara allo Stato Pontificio (1598). Con il passaggio dalla signoria degli Estensi al papato iniziò per la città un periodo di decadenza durante la quale non si registrano episodi urbani di rilievo, a eccezione della cittadella eretta nel 1608 a Sud-Ovest e demolita nel 1859.
Dopo l'unità d'Italia, Ferrara fu collegata sin dal 1866 alla rete ferroviaria e divenne un importante mercato agricolo, principalmente ortofrutticolo, settore in cui mantiene tuttora una posizione di rilievo. La città non subì nel Novecento abbattimenti e sventramenti, perché il centro lineare moderno si è naturalmente inserito sulla linea di demarcazione fra città medioevale e città rinascimentale, spazio volutamente conservato dal piano del 1492 (l'addizione Erculea). Dal secondo dopoguerra il territorio ha conosciuto un'industrializzazione diffusa, in cui emerge il polo petrolchimico.
ARTE. La città medioevale comprende un sistema di spazi articolati che racchiudono le sedi del potere civile e religioso: la Cattedrale e successivamente il Castello, fulcro del definitivo assetto urbano. Assurto a simbolo cittadino, il poderoso Castello Estense si erge nel cuore della città. Fu concepito come fortilizio difensivo da Niccolò II lo Zoppo e realizzato secondo il progetto di Bartolino da Novara (1385) che incorporò una preesistente torre in un corpo quadrato con altre tre torri. Dalla seconda metà del Quattrocento il Castello fu trasformato in fastosa residenza ducale; nel secolo successivo la sua austera fisionomia fu addolcita da balaustre in marmo e da costruzioni cubiche che rialzano le torri. Nel severo cortile si apre una loggia quattrocentesca da cui si sale al piano nobile per raggiungere il Giardino pensile degli Aranci di Girolamo da Carpi (1554). Una serie di ambienti è affrescata da pittori ferraresi tardo-manieristi, fra cui i Filippi (seconda metà XVI sec.): il corridoio dei Baccanali, la Sala dell'Aurora, la saletta dei Giochi e il salone dei Giochi. Interessante la Cappella di Renata di Francia, moglie di Ercole II, esempio inconsueto di luogo di culto calvinista.
Poco distante sorge l'altro monumento simbolo di Ferrara, la Cattedrale (XII-XIV sec.) in stile romanico-gotico, dall'inconfondibile facciata a tre cuspidi. Lo sviluppo artistico di Ferrara si è svolto in gran parte sotto la dinastia estense che volle fare della capitale del ducato una delle più prestigiose corti rinascimentali d'Italia. Tra le prime realizzazioni estensi vi è il Palazzo Schifanoia. L'edificio è frutto di successivi interventi: nato come luogo di "delizie" fu fatto erigere da Alberto V d'Este nel 1385 e ampliato nel 1391.
Il Palazzo Costabili, erroneamente detto di Ludovico il Moro, fu in realtà commissionato a Biagio Rossetti (1495-1504) da Antonio Costabili, ambasciatore estense presso la corte sforzesca. Incompiuto, mostra una forma aperta, articolata, di grande armonia. Al piano terreno sono tre sale affrescate dal Garofalo (1508), al piano nobile ha sede il Museo Archeologico nazionale, conosciuto come Museo di Spina perché conserva i materiali provenienti dalla necropoli di quella città etrusca, grande emporio mercantile e luogo d'incontro con il mondo greco e orientale.
Gli splendidi Palazzi dei Diamanti, Prosperi-Sacrati e Turchi-Di Bagno sono nati insieme al progetto della città ideale concepito da Ercole I d'Este che ne affidò la realizzazione (1492) all'architetto estense Biagio Rossetti. A lui spetta il piano di ampliamento urbanistico nella zona a Nord della città antica, noto come addizione erculea. Impostato con criteri moderni e funzionali sulla base della precedente struttura romana a scacchiera, l'ampliamento di Rossetti è armonicamente saldato da numerosi raccordi alla città medioevale, ma si distingue da essa per l'assenza di un centro gerarchicamente egemone; si sviluppa invece a partire dai due assi principali di corso Ercole I e corso B. Rossetti, che si incrociano nel Quadrivio degli Angeli, segnato dalle pilastrature agli angoli dei palazzi. L'incrocio è dominato dal Palazzo dei Diamanti e dai Palazzi rossettiani Turchi-Di Bagno e Prosperi-Sacrati.
Visita virtuale al Castello estense di Ferrara: veduta della “via Coperta” dal rivellino sud

Trasformazione virtuale nel corso dei secoli del castello estense a Ferrara


LA PROVINCIA. La provincia di Ferrara (350.207 ab.; 2.632 kmq) occupa tutto il settore nord-orientale della regione, una grande e fertile pianura limitata a Nord dal Po e a Sud dal Reno che la separa dalla Romagna. Il territorio, di origine alluvionale, è tuttora in evoluzione, condizionato da alterni fenomeni di abbassamento e sollevamento del livello del mare, soggetto nel tempo agli eventi naturali concernenti il Po e il Reno. Si distinguono, a Ovest, le terre vecchie, emerse in epoca remota, a Est le terre nuove conquistate dalle bonifiche; prime furono quelle degli Estensi che vennero continuate nei secoli XIX e XX. Oggi la provincia ferrarese conserva un patrimonio ambientale di straordinario rilievo ricompreso nel Parco regionale del Delta del Po.
L'economia della provincia può tuttora contare sull'agricoltura (ortofrutta, cereali, barbabietola da zucchero, vite) e sull'allevamento di bovini e suini. Le industrie sono in parte votate alla trasformazione alimentare (zuccherifici, salumifici, industrie molitorie, conserviere, casearie); altre industrie importanti sono quelle petrolchimiche, meccaniche, edilizie, tessile-abbigliamento. Fra le altre risorse ricordiamo la pesca (famoso l'allevamento delle anguille) e il turismo. Centri principali sono Argenta, Bondeno, Cento, Codigoro, Comacchio, Copparo, Portomaggiore.

Luoghi di interesse

Cattedrale
Voluta dal governo comunale (XII sec.), fu progettata in forme romaniche dallo scultore-architetto Nicolò. Tuttavia la facciata è romanica solo nella parte inferiore, mentre è gotica nella parte superiore. Di Nicolò sono ancora le sculture che ornano il portale centrale: nella lunetta S. Giorgio che uccide il drago, nell'architrave scene del Nuovo Testamento e negli stipiti figure di profeti. Il protiro è sormontato da una loggia a baldacchino che reca nella parte superiore un Giudizio universale, opera di grande efficacia plastica che richiama esempi del gotico francese (1300 ca.). Sul fondo si alza il campanile, opera incompiuta attribuita a Leon Battista Alberti (1442), composto da quattro prismi sovrapposti scanditi da doppi archi stretti dai pilastri angolari. Infine l'abside, recentemente restaurata, nitida architettura in laterizio di Biagio Rossetti del 1498.
Casa di Ludovico Ariosto
L’edificio è caratterizzato da un modulo quadrato, nel rispetto di puntali proporzioni matematiche tra spazi interni ed esterni. Concepito come civile abitazione, il complesso si discosta tuttavia dai parametri tradizionali delle case ferraresi dell’epoca. Innovative paiono infatti le disposizioni dei camini (piano superiore) sul lato opposto al fronte strada; così come innovativo è lo spazio riservato all’ampia sala, a cui si accede mediante la scala di collegamento che unisce i piani e i locali abitativi. sulla facciata, scolpita su una lunga fascia di cotto a ornamento del muro di entrata, il Poeta mantiene l’iscrizione preesistente, il distico dettato da Dionigi dell’Aquila per Bartolomeo Cavalieri: "Parva, sed apta mihi, sed nulli obnoxia, sed non / sordida, parta meo, sed tamen aere domus" (La casa è piccola ma adatta a me, pulita, non gravata da canoni e acquistata solo con il mio denaro). Le sale al piano nobile propongono, grazie ad un all’allestimento curato dai Musei Civici di Arte Antica, una ricostruzione storico evocativa dell’assetto realizzato in occasione delle Celebrazioni per i Centenari Ariosteschi del 1875 e del 1933, attraverso cimeli e pregevoli edizioni delle opere del Poeta.
Palazzo Schifanoia
Il palazzo fu eretto nel 1385 per volere di Alberto V d'Este. Costituisce l'unico esempio ancora oggi esistente di dimora destinata alla rappresentanza e allo svago, un tempo denominata "delizia": il termine "schifanoia" deriva infatti da "Schifar" ovvero "Schivar la noia", allontanare il tedio dei pressanti impegni richiesti dal Governo. L'edificio, costruito ad un solo piano, venne ampliato nel 1391 e largamente ristrutturato sotto la signoria di Borso d'Este (1451-71) che nel 1465 ordinò all'architetto Pietro Benvenuti degli Ordini di sopraelevare il fabbricato con un piano nobile che servisse da appartamento ducale dotato di un salone di rappresentanza: il Salone dei Mesi. Tra il 1469 e il 1470, i maestri dell’officina ferrarese, al servizio di Borso d’Este, realizzarono l’intero ciclo degli affreschi a carattere pagano che decora le pareti del Salone dei Mesi. A Cosmè Tura si devono i cartoni preparatori, a Francesco del Cossa ed a Ercole dè Roberti il grande calendario affrescato. Il ciclo degli affreschi era stato commissionato in previsione dell’investitura di Borso d’Este a Duca di Ferrara, garante di pace e di stabilità dei dominii estensi. Il complesso programma iconografico fu redatto da Pellegrino Prisciano, che attinse da varie fonti, nella volontà di dimostrare un’ampia cultura in tempi in cui la "passione" filologica riportava alla luce numerosi testi antichi, studiati accanto alla produzione medievale e umanistica. Negli episodi della vita di corte dove compare il Duca in persona, deve aver utilizzato la vasta lettura economistica fiorita in quegli anni sotto la signoria di Borso e dal Duca stesso favorita e provocata. Nei primi decenni del XVIII secolo gli affreschi del Salone dei Mesi erano ancora visibili. Girolamo Baruffaldi, biografo degli artisti ferraresi, li cita e ne liscia un’ampia descrizione; già degradati e in parte perduti restavano sette dei dodici Mesi che componevano il ciclo , da Marzo a Settembre. Attualmente l'ala trecentesca dell'edificio ospita diverse collezioni donate nel tempo da personaggi illustri come il Cardinale Gian Maria Riminaldi. Ornata di un coronamento di merli dipinti, in origine la facciata dell'edificio era decorata con motivi geometrici. Contribuì alla valorizzazione della facciata l'imponete portale marmoreo, attribuito ora a Francesco del Cossa ora a Biagio Rossetti, sovrastato dal grande stemma estense e dall'Unicorno a ricordo delle bonifiche volute dal Duca. Aggiunto nel 1493, il cornicione in cotto oggi visibile in luoghi della merlatura, è ascritto a Biagio Rossetti. Sul finire del secolo nel 1493, Schifanoia subisce l'ultimo ampliamento ad opera di Biagio Rossetti che già aveva collaborato all'interno del cantiere con Pietro Benvenuto degli Ordini. Verso Oriente viene aggiunto al palazzo ancora un salone, prolungando la fronte di altri sette metri; la merlatura di coronamento viene eliminata e sostituita con un cornicione in cotto, che nelle metope presenta a rilievo l'impresa del diamante, simbolo del duca Ercole I d'Este. Dopo più di un secolo, Schifanoia è finalmente concluso. Dalla partenza degli Estensi nel 1598 inizia la decadenza del palazzo che passa a un ramo cadetto e attraverso Marfisa d'Este va in eredità ai Cybo, duchi di Massa e Carrara. Nel 1703 Schifanoia è ceduto in livello perpetuo alla famiglia Tassoni e vengono demolite la loggia e la scala d'onore sul giardino. I Tassoni subaffittano parte dell'edificio a una manifattura di tabacco e gli affreschi vengono ricoperti da intonaci bianchi. Con la conquista napoleonica di Ferrara il palazzo viene confiscato e passa al cittadino Giacomo Mayol. La riscoperta degli affreschi iniziò nel 1821 e fu dovuta in gran parte alla curiosità e caparbietà di Giuseppe Saroli, restauratore e pittore. Questi ebbero un totale impatto sulla città da indurre il comune a intervenire per recuperare gli affreschi e il Palazzo. Nella seduta del Consiglio comunale del 6 Novembre 1897 fu approvato il progetto per l'ampliamento della Biblioteca e per l'adattamento dei locali di Palazzo Schifanoia al fine di trasferirvi il museo civico. Il 20 Novembre 1898 venne solennemente inaugurato il Civico Museo Schifanoia alla presenza delle autorità.
Palazzo Costabili
Iniziato nel 1500 per volere di Antonio Costabili, ambasciatore estense alla corte di Ludovico il Moro, il Palazzo, opera significativa di Biagio Rossetti, è rimasto incompiuto. Notevole è la decorazione marmorea delle paraste e dei gradini dello scalone del cortile d'onore, che fu affidata a Gabriele Frisoni. Della primitiva decorazione pittorica, cancellata da interventi settecenteschi a loro volta distrutti, resta testimonianza in alcune sale affrescate nel sec. XVI dal Garofalo. Si segnala in particolare il sontuoso soffitto della cosiddetta "Sala del Tesoro", di influenza mantegnesca. L'edificio, acquistato dallo Stato nel 1920, divenne nel 1935 sede del Museo Archeologico Nazionale. Contiene i reperti della città greco-etrusca di Spina, la cui importanza, come emporio commerciale e punto d'incontro delle civiltà greca ed etrusca, è testimoniata dalla presenza di molti oggetti di varia provenienza, alcuni dei quali di altissima fattura. I reperti coprono un arco di tempo compreso dagli ultimi decenni del VI sec. a.C. sino alla metà del III sec. d.C.
Palazzo dei Diamanti
Il Palazzo dei Diamanti fu eretto da Sigismondo d'Este su progetto di Rossetti (1503) e ultimato più tardi. Il nome gli deriva dal rivestimento di bugne a punta che lo ricopre interamente. La diversa inclinazione delle bugne, rivolte verso il basso nel basamento, normali nel primo piano, verso l'alto nella fascia superiore, consente alle superfici di raccogliere il massimo della luce e conferisce una vibrata luminosità all'intero edificio, temperata dalle eleganti candelabre angolari e dal balconcino angolare. Il palazzo è sede della Pinacoteca Nazionale, che raccoglie soprattutto opere di artisti ferraresi, tra cui Cosmè Tura, il Garofalo, Dosso Dossi, il Bastianino.

Forlì

(107.461 ab.) Situata sulla destra del fiume Montone, la città romagnola possiede ancora pregevoli testimonianze del suo passato, tuttavia pesanti interventi urbanistici eseguiti sia nel periodo fascista che nel dopoguerra hanno in parte snaturato la fisionomia del centro storico. Forlì è un attivo centro commerciale e amministrativo, agricolo (ortofrutticoli, vino, cereali, barbabietole da zucchero) e industriale (industrie conserviere, zuccherifici, caseifici, industrie metalmeccaniche, chimiche).
STORIA. Di origine romana (Forum Livii, sec. III-II a.C.), l'insediamento urbano si era sviluppato nella parte occidentale dell'attuale città. Alla caduta dell'Impero Romano Forlì venne saccheggiata dai barbari di Alarico. Durante la dominazione bizantina appartenne all'esarcato di Ravenna. Acquistò autonomia comunale nel 1058; durante questo periodo la città si espanse verso Est (XII sec.) inglobando l'abbazia di S. Mercuriale; nel secolo successivo saranno edificate in successione due cinte murarie concentriche che dilateranno l'area urbana fino a quello che sarà il limite delle mura quattrocentesche, coincidente con gli odierni viali di circonvallazione. Nel 1315 Forlì divenne signoria sotto gli Ordelaffi i quali nell'ultima fase, con Pino III, promossero un rinnovamento nel tessuto urbano, del quale però restano solo testimonianze frammentarie (nessuna del grande pittore Melozzo da Forlì). Nel 1480 Girolamo Riario, nipote di papa Sisto IV, ottenne la signoria di Forlì, ma dovette arrendersi al duca Valentino, Cesare Borgia. Nel 1504 la città passò sotto il diretto dominio pontificio con papa Giulio II. Durante le guerre e la dominazione napoleonica fece parte della Repubblica Cisalpina e del Regno Italico. Dopo il Congresso di Vienna ritornò allo Stato Pontificio sotto cui rimase fino al 1860, quando entrò nel Regno d'Italia. Forlì conobbe una vivace stagione risorgimentale, di cui furono protagonisti i patrioti forlivesi Piero Maroncelli e Aurelio Saffi. Nel periodo fascista, considerata "città del Duce" (Mussolini era nato nel vicino paese di Predappio), subì massicce inserzioni e demolizioni nel suo assetto monumentale.
ARTE. La chiesa romanica di S. Mercuriale è il monumento più rappresentativo della città. La basilica-abbazia, consacrata al primo vescovo forlivese, sorge sull'area di un antichissimo luogo di culto dedicato a S. Stefano (IV-V sec.), in seguito diventato monastero benedettino. La chiesa risale agli ultimi decenni del XII secolo, ma fu variamente alterata e rifatta tra Cinque e Settecento, specie nella facciata; venne infine restaurata in due riprese nel corso del Novecento. La lunetta del portale maggiore è decorata con un altorilievo di scuola antelamica (1230), raffigurante il Sogno e Adorazione dei Magi, attribuito all'autore delle formelle dei Mesi del Duomo di Ferrara. A destra della chiesa è il chiostro cinquecentesco dell'antico monastero benedettino. L'imponente mole quadrangolare del campanile romanico cuspidato (1180) domina dall'alto dei suoi 75 m la centrale piazza Aurelio Saffi. Centro della vita cittadina, la piazza presenta un aspetto prevalentemente moderno a causa dei pesanti interventi realizzati durante il fascismo. Sulla piazza prospettano il Palazzo del Podestà (1460), con arcate adorne di terrecotte lavorate, mentre il resto della facciata è un rifacimento del 1928, e il Palazzo del Municipio, edificio del XIV secolo più volte ricostruito, con facciata in stile neo-classico (1818-26); dietro si alza la torre civica, crollata per eventi bellici e ricostruita (1976) sulle fattezze originarie (XV e XIX sec.).
Meritano attenzione oltre al Duomo, quasi totalmente ricostruito in forme neoclassiche nel 1841 (all'interno affresco dell'Assunzione, capolavoro di Carlo Cignali, 1702-1706), la chiesa del Suffragio, a pianta ellittica, del Carmine, di Sant'Antonio Abate in Ravaldino, tutte appartenenti alla grande stagione del barocco forlivese, che ebbe nella figura dell'architetto fra' Giuseppe Merenda il suo rappresentante più insigne. La più rilevante testimonianza cittadina di architettura rinascimentale è l'ex oratorio di S. Sebastiano (Pace di Maso dei Bombace, 1500 ca), cui non sembra estraneo l'apporto di Melozzo da Forlì; è a croce greca, preceduto da nartece; nell'interno, pregevoli ornamentazioni plastiche sottolineano gli elementi strutturali.
Esempi di architettura civile sono il grande Palazzo Gaddi, bell'esempio di dimora nobiliare settecentesca ora sede di alcune collezioni civiche; il grandioso Palazzo Paolucci Piazza (XVII sec.), progettato su modello del palazzo pontificio lateranense romano, oggi sede della Prefettura.
La Rocca di Ravaldino, celebre per la strenua resistenza al Valentino (1500), è una poderosa fortificazione a torrioni circolari e con maschio quadrato, progettata da Giorgio Marchesi Fiorentino (1471); l'adiacente cittadella fu aggiunta da Girolamo Riario.
Il Palazzo dell'Ospedale Vecchio è sede degli Istituti Artistici e Culturali della città di Forlì, tra i quali il Museo etnografico romagnolo, con notevoli ricostruzioni ambientali; il Museo archeologico, con reperti provenienti dal territorio forlivese, dall'età villanoviana a quella romana; la Pinacoteca, che accoglie in particolare opere di scuola romagnola dal 1400 al 1700 e significative testimonianze della scultura a Forlì (Ebe del Canova, 1817) nonché opere di Guido Cagnacci, del Guercino e un settore dedicato a Marco Palmezzano. Del famoso pittore Melozzo, nato a Forlì nel 1438, nulla rimane in patria: il ciclo di affreschi da lui eseguito nella Cappella Feo in San Biagio è stato infatti distrutto durante la seconda guerra mondiale.
LA PROVINCIA La provincia di Forlì-Cesena (352.477 ab.; 2.377 kmq) comprende la parte meridionale della Romagna e si estende dall'Appennino al mare Adriatico su un territorio in parte montuoso e collinare, in parte pianeggiante. Prodotti dell'agricoltura sono barbabietole da zucchero, viti, prodotti ortofrutticoli. Industrie metalmeccaniche, della lavorazione dei prodotti ortofrutticoli, dell'abbigliamento, tessili e delle calzature. Molto importante è l'industria turistico-alberghiera sviluppatasi sul litorale adriatico.
Veduta aerea del centro di Forlì, con la chiesa di S. Mercuriale


Luoghi di interesse

Rocca di Ravaldino
Possente costruzione a torrioni circolari e con maschio quadrato, progettata da Giorgio Marchesi Fiorentino è famosa per la strenua resistenza al Valentino. Fu costruita prima la Rocca, poi, nel 1481, su commissione del nuovo signore di Forlì, Girolamo Riario, e sempre ad opera di Giorgio Marchesi Fiorentino, la Cittadella. Furono anche aggiunti sui due lati esterni della Cittadella, il rivellino di Cotogni (con avanzi ancora visibili) e il rivellino di Cesena. Rivellini, Cittadella e Rocca erano tutti corpi separati, circondati da un complicato sistema di fossati e ponti levatoi. Nel 1496 Caterina Sforza, vedova del Riario e reggente in nome del figlio Ottaviano, costruì un terzo rivellino, davanti alla Rocca, e una palazzina sulle rovine dell'antico forte trecentesco. Il complesso, ritenuto a quei tempi imprendibile, fu giudicato, invece, da Niccolò Machiavelli, che l'aveva osservato nell'estate del 1499, troppo articolato e quindi estremamente vulnerabile. Cinta d'assedio nel dicembre 1499 da parte di Cesare Borgia, la Rocca di Ravaldino cadde il 12 gennaio 1500, e Caterina Sforza fu condotta a Roma prigioniera. Il rapido sviluppo delle artiglierie determinò il declassamento delle fortificazioni forlivesi a carcere, funzione durata fino alla fine del secolo scorso, quando all'interno della Cittadella vennero costruite le attuali prigioni. E' stata recentemente restaurata anche attraverso la ricostruzione delle coperture di due torrioni e del maschio. Quest'ultimo, che si erge al centro della cortina Est, è costituito da tre sale sovrapposte; in quella superiore si trova la bocca di un pozzo a rasoio, che scende fino al livello del cortile interno. Nel maschio si trova anche una singolare scala a chiocciola in pietra, senza perno centrale, i cui 67 scalini si sostengono per sovrapposizione. La scala non è accessibile al pubblico. Nel lato Sud della rocca è ancora visibile un grande stemma dei Borgia.

Modena

(176.972 ab.) Situata nella Pianura Padana fra i fiumi Secchia e Panaro, Modena è città di forti tradizioni civili e culturali (università di antica tradizione) oltre che un centro commerciale e industriale tra i principali della regione. Comunemente nota per le sue tradizioni gastronomiche e per il mito delle automobili Ferrari, Modena è una realtà storico-artistica articolata e complessa; conserva un tessuto urbano omogeneo, ancora in gran parte integro nella sua duplice fisionomia medioevale e tardo-rinascimentale, ed importantissimi musei, archivi e biblioteche.
STORIA. Modena, il cui antico nome, Mùtina, sembra di derivazione etrusca, venne fondata in una posizione dominante le vie d'accesso ai principali passi appenninici. Abitata nel III secolo a.C. dai Galli boi, divenne dal 218 a.C. una piazzaforte romana. Il processo di urbanizzazione si consolidò con la costruzione della Via Emilia (187 a.C.) e con il trasferimento di 2.000 coloni romani (183 a.C.). Ricordata da Cicerone come città "floridissima", si estendeva su un'area quadrangolare, spostata verso Est rispetto all'attuale centro cittadino. Nel 43 a.C. vi si svolse la guerra di Modena, episodio della lotta civile tra il Senato romano, Antonio e Ottaviano, che portò al secondo triumvirato. L'antica Modena iniziò a decadere a causa delle invasioni barbariche e delle inondazioni (V e VI sec.) che resero la zona completamente paludosa, costringendo gli abitanti ad abbandonare la città. Essa in seguito risorse attorno alla sede episcopale, insediata sulla Via Emilia, a Ovest della città romana distrutta (VII sec.). La presenza di una rete di corsi d'acqua favorì lo sviluppo di attività artigianali e commerciali; nel IX secolo fu eretta una prima cerchia di mura. Nel X secolo, sotto il governo della famiglia degli Attoni, Modena si ripopolò e alla morte dell'ultima discendente degli Attoni, Matilde di Canossa (1115), proclamò il Comune. Nel 1099 era iniziata la costruzione del Duomo, eloquente segno di un'affermata autonomia e di una considerevole potenzialità economica. Il periodo comunale fu particolarmente felice, ma la situazione si deteriorò con il perdurare di lotte interne fra Guelfi e Ghibellini, sedate solo dalla dedizione a Obizzo II d'Este (1289) sotto la cui signoria venne costruito il castello, lungo il limite settentrionale delle mura. Dopo una brevissima ripresa dell'autonomia comunale, Modena passò sotto il governo di Passerino Bonacolsi, signore di Mantova, che iniziò la costruzione di una più ampia cerchia difensiva, ultimata nel 1380. Gli Estensi, tornati al governo della città nel 1336, favorirono lo sviluppo culturale ed artistico della città: essa fu ampliata verso Nord secondo il modello ferrarese (Ercole II d'Este, 1546), con le strade disposte a scacchiera, e fu cinta con una nuova cerchia di mura a bastioni. Dopo il passaggio di Ferrara allo Stato pontificio (1598), Modena divenne la capitale del ducato estense e lo rimase, salvo un breve periodo, sino al 1796. Questo lungo periodo fu caratterizzato da un rinnovamento architettonico che lungo il Seicento coinvolse gran parte della città; fu rinnovata l'edilizia religiosa e civile con la costruzione, per esempio, del Palazzo ducale e della cittadella militare. Nel Settecento, in particolare per iniziativa di Francesco III, si cercò di conferire alla città quell'aspetto rappresentativo tipico delle capitali europee. Occupata dai Francesi nel 1796, durante il periodo napoleonico Modena fece parte del Regno Italico. Dopo la Restaurazione, ritornata sotto la dinastia austro-estense, la città fu ancora oggetto di interventi urbanistici di rilievo: i bastioni vennero adattati a pubblico passeggio alberato e vennero rinnovati molti edifici che vi prospettavano. Modena partecipò ai moti risorgimentali del 1831 - vi scoppiò la congiura, fallita, di Ciro Menotti - e del 1848. Nel 1859, dopo la proclamazione di un Governo provvisorio, venne annessa per plebiscito al Regno d'Italia. Fra il 1882 e il 1912 le mura furono demolite e sostituite da una circonvallazione alberata, che nel tratto Sud separa la città antica da quella moderna. Gli sventramenti nel centro storico si limitarono all'apertura di due piazze, Mazzini (1903) e Matteotti (1936). Dopo il 1960 si è accentuata l'espansione della città, con un incremento della popolazione del 30% e una progressiva urbanizzazione dell'area compresa fra la statale Via Emilia e l'autostrada.
ARTE. Il centro della città medioevale, tuttora punto più vitale della città, è Piazza Grande, dove si affacciano le sedi del potere civile e religioso, interamente dominata dal lato Sud del Duomo. Nell'angolo nord-orientale della piazza è collocata la pietra ringadora, un masso di marmo rosso collocato impiegato in passato come pulpito e pietra del vituperio. Il Palazzo comunale è costituito da un insieme di edifici eretti fra l'XI e il XV secolo, rimaneggiati e unificati da un paramento porticato seicentesco. Al primo piano, in una saletta è collocata la celebre secchia rapita dai modenesi ai rivali di Bologna e immortalata nel famoso poema eroicomico "La secchia rapita" di Alessandro Tassoni (1622).
Il Duomo di Modena rappresenta una delle più alte creazioni dell'architettura romanica in Italia, ed è considerato una vera struttura muraria "vivente" per la folla di figure scultoree che lo adornano.
Altre importanti chiese modenesi sono: Sant'Agostino, del XIV sec., con interno barocco; San Pietro (1476); San Francesco (XIII sec.) e San Vincenzo (XVIII sec.).
Nella parte della città maggiormente segnata dagli interventi estensi si apre corso Canal Grande, la strada di rappresentanza della Modena capitale, in fondo alla quale sorge il Palazzo ducale. Questo poderoso edificio quadrilatero, per grandezza e armonia di forme degno di una capitale europea, fu iniziato su progetto di Bartolomeo Avanzini nel 1634 e terminato alla metà dell'Ottocento.
Assoluta rilevanza artistica e culturale hanno le istituzioni museali della città, concentrate nel Palazzo dei Musei, imponente edificio neomanieristico, già arsenale militare, poi ristrutturato come Albergo dei Poveri. Le diverse raccolte integrano le grandi collezioni lasciate dalla dinastia estense con le raccolte civiche e ad altre collezioni private; esse sono: il Museo Lapidario Estense, la Civica Biblioteca di Storia dell'Arte Luigi Polettì, l'Archivio storico comunale, la Biblioteca Estense e Universitaria, i Musei Civici, la Galleria Estense.
Collocato nel cortile del palazzo, il Museo lapidario Estense comprende materiali di epoca romana, medievale e rinascimentale, tutti provenienti dal territorio modenese.
La Biblioteca Estense, già biblioteca ducale, aperta al pubblico nel 1767, è una delle più importanti d'Italia e vanta una ricchissima raccolta di volumi, manoscritti e preziosi incunaboli; una mostra permanente espone preziosissimi codici miniati tra cui la celebre Bibbia di Borso d'Este, di 1.200 pagine, in due volumi, con miniature di Taddeo Crivelli (1455-61).
Nati nel 1871 per iniziativa dello storico e archeologo Carlo Boni, i Musei civici comprendono il Museo civico di Storia e Arte medioevale e moderna e il Museo civico archeologico etnologico. Il primo, tipico esempio di museo di matrice positivistica, raccoglie materiali di natura eterogenea, in gran parte frutto del collezionismo aristocratico modenese e quasi totalmente provenienti dall'ambito artistico e artigianale locale. Il secondo mostra serie di reperti dal Paleolitico all'epoca altomedioevale, provenienti dal territorio modenese; di grande interesse i nuclei di oggetti dell'Età del Bronzo di area terramaricola (1500-1100 a.C.). La sezione etnologica comprende collezioni di oggetti provenienti soprattutto dalla Nuova Guinea, dal Perù precolombiano e dall'Amazzonia.
La Galleria Estense è una delle più importanti pinacoteche italiane, che raccoglie dipinti, sculture, disegni, medaglie e altri oggetti appartenuti alla Casa d'Este. Formatasi a Ferrara e trasferita a Modena nel 1598, subì in seguito dispersioni e diradamenti, massimo fra i quali la vendita di cento dei quadri più importanti ad Augusto III di Polonia (1746). La collezione rimane comunque altamente rappresentativa dell'arte emiliana e padana dal XV al XVIII secolo (Cosmè Tura, Dosso Dossi, Correggio, Guercino, Guido Reni), ma con importanti testimonianze pittoriche di altri ambiti italiani ed europei (Tintoretto, Joos van Cleve, El Greco, Velazquez).
Modena: il Palazzo comunale

LA PROVINCIA. La provincia di Modena (620.443 ab.; 2.689 kmq) si estende su un territorio morfologicamente vario comprendente l'Oltrepò, la Pianura Padana e l'Appennino Tosco-Emiliano. L'agricoltura continua a essere un supporto vitale per l'economia (produzione di frutta, verdura, cereali, foraggi, uva, allevamenti di bovini e suini). Numerose le industrie fra cui spiccano quelle dell'automobile (Ferrari, Maserati), quelle meccaniche e metalmeccaniche, alimentari, chimiche, delle ceramiche, poligrafiche, vinicole, maglifici, calzaturifici. Fra i centri principali ricordiamo Carpi, Castelfranco Emilia, Finale Emilia, Formigine, Mirandola, Nonántola, Pavullo nel Frignano, Sassuolo, Vignola.

Luoghi di interesse

Duomo
La fondazione dell'edificio attuale, costruito dall'architetto lombardo Lanfranco sul luogo di un'antica basilica (X sec. d.C.) luogo di sepoltura di S. Geminiano, risale al 1099. Ora la tomba di S. Geminiano, patrono della città, si trova nella cripta che, pur rimaneggiata, conserva l'aspetto originario. Il Duomo venne consacrato nel 1184, altri interventi eseguiti dalla fine del XII secolo sino al XIV sono opera dei maestri campionesi.
La facciata tripartita del Duomo evidenzia l'impianto basilicale a tre navate, tipico dell'architettura romanica. La sezione centrale, dove si apre il grande rosone gotico attribuito ai maestri campionesi (fine 1100/1300), termina con un alto timpano sormontato da due guglie cuspidate; nel portale Maggiore, con protiro sorretto da leoni di epoca romana, lo scultore Wiligelmo descrisse entro un "tralcio abitato" - la selva che è sinonimo del mondo - la lotta dell'uomo per la vita. Di Wiligelmo (citato in un'iscrizione posta sulla stessa facciata e prezioso collaboratore di Lanfranco) sono anche le formelle a bassorilievo raffiguranti Storie della Genesi poste ai lati del portale e sopra le porte laterali; in esse la scultura romanica raggiunge i massimi livelli di forza espressiva. Un loggiato con trifore racchiuse entro arcate percorre la facciata e tutti i lati della chiesa, conferendo armonia e plasticità a tutta la costruzione.
Sul lato che prospetta sulla Piazza Grande si aprono la Portadei Principi, con gli stipiti e l'archivolto a motivi vegetali, l'architrave con episodi della vita di S. Geminiano (tutti della scuola di Wiligelmo), e la PortaRegia in marmo rosa, eretta da Anselmo da Campione (1175 ca), con protiro a edicola sormontata da un leone romano. Sul lato sinistro si apre la Portadella Pescheria: negli stipiti raffigurazione dei mesi e dei mestieri; nell'archivolto un episodio del ciclo bretone di re Artù.
Unita alla chiesa da due archi a sesto acuto, svetta la torre campanaria (m 87), detta Ghirlandina per le due balconate che cerchiano la cuspide. I primi cinque piani sono attribuiti a Lanfranco, il sesto e la guglia ottagonale sono opera successiva di Anselmo da Campione (1319).
Visita virtuale all’interno del Duomo di Modena: veduta da sotto l’ambone

Visita virtuale al Duomo di Modena: veduta del lato sud

Visita virtuale al Duomo di Modena: veduta del lato delle absidi

Ricostruzione virtuale del Duomo di Modena secondo il progetto di Lanfranco con sovrapposizione virtuale dello stato attuale dell’edificio

Palazzo ducale
Sorto sul sito dell'antico castello, divenne il polo urbano alternativo al Duomo. La lunga e imponente facciata è a tre ordini di finestre, raggruppate a due a due, secondo un suggerimento di Francesco Borromini (1651); coronato da una balaustra adorna di statue, l'edificio presenta due torrioni alle estremità e un corpo centrale soprelevato. L'interno è sede dal 1862 dell'Accademia militare. Dal cortile a doppio ordine di logge, di impronta tardo-rinascimentale, si accede tramite uno scenografico scalone al piano superiore. Qui si trova il salone d'Onore, col soffitto affrescato da Marcantonio Franceschini (1696) e il prezioso gabinetto d'Oro, piccola stanza in stile rococò (1742).

Musei e Gallerie di Modena

Galleria Estense
La Galleria Estense venne trasferita dal Palazzo ducale, trasformata da reggia in Accademia Militare al Palazzo dei Musei. In realtà, il primo nucleo della Galleria Estense proveniva da Ferrara, capitale del Ducato Estense, abbandonata in tutta fretta dalla Corte nel 1598 al tempo della devoluzione della città al papato. Modena in quell' anno divenne la nuova sede ducale e nacque presto l'esigenza di trasformare il vecchio castello medioevale in un palazzo degno di ospitare i regnanti. La moderna costruzione del Palazzo ducale risale al 1634 per volontà del Duca Francesco I e su progetto dell' architetto romano Bartolomeo Avanzini. Per far questo si pensò di abbattere quasi radicalmente il vecchio Castello che sorgeva in quell' area fin dalla fine del 1200, sostituendolo con un Palazzo prestigioso di armoniche fattezze. Le raccolte Ducali Estensi passarono così, a partire dal 1598, da Ferrara a Modena e furono successivamente incrementate grazie alle numerose acquisizioni compiute dai diversi duchi succedutisi. Il mecenatismo perseguito dai sovrani fece si che già nella seconda metà del 1600 la quadreria dei Duchi d' Este fosse considerata una delle più prestigiose a livello europeo. Tale fama si conservò per ben due secoli, oltre quel 1746, anno nel quale Francesco III, per porre rimedio al dissesto finanziario del ducato, vendette ad Augusto III, re di Polonia ed elettore di Sassonia, cento tra i più bei dipinti della Galleria in cambio di centomila zecchini d'oro. Sotto il governo dei sovrani che seguirono la Galleria accrebbe il suo patrimonio pittorico con spoliazioni di chiese e con nuovi acquisti, ma la sorte infausta volle che, nel 1796, parte di queste ricchezze pittoriche lasciassero Modena per raggiungere la Francia come risarcimento bellico all'indomani delle campagne napoleoniche. Ripristinato dopo il Congresso di Vienna il governo ducale, nel 1854 la Galleria venne aperta al pubblico per volere del duca Francesco V, ultimo duca di Modena. Nel 1868, l' intera collezione venne legata alla città di Modena assieme alla Biblioteca e al Medagliere Estense costituendosi raccolta del moderno Stato unitario italiano.

Parma

(167.523 ab.). Situata sulla Via Emilia e divisa in due dal torrente omonimo, la città di Parma si trova in posizione mediana fra il Po e le ultime pendici appenniniche, al centro dell'Emilia "lombarda", in un punto da sempre crocevia e incontro del mondo padano con altre realtà, italiane e d'oltralpe. è un attivo centro agricolo-commerciale ed industriale. L'industria locale è legata all'agricoltura (industria alimentare, enologica, delle macchine agricole) e al patrimonio zootecnico (salumifici, ecc.), con la presenza di alcuni marchi di rinomanza internazionale. Altre attività importanti per l'economia della città sono le vetrerie, i profumi (la classica e famosissima violetta di Parma), i mobilifici, i calzaturifici, le industrie chimiche. Parma è anche città di grandi tradizioni culturali, legate ad un'università fondata nel XIII sec., ad un'illustre passato di capitale europea, ad un'attività musicale di primo piano. Ancora adesso la città mantiene vivo il ricordo delle sue tradizioni e conserva importantissimi monumenti e diverse istituzioni di prestigio, quali l'Università, il Teatro Regio, la Galleria nazionale, la Biblioteca Palatina, l'Istituto di Studi verdiani, il Conservatorio, l'Accademia di Belle Arti.
STORIA. Il ritrovamento di una necropoli e di resti di un villaggio testimoniano la presenza di insediamenti umani sin dall'Età del Bronzo (1500-1200 a.C.). Forse in seguito occupata dagli etruschi, dal IV sec. Parma fu un centro gallico; venne poi conquistata dai Romani assieme a Modena durante la campagna per la conquista della Gallia Cisalpina nel 183 a.C. Ben presto divenne colonia romana e, grazie alla sua posizione strategica e alla fertilità del territorio, divenne molto prospera. L'attuale pianta cittadina rivela ancora il tracciato del decumano e del cardine massimi, assi stradali ortogonali attorno ai quali si sviluppò il sistema viario cittadino.
Dopo la caduta dell'Impero romano la città subì dapprima la dominazione ostrogota e poi bizantina, durante la quale ricevette l'attributo di Chrysopolis (città d'oro), forse perché vi aveva sede l'erario imperiale. Nel 510 venne occupata dai Longobardi, che sviluppano il loro insediamento nella parte sud-orientale. Feudo imperiale per un periodo, passò quindi nelle mani dei vescovi (XI sec.): fra questi Cadalo, l'antipapa Onorio II eletto dal partito filo-imperiale, che iniziò la costruzione del Duomo, appena fuori dal limite della città romana. Tra l'XI e il XII secolo Parma si ampliò ben oltre il perimetro romano e, in seguito alla piena del 1179 che deviò verso Ovest il corso del Parma, si consolidò un insediamento al di là del torrente. La città prese progressivamente la caratteristica forma di fuso allungato sull'asse della Via Emilia e nuove mura racchiusero i successivi ampliamenti.
Nel XII secolo la città conquistò l'autonomia comunale, perdendola verso la seconda metà del Duecento, quando i Da Correggio divennero signori di Parma, presto soppiantati da altre dinastie nobiliari (Rossi, Della Scala, Este). Una certà stabilità venne raggiunta con il lungo dominio dei Visconti e poi degli Sforza (1346-1500). La signoria milanese continuò a favorire il progresso economico della città; in questo periodo venne ricostruita la cinta difensiva (1364) quasi in corrispondenza degli attuali viali di circonvallazione.
Dopo una fase di occupazione francese (1500-21), Parma fu ceduta allo Stato pontificio; nel 1545 papa Paolo III Farnese decise di unire Parma e Piacenza in un ducato per il figlio naturale Pier Luigi. Il lungo periodo farnesiano vide una generale riorganizzazione dello Stato oltre che la realizzazione di importanti interventi, fra i quali il parco e il Palazzo ducale, il gigantesco Palazzo della Pilotta col teatro interno, la cittadella militare, il potenziamento dell'Università.
Alla morte di Antonio Farnese, che non lasciava eredi, il ducato passò ai Borbone (1748) che, con l'amministrazione del francese Guglielmo Du Tillot (1759-71), promossero alcune riforme e diedero impulso alla vita economico-culturale della città. Negli stessi anni l'architetto lionese Ennemond Alexandre Petitot realizzerà alcuni edifici pubblici e lo Stradone (ora viale Martiri della Libertà), adibito a passeggio pubblico e degno di una grande città. è il periodo in cui a Parma prevalgono la cultura e il gusto francesi e tutto questo continua durante l'epoca napoleonica, con l'amministrazione del governatore Moreau de Saint-Méry.
Dopo la disfatta napoleonica il congresso di Vienna assegnò la città alla moglie di Napoleone, Maria Luigia d'Austria (1815-47), sovrana poi mitizzata, che promosse la realizzazione di strutture assistenziali e di importanti opere pubbliche, fra le quali il glorioso teatro. A Maria Luigia succedette Carlo Ludovico di Borbone (1847); incapace di fronteggiare la rivoluzione del 1848, egli abdicò a favore del figlio Carlo III, che venne ucciso nel 1854 per la sua politica reazionaria e intollerante. Gli successe il figlio, ancora bambino, Roberto I al cui posto governò la madre Maria Luisa di Borbone che continuò la politica autoritaria del marito. Nel 1859 Maria Luisa venne costretta a lasciare il ducato. L'annessione al Regno sabaudo avvenne l'anno successivo con un plebiscito. Con l'unità nazionale Parma regredì al ruolo di capoluogo di provincia e non subì particolari alterazioni architettoniche e urbanistiche, salvo l'abbattimento delle mura (1889-1912) e alcuni sventramenti, in parte favoriti dalle distruzioni belliche dell'ultimo conflitto mondiale.
ARTE. Città aristocratica e raffinata, Parma ha un'eccezionale importanza sotto il profilo artistico-culturale. La piazza del Duomo raccoglie due tra i monumenti più insigni del romanico in Italia. Il grandioso Duomo fu eretto nella seconda metà dell'XI secolo e in gran parte ricostruito fra il 1130 e il 1178. A fianco del Duomo si erge il magnifico Battistero ottagonale in marmo rosa e bianco, capolavoro dell'architetto e scultore Benedetto Anelami (1196-1216). Alle spalle del Duomo sorge la chiesa di S. Giovanni Evangelista dove il Parmigianino, originale interprete degli orientamenti manieristici dell'epoca, affrescò alcune cappelle e dove lavorò anche Correggio, autore dei notevolissimi Transito di San Giovanni (1520-1523) nella cupola e San Giovanni che scrive l'Apocalisse del transetto sinistro.
I luoghi dominati dal ricordo della Parma capitale si caratterizzano per gli edifici e gli spazi decisamente fuori scala e un po' separati dal resto della città. Famoso tempio della lirica, noto per il suo pubblico appassionato ed esigente, il Teatro Regio fu commissionato da Maria Luigia d'Austria ed eretto nel 1821-29 secondo il progetto di Nicola Bettoli.
Numerose sono le raccolte museali presenti tra le quali: il Museo Archeologico Nazionale, molto importante per i materiali preistorici provenienti da varie aree dell'Italia settentrionale e per i reperti provenienti dal centro romano di Velleia, posto tra Parma e Piacenza. Si segnalano in particolare la sezione delle terramare e palafitte dell'Emilia, con numerosi e interessanti reperti dell'Età del Bronzo, e la tabula alimentaria, la più estesa iscrizione in bronzo d'età romana che riporta i nomi dei velleiati beneficiari del prestito imperiale (II sec.).
Ospitata al piano superiore del Palazzo della Pilotta, la Galleria Nazionale possiede una splendida sezione dedicata al Correggio, al Parmigianino e alla pittura accademica e illuministica. Del Correggio sono gli affreschi dell'Annunciazione, dell'Incoronata e della Madonna della Scala; altri capolavori dello stesso, la Madonna della Scodella e la Madonna di S. Gerolamo. Del Parmigianino sono qui custoditi un autoritratto e il celebre dipinto La Schiava turca. Altre sezioni sono dedicate all'arte romanica, alla pittura toscana (XIV-XV sec.), alla scuola parmense ed emiliana dal XV al XVIII secolo; vi sono rappresentate anche la scuola fiamminga e quella genovese, nonchè il Settecento veneto, con G.B. Tiepolo, G.B. Piazzetta (Madonna della Concezione e angeli), Canaletto, Bernardo Bellotto, Sebastiano Ricci. Funge da ingresso l'eccezionale teatro Farnese, ideato da G.B. Aleotti (1618); con un'ampia platea e con un palcoscenico profondo dotato di scena mobile, rappresenta il primo esempio di teatro moderno; gravemente danneggiato durante l'ultima guerra, è stato ricostruito negli anni Cinquanta del XX secolo secondo disegni originali e con gli stessi materiali. Sullo stesso piano della Galleria è anche l'ingresso alla Biblioteca Palatina, una delle maggiori d'Italia, ricca di circa 700.000 volumi, oltre 6.000 manoscritti, numerosissimi autografi, incunaboli, incisioni e stampe e anche alcuni pregevolissimi codici miniati.
Un piccolo edificio nelle vicinanze del Palazzo della Pilotta ospita la Camera di S. Paolo, che faceva parte dell'appartamento delle badesse del monastero delle Benedettine di S. Paolo, ristrutturato nel 1514 per volontà della badessa Giovanna da Piacenza. Straordinaria è la camera affrescata dal Correggio (1519). Nelle sedici lunette a monocromo della volta compaiono figure mitologiche; nello spazio illusionistico della volta, da un grande pergolato a festoni di frutta occhieggiano putti con cani, strumenti e trofei di caccia; sul camino è raffigurata Diana sul carro. Il senso dell'allegoria venatoria rimanda alla figura della committente, impegnata a difendere l'autonornia del convento, a quel tempo vivace centro di cultura.
L'enorme area verde del Parco ducale si apre di là del torrente Parma, con i suoi 20 ettari fra le più grandi in Italia all'interno di un centro storico; sistemata a giardino all'italiana nel 1561, fu poi ridisegnata alla francese e disseminata di abbellimenti architettonici e scultorei da Jean-Baptiste Boudard e Pierre Constant (XVIII sec.). Sulla destra si erge il Palazzo ducale, progettato dal Vignola (1561-64) e poi ampliato e trasformato dall'architetto francese Petitot (1767). Lungo il margine sinistro del parco, il casino Sanvitale, compatta ed elegante architettura del primo Cinquecento.
LA PROVINCIA. La provincia di Parma (394.914 ab.; 3.449 kmq) occupa un territorio in parte collinare e in parte pianeggiante. Vi si pratica un'agricoltura avanzata e l'allevamento bovino e suino che alimenta l'industria casearia e dei salumi. Fra le altre industrie le principali sono quelle alimentari, chimiche e metalmeccaniche. Fra i centri principali ricordiamo Bedonia, Borgo Val di Taro, Busseto, Collecchio, Colorno, Fidenza, Fontanellato, Fornovo di Taro, Langhirano, Medesano, Noceto, Salsomaggiore.
Parma: il Palazzo del Governatore


Luoghi di interesse

Duomo
Dedicata all'Assunta, la Cattedrale è considerata una delle più alte espressioni di architettura romanico-padana. La maestosa facciata a capanna, in blocchi d'arenaria, è disegnata da tre ordini di loggette e da un protiro sorretto da colonne su leoni (aggiunto nel 1281). Sul lato destro si innalza il gotico campanile. L'interno, a croce latina, con presbiterio e transetti rialzati, ha le tre navate sorrette da pilastri polistili e cruciformi alternati; il quasi eccessivo carico decorativo che ricopre le volte e le pareti - tutti affreschi di scuola manieristica padana (1555-74) - sembra stornare l'attenzione dai bellissimi capitelli scolpiti a figure (pilastri e colonne dei matronei). Nella cupola, l'affresco dell'Assunzione della Vergine, capolavoro del Correggio (1526-30) mostra un vortice di nubi e beati avvolgere uno squarcio di cielo, con un effetto di illusionistica dilatazione. Nel transetto destro, alla parete, è collocata la Deposizione, mirabile rilievo di Benedetto Antelami (1180 ca.) che nella rigida struttura delle figure presentate in ritmate serie verticali risente della scultura provenzale.
Battistero
Il grande edificio di forma ottagonale in marmo di Verona, alleggerito da quattro ordini di logge aperte, è l'esempio del passaggio dell'arte romanica a quella gotica in Italia. Compiuto nel 1307, il Battistero, nella sua fusione di architettura e scultura, rappresenta una delle maggiori espressioni artistiche italiane. Importantissima la decorazione scultorea di Benedetto Antelami dei tre portali con rispettivi architravi e lunette, ricchi di riferimenti teologici e rappresentazioni simboliche tipiche dell'iconografia medioevale. Nella lunetta del portale della Vergine, scene dell'Adorazione dei Magi e dell'Annuncio a S. Giuseppe; nella ghiera, figure di profeti; nell'architrave, Battesimo di Cristo, Banchetto di Erode e Decapitazione del Battista; mirabili i rilievi degli stipiti: a sinistra l'albero di Giacobbe, a destra l'albero di Jesse, all'interno l'albero della vita. Il portale del Giudizio mostra, nella lunetta, il Redentore con angeli recanti i simboli della Passione; nell'architrave, la Resurrezione dei morti; nello stipite a sinistra, le Opere di misericordia; nel destro, la Parabola della vigna. Il portale della Vita è così detto per la rappresentazione allegorica della Parabola della vita.
Anche all'interno del Battistero la decorazione plastica è in massima parte di mano dell'Antelami; si segnalano in particolare le serie dei mesi e delle stagioni per la loro grande intensità psicologica; altre sculture antelamiche si trovano sopra i portali e sull'altare.
Teatro Regio
L'edificio, di severa architettura neoclassica, ha un fronte a portici su colonne ioniche. Il teatro venne inaugurato il 16 maggio 1829 con l'opera "Zaira", scritta da Vincenzo Bellini per l'occasione.
Colpisce la mole del Palazzo della Pilotta, così chiamato dal gioco della pelota praticato in uno dei cortili. L'immensa costruzione sorse a partire dal 1583 da un primo edificio porticato, innestato alla preesistente rocchetta viscontea; in seguito venne ampliato (1602-11) con altre ali che replicano la parte originaria utilizzata come modulo, ma non riuscì a raggiungere un assetto definitivo. Con l'estinzione dei Farnese venne spogliato delle raccolte artistiche (1734), ma presto riacquistò il suo ruolo di contenitore culturale ed ora ospita le maggiori raccolte cittadine: la Galleria Nazionale, che permette una conoscenza non superficiale dell'opera dei due grandi pittori locali Correggio e Parmigianino; il Museo Nazionale di Antichità; la Biblioteca Palatina, cui è annesso il Museo Bodoniano, dedicato al celebre tipografo e incisore G.B. Bodoni.
Casa natale Arturo Toscanini
In questa piccola casa, situata in una delle zone più popolari di "Parma vecchia", nacque il 25 marzo 1867 Arturo Toscanini. Qui visse il primo anno di vita, peraltro in coabitazione con altre due famiglie; oggi questo edificio, completamente ristrutturato, ospita il museo di memorie dedicato al Maestro. Prendendo spunto dall'organizzazione architettonica della casa, l'allestimento del percorso museale è articolato in stanze tematiche, dove si ripercorre la sua vita privata e professionale. Seguendo i link in basso a sinistra, è possibile visitare virtualmente l'edificio e i principali documenti in esso contenuti. Stanza per stanza, seguendo la planimetria o i link diretti alle singole stanze, riuscirete ad avere un'idea dei tesori qui custoditi; cliccando sulle parole in giallo sfoglierete le diverse foto disponibili. Monumento inserito nei circuiti del turismo musicale (e non solo) della città, la Casa natale oggi è luogo di incontro per studenti e appassionati di tutto il mondo.

Piacenza

(102.252 ab.). Situata sulla riva destra del Po e all'estremità della Via Emilia, Piacenza è una città di prevalente impronta lombarda, risultato della vicinanza geografica e storica con Milano. Porta dell'Emilia per chi vi giunge dal Piemonte, dalla Lombardia e dalla Liguria, Piacenza è chiusa dalla rete ferroviaria e autostradale che qui forma un importante nodo e separa la città dal suo fiume. è un importante mercato agricolo; fra le varie attività industriali ricordiamo le industrie chimiche, meccaniche, alimentari, tessili, dell'edilizia. Piacenza è una città ricca di emergenze artistiche, con un centro storico assai vasto, disseminato di numerosissimi e pregevoli palazzi, dei quali si ammirano in particolare gli scenografici scaloni e i raffinati serramenti in ferro battuto.
STORIA. Le origini di Piacenza si riconnettono alla sua posizione fra il Po, la Pianura Padana e gli Appennini: si è notato come questo punto coincida, per la navigazione di risalita fluviale, con l'avvistamento della catena appenninica, riferimento che può spiegare le ragioni di una fondazione. Distrutta dai Galli nel 200 a.C., Placentia fu ricostruita dai Romani che ne fecero la testa di ponte a controllo del guado per la Transpadana. Nel 187 a.C. fu raggiunta dalla Via Emilia e in seguito dalla Via Postumia, che collegava l'alto Tirreno (Genova) con l'alto Adriatico (Aquileia).
Devastata dai Goti di Totila nel 546, fu in seguito occupata da Bizantini, Longobardi e Franchi conquistando però una certa floridezza economica grazie ai commerci connessi alla navigazione fluviale. Nel 997 l'imperatore franco Ottone III concesse il dominio della città ed il titolo di conte al Vescovo Sigefredo. Nel 1130 fu costituito il Comune dei consoli, che partecipò attivamente alla Lega Lombarda contro Federico Barbarossa. Lo sviluppo commerciale, artigianale e finanziario della città produsse una crescita demografica che si manifestò in un'espansione urbana, principalmente lungo le direttrici della Val Trebbia (Genova) e della Via Emilia; due cinte murarie furono erette rispettivamente nel XII e nel XIII secolo.
Tuttavia, i violenti conflitti fra le grandi famiglie guelfe e ghibelline portarono alla signoria di Alberto Scotti (1290-1303) e successivamente alla signoria milanese dei Visconti e poi degli Sforza. Piacenza seguì la sorte del ducato di Milano, caduto in mano ai francesi nel 1499. Fu da questi ceduta allo Stato della Chiesa (1521) e papa Paolo III Farnese ne fece, insieme a Parma, un ducato per il figlio Pier Luigi (1545). Nel periodo pontificio vennero realizzati importanti interventi, quali il completamento delle mura rafforzate da bastioni angolari (1526-45), l'edificazione del castello nel settore Ovest (1547-48), l'apertura di una grande arteria (l'attuale stradone Farnese).
Come capitale designata del ducato, Piacenza avrebbe dovuto essere sede del Palazzo ducale che fu però solo iniziato; infatti, dopo l'uccisione di Pier Luigi Farnese (1547) per una congiura nobiliare, la capitale fu trasferita a Parma, mentre a Piacenza si andò rafforzando la classe aristocratica. Le famiglie patrizie, obbligate dai duchi Farnese a spostarsi dai castelli alla città, si diedero all'edificazione di numerosissimi sontuosi palazzi (nel 1748 ne sono individuati ben 123). A questo fervore d'iniziativa privata non corrisposero interventi pubblici e Piacenza, sempre più diversificata da Parma, rimase nell'assetto delineato nel Cinquecento.
Nel corso dei due secoli successivi la città assunse sempre più fisionomia e funzioni di piazzaforte militare, prima sotto l'Austria (durante la Restaurazione), poi come importante città di guarnigione nel nuovo Stato unitario. Per lungo tempo perdurò una situazione di ristagno economico e demografico, con pochi interventi di rilievo (corso Vittorio Emanuele, corso Cavour e nella zona della stazione); solo dal secondo dopoguerra Piacenza cominciò un nuovo sviluppo urbano.
ARTE. Nella parte centrale del centro storico Piacenza conserva la tipica struttura urbanistica a maglie ortogonali della città romana. Le strade sono per lo più strette, i connotati stilistici notevolmente omogenei, prevalentemente sette-ottocenteschi. Il fulcro della vita cittadina è l'elegante piazza dei Cavalli, così chiamata per le due bellissime statue equestri di Alessandro Farnese e del figlio Ranuccio, bronzi di Francesco Mochi (1620-25). Aperta nel XIII secolo, la piazza è dominata dal medievale Palazzo comunale, detto anche il Gotico, costruito a partire dal 1281 secondo il modello del broletto lombardo. è a due ordini: il profondo portico ad archi a sesto acuto e la parte superiore in laterizio, traforata da finestre polifore splendidamente decorate da ghiere in cotto.
Il Duomo si affaccia sulla quadrilatera piazza aperta nel 1594. Costruito in due fasi, fra il 1122 e il 1233, è di architettura assai complessa, dovuta all'innesto di elementi gotici su una struttura romanica. La facciata a capanna, alleggerita da una serie di loggette e da un rosone centrale trecentesco, si apre in tre portali ornati da sculture opera di maestranze locali influenzate da Wiligelmo (portale sinistro) e da Nicolò (centrale e destro). L'interno, a croce latina e a tre navate, esprime linee romaniche nei possenti pilastri cilindrici e il segno del gotico nell'alzata superiore e nelle volte. Gli spicchi della cupola sono affrescati dal Morazzone e dal Guercino (1625-27), autore anche delle Sibille nelle lunette sottostanti. Opere, inoltre, dei bolognesi Camillo Procaccini (attivo soprattutto a Milano) e Ludovico Carracci (1609).
La basilica di S. Antonino è uno tra i più antichi insediamenti religiosi sorti appena fuori del perimetro romano. Eretta nel IV secolo e cattedrale sino all'850, venne riedificata nella prima metà dell'XI secolo, rimaneggiata più volte e poi restaurata nel secolo scorso. Nella chiesa nel 1183 avvenne l'incontro tra Federico Barbarossa e i rappresentanti della Lega Lombarda allo scopo di avviare le trattative per la pace di Costanza.
S. Sisto, sorto come monastero benedettino nel IX secolo, fu completamente rifatto in epoca rinascimentale su progetto di Alessio Tramello (1499-11), profondamente influenzato da Bramante e da Biagio Rossetti. L'interno è impreziosito da affreschi e raffinate decorazioni. Nel presbiterio, splendido coro ligneo a tarsie del 1514; sul fondo, una copia sostituisce la celebre Madonna Sistina di Raffaello (ora a Dresda).
Edifici religiosi molto interessanti sono la basilica di S. Savino, dall'interno in stile romanico lombardo, con notevoli capitelli con motivi zoomorfi e fitomorfi, e il santuario della Madonna di Campagna (1528), dall'interno a croce greca splendidamente affrescato dal Pordenone e da Bernardino Gatti (1529-31).
Il gigantesco e incompiuto Palazzo Farnese, oggi sede museale, fu iniziato nel 1559 da Ottavio Farnese su progetto dell'urbinate Francesco Paciotto, venne proseguito da Jacopo Barozzi, detto il Vignola, architetto ufficiale di Casa Farnese; ma i duchi, residenti stabilmente a Parma, persero interesse per la fabbrica e i lavori furono interrotti (1602). Isolato nel contesto urbano circostante, l'edificio ha tre fronti in laterizio scanditi da comici in pietra; nella corte interna, dove il Vignola aveva previsto un teatro all'aperto, si eleva il maestoso loggiato a due ordini, con i raccordi angolari absidati. Al primo piano si apre la cappella ducale, a pianta ottagonale, elegante architettura di Bernardino Panizzari detto il Caramosino (1588 ca). Saldata al palazzo è la parte superstite della Cittadella viscontea (1373).
Tra le maggiori istituzioni culturali cittadine figura la Galleria d'Arte Moderna Ricci-Oddi, costituita dalla collezione donata da Giuseppe Ricci-Oddi nel 1924 e da successivi accrescimenti. Collocata in un edificio appositamente progettato dall'architetto Giulio Arata (1925-31), raccoglie circa 500 opere di pittura, scultura e grafica, in prevalenza di artisti italiani, che documentano in modo esemplare, secondo ambiti culturali regionali, la vicenda dell'arte figurativa in Italia dal Romanticismo al Novecento. Fra le tante, si segnalano le opere di Giovanni Fattori, Telemaco Signorini, Silvestro Lega, Giovanni Boldini, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Medardo Rosso; Giuseppe de Nittis, Carlo Carrà, Felice Casorati, Francesco Messina.
A 2,5 km dal centro, in direzione di Parma, sorge il collegio Alberoni, sede dell'omonima Galleria. Il complesso edilizio venne eretto nel 1751 per volere del cardinale Giulio Alberoni, già primo ministro di Filippo V di Spagna. Nell'appartamento del cardinale si trovano alcuni pregevoli dipinti, fra cui uno straordinario Ecce Homo di Antonello da Messina (firmato e datato 1473).
LA PROVINCIA. La provincia di Piacenza (266.279 ab.; 2.589 kmq) costituisce l'estremo limite occidentale dell'Emilia e si estende su un territorio compreso tra il Po e l'Appennino ligure. è per la maggior parte montuoso e collinare, con una parte pianeggiante e molto fertile. Risorsa principale è l'agricoltura (ortaggi, frutta, cereali, viti). Importante è anche l'allevamento del bestiame. Le industrie sono prevalentemente di trasformazione dei prodotti agricoli (caseifici, zuccherifici, salumifici), ma non mancano industrie meccaniche, tessili, chimiche, degli idrocarburi. Centri principali sono Bobbio, Borgonovo Val Tidone, Carpaneto Piacentino, Castel Sangiovanni, Cortemaggiore, Fiorenzuola d'Arda.
Il Palazzo del Comune a Piacenza


Ravenna

(138.122 ab.). Situata nella bassa pianura romagnola, poco distante dalla linea di costa, Ravenna è una città monumentale di fama internazionale. è un importante centro agricolo-commerciale e un attivo centro industriale. La scoperta, negli anni '50 del XX secolo, di giacimenti di metano ha alimentato lo sviluppo delle industrie chimiche e petrolchimiche. Fra le altre attività industriali ricordiamo le industrie del settore alimentare. Antica città di mare arenata nel sedimento dei suoi fiumi, Ravenna ha recuperato la funzione portuale attraverso l'ampliamento del porto-canale Corsini, attivo porto mercantile (esportazione di prodotti chimici ed importazione di petrolio grezzo). Importante risorsa è anche il turismo. Disseminato delle splendide testimonianze del passato, il tessuto urbano di Ravenna appare tuttavia disomogeneo e di qualità discontinua, con un centro storico circondato da una disordinata periferia.
STORIA. Antico porto di origine etrusca, punto d'incontro e di scambio fra la navigazione marittima e quella interna, Ravenna divenne colonia romana nel II secolo a.C. Augusto ne fece la sede della flotta ("classis") pretoria del Mediterraneo orientale allorchè, poco più a Sud, venne creato il porto di Classe per il ricovero e il rifornimento delle navi. La presenza della flotta produsse un incremento dei traffici e soprattutto dei legami culturali con l'Oriente, fenomeno che lascerà segni duraturi.
Nella crisi dell'Impero romano, pur risentendo della difficile situazione di decadenza economica e degrado politico, Ravenna fu capitale (402), scelta dall'imperatore Onorio perchè protetta dalle acque. Dopo la caduta dell'Impero, fu residenza di Odoacre e, dal 493, del re ostrogoto Teodorico, col quale visse un periodo di duplice identità, gota e romana, ariana e cattolica. La conquista bizantina (540) segnò l'inizio di un periodo di prestigio politico per la città, durante il quale fu arricchita degli splendidi edifici e apparati musivi. Ravenna divenne il centro principale dell'Esarcato, ovvero di quel territorio dell'Impero bizantino comprendente parte dell'Emilia-Romagna.
Passata ai Longobardi (751) e quindi ai Franchi (754), Ravenna fu da questi ultimi donata, con il suo territorio, a papa Stefano II. Né il principato vescovile, né le signorie dei Traversari (fine XII sec.-1240) e dei Da Polenta (1302-1441) lasciarono tracce rilevanti, però nel frattempo eventi naturali (deviazione del corso del Po a Nord e progressivo interramento del porto di Classe) avevano grandemente modificato l'assetto della costa e, di conseguenza, spostato altrove i traffici commerciali. Ravenna scivolò quindi in una posizione del tutto marginale e nel degrado, finiti i rapporti con l'Oriente e dovendo inoltre subire la concorrenza della crescente potenza di Venezia, che infine la sottomise nel 1441. Con il dominio veneziano, durato fino al 1509, si ebbe qualche intervento migliorativo, come il rinforzo delle fortificazioni e la pavimentazione delle strade.
Recuperata da papa Giulio II e riunita allo stato della Chiesa, la città non uscì dalla sua condizione di isolamento e di ristagno economico, anche se si compirono alcune opere importanti, quali la deviazione a Sud dei fiumi Ronco e Montone, unificati in un unico alveo (i Fiumi Uniti, 1736), l'apertura del porto-canale Corsini (da Lorenzo Corsini, papa Clemente XII, 1738) e la costruzione della strada lastricata per Forlì (1786).
Durante le campagne napoleoniche Ravenna fece parte delle Repubbliche Cispadana, Cisalpina, Italiana e del Regno Italico. Dopo il Congresso di Vienna ritornò a far parte dello Stato pontificio cui si ribellò nel 1859. Fu annessa al nuovo stato unitario nel 1860. Creati nuovi collegamenti ferroviari con Bologna, Ferrara e Rimini, potenziato il porto e intrapreso il restauro dei monumenti, la città iniziò un percorso di riqualificazione, ma solo nel secondo dopoguerra Ravenna conobbe una vera ripresa economica, legata alla scoperta di ingenti giacimenti di metano. La città diventò un importante polo portuale industriale, con uno scalo che è primo nell'Adriatico e secondo in Italia. Le conseguenze negative di questo repentino sviluppo si manifestano però in un notevole scadimento dell'area periurbana e nell'abbassamento dei suoli, causato dalla massiccia estrazione di gas e acqua per l'industria.
ARTE. Ravenna è una delle più notevoli mete turistiche d'Italia e del mondo, nel suo genere una città unica, di importanza fondamentale nella storia della civiltà europea nel V-VI sec. La fulgida stagione artistica ravennate si articola in tre fasi successive, storicamente coincidenti con il periodo finale dell'Impero d'Occidente, con il dominio ostrogoto e con la riconquista da parte dell'imperatore d'Oriente Giustiniano.
Il trasferimento della sede imperiale, per volere di Onorio, da Milano a Ravenna segna l'inizio di un'opera di abbellimento della città grazie soprattutto allo splendido mecenatismo di Galla Placidia, sorella di Onorio e lei stessa imperatrice in nome del figlio Valentiniano III. Del gruppo di monumenti fatti erigere da Galla Placidia fa parte il celebre Mausoleo a lei dedicato.
Altri edifici placidiani sono l'ex basilica di S. Croce, già unita da un nartece al Mausoleo, rifatta nel 1716, e la basilica di S. Giovanni Evangelista, chiesa votiva fatta erigere da Galla Placidia (426-34), quasi del tutto ricostruita dopo gli ingenti danni subiti nell'incursione aerea del 1944.
Risalente anch'esso alla prima metà del V secolo, il battistero Neoniano, più noto come battistero degli Ortodossi (per distinguerlo da quello degli Ariani) venne eretto dal vescovo Orso e poi completato dal vescovo Neone, dal quale prende il nome.
Di forma ottagonale, notevolmente interrato, il battistero degli Ariani reca all'interno anche una raffigurazione a mosaico del Battesimo di Cristo, in cui la nudità del Redentore è tipicamente ariana e la personificazione del Giordano è una reminiscenza iconografica classica.
Allo stesso periodo teodoriciano appartiene anche la chiesa di S. Apollinare Nuovo, fondata per il culto ariano da Teodorico tra il 493 e il 496; riconvertita al culto cattolico (560 ca.), viene più tardi dedicata a S. Apollinare, con l'appellativo "nuovo" per distinguerla da un'altra più antica.
Fuori dal recinto urbano si erge isolato il mausoleo di Teodorico, secolare ed enigmatico simbolo di Ravenna "città morta". L'edificio, eretto dal re ostrogoto poco dopo il 520, ripropone la struttura centrale dei sepolcreti romani con inedita potenza plastica.
Capolavoro della cultura artistica bizantina e simbolo della grandezza imperiale, la basilica di San Vitale fu consacrata nel 547, quando Giustiniano aveva scelto già da alcuni anni Ravenna come capitale dell'Esarcato.
Superato il ponte sui Fiumi Uniti inizia l'area archeologica di Classe: sono visibili le basi di una fontana pubblica, di due magazzini e di altri edifici dell'insediamento portuale bizantino (V-VI sec.) insistente su strutture romane. A tre chilometri sorge la basilica di S. Apollinare in Classe, la cui decorazione conclude la parabola della produzione musiva ravennate.
Tra gli altri monumenti cittadini ricordiamo il Duomo ricostruito in forme barocche (1734-43) sulla cattedrale paleocristiana purtroppo abbattuta, detta basilica Ursiana dal fondatore, il vescovo Orso (inizio V sec.); la Tomba di Dante, morto a Ravenna dove si trovava in esilio, ospite di Guido Novello Da Polenta; il tempietto neoclassico realizzato dall'architetto ravennate Camillo Morigia (1780) sostituì il precedente mausoleo di Pietro Lombardo (1483), del quale si sono fortunatamente conservati l'urna e il celebre bassorilievo raffigurante il poeta immerso nella lettura.
Notevoli le istituzioni museali. Il Museo Nazionale ha sede negli edifici conventuali dell'ex monastero benedettino di S. Vitale, collegato alla basilica. è un'importante raccolta di carattere archeologico e di arti applicate, il cui primo nucleo fu organizzato dall'erudito camaldolese Pietro Canneti agli inizi del Settecento e poi via via accresciuto principalmente dai reperti provenienti dagli scavi nel territorio ravennate.
Il Museo arcivescovile, collocato nello storico Episcopio ravennate, edificio di fondazione antichissima (prima del 396), raccoglie materiale prevalentemente lapideo proveniente dalla distrutta basilica Ursiana e altri pezzi di diversa origine. Il pezzo forte della collezione è la cattedra dell'arcivescovo Massimiano (VI sec.) in avorio scolpito.
Nella Pinacoteca comunale è ben documentata la pittura romagnola dal XIV al XVIII secolo; molto popolare la statua giacente di Guidarello Guidarelli, giovane cavaliere ucciso nel 1501, capolavoro di Tullio Lombardo (1525). La Pinacoteca è alloggiata nell'ex monastero dei Canonici Lateranensi, che su un lato mostra la cosiddetta Loggia Lombardesca, elegante struttura a due ordini di arcate sovrapposte, realizzata da mestri marmorari lombardi all'inizio del Cinquecento.
Visita virtuale all’interno della Cappella di Sant’Andrea, a Ravenna

LA PROVINCIA. La provincia di Ravenna (350.223 ab.; 1.859 kmq) è compresa fra le province di Forlì-Cesena, Ferrara, Bologna, l'Appennino Tosco-Emiliano e il mare Adriatico e si estende su un territorio per la maggior parte pianeggiante. La parte bassa della pianura è frutto di un secolare modellamento dovuto alla grande instabilità idrografica, faticosamente arginata da una lunga opera di bonifica idraulica, conclusa solamente nella prima metà del Novecento. Principale risorsa è l'agricoltura (produzione di barbabietole da zucchero, ortaggi, cereali, frutta, uva) che alimenta anche l'industria (zuccherifici, molini, oleifici). Molto importante l'industria turistico-alberghiera che si è sviluppata lungo il litorale romagnolo (Cervia, Milano Marittima). Fra i centri principali ricordiamo: Alfonsine, Bagnacavallo, Brisighella, Conselice, Faenza, Lugo.

Luoghi di interesse

Basilica di S. Vitale
La basilica di S. Vitale fu voluta da Ecclesio, che resse il vescovato di Ravenna all'incirca nel decennio tra il 522 e il 532. I lavori ebbero inizio negli anni successivi al 525. La fine dei lavori all'edificio varia dal 547 fino al 548, anno in cui il vescovo Massimiano la consacrò, come ricorda un'iscrizione nella chiesa. La pianta centrale richiama tanto l'architettura classica quanto quella coeva bizantina. Dai due corpi ottagonali concentrici sporgono il nartece e l'abside affiancata da due ambienti di servizio; in origine il monumentale nartece si allargava in un quadriportico, ora scomparso. Il rivestimento esterno è in laterizio, scandito da lesene; un portale marmoreo rinascimentale si apre sul lato Sud.
L'interno è di grande suggestione per la scansione spaziale e per la luce che, dalle finestre in alabastro, si diffonde variamente sui rivestimenti marmorei e musivi. L'ambiente è composto dal deambulatorio circolare che regge i matronei e dal vano centrale sottostante la cupola, dilatato da esedre aperte da due ordini di arcatelle. I bellissimi capitelli, sormontati da pulvini, recano rilievi a foglie di loto. La zona del presbiterio risplende dei celebri mosaici, con scene ancora intrise di naturalismo e realismo e tipiche figurazioni nello stile statico e solenne proprio dell'arte bizantina. Sull'arcone d'ingresso, incorniciati da medaglioni, i volti di Cristo, degli apostoli e dei santi Gervasio e Protasio; all'interno, sopra le trifore, Offerte di Abele e di Melchisedec, storie della vita di Mosè e Isaia (a destra), Ospitalità di Abramo, Sacrificio d'Isacco, Mosè che riceve le leggi e Geremia (a sinistra); nell'arcone absidale, le città di Gerusalemme e Betlemme, da cui si protendono due angeli. Alle pareti del presbiterio le due famose scene celebrative del potere imperiale orientale che, nonostante la stilizzazione formale, in alcuni volti rivelano penetrante realismo: Teodora con corteo di due ministri e sette matrone e Giustiniano col vescovo Massimiano e seguito di sacerdoti, funzionari e soldati; nel catino, il Redentore tra arcangeli che offre a S. Vitale la corona del martirio e riceve dal vescovo Ecclesio il modello della chiesa.
Visita virtuale all’interno della Basilica di San Vitale, a Ravenna

Basilica di S. Apollinare Nuovo
La basilica di S. Apollinare Nuovo fu eretta da Teodorico all'inizio del secolo VI, come chiesa palatina di culto ariano intitolata a Gesù Cristo. Nel 548 venne modificata in parte dal vescovo Agnallo che avvalendosi dell'editto di Giustiniano la riportò al culto cattolico. Il nome che la chiesa porta attualmente, invece, le venne dato quando, timorosi per il pericolo di un attacco da parte dei pirati, alcuni monaci benedettini di Classe trasportarono le spoglie del loro santo in questa chiesa. Purtroppo l'esterno della chiesa non mostra più oggi il suo antico aspetto. Il quadriportico, per esempio, fu sostituito verso il XVI secolo da un porticato di marmo greco, vennero fatti ritocchi alla facciata, ed anche l'abside subì dei cambiamenti. Al contrario, il campanile non ha subito variazioni: risalente al IX secolo è traforato da monofore, bifore e trifore che ne alleggeriscono la massa ed il volume man mano che si innalza. Sulle pareti della navata centrale corre una sontuosa decorazione musiva organizzata su tre fasce sovrapposte; quella più alta, di epoca teodoriciana, alterna a decorazioni simboliche episodi della vita di Cristo, espressi con uno stile narrativo aderente alla tradizione ellenistico-romana; nella fascia mediana, solenni e plastiche figure di santi e profeti; nell'inferiore, in gran parte del periodo bizantino, due lunghe teorie di martiri (a destra) e di vergini precedute dai Re Magi (a sinistra), rispettivamente rivolti a Cristo e alla Vergine, entrambi in trono fra angeli. Notevoli anche le raffigurazioni iniziali (teodoriciane) del Palazzo di Teodorico, del porto e città di Classe, con scene urbane del tutto schematiche e fantastiche.
Basilica di Sant'Apollinare in Classe
Fu edificata dal vescovo Ursicino (533-36) e consacrata dal vescovo Massimiano (549); il campanile cilindrico che la affianca, reso slanciato anche dal graduale allargarsi delle aperture, risale al X secolo. L'interno della chiesa è a tre navate, con file di colonne sormontate da raffinati capitelli a foglie d'acanto "girate dal vento". Il fulcro visivo e prospettico della basilica è nell'ampia conca absidale rivestita di mosaici, eseguiti di epoche diverse ma tutti di cultura bizantina, senza più alcun residuo naturalistico. Sull'arco trionfale, Cristo benedicente fra i simboli degli evangelisti (IX sec.), a cui tendono dodici agnelli (gli apostoli) fuoriuscenti dalle turrite città di Gerusalemme e Betlemme (VII sec.); sotto, due palme dorate (VII sec.); più in basso, gli arcangeli Michele e Gabriele (VI sec.), sovrapposti ai busti degli evangelisti Matteo e Luca (XII sec.). Nel catino, in alto, indicata dalla mano dell'Eterno, la rappresentazione simbolica della Trasfigurazione di Cristo sul Monte Tabor, in cui Cristo è la croce iscritta nel cerchio stellato, affiancata dalle figure di Mosè ed Elia; sotto, in un astratto paesaggio di rocce, alberi, fiori, arbusti e uccelli, si mostra la figura solenne di S. Apollinare orante tra dodici pecorelle, simboleggianti il gregge dei fedeli; fra le finestre, le figure dei vescovi Ursicino, Orso, Severo ed Ecclesio (VI sec.); più tarde sono le scene poste alle estremità: a destra, i Sacrifici di Abele, Melchisedec e Abramo; a sinistra, l'Imperatore Costantino IV che consegna i privilegi alla chiesa di Ravenna.
Ravenna : la chiesa di Sant'Apollinare in Classe

Visita virtuale all’interno della Basilica di Sant’Apollinare in Classe, a Ravenna

Battistero Neoniano
Cominciata verso la prima metà del V secolo e terminata completamente verso il 450 può essere considerata una delle più antiche costruzioni di Ravenna . A pianta ottagonale, appare interrato di tre metri rispetto all'attuale piano stradale. Al semplice e disadorno esterno in laterizi si contrappone lo spazio interno, illusionisticamente ampliato dai due ordini di arcate e arcatelle e dalla diversa intensità cromatica del manto decorativo. La ricca decorazione musiva della parte inferiore alterna tralci e iscrizioni con sontuose tarsie lapidee; sopra, tra le finestre, figure di profeti in stucco, inquadrati da classiche edicole. Come smaterializzata nei vividi colori intrisi di luce appare la ruotante sequenza degli apostoli nella cupola, che reca al centro il Battesimo di Cristo; qui si avverte già il passaggio dal naturalismo ellenistico-romano ai nuovi schemi astratti bizantini. Interessante a questo proposito è il confronto con gli stessi soggetti - gli Apostoli - raffigurati nei mosaici del battistero degli Ariani, datato alla prima metà del VI secolo, e appartenente ormai alla fase teodoriciana (inizio sec. VI).
Visita virtuale all’interno del Battistero Neoniano, a Ravenna

Battistero degli Ariani
Edificato alla fine del V secolo è ispirato al Battistero Neoniano: si noti, per esempio, nella aprte esterna la sporgenza di absidi nei lati alterni della costruzione ottagonale; nella parte interna la concezione generale dell'apparato decorativo. Non si deve però pensare ad nun'imitazione in quanto vi sono fra le due costruzioni enormi differenze prima fra tutte la presenza, originariamente, di un deambulatorio che correva lungo il perimetro esterno, interrompendosi soltanto in corrispondenza dell'abside orientale, di dimensioni maggiori delle altre, diversamente che nel battistero cattolico. Internamente lo spazio è disadorno, tranne la cupola: solo i mosaici della cupola sono stati conservati. Nel medaglione sommitale, incorniciato da una ghirlanda di alloro piuttosto stilizzata, la scena del battesimo di Cristo è trattata con grande scioltezza e fa posto ad alcune reminiscenze classiche. Il corpo di Cristo è l'asse portante dell'opera, qui raffigurato come un giovane glabro, aureoloato, immerso nelle acque. Il Battista, sta alla sua sinistra, coperto da una pelle di pantera annodata sulla spalla, alla quale si appoggia il lungo bastone ricurvo che sostituisce l'usuale croce astile. Da uno scoglio emergente dall'acqua del fiume, egli si china in avanti sporgendo la destra priva di attingitoio, che si limita a toccare i capelli del Cristo. L'acqua battesimale viene in realtà versata dal becco della Colomba che discende verticalmente dalla sommità del medaglione. Dietro questa stupefacente singolarità iconografica si celano certamente forti e determinate ragioni teologiche, che oggi tuttavia non riusciamo più ad afferrare. In posizione simmetrica ripsetto al battista si trova un vecchio barbuto, con lunghi capelli ricadenti sulle spalle, dai quali dietro al capo si alzano due chele di granchio, è seduto sulla riva davanti a un vaso capovolto dal quale defluisce l'acqua del fiume. Il vecchio ha il corpo nudo fino al bacino, le gambe coperte da un panneggio e tiene nella destra una canna palustre. La completa aderenza al tipo romano della divinità fluviale rende superflua la denominazione che compare invece sopra la personificazione del Giordano nel tondo del battistero neoniano. La fascia esterna della decorazione musiva contiene i dodici apostoli recanti la corona rituale, disposti in due file guidate rispettivamente da Pietro - con l'attributo della chiave - e da Paolo - con l'attributo del rotolo -, fermi ai lati di un trono vuoto con un cuscino di porpora ricamato, al quale è appoggiata una croce incrostata di gemme. Si riconoscono condensati in un unico partito decorativo gli stessi motivi iconografici che nel modello neoniano erano svolti in due fasce. D'altra parte, questi mosaici nei quali un albero di palma è intercalato alle figure degli apostoli, potrebbero forse essere confrontati con la Teoria dei martiri in S. Apollinare Nuovo.
Visita virtuale all’interno del Battistero degli Ariani, a Ravenna
Mausoleo di Galla Placidia
Costruito fra il 425 e il 450, il piccolo edificio a pianta cruciforme nasconde all'interno un incantevole rivestimento a mosaico che ricopre tutta la parte superiore e riproduce nella cupola semisferica un cielo notturno, creando un effetto di dilatazione dello spazio. Riflessa dalle tessere del mosaico, la luce - il mezzo espressivo più immateriale, metafora dello splendore divino - brilla come l'essenza stessa di quelle figurazioni simboliche, affioranti dal blu lapislazzuli dello sfondo. Nel tamburo campeggiano otto figure di apostoli, di solenne ieraticità; nelle volte a botte si alternano, con gusto tipicamente orientale, motivi floreali stilizzati ed elaborati girali di acanto; nella lunetta sull'entrata, la scena del Buon Pastore, di matrice ellenistica; di fronte, S. Lorenzo davanti alla graticola; nelle lunette laterali si fronteggiano due coppie di cervi alla fonte. A terra, tre sarcofagi marmorei, quello centrale è romano (creduto di Galla Placidia), i laterali risalgono al V e al VI secolo.
Visita virtuale all’interno del mausoleo di Galla Placidia, a Ravenna

Mausoleo di Teodorico
Nel luogo della necropoli dei Goti, il re Teoderico volle erigere il proprio mausoleo. Costruito nel 520, rimase però incompiuto nell'interno e in alcune parti dell'esterno; inoltre, alcuni elementi furono asportati, altri perduti e prorpio per questo motivo oggi alcuni tratti del mausoleo risultano di difficile interpretazione. Il mausoleo è formato da due ordini di prismi decagonali, formati di blocchi perfettamente squadrati di pietra d'Istria. La parte inferiore è più larga e ha su ciascun lato una nicchia voltata a tutto sesto, che nel lato a Ovest lascia il posto alla porta d'accesso alla camera inferiore, che ha pianta a croce ed è coperta da una volta a crociera. La parte superiore è, invece, più stretta e termina in alto con una doppia fascia circolare orlata superiormente con un motivo ornamentale detto "a tenaglie" ed è coperto da una cupola formata da un monolito con dodici anse sul bordo, nelle quali furono incisi i nomi di otto apostoli e degli evangelisti. Come sotto anche nella parte siperiore vi è una camera sepolcrale a forma circolare. Lo stato odierno del mausoleo ci impedisce di persumere come potesse essere la sua struttura precedentemente. Si pensa che un loggiato raccordasse la parte del corpo superiore sotto la fascia circolare, al perimetro del corpo inferiore. Tuttavia molti dettagli restano oscuri. Per esempio, il significato e la funzione delle dodici anse del monolito. Qualcuno ha fornito una soluzione abbastanza pratica spiegando la presenza di quei fori per fare passare le canape che avrebbero dovuto sollevare la mole del mausoleo di oltre trecento tonnellate. Per alcuni la struttura del mausoleo riprende quella di una tenda usata nelle regioni orientali dai Goti per cui le anse sarebbero una stilizzazione degli elementi strutturali della copertura che fuoriescono dal cielo della tenda, terminando a forma di grosso uncino. Analogamente, il fregio a tenaglia, riprodurrebbe un gancio in uso nelle tende d'Oriente, anziché essere un semplice motivo ornamentale analogo a quelli ritrovati anche su alcuni gioielli dei Goti.

Reggio Emilia

(141.482 ab.). La città di Reggio Emilia si trova lungo la Via Emilia fra Parma e Modena. è un importante mercato agricolo (cereali, uva, foraggi, frutta e verdura) e zootecnico (allevamento di bovini e suini). L'agricoltura alimenta industrie casearie, enologiche, conciarie, molitorie, a cui si affiancano industrie metalmeccaniche, chimiche, delle confezioni, dell'edilizia e dei materiali da costruzione.
STORIA. I primi insediamenti abitativi umani risalgono all'età neolitica e del Bronzo, come testimoniano i ritrovamenti archeologici negli immediati dintorni della città. Fondata nel 175 a.C. come luogo di sosta equidistante dalle due colonie di Modena e Parma, la città trasse il nome di Regium Lepidi dal console M. Emilio Lepido, cui si deve la realizzazione della Via Emilia. Fiorente centro commerciale, con le invasioni barbariche ebbe una crisi economica e demografica che la ridusse alla cittadella fortificata vescovile (IX sec.), corrispondente al nucleo centrale della città storica. Passò dai Bizantini ai Longobardi (568) e, alla fine dell'VIII secolo, ai Franchi che la trasformarono in contea. Verso la fine dell'XI secolo nacquero diversi nuovi borghi e insediamenti lungo la sponda sinistra del torrente Cròstolo, che anticamente scorreva accanto alla città.
Divenuta Comune agli inizi del XII secolo, partecipò alla Lega Lombarda contro Federico Barbarossa (1167). Una ritrovata prosperità economica produsse nuove opere urbane, prima fra tutte la costruzione, tra il 1199 e il 1314, di una poderosa cerchia di mura, modello tra i più significativi non solo dell'area emiliana: l'alveo del torrente fu spostato a Ovest, mentre l'impianto urbano venne ruotato di 45 gradi rispetto a quello romano, determinando la caratteristica forma esagonale che chiude tuttora il perimetro del centro storico. In seguito alle lotte fra Guelfi e Ghibellini il governo della città fu affidato a Obizzo d'Este la cui politica anticomunale venne continuata dal successore Azzo VIII. Nel 1331 Reggio venne conquistata da Ludovico il Bavaro e poi fu contesa da Gonzaga, Visconti ed Este, che la riconquistarono definitivamente nel 1409.
Il dominio estense, protrattosi fino al 1796 (solo interrotto dal 1512 al 1523 dall'occupazione da parte di papa Giulio II), portò un notevole benessere economico che arricchì la città di ragguardevoli edifici, di impronta prevalentemente ferrarese. Si sviluppò in questo periodo l'industria della seta, che raggiunse un primato e una notorietà europei. Nel 1570 fu realizzato l'intervento della Tagliata, cioè il completo abbattimento di tutto quanto si trovava nel raggio di 600 metri dalle mura. Tale drastico provvedimento bloccò ogni espansione urbana fino alla fine del XIX secolo. Per tutto il Seicento non vennero realizzate opere di rilievo, con l'eccezione del santuario della Beata Vergine della Ghiara (1597-1619), e l'economia restò legata alle strutture agricole e artigianali tradizionali.
Un lungo periodo di pace e l'avvio delle riforme dell'assolutismo illuminato determinarono l'inizio della ripresa, ma solo la caduta del governo estense e la proclamazione della Repubblica cispadana furono d'impulso a nuove prospettive. Proprio a Reggio si tenne il congresso che portò alla proclamazione della Repubblica Cispadana, con l'adozione del vessillo tricolore bianco, rosso e verde. Dopo la Restaurazione la città ritornò alla dinastia d'Austria-Este e partecipò attivamente ai moti risorgimentali del 1831, 1848 e del 1859. Nel 1860 venne annessa al nuovo stato unitario.
Con l'Ottocento lo stile neoclassico è introdotto come linguaggio ufficiale dell'architettura pubblica e privata: la famiglia degli architetti Marchelli è l'indiscussa protagonista del rinnovamento estetico della città. Nella seconda metà dell'Ottocento vengono realizzati il Teatro municipale e i giardini pubblici, mentre più tardi, tra il 1880 e il 1900, sono abbattute completamente le mura. Solo nei primi decenni del Novecento la città inizia ad espandersi, differenziando le destinazioni dell'abitato: nel centro storico, le funzioni commerciali e direzionali; nella prima periferia Sud i nuovi quartieri residenziali; a Nord la zona industriale, collegata alla ferrovia. Elemento primario e propulsore dell'industria cittadina furono le Officine Meccaniche Reggiane, alla cui produzione è legata la realizzazione e il potenziamento del vicino aeroporto. Dal secondo dopoguerra la città ha purtroppo avuto un'espansione scoordinata e tumultuosa, nonostante l'adozioni di diversi piani regolatori.
ARTE. Poche tracce rimangono a testimoniare l'esistenza della romana Regium Lepidi, il cui tessuto viario a scacchiera appare appena riconoscibile in quanto alterato dal successivo impianto urbanistico medievale. Bisogna giungere all'epoca romanica per poter ricostruire la storia artistica della città attraverso i suoi monumenti: il Duomo fondato nel IX secolo è stato più volte rifatto e rimaneggiato, ma conserva ancora il suo aspetto romanico nella parte superiore della facciata, con gli archetti pensili e i due grandi oculi laterali. Sulla facciata incombe un'insolita torre ottagonale (1267) recante la pregevole Madonna con Bambino e offerenti in rame sbalzato e dorato, di Bartolomeo Spani (XV sec.). Durante il Cinquecento, Prospero Sogari detto il Clemente eseguì il rivestimento marmoreo, comprese le sculture, della parte inferiore della fronte della cattedrale. L'interno, a croce latina, conserva un bellissimo coro quattrocentesco e alcuni ammirevoli mausolei tra cui quello di Valerio Malaguzzi, zio materno dell'Ariosto, opera dello Spani. Accanto al tempio è il Battistero, dalla pianta a T, originale creazione tardo-quattrocentesca di Bartolomeo Spani per il suo protettore vescovo Arlotti.
Sulla stessa piazza Prampolini - il luogo più rappresentativo della città, che prende il nome dl Camillo Prampolini, illustre uomo politico reggiano - affaccia anche il Palazzo comunale, risalente al XV secolo, ma rifatto nella seconda metà del Cinquecento. L'elegante facciata è settecentesca, opera dell'architetto Lodovico Bolognini che al primo piano dell'edificio realizzò la Sala del Tricolore, dove nel gennaio del 1797 il vessillo bianco, rosso e verde fu proclamato simbolo della Repubblica Cispadana.
La basilica di S. Prospero, tra le più antiche chiese di Reggio, fu ricostruita nel 1514-23; la facciata, eseguita nel 1753, crea un curioso contrasto cromatico con il grandioso campanile ottagonale in pietra rimasto incompiuto al terzo ordine, opera dei fratelli Pacchioni (1536-51), su disegno di Cristoforo Ricci riveduto da Giulio Romano. All'interno, nel presbiterio e nel catino dell'abside, il grande ciclo di affreschi di Camillo Procaccini (fine XVI secolo) con il potente verismo del Giudizio universale; un magnifico coro ligneo a due ordini di stalli intagliati (tarsie di Cristoforo e Giuseppe De Venetiis, 1545-46).
Nonostante le distruzioni sono ancora molti i palazzi signorili che documentano un passato splendore in campo storico e artistico. Lungo la Via Emilia, principale via cittadina - interessata all'azione riformatrice neoclassica dei Marchelli -, sorgono tra gli altri il Palazzo Fontanelli-Sacrati, dalla raffinata facciata quattrocentesca, il Palazzo Ruini con facciata seicentesca ma con parti interne dell'inizio del Cinquecento. Sulla stessa via prospetta la chiesa dei Ss. Pietro e Prospero, con annesso monastero. Il grande e luminoso interno mostra pregevoli dipinti di scuola reggiana e bolognese.
Il santuario della Madonna della Ghiara è considerato un capolavoro dell'architettura del Seicento: ad un sobrio paramento esterno in laterizio corrisponde un sontuoso interno a croce greca splendidamente decorato in stucco dorato, a cornice di un ciclo di affreschi che ricopre le volte, eseguito dai più valenti artisti emiliani del tempo (Alessandro Tiarini, Luca Ferrari, Camillo Gavasseti, Lionello Spada ed altri).
Nel contesto urbano della Reggio ottocentesca si inserisce la grandiosa struttura del Teatro Municipale (1857), tra i più belli e funzionali d'Europa, oggi intitolato allo scomparso attore reggiano Romolo Valli. Eretto in stile neoclassico da Cesare Costa, ha un'elegante facciata aperta da un lungo portico architravato. La splendida sala interna, con rosse tappezzerie e affreschi allegorici nella volta, è a ferro di cavallo con quattro ordini di palchi e la galleria.
Nei pressi, i Musei Civici, iniziati nel 1799 con l'acquisto delle raccolte dello scienziato Lazzaro Spallanzani, arricchite nella seconda metà dell'Ottocento per opera di Gaetano Chierici. A queste si aggiunsero, nel 1975, le nuove Raccolte di Preistoria, Protostoria e Archeologia reggiana e, nel 1977, la Galleria Fontanesi. Nel Gabinetto di Numismatica è custodito il tesoro tardo-antico di oreficeria e monete. Il Museo Spallanzani di Storia naturale è ancora ordinato secondo lo stato della scienza alla fine del Settecento, con l'importantissima raccolta zoologica, mineralogica e paleontologica del celebre scienziato. Il Museo di Paletnologia Gaetano Chierici è tra i più antichi d'Italia e anch'esso conservato nell'originarlo ordinamento, modello per i musei di preistoria e protostoria del tardo Ottocento. Nella Galleria Antonio Fontanesi - intitolata al celebre pittore ottocentesco (1818-1882) cui Reggio diede i natali - è ben presentata una vasta raccolta di dipinti soprattutto di artisti locali, dal XV al XIX secolo. Le nuove Raccolte dì Preistoria, Protostoria e di Archeologia romana comprendono i materiali rinvenuti durante gli scavi degli ultimi decenni del Novecento, tra i quali la celebre Venere neolitica, proveniente da Chiozza di Scandiano, e i cippi di Rubiera, segnacoli funerari etruschi (620-580 a.C.) decorati con fregi e lunghe iscrizioni.
Ospitata nell'eccentrico edificio medioevaleggiante opera di Ascanio Ferrari, la Galleria Parmeggiani raccoglie oggetti (armi, oreficerie, tessuti, dipinti e arredi) che sono per la maggior parte dei falsi, raro esempio di gusto collezionistico dell'epoca, nell'ambiguo accostamento tra oggetti originali e prodotti ottocenteschi in stile medievale e rinascimentale. La collezione, costituita in Francia tra Ottocento e Novecento dal pittore e mercante asturiano Ignacio León y Escosura, dal pittore Cesare Detti e dallo stesso Parmeggiani, fu da questi trasferita in Italia sotto il falso nome di Louis Marcy nel 1924.
LA PROVINCIA. La provincia di Reggio Emilia (443.445 ab.; 2.293 kmq) occupa un territorio metà montuoso-collinare, metà pianeggiante la cui risorsa principale è l'agricoltura (cereali, ortaggi, frutta, uva) che, unitamente all'allevamento di bovini e suini, alimenta l'industria casearia, dei salumi ed enologica. Importanti sono anche le industrie metalmeccaniche, chimiche, dei laterizi, delle ceramiche. Centri principali sono Castelnovo ne' Monti, Correggio, Guastalla, Luzzara, Novellera, Scandiano.
Reggio Emilia: scorcio del centro


Rimini

(130.160 ab.). Capoluogo di provincia dal 1991, Rimini è situata alla foce del fiume Marecchia, fra le colline appenniniche e il mare Adriatico, all'estremità sud-orientale della Pianura Padana. Posta all'incrocio fra la Via Emilia e la statale adriatica, dotata di aereoporto (Miramare), Rimini è un polo turistico di primaria importanza: circa i due terzi della popolazione lavorano nel settore terziario legato al turismo che costituisce la principale fonte economica della zona. Rimini è anche il secondo polo fieristico della regione e sede di industrie (meccaniche, materiali da costruzione, macchine per la lavorazione dl legno, alimentari); vi è inoltre praticata la pesca. Tuttavia, l'immagine predominante che si ha della città è quella del "divertimentificio", affollata da discoteche e altri locali di svago, schiacciata dalla presenza stagionale di milioni di turisti. Questo aspetto, periodicamente riproposto dai mass media, ha offuscato la Rimini città d'arte e quasi del tutto cancellato la percezione della sua vicenda storica.
STORIA. Il territorio di Rimini fu anticamente popolato dagli Umbri e poi occupato dai Galli senoni. Nel 268 a.C. la città fu rifondata dai Romani come Ariminum, ancora riconoscibile nella trama viaria a maglia ortogonale del centro storico. In epoca bizantina Rimini divenne una delle città strategicamente più importanti, parte della Pentapoli marittima.
Fra X e XI secolo il corso del fiume Marecchia si spostò più a Nord, venne aperto un nuovo porto e in seguito si formarono nuovi borghi. Dal XII secolo Rimini diventò libero comune; durante questo periodo venne eretta una cerchia di mura che ampliò di poco l'area della città romana. Passata sotto il dominio pontificio per breve tempo, dalla fine del XIII secolo fino al 1500 fu signoria dei Malatesta che ne promossero il prestigio politico e culturale. Fu specialmente il mecenatismo di Sigismondo Malatesta (al potere dal 1429 al 1463) a richiamare alla corte riminese letterati, poeti e soprattutto grandi artisti (Brunelleschi, Piero della Francesca, Leon Battista Alberti, Agostino di Duccio); ma di questa stagione effimera resterà traccia quasi solo nel Tempio Malatestiano.
Economicamente indebolita, Rimini si arrese a Cesare Borgia. Per quanto tre anni dopo il dominio di quest'ultimo si spezzasse, Pandolfo Malatesta non fu in grado di riprende il governo della città e, appena ritornato al potere, la cedette ai veneziani che la persero a loro volta nel 1509 con la guerra della lega di Cambrai. Da quell'anno, salvo due parentesi malatestiane nel 1522 e nel 1527, Rimini rimase allo Stato pontificio fino al 1860 quando fu annessa al Regno d'Italia.
Con l'allacciamento alla ferrovia si avviò una fase di ripresa, anche per merito del turismo balneare. La pratica dei bagni marini, iniziata a Rimini intorno al 1830, si diffuse ulteriormente e al primo stabilimento balneare realizzato nel 1843 si aggiunsero altre strutture ricettive e abitazioni residenziali che ampliarono l'area urbana. Sul lungomare, aperto a partire dal 1860, venne realizzata l'eclettica architettura del Grand Hotel (Paolito Somazzi, 1908), reso noto dall'opera cinematografica del riminese Federico Fellini.
La seconda guerra mondiale provocò alla città danni ingentissimi: nel periodo fra il 7 e il 21 aprile del 1944 andò distrutto oltre un terzo dell'abitato. La ricostruzione modificò pesantemente il volto di Rimini ed anche in seguito la forte pressione turistica ha portato alla totale saturazione della fascia litoranea, sostituendo la città dei villini e dei giardini con un fitto agglomerato di alberghi, pensioni e condomini.
ARTE. Dell'antica Ariminum romana notevoli vestigia. Eretto nel 27 a.C. in onore di Augusto e in ricordo del riattamento della Via Flaminia, l'Arco di Augusto fungeva da porta della città, chiuso fra due torri di età tardo-antica eliminate nel 1937. In pietra d'Istria, presenta un grande fornice affiancato da semicolonne corinzie; nei quattro clipei sono collocati i busti delle divinità tutelari, Giove e Apollo (nel fronte esterno), Nettuno e Minerva (nel fronte interno); la merlatura è medievale.
Dall'Arco di Augusto, percorso il rettifilo del corso di Augusto, si giunge al Ponte di Tiberio. Tra i più notevoli ponti romani superstiti, venne costruito in pietra d'Istria fra il 14 e il 21 d.C. A cinque arcate, misura 62 m e poggia su una base fondata nel letto del fiume; le pile sono oblique rispetto all'asse del ponte per favorire il flusso della corrente del fiume che, anticamente, scorreva verso Est. Fra le arcate sono poste quattro sobrie edicole e nei cunei di chiave sono scolpiti alcuni emblemi. Due iscrizioni celebrative sono incise nei fronti interni dei parapetti.
L'anfiteatro romano, del II secolo, è il solo parzialmente superstite nella regione; i due assi dell'arena ellittica sono di notevoli dimensioni (m 73.16 e m 44.52), scoperto nel 1844 e scavato fra il 1926 e il 1935, mostra ora due arcate del portico esterno e parte dell'arena e della cavea.
Dell'età comunale restano alcune tracce nel Palazzo dell'Arengo e nell'adiacente Palazzo del Podestà, entrambi soggetti a pesanti interventi di restauro novecentesco. Il primo, eretto fra il 1204 e il 1207, fu più volte rimaneggiato e poi radicalmente restaurato (1924); presenta il tipico schema dei palazzi pubblici dell'Italia settentrionale, con torre campanarla e sala soprastante il portico. Il secondo, di fondazione trecentesca, è in gran parte frutto di una reintegrazione in stile (1925).
La splendida anche se breve committenza di Sigismondo Malatesta ha dato alla città il Tempio Malatestiano, considerato la rappresentazione delle teorie architettoniche del rinascimento, al quale lavorarono grandi artisti quali Leon Battista Alberti, Piero della Francesca e Agostino di Duccio. Sigismondo Malatesta fece erigere anche il poderoso Castel Sismondo (1438-1446), alla cui realizzazione collaborò forse Filippo Brunelleschi. Fortezza e allo stesso tempo dimora signorile, nel corso del tempo subì guasti e modifiche che l'hanno resa irriconoscibile rispetto all'immagine che ne ha lasciato Piero della Francesca nell'affresco del Tempio Malatestiano.
Nella chiesa di S. Agostino sono custoditi altri importanti affreschi, unica grande testimonianza della scuola riminese del Trecento, originale interpretazione del giottismo in terra romagnola.
La chiesa di S. Giuliano, antichissima ma ricostruita nella seconda metà del Cinquecento, reca sull'altare maggiore il Martirio di S. Giuliano di Paolo Veronese (1580 ca.), la cui presenza a Rimini testimonia consolidati legami con la Serenissima.
La più importante raccolta pubblica di Rimini è il Museo della Città, collocato nell'ex convento e collegio dei Gesuiti, imponente architettura di Alfonso Torreggiani (1750). Nella sezione archeologica si ricordano soprattutto i mosaici in bianco e nero (notevole la scena di attracco nel porto). Rimarchevole il grande affresco raffigurante il Giudizio universale dell'anonimo Maestro detto dell'Arengo (XIV sec.), proveniente dalla chiesa di S. Agostino. Nella sezione relativa all'umanesimo malatestiano si segnalano, in particolare, il Crocifisso di Giovanni da Rimini (prima metà del Quattrocento), dipinti di Guido Cagnacci (La vocazione di S. Matteo); opere di commissione malatestiana, fra le quali Cristo morto sorretto da quattro angeli di Giovanni Bellini (1460 ca) e la pala di S. Vincenzo Ferreri di Domenico Ghirlandaio; altri dipinti di scuola emiliana, fra cui tele del Guercino.
LA PROVINCIA. La provincia di Rimini (269.195 ab.) si pone come estremo lembo Sud-Est della regione, al confine con la regione Marche e lo Stato di San Marino. Il carattere territoriale dominante della provincia riminese è costituito dai 49 km di litorale fortemente antropizzato e votato al turismo. Lungo la costa si succedono alcune tra le località balneari più note (Riccione, Bellaria, Cattolica, Igea Marina), mete del turismo di massa italiano ed europeo. A questo ambiente totalmente urbanizzato si contrappone un entroterra poco conosciuto e frequentato, dove il gran numero di borghi fortificati disseminati nella fertile campagna testimonia delle antiche lotte tra Montefeltro e Malatesta. La morfologia del territorio e la sua posizione di confine resero impossibile un'unificazione amministrativa e politica, manifestando a lungo forme di autonomia locale con il sorprendente esempio della Repubblica di San Marino.
Rimini: veduta aerea


Luoghi di interesse

Tempio Malatestiano
Il tempio, in pietra d'Istria e marmi, fu realizzato attorno alla preesistente chiesa gotica di S. Francesco. Il progetto di Leon Battista Alberti, iniziato nel 1450, fu purtroppo interrotto nel 1461 col declino delle fortune di Sigismondo, e la costruzione rimase incompiuta. Gravemente danneggiata durante la seconda guerra mondiale, è stata successivamente restaurata. Sulla facciata si aprono tre arcate a tutto sesto, separate da semicolonne reggenti una trabeazione; in alto, l'arco che avrebbe dovuto alzarsi al centro è rimasto incompiuto. Un basamento decorato dai simboli malatestiani scorre attorno a tutto l'edificio. I fianchi sono ritmati da possenti arconi spartiti da pilastri; sotto le arcate del lato destro sono collocati sette sarcofagi di umanisti vissuti alla corte malatestiana. L'interno, a una sola navata, conserva l'impianto tardo-gotico che in parte contrasta con la decorazione plastica rinascimentale. I capolavori custoditi nel tempio sono: l'affresco raffigurante Sigismondo Malatesta inginocchiato davanti a S. Sigismondo di Piero della Francesca (1451), un Crociflsso di Giotto e i notevolissimi bassorilievi di Agostino di Duccio (1454-56) raffiguranti le arti liberali e le scienze del trivio e del quadrivio, le fantasiose scene di giochi infantili e l'arca degli Antenati e dei Discendenti con i bassorilievi di Minerva tra una schiera di eroi e Trionfo di Scipione l'Africano. A destra dell'ingresso si trova il sepolcro di Sigismondo Malatesta, attribuito a Francesco di Simone Ferrucci.

EMILIA-ROMAGNA: UNA CUCINA PER GHIOTTONI

La tradizione enogastronomia emiliano-romagnola è ricchissima e prestigiosa, alimentata dalla copiosa produzione cerealicola, ortofrutticola ed enologica della regione. Le differenze geografiche e storiche tra Emilia e Romagna coinvolgono anche le consuetudini alimentari: da un lato, una cucina dai caratteri "continentali" che utilizza carni bovine e suine, burro, formaggi; dall'altro, una cucina dai caratteri mediterranei che predilige le carni ovine e il pesce, l'olio e gli ortaggi. Nella cucina piacentina confluiscono suggestioni provenienti dal Piemonte, dalla bassa Lombardia e dell'entroterra ligure. Tra le ricette tipiche, i pisarei e fasö, gnocchetti di mollica di pane, farina e latte, conditi con un umido di fagioli borlotti e salsa al pomodoro, e la bomba di riso, sformato ripieno di carne di piccione, funghi e, talora, tartufi; tra i secondi invece è da ricordare la picula 'd caval, trito di carne equina cucinato in umido con olio e pomodori. Il Piacentino produce salumi che hanno conquistato la Denominazione di Origine Protetta (DOP): coppa, pancetta, salame, il fiocchetto e il gambon. Per quanto riguarda i vini, la zona a Denominazione d'Origine Controllata (DOC) dei "Colli piacentini" produce ben undici denominazioni; tra le più note un rosso, il Gutturnio, e alcuni bianchi (Monterosso Val d'Arda, Malvasia, Ortrugo).
Marchi universalmente noti e indissolubilmente legati al territorio emiliano sono il Parmigiano-Reggiano e il prosciutto di Parma. L'area di produzione del Parmigiano-Reggiano è situata tra le province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna e, fuori dai confini regionali, Mantova. Già noto e apprezzato nel Medioevo, è tuttora inimitabile nelle sue peculiarità poiché irripetibili sono la sua storia e le sue regole di produzione. Il Parmigiano-Reggiano viene prodotto dal 1° aprile all'11 novembre impiegando esclusivamente il latte di due mungiture, di cui una parzialmente scremata, di bovini alimentati con foraggi selezionati; dopo di che le tipiche forme vengono fatte stagionare dai 20 mesi fino ai tre anni.
L'area di produzione del prosciutto di Parma comprende la zona di Langhirano e le valli del Baganza e del Taro, il cui clima secco e ventilato reca un contributo fondamentale al raggiungimento delle caratteristiche organolettiche del salume; il Consorzio di tutela ne salvaguarda la qualità e l'autenticità con l'apposito marchio riproducente la corona ducale a cinque punte. Altri prodotti condividono l'eccellenza del prosciutto di Parma, primo fra tutti il prezioso culatello di Zibello, ricavato dalla parte più magra della coscia del maiale e prodotto in sette comuni della Bassa parmense. La zona umida nelle vicinanze del Po è ideale per il suo delicatissimo processo di stagionatura. Sempre nella provincia di Parma, precisamente a San Secondo, è prodotta la spalla cotta, prediletta da Giuseppe Verdi: ricavata dall'omonimo taglio di carne del maiale, viene speziata e marinata nel vino, insaccata con l'osso e quindi cotta a vapore. Infine, il salame di Felino, prodotto con carni magre di prima scelta e pancetta, e stagionato per tre mesi. La zona DOC "Colli di Parma" offre numerosi bianchi tra cui una Malvasia che i gastronomi abbinano al culatello. Dalla montagna giungono prodotti spontanei, primi fra tutti i funghi di Borgotaro e di Albareto. Tra i piatti tipici spiccano gli anolini in brodo, una delle innumerevoli varianti emiliane della specie "pasta ripiena". Tra le altre specialità ricordiamo i corsetti, dischetti di pasta all'uovo conditi da sugo di carne, tipici dell'Appennino e che già risentono degli influssi liguri.
Il territorio montano della provincia di Reggio Emilia offe prodotti tipici come il pecorino dell'Appennino Reggiano e salumi come lo zuccotto di Bismantova e la pancetta canusina. In collina due produzioni DOC: il Lambrusco Reggiano e il Colli di Scandiano e Canossa. Tra i piatti fanno la loro apparizione i cappelletti, che a Modena e a Bologna diventeranno tortellini; lo gnocco fritto, alternativa emiliana al pane e ideale per accompagnare salumi e formaggi; l'erbazzone, torta salata di biete e spinaci, con parmigiano e uova. Ricca infine l'offerta di dolci: il piscione, con pasta di mardorle, meringa e canditi; la ciambella, ideale da intingere nel vino; la spongata di Brescello, ricco impasto di frutta secca e spezie chiuso nella pasta frolla.
Anche Modena è famosa per alcune specialità legate all'allevamento dei suini: il prosciutto di Modena, il cotechino e lo zampone nelle sue varianti locali. Notevoli anche i vini, con le DOC Lambrusco, ma il marchio più prestigioso è l'aceto balsamico tradizionale di Modena. Viene ricavato da uve scelte Trebbiano, spillato, setacciato e fatto bollire a fuoco diretto sino a ridurlo della metà, quindi invecchiato in botti di legni pregiati di dimensioni sempre minori. Il processo richiede anni e un lavoro che giustifica il costo elevatissimo. La variante di largo consumo e decisamente più economica è l'aceto balsamico di Modena, dove la mancanza dell'aggettivo "tradizionale" sta a significare una procedura semplificata e assai meno laboriosa. Famose le ciliege di Vignola, di più varietà e destinate tanto al consumo quanto alla conservazione e trasformazione. Tipica di Vignola è la torta Barozzi, raffinato dolce al cacao dedicato al famoso architetto cinquecentesco Antonio Barozzi, detto il Vignola. Tra i piatti tipici del modenese, i tortellini, i maltagliati con fagioli, la zuppa di spinaci; tra i secondi, i bolliti misti, serviti con salsa verde e talvolta con mostarda e peperonata. Meno note le specialità montane come le tigelle, focaccine non lievitate e cotte sulla piastra, e i borlenghi, sottili ostie farcite da un battuto di lardo, aglio e rosmarino.
Bologna, la grassa, è considerata per tradizione la capitale gastronomica d'Italia. Dalla sua biblioteca universitaria proviene il più antico testo di cucina in lingua italiana, ora alla Library of Congress di Washington, intitolato Libro de arte coquinaria, scritto verso la metà del Quattrocento dal maestro cuoco Martino da Como. I piatti di autentica tradizione bolognese - quindi non genericamente emiliani - appartengono soprattutto all'ambito delle paste fresche: tagliatelle, lasagne e naturalmente i tortellini, di cui primato è conteso a Bologna dai modenesi. Altre prelibatezze sono il fritto misto, che si distingue per la presenza della crema fritta; i bocconotti, vol-au-vent ripieni di minuta di pollo, funghi e tartufi; la cotoletta di vitella impanata, con prosciutto crudo e formaggio. Tra i prodotti tipici, la mortadella, l'asparago verde screziato di viola coltivato ad Altedo, le patate di Budrio e le cipolle di Medicina. Tra i vini, meritano menzione i rivalutati Colli Bolognesi, tra i quali si segnala un bianco, l'indigeno Pignoletto. Tra i prodotti della collina e della montagna, oltre a i funghi e ai tartufi, spiccano i marroni di Castel del Rio.
Il Ferrarese rappresenta una singolare area gastronomica, né emiliana né romagnola. Rivela chiari influssi della cucina mantovana per l'uso della zucca, ma il piatto più tipico è la salama da sugo, insaccato di coppa di collo, pancetta, lardo, fegato e lingua di maiale, condito con vino rosso e spezie e stagionato dai 6 ai 12 mesi: è tradizionalmente abbinata a un puré di patate. Nel capoluogo sopravvive il pasticcio ferrarese, piatto risalente alla corte estense, fatto con maccheroni, sugo di funghi e besciamella, racchiuso in un involucro di pasta frolla; dalla comunità ebraica cittadina provengono specialità come il prosciutto d'oca e i dolci del Purim. Tipica è anche la cosiddetta coppia ferrarese, i cornetti di pane di pasta a lievitazione naturale, croccanti e con poca mollica. Il territorio del delta rifornisce la tavola con pesce di mare e di acqua dolce: vongole - Goro è tra le capitali dell'acquicoltura - e soprattutto anguille, simbolo economico e culinario di Comacchio e delle sue valli. Da un'antica proprietà fondiaria dell'abbazia di Pomposa prende il nome l'unica DOC della provincia, il rosso Bosco Eliceo.
Attraverso la provincia di Ravenna si entra in terra di Romagna, regno incontrastato della piadina. Il territorio è caratterizzato da produzioni ortofrutticole DOP, come la pera, la pesca e la nettarina di Romagna; perdura l'attività ittica (in particolare pesce azzurro). Dagli allevamenti bovini provengono le pregiate carni della razza Romagnola, mentre sui colli di Brisighella si producono oli extra vergini d'oliva (Brisighello e Nobile Drupa) che hanno ottenuto riconoscimenti di alta qualità. Tra i vini, l'Albana e i vini dei Colli di Faenza. I boschi collinari danno funghi, frutti di bosco e tartufi (famoso il mercato di Brisighella). Piatti tipici della provincia sono il riso con sugo di anatra selvatica; la tardura, una minestra di pane e formaggio grattuggiati, arricchita da tuorli d'uovo; la zuppa di rane.
Nella provincia di Forlì e Cesena l'offerta gastronomica varia dalle ricette di pesce e di pasta della Riviera ai sapori robusti dell'Appennino, nei quali si coglie l'influenza della confinante Toscana. Una menzione speciale merita Forlimpopoli, paese natale di Pellegrino Artusi, autore de "La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene", pietra miliare della letteratura gastronomica italiana. I salumi tipici della zona sono la coppa di testa, la salsiccia passita, il lombetto di maiale (a Castrocaro), il ciavarro, ovvero una salsiccia agliata di carni di bassa scelta, il coppone di Sarsina. Tra i prodotti caseari, il ravaggiolo e il formaggio di fossa di Sogliano sul Rubicone, ricavato da latte ovino e/o vaccino e stagionato in apposite fosse. I boschi del crinale appenninico sono ricchi di tartufi, funghi e castagne, mentre voci importanti della produzione di pianura sono la coltivazione dello scalogno e l'allevamento del pollame; dal mercato ittico di Cesantico viene abbondante pesce azzurro. Dai colli a vigne provengono i cosiddetti Vini del Passatore: Albana, Pagadebit e Trebbiano, bianchi; Sangiovese e Cagnina, rossi.
Alla tradizione gastronomica della provincia di Rimini appartengono primi piatti come i passatelli in brodo, i cappelletti, variante di magro dei tortellini, e i garganelli, maccheroncini casalinghi. Tra le ricette di tradizione marinara spicca il brodetto, con pomodoro, aceto e pepe. Notevoli anche le risorse ortofrutticole, olearie e vinicole; nella DOC Colli di Rimini si trovano bianchi da Trebbiano e rossi da Sangiovese e Cabernet Sauvignon.

I CASTELLI DEL PARMENSE

Non così celebri come quelli della Valle d'Aosta o della Loira ma altrettanto interessanti per l'atmosfera densa di storia e poesia che ancora vi aleggia, i numerosi manieri della Val di Taro meritano senz'altro una visita, alla scoperta di un suggestivo passato.
L'epoca d'oro di questi castelli oltre cento in tutta la provincia di Parma va dal XIII al XV sec., quando i principi-signori del luogo decisero di trasformare, in gara l'uno contro l'altro, quelli che prima erano solo fortilizi con funzione strategico-difensiva in sontuose dimore gentilizie, simbolo della loro ricchezza e prestigio.
Dalla pianura, la Bassa del Po, dove spesso dilagavano le milizie imperiali provenienti da Settentrione, sino alle cime più impervie dell'alpe, teatro di scorrerie brigantesche, è tutta una fioritura di rocche medievali, caratterizzate dalla tipica struttura architettonica emiliana con torri angolari coperte da tetto e massicce cortine merlate.
Sono almeno una decina tra i molti i castelli da ricordare per la loro importanza storico-artistica: la Rocca dei Sanvitale a Fontanellato (con splendidi affreschi del Parmigianino), il castello di San Secondo Parmense, la Rocca di Soragna, il castello di Sala Baganza, quello di Bardi, la fortezza di Varano de' Melegari signoria dei Pallavicino e poi dei Visconti il castello di Montechiarugolo, le rocche di Pellegrino Parmense, di Castelguelfo e di Ravarano.
Ma il più imponente e meglio conservato è senza dubbio il castello di Torrechiara, la cui mole fiabesca (non a caso fotogenica protagonista di romanzesche avventure cinematografiche) si erge su di un colle isolato. Voluto da Pier Maria Rossi, valoroso quanto sfortunato rivale di Ludovico il Moro, Torrechiara risale agli anni 1448-60 ed è considerato uno tra i più preziosi gioielli dell'architettura militare del primo Rinascimento. La sua fama però è in gran parte legata alla romantica e contrastata vicenda d'amore tra il condottiero e la nobildonna Bianca Pellegrini d'Arluno, che preferì questa residenza all'altro castello di Roccabianca, fatto costruire appositamente per lei da Pier Maria. L'affetto che univa il potente signore alla sua dama rivive in ognuna delle fastose sale del maniero, decorate da celebri artisti dell'epoca tra cui il lombardo Benedetto Bembo, autore del ciclo di affreschi (1463 ca.) conservati nella stanza nuziale dei due amanti, chiamata la Camera d'oro per gli stucchi e i festoni dorati che la abbelliscono. Alla morte di Pier Maria Rossi la sua dimora passò nelle mani dell'acerrimo avversario Ludovico il Moro e quindi ai Farnese, subendo nel corso degli anni varie trasformazioni ed ampliamenti. Alla fine del XVI secolo risale la decorazione della sala maggiore del castello, la Camera dei Giocolieri, ad opera del grande frescante Cesare Baglioni.
Oltre alle sale interne, il castello di Torrechiara conserva intatti altri ambienti notevoli come il grande cortile centrale con doppio porticato laterale, la cucina e le logge seicentesche affacciate sulla valle.

PICCOLO LESSICO

Culatello di Zibello

è la parte più pregiata, il cuore del prosciutto, quella che sta tra il fiocco e il gambetto. Un prodotto di salumeria che ha forma caratteristica a pera, imbrigliato in giri di spago tale da formare una rete a maglie larghe. La materia prima è la parte centrale della coscia del suino, disossata e sgrassata, posta sotto sale a caldo, cioè su carne appena macellata, per circa dieci giorni, poi lavata con vino, ricoperta con pepe macinato e sale, insaccata nella vescica o nel budello di maiale e legata. La stagionatura avviene in locali freschi e ventilati e dura dai dieci ai dodici mesi, durante i quali, per non far seccare la carne, il norcino provvede a inumidire l'insaccato con vino bianco, brandy o distillato di mais. Il salume si presenta magro e morbido, di gusto dolce e delicato; il colore al taglio è rosso uniforme con presenza di grasso di colore bianco fra i fasci muscolari. Il culatello di Zibello è prodotto nei seguenti comuni dell'Emilia: Polesine Parmense, Busseto, Zibello, Soragna, Roccabianca, San Secondo Parmense, Sissa e Colorno. Ogni anno è prodotto un numero di pezzi limitato, che non arriva a diecimila. I suini destinati alla produzione del culatello di Zibello devono essere allevati nel territorio delle regioni Lombardia ed Emilia-Romagna e la lavorazione della carne deve avvenire nel territorio tradizionalmente vocato che ha particolari caratteristiche climatiche determinanti la stagionatura del culatello. La produzione del culatello è testimoniata in vari testi, leggi e disposizioni delle autorità parmensi e la sua produzione è comunque una pratica antichissima. In un atto del comune di Parma del 1735, il "Calmiero della carne porcina salata", e in altri documenti del XVIII e XIX secolo si trova testimonianza della preparazione caratteristica del culatello con la vescica e lo spago. Per il suo sapore equilibrato e delicato va mangiato da solo, tagliato a fette fini e accompagnato con pane casereccio o di Ferrara. Prima di essere aperto e tagliato, il salume va tenuto qualche giorno avvolto in un telo da cucina bagnato con vino.

Gnocco Fritto

Lo gnocco fritto, così chiamato a Modena e a Reggio Emilia, è una specialità emiliana che vanta nomi diversi e alcune varianti. Amalgamando farina, acqua, lievito, strutto e sale si ottiene un impasto che, lasciato lievitare, viene steso a sfoglia. Diviso in quadratini e fritto in olio bollente, è abitualmente consumato con i salumi locali. è comunque considerato uno spuntino, e non un piatto, apprezzato lontano dall'ora di pranzo.

Mortadella di Bologna

è un salume di origine molto antica: è il più famoso insaccato della tradizione gastronomica felsinea e le sue origini sono testimoniate in documenti fin dall'età del Rinascimento. A codificarne la ricetta fu Cristoforo di Messisbugo, scalco al servizio del cardinale Ippolito d'Este nonché autore di uno dei primi e fondamentali trattati di gastronomia della storia. La mortadella moderna è forse leggermente diversa da quella del Messisbugo, tuttavia obbedisce al precetto da lui stabilito di utilizzare soltanto carne di maiale. è preparata infatti con le parti meno pregiate dell'animale, macinate, condite con sale e pepe a chicchi e con pistacchi ed è arricchita da striscioline di lardelli. Una volta insaccata viene cotta in forni ad aria secca, quindi raffreddata velocemente. Se ne producono in Italia ogni anno circa diciotto milioni di quintali ed è conosciuta ed esportata in tutto il mondo con il nome di "bologna". Esistono anche versioni aromatizzate all'aglio o al tartufo. La mortadella viene preparata in pezzature molto varie insaccate in budello naturale o artificiale, dal formato casalingo a quello più grande, abitualmente esposto nei negozi di salumeria, ma anche in formati giganti. Sull'origine del nome mortadella vi sono pareri controversi: c'è chi ritiene che sia il diminutivo di "mortada", una parola oggi scomparsa che deriva dal latino e significa carne aromatizzata con bacche di mirto. A questa tesi si oppongono coloro che sostengono la provenienza da mortaio, visto che questo era utilizzato un tempo per ridurre in poltiglia l'impasto da insaccare. è anche poco chiaro perché fin dal Medioevo si sia affermata come specialità di Bologna, visto che il procedimento di produzione può essere applicato ovunque. è probabile che siano stati i salaroli bolognesi a difenderne il segreto per secoli. La mortadella è di forma cilindrica, di consistenza compatta e non elastica. La superficie al taglio deve essere di colore rosa uniforme con la presenza di quadrettature bianco-perlacee di grasso che non deve essere inferiore al quindici per cento e superiore al ventotto. Il profumo è tipicamente aromatico, il sapore delicato senza traccia di affumicatura. La zona di produzione comprende il territorio di Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia, Veneto, provincia di Trento, Toscana, Marche e Lazio. è ideale accompagnata con fette di pane per ghiotte merende, o a cubetti alternati da dadini di formaggio per stuzzichini, ma è anche ingrediente fondamentale nel ripieno dei tortellini alla bolognese.

Parmigiano-Reggiano

Tecnicamente si tratta di un formaggio a pasta cotta, duro, di latte vaccino parzialmente scremato per affioramento. L'area di produzione comprende le provincie di Parma, Reggio Emilia, Modena, Mantova limitatamente al territorio sulla destra del Po e Bologna soltanto sulla sinistra del fiume Reno. Le 2.700.000 forme prodotte ogni anno, vendute in Italia ed esportate in quarantotto Paesi di tutto il mondo, escono da un numero incredibilmente alto di piccoli caseifici, almeno seicentocinquanta secondo stime recenti del Consorzio di tutela. Ognuno raccoglie il latte di poche stalle e produce non più di cinque o sei forme al giorno. Il Parmigiano-Reggiano continua a essere fatto alla maniera antica, codificata da esperienze di cui si trovano tracce in documenti che risalgono al XIII sec. Nel caseificio arriva il latte della mungitura serale, che viene disposto in larghe vasche d'acciaio dove rimane per tutta la notte. La mattina si toglie la crema affiorata, che serve per fare il burro, e si aggiunge il latte della mungitura mattutina. Subito dopo inizia il lavoro del casaro: la coagulazione avviene con il caglio di vitello, la cagliata viene rotta e raccolta in fascere dove assume la forma caratteristica. Dopo qualche giorno si procede alla salatura, che viene praticata per venti-trenta giorni circa. Inizia quindi la fase di maturazione, di almeno dodici mesi, ma anche fino a ventiquattro o più. Prima di arrivare al mercato le forme vengono controllate una per una, saggiate con uno speciale martelletto-diapason che rivela con le sue vibrazioni sonore se la pasta all'interno è perfettamente salda. A questo punto viene applicato il marchio centrale sulle due facce della forma, ripetuto su tutta la circonferenza dello scalzo. Una forma di parmigiano pesa circa trentadue chilogrammi: se si tiene conto che per fare un chilo di formaggio occorrono sedici litri di latte ne consegue che per ogni forma se ne impiegano oltre cinque ettolitri. Questo fornisce l'idea di quale concentrazione di elementi nutritivi si trovino nel parmigiano, soprattutto calcio e fosforo, uniti a una grande digeribilità rendendolo alimento particolarmente indicato per bambini e anziani. Il parmigiano è formaggio da tavola quanto da grattugia, ingrediente fondamentale di centinaia di ricette. è buona regola preferire per il consumo da tavola il formaggio stagionato per il periodo minimo concesso, cioè dodici mesi, mentre per la grattugia è opportuno sceglierne uno di ventiquattro mesi o più, detto stravecchio. Un pezzo di parmigiano confezionato sotto vuoto si conserva a lungo. Nel frigorifero può essere mantenuto avvolto in una pellicola.

Piadina

La piadina è la più classica delle specialità romagnole. è un pane àzimo (privo cioè di lievito) di vecchissima tradizione, cotto un tempo sul "testo", l'apposita pietra posta su braci ardenti. Il "testo" viene oggi generalmente sostituito con una normale padella di ferro. L'impasto è composto da farina, strutto, sale, un pizzico di bicarbonato di sodio e tanta acqua tiepida quanta ne occorre per ottenere un impasto piuttosto duro. Si stende in cerchi dello spessore di circa 1/2 cm e del diametro di 15 cm. Si mangia spaccata a metà, farcita di formaggio tenero, o di fette rosolate di pancetta, o di cavoli alla romagnola. Delle buone piadine fatte in casa sono sempre accompagnate da vino rosso abbondante.

Repubblica Cisalpina

Repubblica creata da Napoleone dopo la Campagna d'Italia nel 1797. Vinti Piemontesi e Austriaci, Napoleone occupò la Lombardia, si impossessò di Bologna e Ferrara, e diede solida organizzazione alle sue conquiste, formando la Repubblica Cisalpina, che comprendeva la Lombardia fino all'Oglio, la Valtellina, Modena, Reggio, Massa e Carrara, Bologna, Ferrara, la Romagna, la contea di Bormio e i feudi svizzeri di Chiavenna e Maccagno, con capitale Milano. Fondata il 29 giugno 1797, fu riconosciuta dall'Austria col Trattato di Campoformio (ottobre 1797). Per quanto dichiarata libera e indipendente, fu sempre in realtà dominata dalla Francia. Era governata sulla base di una costituzione modellata su quella francese del 1795, con alla testa un Gran Consiglio diviso in due collegi (seniori e iuniori) cui era affidato il potere legislativo, e un Direttorio di cinque membri, con funzioni esecutive. Tornati gli Austriaci in Italia, dopo la campagna del 1799, la Repubblica Cisalpina crollò, per rinascere quando Bonaparte, con la vittoria di Marengo (1800), ritornò padrone d'Italia. Il 25 gennaio 1802, la Repubblica abbandonò il nome di Cisalpina per prendere quello di italiana, avendo Napoleone a presidente e F. Melzi d'Eril a vice presidente. In seguito fu detta Regno d'Italia, quando (1804) la Repubblica francese si trasformò in Impero, con Napoleone re ed Eugenio Beauharnais viceré. Cessò di esistere definitivamente nel 1814.

Salame di Felino

è un salume molto pregiato, preparato con carne suina di prima scelta che viene tritata finemente con la pancetta (quindici per cento), mischiata al sale e speziata pochissimo con pepe nero frantumato e pepe bianco in grani. L'impasto, impilato a forma conica su assi inclinate, viene posto in frigorifero per un giorno o due a perdere l'umidità. Viene quindi insaccato in budello gentile, ovino o suino. Per arrivare al giusto grado di maturazione viene appeso a stagionare per almeno tre mesi in locali areati e umidificati. Durante questo periodo il salume si ricopre della caratteristica e leggera muffa biancastra rivelatrice della corretta stagionatura. Il salame di Felino originale viene prodotto soltanto nel territorio del comune di Felino e nelle zone collinari circostanti, in provincia di Parma. I salumifici in tutta l'Emilia ne producono uno analogo chiamato "salame tipo Felino". Il salame di Felino viene presentato tra gli affettati misti dell'antipasto nei pranzi tipici emiliani, ma anche da solo, accompagnato da riccioli di burro; è inoltre inevitabile protagonista del pic-nic.

Sangiovese

Il Sangiovese si produce in tutta la Romagna con predominanza delle zone collinari della provincia di Ravenna, e Forlì-Cesena. Vino di Denominazione di Origine Controllata si presenta con un bel colore rosso brillante scuro, un profumo vinoso e fruttato ed un sapore asciutto, aromatico, con retrogusto leggermente amarognolo. Indicato con i primi, le paste al sugo e le carni rosse, ha una gradazione minima di circa 11,5°.

Squacquarone

è un formaggio di latte vaccino, a pasta molle, di consistenza cremosa e burrosa, prodotto in Romagna. Il sapore è fresco e delicato, simile a quello dello stracchino lombardo. Lo squacquarone è consumato soprattutto con la piadina calda, sulla quale viene spalmato.

Tigella

Fra le rustiche specialità gastronomiche dell'Appennino modenese c'é la "crescentina", oggi comunemente chiamata "tigella". Rappresenta l'esempio di una consuetudine famigliare rimasta intatta nel tempo, la cui storia si perde nei secoli. Le tigelle sono piccoli dischi composti di argilla purissima prelevata nei castagneti a notevole profondità. L'argilla viene miscelata con una speciale terra refrattaria, amalgamata con acqua, e utilizzata per modellare dei dischi che vengono temprati, cioè cotti, nella cenere ardente. Le crescentine invece vengono impastate con farina di grano, acqua e latte in cui viene sciolto del lievito; si lasciano lievitare dopodiché si lavora l'impasto in modo da formare piccole schiacciate rotondeggianti di 10-15 centimetri di diametro. A questo punto, utilizzando le tigelle precentemente scaldate nel fuoco del camino, ci si appresta al rito della cottura con tutta la famiglia riunita. Il metodo di cottura é molto particolare ed avviene a strati, infatti sopra alla prima tigella calda si pone una crescentina, poi una o due foglie di castagno essicate e tenute in dispensa per l'occasione, quindi un'altra tigella seguita da una crescentina e dalle foglie, un'altra tigella e cosi via, fino a formare una torre sistemata vicino al focolare. Al termine della cottura la torre viene smontata e le crescentine, che ormai hanno preso il nome di tigelle, sono pronte per essere gustate immediatamente oppure conservate a lungo in dispensa. Squisite farcite con lardo macinato o tagliato a fette sottilissime, insaporite da un odore di aglio, rosmarino e parmigiano grattugiato.

Tortellini

La storia del tortellino, infatti, fu inventata dal poeta ottocentesco Giuseppe Ceri, che scrisse un poemetto ispirandosi a La Secchia Rapita del Tassoni: Venere, Marte e Boccaccio, scesi a dare manforte ai modenesi, si fermarono a dormire in una locanda di Castelfranco Emilia, giusto a metà strada tra Bologna e Modena. Lì Venere si fece sorprendere senza veli dall'oste che, per non scordarsi la sua bellezza, si affrettò a riprodurre nella pasta l'ombelico della dea. La specialità emiliana per eccellenza non è solo bella, ma anche buona: è così che ha conquistato la tavola di tutti gli italiani. I modi per cucinare i tortellini sono infiniti, ma la presentazione classica per eccellenza è in brodo di cappone.

Villanoviano

Si dice degli aspetti della città del ferro, propri del Bolognese e dell'Italia centrale tirrenica, diffusa a Sud fino ai Colli Albani e ad Anzio. Il nome deriva da Villanova, presso Bologna, dove nel 1870, si esplorò un esteso sepolcrato di cremati, con poche tombe di inumati. Caratteristico del villanoviano è il cinerario o ossario di forma biconica, con la bocca coperta mediante una ciottola capovolta. Molto discusso è ancora a quale popolazione si debba attribuire questa civiltà. In seguito ai numerosi sepolcreti scoperti dal 1870 in poi, viene divisa in quattro fasi: quella di S. Vitale, la Benacci I (VIII sec. a.C.), la Benacci II (VII sec. a.C.) e quella di Arnoaldi (VI sec. a.C.).

PERSONAGGI CELEBRI

Ludovico Ariosto

Poeta (Reggio Emilia 1474 - Ferrara 1533). Primo di dieci figli, Ludovico Ariosto nasce a Reggio Emilia l'8 settembre 1474 da Daria Malaguzzi Valeri e dal conte Niccolò Ariosto, capitano della rocca di quella città. La famiglia si trasferisce prima, nel 1481, a Rovigo, dove Niccolò è stato inviato dal duca Primo d'Este con l'incarico di comandante della guarnigione; poi, a seguito della guerra scoppiata tra Ferrara e Venezia, a Reggio, infine nel 1484, a Ferrara. E ferrarese, poi l'Ariosto amò sempre dirsi, tanto che, oramai vecchio, dichiarava che avrebbe ucciso chi gli avesse impedito di passeggiare ogni giorno sulla piazza di Ferrara, tra la facciata del duomo e le due statue dei marchesi Niccolò e Borso. In mezzo a quell'Italia sconvolta dalle guerre tra Spagna e Francia, Ferrara rappresentava per lui la stabilità. Tra il 1489 e il 1494, contro voglia, per volere del padre, e con esiti piuttosto modesti, studia diritto presso l'Università di Ferrara. Ma intanto partecipa alla vivace vita della corte di Ercole I, dove entra in contatto con vari e prestigiosi letterati e umanisti (Ercole Strozzi, Pietro Bembo e molti altri). Lasciato finalmente libero dal padre di dedicarsi ai prediletti studi letterari, abbandona la giurisprudenza e intraprende lo studio della letteratura latina, impegnandosi anche in una produzione poetica sia latina (liriche amorose, elegie, De diversis amoribus, De laudibus Sophiae ad Herculem Ferrariae ducem primum, Epithalamium, epitaffi ed epigrammi) sia volgare, le Rime (pubblicate postume 1546). Nel 1500 si chiude bruscamente il periodo degli studi tranquilli e dell'ozio letterario e si colloca la prima e traumatica svolta nella vita dell'Ariosto. Muore il padre, lasciando a lui che è il primogenito, oltre a una non floridissima situazione economica, la tutela delle cinque sorelle e dei quattro fratelli (tre dei quali minorenni e il maggiore Gabriele paralitico, che rimane con lui tutta la vita). Per provvedere alle necessità familiari è costretto, pertanto, ad assumere i più diversi incarichi pubblici e privati, che a malincuore vengono continuamente a distrarlo dall'attività letteraria, l'unica a lui congeniale. E proprio a causa delle condizioni economiche e materiali imposte dalla vita cortigiana, l'Ariosto, a differenza del Boiardo, avverte una forte contraddizione tra la sua passione letteraria e il legame con la corte estense. Nel 1502 ottiene il capitanato della Rocca di Canossa. Intorno al 1503 ha un figlio, Giambattista, dalla domestica Maria (più tardi avrà un altro figlio, Virginio, da Olimpia Sassomarino). Sempre nello stesso anno entra al servizio del cardinale Ippolito d'Este, figlio di Ercole I e fratello del duca Alfonso. Sotto il "giogo del Cardinal da Este", uomo gretto, avaro e insensibile alla cultura e alla poesia, svolge svariati, faticosi, mal retribuiti e ingrati compiti: dalle incombenze pratiche, quali aiutare il signore a spogliarsi, alle faccende amministrative, dalle funzioni di intrattenimento e di rappresentanza alle delicate e rischiose missioni politiche e diplomatiche. Tra il 1507 e il 1515, periodo assai ricco di incidenti diplomatici, è spesso costretto a fare viaggi a cavallo per recarsi ad Urbino, a Venezia, a Firenze, a Bologna, a Modena, a Mantova e a Roma. E così, mentre attende alla stesura dell'Orlando furioso, e si impegna nell'ambito del teatro di corte, scrivendo e mettendo in scena i primi importanti esperimenti del nuovo teatro volgare, le commedie Cassaria e I Suppositi, l'Ariosto è protagonista di una delle fasi più aspre delle guerre d'Italia. Nel 1509 segue il cardinale nella guerra contro Venezia. Nel 1510 si reca a Roma per ottenere la revoca della scomunica inflitta da papa Giulio II al cardinale, ma viene minacciato di essere gettato ai pesci. Nel 1512, insieme al duca Alfonso, vive una romanzesca fuga attraverso gli Appennini, per sottrarsi alle ire del pontefice, deciso a non riconciliarsi con gli Estensi, alleatisi con i francesi nella guerra della Lega Santa. Nel 1513, alla morte di Giulio II, si reca nuovamente a Roma per felicitarsi con il nuovo papa Leone X, sperando, tuttavia invano, di ottenere un beneficio generoso che gli permetta una sistemazione più tranquilla. In quello stesso anno torna a Firenze, dove dichiara il suo amore alla donna della sua vita, Alessandra Benucci, una fiorentina sposata con il ferrarese Tito Strozzi. Morto il marito, nel 1515, la Benucci verrà ad abitare a Ferrara, ma non vivrà mai con lui, neppure dopo il matrimonio, celebrato in gran segreto nel 1527 — affinché lei non perda i diritti all'eredità del marito e lui i suoi benefici ecclesiastici. Nel 1516 esce la prima edizione dell'Orlando furioso, dedicata al cardinale Ippolito d'Este, che tuttavia non dimostra alcuna gratitudine. E quando, nel 1517, questi, eletto vescovo di Buda, pretende che il poeta lo segua in Ungheria, egli si rifiuta, rompendo ogni legame. Siamo a un'altra svolta nella vita dell'Ariosto. Inizia un tormentato periodo di crisi non solo per il poeta, in gravi difficoltà economiche, familiari e giudiziarie (per certe proprietà terriere della sua famiglia), ma anche per il ducato Estense in lotta con il papato e per l'Italia intera. Nel 1518, dunque, passa al servizio — o "servitù" — del duca Alfonso, pur senza migliorare la situazione economica. Intanto, tra il 1517 e il 1525, attende alla composizione delle sette Satire (pubblicate solo nel 1534): realistica e amara meditazione sugli ambienti cortigiani e sulla sorte degli uomini di lettere. Questi sono probabilmente anche gli anni a cui risale la stesura dei Cinque Canti, composti in vista di un inserimento nel Furioso, ma poi lasciati da parte a causa dei toni cupi e perciò dissonanti rispetto al resto del poema. Tra il 1519 e il 1520 prosegue la composizione delle rime in volgare e compone, inoltre, due commedie Il Negromante e I studenti (incompiuta). Dopo aver ristampato nel 1521 il Furioso, essendogli stato sospeso lo stipendio di cortigiano, nel 1522 l'Ariosto è costretto, seppur malvolentieri, ad accettare l'incarico affidatogli dal duca Alfonso: il commissariato della regione montuosa e selvatica della Garfagnana. Le Lettere, scritte per dovere d'ufficio al duca, rivelano la grande fermezza, serietà e sagacia amministrativa e politica con cui l'Ariosto cercò di ricondurre la legge e l'ordine in quel territorio di confine, infestato dai banditi e dalle violenza delle fazioni rivali. Lasciata la Garfagnana, nel 1525 si apre un periodo più sereno e per il poeta e per il suo ducato. Tornato a Ferrara, il duca gli affida varie cariche amministrative ma anche incarichi a lui più congeniali. Viene chiamato, infatti, a far parte del Maestrato dei savi e viene nominato sovrintendente agli spettacoli di corte. Riscrive in versi la Cassaria e I Suppositi, rielabora Il Negromante e nel 1528 scrive una nuova commedia, la Lena. Nel 1532, tra l'altro, dirige le recite di una compagnia padovana inviata a Ferrara dal Ruzzante. Pochi sono i viaggi di questi anni. Nel 1528 è a Modena con il duca per scortare l'imperatore Carlo V di passaggio nello Stato estense. Nel 1531, dopo essere stato a Firenze, ad Abano e a Venezia, il marchese del Vasto, Alfonso d'Avalos, condottiero dell'esercito imperiale, gli assegna, a Correggio, una pensione di cento ducati d'oro. L'Ariosto trascorre gli ultimi anni della sua vita nell'amata casetta in contrada Mirasole, tra l'affetto di Alessandra e del figlio Virginio e la revisione del Furioso, la cui edizione definitiva esce nel 1532. Ammalatosi di enterite, muore il 6 luglio 1533. Dal 1801 il suo corpo è tumulato nella sala maggiore della Biblioteca Ariostea di Ferrara.

Giorgio Bassani

Scrittore (Bologna 1916 - Roma 2000). Nacque a Bologna il 4 marzo del 1916 da una famiglia della borghesia ebraica, ma trascorse l'infanzia e la giovinezza a Ferrara, destinata a divenire il cuore pulsante del suo mondo poetico, dove si laureò in Lettere nel 1939. Durante gli anni della guerra partecipò attivamente alla Resistenza e conobbe anche l'esperienza del carcere; nel 1943 si trasferì a Roma, dove visse per tutta la vita, pur mantenendo sempre fortissimo il legame con la città d'origine. Fu solo dopo il '45 che si dedicò all'attività letteraria in maniera continuativa, lavorando sia come scrittore (poesia, narrativa e saggistica) sia come operatore editoriale: è significativo ricordare che fu proprio lui ad appoggiare presso l'editore Feltrinelli la pubblicazione de Il gattopardo, romanzo segnato dalla stessa visione liricamente disillusa della storia che si incontra anche nelle opere dell'autore de Il giardino dei Finzi Contini. Bassani ha lavorato anche nel mondo della televisione, arrivando a ricoprire il ruolo di vicepresidente della Rai; ha insegnato nelle scuole ed è stato anche docente di Storia del teatro presso l'Accademia d'Arte Drammatica di Roma. Ha partecipato attivamente alla vita culturale romana collaborando a varie riviste, tra cui "Botteghe Oscure", rivista di letteratura internazionale uscita tra il '48 e il '60. Va inoltre ricordato il suo lungo e costante impegno come presidente dell'associazione Italia Nostra, creata in difesa del patrimonio artistico e naturale del Paese. Dopo alcune raccolte di versi (tutte le sue poesie verranno poi raccolte in un unico volume nel 1982, con il titolo In rima e senza) e la pubblicazione in un unico volume delle Cinque storie ferraresi nel 1956 (alcune però erano già comparse singolarmente in varie edizioni), Bassani raggiunse il grande successo di pubblico con Il giardino dei Finzi Contini (1962): nel 1970 il romanzo riceverà anche un'illustre trasposizione cinematografica per opera di De Sica, dalla quale però Bassani vorrà sempre prendere le distanze. Le opere successive dello scrittore, sviluppate tutte intorno al grande tema geografico-sentimentale di Ferrara, sono Dietro la porta (1964); L'Airone (1968); L'odore del fieno (1973), riunite nel 1974 in un unico volume insieme con il romanzo breve Gli occhiali d'oro (1958), dal significativo titolo Il romanzo di Ferrara. Dopo un lungo periodo di malattia, segnato anche da dolorosi contrasti all'interno della sua famiglia, Bassani si spense a Roma il 13 aprile del 2000. Allo scrittore la sua città ha dedicato il grande parco detto dell'Addizione Verde, oggi Parco Giorgio Bassani, "che insieme con il museo Shoah, costituisce un monumentale esempio europeo di come si possa collegare il passato con il futuro, una ferita della storia con la bellezza leggera di un giardino pubblico" (Carl Wilhelm Macke, Giorgio Bassani, la Germania e l'Europa).

Matteo Maria Boiardo

Poeta (Scandiano 1441 - Reggio Emilia 1494). Trascorse la fanciullezza a Ferrara e, dopo aver perso sia il padre sia il nonno con cui aveva vissuto, assunse il titolo feudale legato alla contea familiare di Scandiano, di cui iniziò a disporre assieme al cugino Giovanni. Entrò così in rapporti con il principe Ercole, governatore di Modena, e iniziò a frequentare la corte estense che aveva il suo centro a Ferrara. Per conto del principe si occupò di testi classici (Senofonte e Cornelio Nepote), ed elaborò poesie latine a imitazione di Virgilio, ma ben presto si dedicò alla poesia volgare con il canzoniere Amorum libri tres, composto e rielaborato dal 1469 al 1476, scritto in onore della nobildonna Antonia Caprara. Intanto svolse attività diplomatica a Roma e a Napoli, ed ebbe incarichi amministrativi (come capitano di Modena) tra il 1480 e il 1483. Boiardo maturò in questo periodo l'intenzione di scrivere un poema di genere cavalleresco che risultasse anche un omaggio encomiastico alla stirpe estense. L'idea, favorita dall'interesse che il nobile pubblico di Ferrara tributava alla tradizione cavalleresca, in particolare arturiana, si concretizzò nel 1483 con l'Orlando innamorato. Si tratta di un poema cavalleresco che mescola elementi del ciclo carolingio e bretone, al quale l'autore aggiunse in seguito solo una parte di un terzo libro rimasto incompiuto. Ma la storia delle edizioni dell'opera è quanto mai complessa, poiché mancano sia manoscritti completi sia copia dell'edizione definitiva dell'opera, promossa dalla famiglia un anno dopo la morte dell'autore. Per il suo contenuto avvincente e insieme concentrato in alcuni motivi (la perenne fuga di Angelica) e temi ricorrenti (l'amore, l'attrazione per il fiabesco, la nostalgia per l'universo della cavalleria), l'Innamorato ebbe grande successo, testimoniato dalle numerose continuazioni dell'opera (oltre a quella celebre di Ludovico Ariosto, l'Orlando furioso, pubblicato in forma definitiva nel 1532, ne scrissero Nicolò degli Agostini e Raffaele da Verona) e dai suoi rifacimenti (di Francesco Berni e di Lodovico Domenichi).

Antonio Allegri detto Il Correggio

Pittore (Correggio 1489 circa - 1534). Compì il suo apprendistato artistico a Mantova presso uno zio pittore, studiando nel contempo le opere di Andrea Mantegna, Leonardo da Vinci e Giorgione in diverse città del Nord Italia. Decisivo fu poi il viaggio a Roma, grazie al quale ebbe modo di avvicinarsi all'opera di Raffaello. Fu al ritorno dalla capitale che dipinse gli affreschi della Camera della Badessa a Parma (1519) nei quali il suo stile entrò in una fase matura, combinando la morbidezza delle linee e i sapienti accostamenti coloristici con il rigore e la complessità della composizione. Dal 1520 al 1524 Correggio lavorò agli affreschi della cupola della chiesa di San Giovanni Evangelista a Parma, dove gli effetti di luce e la mossa disposizione delle figure suggeriscono uno sfondamento prospettico. La resa della profondità spaziale e del movimento raggiungono l'apice nell'Assunzione della Vergine (1526-1530) della cupola del Duomo di Parma. Risalgono agli ultimi anni dell'artista, stabilitosi di nuovo a Correggio, la Madonna di san Gerolamo, detta anche Il giorno (1527 ca., Galleria Nazionale, Parma), uno studio della luce del pomeriggio; e l'Adorazione dei pastori (1530 ca., Gemäldegalerie, Dresda), una scena notturna che è un raffinato esercizio di chiaroscuro. Tra i lavori più tardi, ricordiamo la serie di quadri commissionati dal duca di Mantova come dono per Carlo V: Giove e Io (1532 ca., Kunsthistorisches Museum, Vienna) e Giove e Antiope (1532 ca., Louvre, Parigi), scene mitologiche di raffinato erotismo. La sua opera ispirò i Carracci e il Parmigianino, ed è all'origine dello sviluppo del Manierismo.

Guglielmo Marconi

Scienziato (Bologna 1875-1937). Studiò a Bologna e a Firenze e fin da giovanissimo, intuendo la possibilità di utilizzare le onde elettromagnetiche per inviare segnali a distanza, si interessò di telegrafia senza fili. Verso il 1895, dopo numerosi esperimenti realizzati nella villa paterna di Pontecchio, mise a punto un'apparecchiatura con cui riuscì a inviare segnali intelligibili a una distanza di circa 2.400 km, usando un'antenna direzionale. Dopo aver brevettato il sistema telegrafico in Gran Bretagna (1896), fondò a Londra la Marconi's Wireless Telegraph and Signal Company, nella quale lavorarono diversi scienziati a un ulteriore perfezionamento dei progetti. Nel 1899 inviò segnali radio in Francia attraverso la Manica e nel 1901 realizzò la prima comunicazione attraverso l'Oceano Atlantico tra Poldhu, in Cornovaglia, e St John's, nell'isola di Terranova (Canada). Il suo sistema fu presto adottato dalle navi britanniche e italiane e, verso il 1907, fu organizzato un regolare servizio pubblico transatlantico di telegrafia senza fili. Nel 1909 Marconi ricevette il premio Nobel per la Fisica insieme col fisico tedesco Karl Ferdinand Braun. Durante la prima guerra mondiale fu incaricato di organizzare il servizio italiano di telegrafo senza fili, e in quell'occasione mise a punto la trasmissione a onde corte come mezzo di comunicazione segreta. Proseguì poi gli esperimenti con le onde corte e cortissime e con le microonde, anche in relazione a un loro possibile impiego in medicina. Marconi fu nominato senatore nel 1914 e ricevette il titolo di marchese nel 1929; ottenne inoltre la presidenza del Consiglio Nazionale delle Ricerche e dell'Accademia d'Italia.

Ciro Menotti

Patriota (Migliorina, Carpi 1798 - Modena 1831). Entrò nella Carboneria nel 1830 e cercò di ottenere dal duca di Modena Francesco IV l'appoggio ai moti rivoluzionari del tempo. Ma alla vigilia dell'insurrezione il duca cambiò idea e fece imprigionare Ciro Menotti, che fu impiccato il 26 maggio 1831 su uno dei bastioni della cittadella di Modena.

Giovanni Pascoli

Poeta (San Mauro di Romagna, oggi San Mauro Pascoli, Forlì 1855 - Bologna 1912). All'età di dodici anni perde il padre, ucciso da una fucilata sparata da ignoti; la famiglia è così costretta a lasciare la tenuta che il padre amministrava e perde la tranquillità economica di cui godeva. Nei successivi sette anni Pascoli perde la madre, una sorella e due fratelli; prosegue gli studi a Firenze e poi a Bologna. Qui aderisce alle idee socialiste, fa propaganda e viene arrestato nel 1879; nel 1882 si laurea in lettere. Insegna greco e latino a Matera, Massa e Livorno, cercando di riunire attorno a sé i resti della famiglia e pubblicando le prime raccolte di poesie: L'ultima passeggiata (1886) e Myricae (1891). L'anno seguente vince la prima delle sue 13 medaglie d'oro al concorso di poesia latina di Amsterdam. Dopo un breve soggiorno a Roma, va ad abitare a Castelvecchio con una sorella e passa all'insegnamento universitario, prima a Bologna, poi a Messina e a Pisa; pubblica tre saggi danteschi e varie antologie scolastiche. La sua produzione poetica prosegue con i Poemetti (1897) e i Canti di Castelvecchio (1903); sempre nel 1903 raccoglie i suoi discorsi sia politici (si era intanto convertito al credo nazionalista), che poetici e scolastici nei Miei pensieri di varia umanità. Rileva poi la cattedra di letteratura italiana a Bologna, succedendo al Carducci al cui insegnamento si riallaccia; pubblica gli Odi ed inni (1907), le Canzoni di re Enzo e i Poemi italici (1908-11). La sua produzione poetica, vasta ed eclettica, consistette in un incessante sforzo di ricerca metrica e formale imperniata su temi vari, quali: il gusto per le piccole cose, viste con gli occhi di un bambino; il torbido, il nascosto; l'ansioso bisogno di quiete, di un "nido" sereno di affetti; il simbolismo; la celebrazione, propria delle sue ultime opere. Nel 1912 la sua salute peggiora e deve lasciare l'insegnamento e curarsi a Bologna, dove muore poco dopo.

Giovanni Pico della Mirandola

Umanista, filosofo e teologo (Mirandola, Modena 1463 - Firenze 1494). Nasce il 24 febbraio 1463 da Giovan Francesco I e Giulia Boiardo, zia di Matteo, autore dell’Orlando Innamorato. Una precoce vocazione per gli studi allontana il giovanissimo Pico, contrariamente ai fratelli Galeotto e Anton Maria, dall’esercizio delle armi e dall’amministrazione dello Stato, e lo spinge nel 1477, secondo il disegno e la volontà della madre, all’università di Bologna per studiare diritto canonico. Pico, non interessato a questi insegnamenti, dopo la morte della madre, avvenuta nell’agosto 1478, si trasferisce a Ferrara su invito del Duca Ercole I d’Este. Qui Giovanni s’imbatte in una città culturalmente molto viva e ha modo di incontrare uomini dotti come Vespasiano Strozzi e Gianbattista Guarini, e probabilmente pure Girolamo Savonarola. Ma presto viene attratto da un’altra città, Padova, importante centro di studi filosofici, capitale dell’aristotelismo e di un’interpretazione in particolare di quest’ultimo, l’averroismo. Nella città veneta, in cui Pico resta dall’autunno del 1480 alla primavera del 1482, segue i corsi di Nicoletto Vernia da Chieti e del cretese Elia Del Medigo che inizia Giovanni alla conoscenza dell’ebraico e per lui traduce i commenti ad Aristotele di Averroè. Nell’estate del 1482 Pico torna a Mirandola e di lì, sul finire di quell’anno, si reca a Pavia, accompagnato da Manuele Adramitteno, suo maestro di greco, per seguire i corsi di retorica e quelli di logica matematica. Nello studio pavese resta tuttavia solo un anno e nei primi mesi del 1484 si stabilisce a Firenze. In questi anni Pico aveva già avuto modo di entrare in rapporto con la città toscana tramite contatti con due figure che risulteranno fondamentali per la formazione di Giovanni, vale a dire Marsilio Ficino e Angelo Poliziano. Egli aveva scritto infatti a Ficino per avere da questi una copia della Theologia platonica de immortalitate animorum e aveva altresì inviato nel 1483 ad Angelo Poliziano cinque libri delle proprie elegie latine, in merito alle quali riceve un giudizio piuttosto lusinghiero che non gli impedisce tuttavia di dare fuoco a quelle carte. A Firenze Pico può beneficiare degli influssi di un ambiente culturale straordinariamente ricco e animato, che peraltro si qualifica come il più vivo centro del platonismo che Giovanni può così al meglio comparare e confrontare con l’aristotelismo che aveva studiato a Padova. Il 3 giugno 1485 Pico scrive un’assai importante lettera a Ermolao Barbaro, umanista padovano, difendendo con forza il valore della pura speculazione filosofica anche quando espressa con linguaggio non raffinato rispetto alla vacua ricerca dell’eloquio elegante e stilisticamente ineccepibile. Dal luglio 1485 a marzo 1486 il filosofo soggiorna a Parigi dove ha la possibilità di assistere e partecipare alle dispute della Sorbona e di approfondire gli studi teologici in una riconosciuta capitale della filosofia scolastica e dell’averroismo. Di ritorno in Italia Pico avvalendosi dell’apporto di Elia del Medigo e di Flavio Mitridate intensifica lo studio dell’ebraico, del caldaico e dei testi cabalistici. Si immerge nei testi neoplatonici e lavora alla stesura del Commento della Canzone d’Amore di Girolamo Benivieni. è questo per Giovanni un periodo di profonda e febbrile meditazione che lo conduce ad ideare il progetto di riunire a Roma un convegno di dotti fatti convenire per discutere pubblicamente su diversi argomenti e teorie del sapere filosofico e teologico. Il 10 maggio 1486, mentre è diretto a Perugia dove intende ritirarsi per preparare la disputa romana, Pico è protagonista di un’ “avventura” amorosa, insieme drammatica e romanzesca. Ad Arezzo infatti una gentildonna, Margherita, sposa di Giuliano Mariotto de’ Medici, viene prelevata da Pico, come verosimilmente convenuto, e con questi fugge a cavallo, assieme ai domestici e amici di Giovanni, verso il senese. Presto tuttavia Pico viene raggiunto dagli aretini che uccidono la maggior parte dei famigli del filosofo che viene arrestato. Pochi giorni dopo viene liberato, grazie all’intervento di Lorenzo de’ Medici, e può raggiungere così Perugia. A partire dal mese di dicembre del 1486 comincia a circolare a Roma l’invito alla pubblica disputa, che avrebbe dovuto svolgersi nel febbraio del 1487, e la stampa delle Novecento Tesi redatte da Pico. Nell’intenzione del filosofo il dibattito avrebbe dovuto essere preceduto da un discorso introduttivo, che in realtà non venne pronunciato. Si tratta della celebre e fondamentale Oratio de hominis dignitate. In breve tempo gli scritti pichiani sollevano critiche, reazioni sfavorevoli ed accuse. Il termine della disputa viene prorogato e il papa Innocenzo VIII incarica di esaminare le Tesi. Nel marzo del 1487 una Commissione appositamente nominata dal pontefice condanna sette Tesi pichiane come eretiche o offensive e giudica altre sei Tesi infondate. Il 31 maggio 1487 Pico pubblica un’Apologia, scritta in venti giorni, con la quale intende respingere i dubbi e dissolvere i sospetti di eresia. Il papa allora emana un primo Breve con il quale Pico viene richiamato ed accusato di aver disatteso la sentenza. Successivamente il 5 agosto Innocenzo VIII con un altro Breve condanna le Tesi pichiane e ne vieta la lettura e la stampa. Pico decide allora di allontanarsi da Roma contando di poter sottoporre ad altri dotti, semmai alla Sorbona a Parigi, la sue Tesi. Il papa, una volta avuta la notizia dell’allontanamento del filosofo, diffonde la notizia della condanna delle Tesi di Giovanni e ne ordina l’arresto. Nel mese di febbraio del 1488 Pico viene arrestato vicino a Lione in Francia da Filippo di Savoia, governatore del Delfinato, e rinchiuso nella Rocca di Vincennes. La sua prigionia, grazie all’interessamento di principi italiani, in particolare di Lorenzo de' Medici, e all’intervento dello stesso re di Francia Carlo VIII, dura tuttavia un solo mese. Dall’estate dal 1488 Pico si stabilisce nei pressi di Firenze, sui colli fiesolani, moralmente turbato per la condanna di eresia sancita dalla Chiesa, che Lorenzo de' Medici tenta di far rimuovere operando presso la curia romana. Proprio a partire da questo periodo si applica con particolare fervore agli studi teologici e si accentua in lui in maniera intensa l’ansia mistica e religiosa. Lavora a un commento ai Salmi e fa pressione su Lorenzo il Magnifico affinché Girolamo Savonarola, conosciuto da Pico a Ferrara, venga richiamato a Firenze dove il frate domenicano giunge, presso il convento di San Marco nel 1489. In quest’anno Pico scrive l’Heptaplus, commento allegorico ai versetti della Genesi. Del 1492 è un'altra fatica di questo fervido periodo intellettuale del Filosofo, il De Ente et Uno, l’opera che si propone di conciliare la filosofia di Platone con quella di Aristotele. La morte di Lorenzo il Magnifico, avvenuta nell’aprile di quell’anno 1492, seguita di lì poco da quella di altri due amici di Giovanni, Angelo Poliziano ed Ermolao Barbaro, accresce in lui un senso di solitudine e l’attrazione per un interiore misticismo, mentre si consolidano e si fanno più vivi i rapporti con Savonarola. Il 18 giugno 1493 il papa Alessandro VI, succeduto a Innocenzo VIII, emette il Breve con cui assolve Pico da ogni censura e nota di eresia. In questo periodo Giovanni lavora a una forte e poderosa confutazione contro l’astrologia, le Disputationes adversus astrologiam divinatricem pubblicate dal nipote Gianfrancesco nel 1496. Pico intensifica la propria meditazione religiosa e il proprio distacco vissuto nell’isolamento del convento fiorentino di San Marco. Qui morì Giovanni Pico, dopo tredici giorni di febbri misteriose e dolorose, per cui si parlerà poi di possibile avvelenamento.

Fra Girolamo Savonarola

Predicatore e riformatore domenicano (Ferrara 1452 - Firenze 1498). Nacque a Ferrara il 21 Settembre 1452 e, da giovane intellettualmente dotato com'era, si dedicò con successo a studi di filosofia e medicina. Nel 1474, senza neppure avvisare la sua famiglia, prese tuttavia la repentina decisione di entrare nell'Ordine Domenicano a Bologna, dove fino al 1482 rimase in convento conducendo una vita ascetica dedicata alla preghiera e all'approfondimento degli studi sulla filosofia di Aristotele e di San Tommaso Aquino. Nel 1482 Savonarola si recò a Firenze nella Chiesa di San Marco, sede dell'Ordine Domenicano in città, da dove iniziò a predicare con toni violenti contro la vita immorale della corte di Lorenzo de' Medici, ma sembra che questi primi sermoni non sortirono l'effetto desiderato, anzi passarono abbastanza inosservati. Tuttavia, ritornato nella città toscana nel 1489, dopo diversi anni di prediche in giro per l'Italia, la sua denuncia del paganesimo diffuso divenne più incisiva e così dicasi dei suoi attacchi contro Lorenzo de' Medici, nonostante la generosità di quest'ultimo nei confronti del convento di San Marco, del quale Savonarola stesso fu nominato priore nel 1491. Nel 1493 Lorenzo morì, tuttavia Savonarola, non pago, aumentò ugualmente il livello della sua denuncia contro l'immoralità e gli abusi, questa volta, del clero e del nuovo papa Alessandro VI (1492-1503), il famigerato Rodrigo Borgia, padre di diversi figli, tra i quali i noti Lucrezia e Cesare ed eletto papa grazie a spregiudicati atti di corruzione e simonia. Proprio il contrario degli ideali di Savonarola, che anelava ad una rigenerazione morale e spirituale della Chiesa e che incominciò ad applicare alcune sue idee, riformando i monasteri toscani dell'Ordine Domenicano secondo una rigida osservanza della Regola originariamente stabilita e sottraendo il controllo dalla Congregazione Lombarda, la Casamadre dell'Ordine. Nel 1494 l'esercito di Carlo VIII di Francia (1483-1498) invase l'Italia, per riaffermare il diritto del re, di sangue angioino, alla successione al Regno di Napoli, dopo la morte di Ferrante d'Aragona (1458-1494). Savonarola supportò la causa del re francese, sperando in cambio di un appoggio per la formazione di un governo democratico in Firenze ed effettivamente la visita di Carlo VIII a Firenze permise a Savonarola di scacciare l'indegno figlio di Lorenzo de' Medici, Pietro, e di instaurare una Repubblica teocratica. In tutta la Repubblica fu messa in vigore una normativa morale molto severa e basata sulla legge di Cristo, considerato il vero “Re di Firenze”. Divennero famosi i “falò delle vanità”, roghi pubblici nei quali vennero bruciati carte e dadi da gioco, libri pagani e immorali (talora bastava anche un innocente libro di poesie o una copia del Decamerone del Boccaccio), ornamenti e vestiti lussuosi, e perfino quadri del Botticelli. Dall'alto del suo successo, Savonarola poté riprendere gli attacchi contro l'immoralità della Curia romana e di Alessandro VI, ma il papa contrattaccò nel 1495 convocandolo a Roma per difendersi dalle accuse di false profezie. Savonarola rifiutò adducendo motivi di salute cagionevole. Tuttavia Alessandro VI non demorse e nel 1496 stabilì che i monasteri domenicani toscani avrebbero dovuto riferire ad una nuova Congregazione situata (ovviamente) in Roma: al rifiuto di Savonarola di obbedire, questi fu scomunicato il 12 Maggio 1497. A questo provvedimento Savonarola reagì dichiarandolo privo di valore e continuando le sue prediche nel Duomo di Firenze, mentre il papa reagì minacciando di interdizione la città, se al predicatore non fosse stata tolta la parola. Oltretutto, l'ostilità locale nei confronti di Savonarola, opportunamente orchestrata da parte dei francescani, iniziò a crescere fino a quando, nel marzo 1498, il francescano Padre Francesco Rondinelli sfidò Savonarola ad un'ordalia del fuoco per stabilire la santità del predicatore domenicano. Quest'ultimo rifiutò, ma, al suo posto, accettò la sfida il suo devoto discepolo Domenico da Pescia. Il 7 Aprile 1498, data prescelta per la prova, questa non si poté aver luogo, dapprima per le lungaggini procedurali, e poi per un improvviso acquazzone. La folla esasperata e di umore mutevole se la prese con Savonarola, arrestato sul luogo assieme a Domenico da Pescia. A nulla servì la reazione dei suoi seguaci, denominati arrabbiati o compagnacci o piagnoni (dalle lacrime che versavano ad ogni sermone di Savonarola), i quali provocarono gravi disordini, assaltando, fra l'altro, il convento di San Marco al grido di Salvum fac populum tuum, Domine. Il papa non si fece scappare la ghiotta occasione di fare i conti con il predicatore ribelle ed inviò a Firenze il generale dell'Ordine Domenicano e il vescovo di Ilerda ad assistere al processo. Nonostante le torture, Savonarola non cedette, tuttavia furono redatti, a cura di alcuni notai compiacenti, degli atti palesemente contraffatti del processo, nei quali Savonarola avrebbe ammesso di essere un falso profeta. Sulla base di questa “confessione” Savonarola venne condannato, assieme ai suoi seguaci Domenico da Pescia e Fra Silvestro, a morte mediante impiccagione, seguita dal rogo dei corpi e dalla dispersione delle ceneri nell'Arno. La sentenza venne eseguita il 22 Maggio 1498. La figura di Savonarola fu onorata dal Luteranesimo, come esempio di antesignano della Riforma e la sua statua fa parte del monumento dedicato a Lutero, eretto a Worms, in Germania.

Arturo Toscanini

Direttore d'orchestra (Parma 1867 - New York 1957). Dopo gli studi nei conservatori di Parma e Milano, cominciò la carriera come violoncellista e come maestro sostituto del coro in una compagnia d'opera in tournée. Nel 1886, in Brasile, si trovò a dover sostituire il direttore titolare per una rappresentazione dell'Aida di Verdi che riscosse un grande successo. Nel 1898 diresse per la prima volta al Teatro alla Scala di Milano. Dal 1908 al 1915 fu direttore principale della Metropolitan Opera Company di New York e direttore artistico unico alla Scala dal 1921 al 1929. Successivamente si dedicò al repertorio sinfonico, rifiutandosi di dirigere nell'Italia e nella Germania fasciste degli anni Trenta. Direttore della New York Philharmonic Symphony Orchestra dal 1929 al 1936, nel 1937 fu a capo della National Broadcasting Company Symphony Orchestra, creata appositamente per lui e che egli diresse in una importante serie di trasmissioni radiofoniche. Nel 1946 tornò in Italia unicamente per dirigere il concerto inaugurale della Scala ricostruita dopo i bombardamenti. La sua ultima interpretazione pubblica risale al 1954. A Toscanini si devono soprattutto la rivalutazione dello stile interpretativo e l'introduzione di una ferrea disciplina sia sulla scena sia all'interno dell'orchestra. Ciò è vero in particolare per le opere di Verdi, per quelle di Leoncavallo (I Pagliacci) e di Puccini (Bohème, La fanciulla del West e Turandot). Nel repertorio sinfonico, inoltre, il maestro italiano era considerato insuperabile per le interpretazioni di Beethoven, Brahms, Debussy e Ravel. Il suo rigore e il rispetto per l'opera del compositore furono colonne portanti della sua limpidezza interpretativa, dalla quale era bandito ogni eccesso o forma di affettazione.

Giuseppe Verdi

Misicista (Roncole di Busseto, Parma 1813 - Milano 1901). Nacque da povera famiglia a Roncole di Busseto il 10 Ottobre 1813. Sviluppatasi in lui molto presto una vigorosa inclinazione musicale, egli ebbe come primo maestro l' organista delle Roncole Pietro Baistrocchi; si esercitava su una modesta spinetta e aiutava i genitori nella bottega, una modesta osteria di paese. A dodici anni si recò a Busseto per aiutare negli affari il suo futuro protettore Barezzi, e fu a Busseto che studiò musica con il maestro di banda Provesi e latino con il canonico Seletti. Fu in seguito a Milano con una borsa di studio del Monte di Pietà e con un sussidio del Barezzi: a diciannove anni tentò di entrare in Conservatorio, ma non vi fu ammesso e decise di proseguire gli studi con il maestro Lavigna. Tornato a Busseto, venne nominato maestro di musica del Comune e direttore della banda. Nel 1835 sposò la figlia del suo protettore Margherita Barezzi, da cui ebbe due figli che perirono con la madre a Milano negli anni 1838-40, dove la famiglia Verdi si era nel frattempo trasferita. La sua prima opera fu Oberto Conte di San Bonifacio(1839) rappresentata con successo al Teatro La Scala di Milano. La seconda opera Un giorno di regno(1840), a soggetto comico, cadde rovinosamente e aggiunse così nuovo dolore alle sciagure familiari. Proprio allora iniziò la straordinaria produzione di opere. La sua instancabile e prodigiosa attività non cedette nemmeno alla vecchiaia che trascorse prevalentemente nella villa di Sant'Agata a pochi chilometri da Busseto, insieme alla inseparabile, fedelissima Giuseppina Strepponi, vissuta con lui dal 1849. Giuseppe Verdi morì a Milano il 27 gennaio 1901 ed è oggi sepolto nella Casa di Riposo dei Musicisti da lui fondata.

Cesare Zavattini

Scrittore (Luzzara 1902 - Roma, 1989). Si avvicinò al cinema come soggettista e sceneggiatore, collaborando con Mario Camerini e Alessandro Blasetti. Autore tra i più prolifici e significativi del nostro cinema, dotato d'un umorismo surreale, fu uno dei più importanti protagonisti del neorealismo, partecipando a oltre centoventi film e fornendo un notevole contributo tecnico-innovativo. Fautore di un criterio cronachistico, privo di ogni retorica, i film a cui lavorò furono tra i massimi esempi del cinema inteso come "pedinamento della realtà". Fondamentale fu il sodalizio con Vittorio De Sica, per il quale scrisse opere come Sciuscià (1946), Ladri di biciclette (1948), Miracolo a Milano (1951), Umberto D. (1952), che fornivano una lucida rappresentazione dell'Italia del dopoguerra. Tra i tanti altri film, si ricordano Amore in città (1953); La ciociara (1960), dall'omonimo romanzo di Alberto Moravia; I misteri di Roma (1963); Matrimonio all'italiana (1964). Zavattini è stato autore di diversi libri quali Parliamo tanto di me (1931), I poveri sono matti (1937), Io sono il diavolo (1943), I misteri di Roma (1963), La notte che ho dato uno schiaffo a Mussolini (1977) e Una, cento, mille lettere (1988), magnifico carteggio nel quale spiccano le sue lettere con l'editore Valentino Bompiani. Nel dialetto della sua terra, il luzzarese, compose i versi di Stricarm, in d'na parola. A ottant'anni, Zavattini esordì nella regia con il film La verità, il suo testamento spirituale.

CENTRI MINORI

Bagnacavallo

(16.147 ab.). Cittadina agricola e industriale in provincia di Ravenna. Conserva diverse testimonianze della sua origine romana; subì le dominazioni gotica, bizantina, longobarda, passando quindi a diversi feudatari e nella giurisdizione dei comuni maggiori. Primo esempio di un feudo concesso in Italia a uno straniero: nel 1375 fu ceduta al capitano di ventura inglese John Hawkwood (italianizzato Giovanni Acuto), che sette anni più tardi la vendette agli Estensi.
Possiede un centro storico pressoché inalterato nel suo assetto medievale, con una piazza principale dalla quale si diramano radialmente le vie porticate. Sulla piazza si affacciano i principali edifici pubblici: la duecentesca Torre civica o dell'Orologio (35 m) nelle cui celle, nel 1848, fu rinchiuso il bandito Stefano Pelloni detto il Passatore; il Palazzo Vecchio, risalente al XIII secolo e più volte ricostruito; il Palazzo del Municipio in elegante stile neoclassico, progettato da Cosimo Morelli (1791-1803), distinto da un alto porticato analogamente al teatro comunale Carlo Goldoni, opera del bolognese Filippo Antolini (1845). In posizione eccentrica si apre la splendida piazza Nuova (1758?59), la cui forma ellittica è definita da portici a tutto sesto.
Tra gli edifici religiosi, la collegiata di S. Michele Arcangelo che, ristrutturata nel XV secolo nella parte absidale, richiama influenze bramantesche; nell'interno, Redentore e santi di Bartolomeo Ramenghi detto il Bagnacavallo. La chiesa di S. Giovanni e l'annesso convento delle Cappuccine, entrambi risalenti al Trecento, furono ristrutturati in stile barocco; nell'ex convento - dove nel 1821 morì Allegra, figlia di Lord Byron - hanno oggi sede la Biblioteca C. Taroni, sorta nel 1774, la Pinacoteca e il Museo civico, con le sezioni archeologica, etnografica e naturalistica.
A un chilometro sorge la pieve di S. Pietro in Sylvis, tra le più belle e meglio conservate della Romagna. Risalente agli inizi del VII secolo, è un significativo esempio di architettura esarcale o protoromanica. Nell'interno, a tre navate divise da archi a tutto sesto su pilastri, conserva notevoli affreschi (1320-25), forse ascrivibili a ignoto maestro riminese, raffiguranti il Redentore tra gli evangelisti, gli apostoli e Cristo crocifisso tra la Madonna e S. Giovanni.

Bobbio

(3.899 ab.). In provincia di Piacenza, è il centro più importante della valle del Trebbia. Situato in una zona ricca di acque, è stazione turistico-termale. Sorse intorno all'abbazia di San Colombano, la più antica del regno longobardo, fondata nel 614 dal monaco cenobita Colombano attorno a una preesistente chiesa di S. Pietro. Tra il IX e il XII secolo l'abbazia fu un importante centro economico e culturale, sede di un famoso "scriptorium" e di una celebre biblioteca. Sede vescovile nel 1014, il borgo fu cinto da mura nel XII secolo. Passato ai Visconti nel XIV secolo, seguì le sorti dello Stato milanese fino al 1748, quando fu annesso allo Stato sabaudo. Unito a Genova fino al 1859, passò alla provincia di Pavia e infine, nel 1923, a quella di Piacenza.
L'attuale basilica di S. Colombano è stata ricostruita dal 1456 al 1522 inglobando i resti della chiesa abbaziale; i corpi di fabbrica superstiti sono la parte absidale della basilica e il lungo loggiato (1570) del grande cenobio. Sul fianco sinistro si ergono il campanile e l'adiacente absidiola, risalenti al IX secolo. Con facciata tripartita e preceduta da portico cinquecentesco, la basilica ha un interno a tre navate divise da pilastri polistili. Conserva uno splendido coro ligneo (1488) e notevoli opere d'arte nella cripta: un pavimento a mosaico del XII secolo, pressoché integro, con motivi simbolici di gusto romanico; una rara cancellata in ferro del XII secolo; il sarcofago di S. Colombano, arca marmorea di Giovanni dei Patriarchi da Milano (1480). Nel Museo dell'Abbazia, raccolta di materiali archeologici e opere legate alla figura del santo.
Sull'irregolare piazza del Duomo, con case medievali a portici, prospetta il Duomo, testimoniato nel 1075, con facciata quattrocentesca chiusa da due torri derivate dall'impianto originario; nell'interno, decorazione di gusto neogotico-bizantino (Aristide Secchi, 1896) e affreschi trecenteschi.
La parte alta di Bobbio è dominata dal Castello, eretto nel 1440 da Pietro Dal Verme, oggi sede museale; il poderoso torrione e i resti della porta d'ingresso delle mura sorgono sui resti di un primitivo insediamento monastico. Lo storico Ponte Gobbo sul Trebbia, formato da undici arcate disuguali, è il simbolo di Bobbio; forse di origine romana, documentato a partire dal 1196, è stato ristrutturato nei secoli XVI e XVII.

Bondeno

(16.749 ab.). Centro in provincia di Ferrara, attraversato dal Panaro e dal canale di Burana. Numerose sono le industrie connesse alla trasformazione dei prodotti agricoli e alla frutticoltura.
Insediamento preistorico e romano, legato nell'Alto Medioevo all'abbazia di Nonàntola, Bondeno fu dotato da Matilde di Canossa di un castello, poi roccaforte estense. Terra di alluvioni e di confine tra Emilia, Veneto e Lombardia, reca imponenti testimonianze delle opere di bonifica: la botte Napoleonica, in stile dorico-romano, con due gallerie sottopassanti (1899), e il cavo Napoleonico, importante complesso di sifoni, chiaviche e bacini, lungo 18 km, che convoglia parte delle acque del Reno fino a Bondeno, scaricandole nel Panaro e servendo una vasta area delle province di Ferrara e Bologna.

Brisighella

(7.597 ab.). Centro in provincia di Ravenna, situato nella bassa valle del Lamone, è stazione termale. Insediato sin dalla remota antichità, il borgo prosperò con i commerci derivati dalle cave di gesso, con la lana, la seta, il cuoio, il vino e l'olio. Ufficialmente fondata da Maghinardo de' Pagani da Susinana alla fine del Duecento, Brisighella fu contesa tra i Manfredi e la Chiesa; dopo una breve dominazione veneziana (1503-09) fu annessa allo Stato pontificio.
Il borgo conserva integro il suo aspetto medievale, degna cornice alla festa che vi si celebra tra giugno e luglio. Via degli Asini, o del Borgo, resta uno straordinario esempio di strada sopraelevata e coperta da un portico sul quale si aprono una sequenza di arcate e gli ingressi alle case, addossate alla scarpata della roccia; sul suo selciato transitavano le carovane degli asini e dei muli utilizzati nelle vicine cave di gesso.
Sui tre speroni rocciosi in selenite che sovrastano il borgo si ergono rispettivamente la Rocca, la Torre dell'Orologio e il santuario di Monticino, dedicato alla Madonna (1758) e circondato da cipressi. La Rocca, eretta nel 1310 da Francesco Manfredi, fu elevata nel suo aspetto attuale alla metà del XV secolo e durante il periodo veneziano; consta di due torri cilindriche a beccatelli (la maggiore, aggiunta dai veneziani) raccordate alla cinta di mura. Nell'interno ha sede il Museo del Lavoro contadino nelle vallate del Lamone, Marzeno e Senio. Sullo spuntone antistante svetta l'alto profilo della Torre dell'Orologio, eretta nel 1290 e più volte restaurata da Alfonso Rubbiani.
La seicentesca collegiata dei Ss. Michele e Giovanni Battista fu eretta su disegno del fiorentino Gherardo Silvani; sul ricco altare, una Madonna del Quattrocento su tavola e, nel battistero, un gruppo in terracotta della Pietà (XV sec.).

Busseto

(6.962 ab.). Centro agricolo in provincia di Parma. Vanta il prestigio di antica capitale dello stato dei Pallavicino, che ne detennero il dominio dal X secolo al 1587, quando passò al ducato farnesiano. Nella frazione Róncole, oggi Róncole Verdi, nacque Giuseppe Verdi (1813-1901), il "cigno di Busseto". Qui è possibile visitare l'umile casa natale del grande musicista.
Sulla centrale piazza Giuseppe Verdi si affacciano la Rocca, il quattrocentesco Palazzo del Comune e la collegiata di S. Bartolomeo. La Rocca, fondata nel 1250, fu rifatta nell'Ottocento da Pier Luigi Montecchini in stile gotico con torri angolari merlate, tra le quali si erge la cinquecentesca Torre dell'Orologio; nell'interno hanno sede il Municipio e il grazioso Teatro Verdi, inaugurato nel 1868 con "Rigoletto" e "Un ballo in maschera". La collegiata di S. Bartolomeo fu ricostruita (1437-50) su una precedente trecentesca; nell'interessante facciata neogotica si apre un bel portale rinascimentale con decorazioni in cotto; all'interno, eleganti stucchi di gusto rococò e un ciclo di affreschi di Michelangelo Anselmi (1538-39). Lungo via Roma si allineano Palazzo Barezzi, casa del suocero di Verdi e suo primo mecenate; Palazzo Orlandi, sede del Museo dei Cimeli verdiani; Palazzo del Monte di Pietà (Domenico Valmagini, 1679-82), con ampio portico, dove è custodita la Biblioteca del Monte (1768).
Un viale alberato porta alla Villa Pallavicino, il cui progetto è attribuito al Vignola. Preceduta da un monumentale padiglione d'accesso in stile rococò, la villa consta di cinque corpi disposti a scacchiera comunicanti con loggiati passanti. Ospita il Museo civico; negli ambienti interni, stucchi settecenteschi e affreschi di Ilario Spolverini e G.B. Draghi. Quasi di fronte alla villa è S. Maria degli Angeli, costruita in stile tardo gotico da Gianlodovico e Pallavicino Pallavicino tra il 1470 e il 1474; conserva lo splendido Compianto su Cristo morto, gruppo in terracotta di Guido Mazzoni (1476-77).
A due chilometri, in territorio piacentino, si trova Villa Verdi. L'appartamento privato conserva la disposizione e l'arredo del tempo in cui fu abitata dal maestro e dalla moglie Giuseppina Strepponi.

Carpi

(60.589 ab.). Centro in provincia di Modena, sul torrente Secchia. è un attivo centro industriale (industrie casearie, enologiche, salumifici, raffinerie e industrie plastiche). Tradizionale attività artigianale, documentata fin dal Seicento, è la lavorazione della scagliola e del "truciolo" per ottenere cesti, cappelli, ecc. Nel secondo dopoguerra ha avuto un grande sviluppo il settore legato alla maglieria e alle confezioni. Nel territorio comunale si pratica l'allevamento del bestiame e l'agricoltura.
Le prime notizie di Carpi risalgono all'VIII secolo. Sorta attorno alla pieve di S. Maria della Sagra e fondata secondo la tradizione dal duca longobardo Astolfo, fu poi borgo fortificato di Matilde di Canossa, che lo donò alla Chiesa. Autonoma rispetto a Modena e Reggio, fu contesa tra diverse famiglie e alla fine occupata dal modenese Manfredo Pio (1319). Fino al 1525 Carpi rimase signoria dei Pio, che ne promossero lo sviluppo urbano ed economico; soprattutto con l'ultimo signore, Alberto III, mecenate e fortemente influenzato dall'educazione umanista di un precettore d'eccezione quale Aldo Manuzio, Carpi divenne un gioiello rinascimentale nell'impianto e nelle architetture progettate da Baldassarre Peruzzi. Nel 1525 passò agli Estensi, seguendo le sorti del ducato. Negli ultimi decenni del XX secolo la città ha avuto una crescita edilizia abnorme che ha snaturato i rapporti con l'originaria trama urbanistica.
Tra le più vaste della regione, Piazza dei Martiri è un ampio spazio rettangolare concepito per riunire le funzioni rappresentative religiose, signorili e mercantili della città. Il lato occidentale è interamente occupato dall'armonioso Portico Lungo (212 m, 52 arcate), mentre a Nord si erge la facciata barocca della cattedrale di S. Maria Assunta, il cui interno mantiene inalterato il carattere architettonico rinascimentale. Il lato orientale della piazza è invece definito dal Palazzo dei Pio, detto anche il Castello. Residenza signorile dei Pio, la struttura è scandita dalla massiccia Torre di Passerino Bonacolsi (1320), dal torrione di Galasso Pio (XV sec.), dal bastione circolare dell'Uccelliera (1480). Dal grande cortile interno, ispirato ai modelli bramanteschi, si accede all'appartamento monumentale e a diversi ambienti riccamente ornati, tra i quali il salone dei Mori, la preziosa cappella rinascimentale affrescata da Bernardino Loschi (inizi XVI sec.), la stanza del Forno, la stanza della Torre di Passerino, la stanza ornata, la stanza dei Trionfi, lo studiolo di Alberto Pio, la stanza dell'Amore. Vi sono conservate diverse importanti collezioni (dipinti, arredi, ceramiche, xilografie, materiali archeologici e risorgimentali) attinenti all'arte e alla storia locale. Nel complesso è ospitato anche il Museo della Xilografia italiana; in un cortile, con accesso da piazza dei Martiri, si trova il Museo-monumento al Deportato politico e razziale, progettato da Lodovico Belgioioso (1973).
Sul piazzale re Astolfo, nucleo della cittadella medievale, si affacciano il Castelvecchio (XV sec.) il fronte più antico degli edifici che compongono il Palazzo dei Pio, e la pieve di S. Maria in Castello, detta la Sagra, risalente all'VIII secolo, con facciata rinascimentale su disegno del Peruzzi. L'alto campanile duecentesco con pinnacoli e cuspide segna il perno di riferimento dell'intero impianto antico di Carpi.
Nel comparto di Borgogioioso e Borgonovo, derivato dall'ampliamento quattrocentesco della città, si concentrano importanti edifici: la chiesa di S. Nicolò, completata da Baldassarre Peruzzi nel 1516; la seicentesca chiesa di S. Ignazio con l'alta facciata in cotto, il complesso di S. Chiara (fine XV sec.), i Palazzi Barbieri-Grillenzoni e Bonasi-Gandolfi (sec. XVIII).
Il centro di Carpi (Modena)


Castell'Arquato

(4.574 ab.). In provincia di Piacenza, la cittadina è costituita da due nuclei: il borgo ai piedi della collina; il centro monumentale, già chiamato Solario, scenograficamente sospeso sulla cima. Probabile insediamento in età romana, l'abitato è testimoniato nell'VIII secolo; appartenne al vescovo di Piacenza fino al 1220, in seguito fu soggetto agli Scotti e quindi allo Stato milanese fino al 1707, quando passò sotto il ducato di Parma del quale seguì i destini.
Il culmine del borgo alto è la bella piazza Alta, o del Municipio, dove si affacciano il Palazzo pretorio, l'imponente parte absidale della collegiata di S. Maria e, protesa verso valle, la Rocca. Il Palazzo pretorio, ora Municipio, è una costruzione massiccia (1293), con torre, loggetta e un coronamento merlato; nella grande sala consigliare, soffitto a cassettoni e ricca decorazione pittorica. La collegiata di S. Maria è una struttura romanica risalente agli inizi del XII secolo, con campanile trecentesco. La facciata ha un bel paramento dal colore caldo, dove si alternano conci di tufo e arenaria. Sul fianco sinistro, sotto il portico detto del Paradiso (XV sec.), si apre un portale romanico strombato; nella lunetta, Madonna col Bambino, S. Pietro e un angelo (scuola di Piacenza, seconda metà XII sec.). All'interno, sopravvivono parti significative dell'impianto primitivo, come i capitelli figurati (inizi XII sec.), sculture (XII sec.) e affreschi quattrocenteschi. Dall'adiacente chiostro trecentesco si accede al Museo della Collegiata il cui pezzo forte è uno splendido paliotto bizantina, raffigurante l'Eucarestia (XIII sec.). La Rocca è una poderosa opera di difesa fatta erigere dal Comune di Piacenza nel 1343 e rafforzata da Luchino Visconti nel 1347. Comprende due spazi cintati: uno superiore e uno inferiore, dove sorge l'alto mastio con funzione di ingresso.
Più in basso è posto il cinquecentesco torrione farnesiano dai grandi arconi concavi; a fianco, il Palazzo del Duca (XIII-XIV sec.), sotto il quale è una fontana a cannelle multiple (1292). Nell'ex ospedale di S. Spirito è allestito il Museo Geologico con raccolte di notevole valore scientifico, tra le quali i resti di una balenottera del Pliocene.

Cattolica

(15 559 ab.). Centro balneare in provincia di Rimini, sull'Adriatico. Porto peschereccio. Stazione itineraria romana sulla Via Flaminia (220 a.C.), in epoca bizantina formò l'insediamento dello scomparso castello di Conca. Nel 1270-71 venne fondato il nuovo borgo medioevale, sotto le giurisdizioni di Rimini e Ravenna. Dopo la signoria dei Malatesta e un breve dominio veneziano, passò allo Stato pontificio, dipendendo da Rimini fino alla fine del Settecento. Nell'Ottocento, come gli altri centri della costa, cominciò ad essere meta del turismo balneare da parte della nobiltà e dell'alta borghesia emiliano-romagnola. Ottenuta l'autonomia amministrativa nel 1896, durante il ventennio fascista, insieme alla vicina Riccione, divenne un centro mondano di rilevanza internazionale.
L'abitato storico sorge su un terrazzo a un chilometro dal mare, allungato a margine della Via Flaminia. A Sud il promontorio di Gabicce conclude, dopo oltre cento chilometri, il litorale romagnolo. La città conserva alcune testimonianze delle sue origini romane nell'area archeologica e nell'Antiquarium, posto all'interno del Centro culturale polivalente, architettura contemporanea di Pier Luigi Cervellati. La massiccia Rocca Malatestiana (1490), ora Rocca Varni, costituiva il caposaldo difensivo dell'abitato. L'ospedale dei Pellegrini, fondato nel 1584 ed oggi adibito a caserma dei carabinieri, testimonia la cultura dell'ospitalità a Cattolica. Tra gli edifici contemporanei si evidenziano la chiesa di S. Antonio (anni Settanta del Novecento, architetti Riccardo Magnanini e Giancarlo Pediconi) e l'ex colonia Navi (1932, architetto Clemente Busiri Vici), oggi sede di un Parco Tematico che illustra con l'ausilio delle più moderne tecnologie multimediali il rapporto tra l'uomo e il mare.

Cento

(29.237 ab.). Cittadina in provincia di Ferrara, in posizione quasi baricentrica tra Bologna, Ferrara e Modena. Fiorente centro commerciale, Cento sorge in quella zona di pianura chiamata delle "terre vecchie", compresa tra i fiumi Po a Nord, Panaro a Ovest e Reno a Sud. Prende il nome da un'unità di superficie romana, e come colonia romana nasce, nel II secolo a.C. Cento e la vicina Pieve, matrice religiosa dell'insediamento, formarono fino al 1376 un'unica entità amministrativa. Il borgo di Pieve di Cento, dal 1929 in provincia di Bologna, condivise le sorti di Cento sotto il dominio degli Estensi e, dal 1598, del papato; con la sua trama regolare delle vie simmetriche e porticate, è un piccolo gioiello di urbanistica medievale. A Cento nacque, nel 1591, Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino.
Il territorio del Centese è profondamente segnato dalle opere eseguite nel corso dei secoli per governare le acque e bonificare il suolo; qui, alla diffusione della dimora alla "bolognese", con le tipiche stalle-fienili e le case separate dalla vasta corte, si accompagnano ambiti di grande interesse, quali le aree della "partecipanza agraria".
L'abitato storico di Cento conserva l'impianto urbanistico risalente al XIII secolo e i caratteri architettonici derivati dal consistente sviluppo edilizio dei secoli XVII e XVIII. Delle quattro porte d'ingresso alla città oggi rimane solo la PortaPieve; la poderosa Rocca a beccatelli e merlatura ghibellina fu costruita dai bolognesi (1387) e modificata nei secoli XV e XVI; dal profilo della robusta struttura emergono le torri angolari e l'alto mastio che funge da ingresso. Nella centrale piazza Guercino prospettano il Palazzo del Governatore (1502), sede della Galleria d'Arte moderna Aroldo Bonzagni, con la lunga facciata merlata interrotta dalla Torre dell'Orologio, e il seicentesco Palazzo comunale, dall'elegante portico a tre arcate e l'ampia balconata superiore. Edifici d'uso residenziale di grande interesse sono la Casa Provenzali, affrescata all'interno dal Guercino, il Palazzo Rangoni (1640), sede della Civica Biblioteca del Patrimonio degli Studi, e la Casa Pannini (1360), che richiama le case medievali bolognesi con il porticato ligneo e la sequenza di monofore accoppiate al piano superiore; un tempo accoglieva un importante ciclo di affreschi del Guercino, in parte conservati presso la Pinacoteca civica. Quest'ultima, ospitata nel Palazzo del Monte di Pietà e dell'Archivio notarile (Giovanni Calegari, 1782), oltre ad opere del Guercino, raccoglie dipinti di Pellegrino Tibaldi, Ludovico Carracci, Denijs Calvaert. L'ex chiesa di S. Lorenzo è uno dei maggiori esempi del barocco centese (Pietro Alberto Cavalieri, 1765-73). La chiesa del Rosario (1633-41), eretta forse su disegno dello stesso Guercino, reca all'interno quattro opere del grande artista centese: la Crocifissione, S. Francesco, S. Giovanni Battista, Padre Eterno (1645).

Cervia

(25.395 ab.). Cittadina in provincia di Ravenna, stazione climatica estiva sulla spiaggia adriatica. Dispone di un attrezzato porto turistico, di 254 stabilimenti balneari e di centinaia di strutture ricettive molto diversificate. L'antico abitato di Cervia sorgeva al centro delle saline, originando dal primitivo centro di Ficocle, distrutto nel 709. Il canale delle Saline, che oggi separa Cervia da Milano Marittima, collegava l'abitato con il mare. L'influenza di Venezia fu rilevante nei secoli XIII-XV; ne resta il ricordo nella tradizionale festa dello "Sposalizio del mare", che si celebra annualmente dal 1445 nel giorno dell'Ascensione, a somiglianza dell'analoga festa veneziana. Con la pace di Agnadello del 1509 passò sotto lo Stato pontificio, decadendo e spopolandosi a causa del clima malsano fino al suo definitivo abbandono. Tra il 1697 e il 1714 venne costruita Cervia nuova, la città del sale, secondo una concezione di città ideale. Il progetto urbanistico di Bellardino Berti previde un'area rettangolare cinta da bastioni con ampia piazza centrale. Allo sviluppo del turismo marino contribuirono la costruzione del primo stabilimento balneare (1882), la realizzazione del collegamento ferroviario con Ravenna e la bonifica delle paludi. è stata mantenuta un'area a pineta (la pineta di Cervia) che costituisce il precario residuo della scomparsa foresta costiera.
La principale piazza Garibaldi riunisce le sedi del potere civile ed ecclesiastico: il Palazzo comunale, su disegno di Francesco Fontana (1702), caratterizzato dalla Torre dell'Orologio, e la coeva Cattedrale, più propriamente chiesa dell'Assunta, incompiuta nella facciata; nell'interno, dipinti seicenteschi di Simone Cantarini, Francesco Longhi e Barbara Longhi. Il perimetro del centro storico è formato dalle caratteristiche case dei salinari, gli operai addetti all'estrazione del prezioso prodotto. Presso il porto-canale sorgono la poderosa Torre di S. Michele (1691), sede della Biblioteca Comunale, e il settecentesco complesso dei magazzini del Sale, significativo esempio di archeologia industriale, restaurato e sede del Museo della Civiltà salinara, che illustra gli antichi processi di estrazione e lavorazione del minerale; il complesso comprende il magazzino detto della Darsena (1712) e quello detto Torre (1691). Le saline di Cervia, che costituirono per secoli la principale fonte economica della zona, si estendono a Ovest della strada Romea su una superficie di circa 828 ettari, dei quali 765 a Riserva naturale della salina di Cervia, sede di una avifauna caratteristica e parte del Parco regionale del Delta del Po. Dopo un periodo di produzione quasi azzerata si è assistito a una piccola e lenta ripresa. Le proprietà terapeutiche dei fanghi e dell'"acqua madre" (quella che resta nei bacini dopo la cristallizzazione del sale) vengono utilizzate nel moderno centro termale della città. All'interno del moderno impianto salino di Cervia si trova la salina Camillone, una piccola area dove è stato mantenuto, a scopo didattico, l'antico metodo di estrazione del sale dall'acqua marina.

Cesenatico

(21.344 ab.). Centro in provincia di Forlì-Cesena. In riva all'Adriatico, rinomato centro di villeggiatura estiva; vivace l'attività di pesca nell'Adriatico. La storia e la vita stessa di Cesenatico s'identificano con quella del suo porto-canale, fondato nel 1302 dalla città di Cesena e del quale Leonardo da Vinci eseguì il rilievo planimetrico quotato (1502). Entrato dapprima nell'orbita veneziana, Cesenatico passò dopo il 1509 sotto il dominio pontificio. Nella notte tra il 1° e il 2 agosto 1849, Giuseppe Garibaldi, reduce dalla difesa di Roma e accompagnato da Anita morente, si imbarcò da qui con l'intento di raggiungere Venezia. Cesenatico, riscoperta dalla borghesia di Cesena, ebbe il suo primo stabilimento balneare dopo la costruzione della ferrovia Rimini-Ravenna nel 1880. Già agli inizi del Novecento l'amministrazione comunale si propose di promuovere il turismo concependo l'idea di una città-giardino. Furono inoltre edificate, alla sinistra del porto-canale, le prime colonie marine, destinate ai soggiorni marini dei figli dei lavoratori.
Il porto-canale è l'asse principale attorno al quale gravita la vita sociale di Cesenatico. Unico del suo genere in Italia è il Museo galleggiante della Marineria dell'alto e medio Adriatico, che espone diversi esemplari di barche tradizionali perfettamente restaurate. In piazza delle Conserve, nel ben conservato borgo antico, sono visibili le ghiacciaie, costruzioni interrate a forma di tronco di cono, che servivano a conservare i prodotti del mare. Da notare la seicentesca parrocchiale di S. Giacomo e la Biblioteca che contiene un piccolo Antiquarium romano. Rappresentative dell'architettura balneare di Cesenatico sono le colonie marine, in particolare la colonia AGIP (Giuseppe Vaccaro e Ferruccio Gherardini, 1937-38) e la colonia Enpas (Paolo Portoghesi ed Eugenio Abruzzini, 1961-65).

Codigoro

(13.799 ab.). Centro in provincia di Ferrara, sulla riva sinistra del Po di Volano. Il territorio è stato oggetto di immani opere di bonifica attuate mediante grossi stabilimenti idrovori. Tra gli insediamenti di archeologia industriale va segnalato l'impianto idrovoro di Codigoro, utilizzato nella Grande bonifica ferrarese.
A cinque chilometri, sulla strada Romea, si trova la celebre abbazia di Pomposa. Fu un importante centro di studi e di riforma monastica e fondiaria, raggiungendo il massimo splendore nell'XI secolo. Ospitò Dante Alighieri, Pier Darniani e Guido d'Arezzo. Dopo un secolare declino, nell'Ottocento divenne di proprietà statale e fu sottoposta a un'intensa attività di restauro. Il cornplesso monumentale comprende la basilica di S. Maria, il monastero e il Palazzo della Ragione. La basilica, di tipo ravennate-bizantino, è preceduta da uno splendido atrio a tre arcate, realizzato da mastro Mazulo, ricco di sculture con animali simbolici; negli oculi degli archi è impresso l'albero della vita. Accanto svetta l'alto campanile, opera di Deusdedit (1063), impreziosito da inserti cromatici. L'interno della chiesa è a tre navate, ripartite da colonne di recupero romane e bizantine. La parte più antica vicino all'abside risale al VI secolo; il pavimento del XII secolo è a tarsie di marmi preziosi, con motivi geometrici, animali mostruosi, elementi vegetali e figurativi. Le pareti della navata centrale sono rivestite da affreschi di scuola bolognese della metà del Trecento e dai resti di decorazioni pittoriche precedenti. Nell'abside, opere di Vitale da Bologna e aiuti (1351). Il monastero si affaccia sul cortile che conserva i pilastri angolari del primitivo chiostro (XII sec.). Sul lato Est si apre la Sala capitolare, con portale e bifore a ogiva (all'interno, affreschi trecenteschi); nello spazio del dormitorio superiore ha sede il Museo pomposiano, dove è esposta una raccolta di oggetti provenienti dal restauri e dagli scavi del complesso. Sul lato Sud è il refettorio, con un significativo ciclo di affreschi di maestro vicino a Giuliano e Pietro da Rimini o a Giovanni Baronzio. Il Palazzo della Ragione, infine, chiude il lato Ovest del chiostro; edificato nell'XI secolo, vi si amministrava la giustizia. Si caratterizza per la serrata sequenza delle arcate del portico al piano terra e per la loggia superiore.

Comacchio

(21.502 ab.). Cittadina in provincia di Ferrara. Dista sei chilometri dal mare, col quale comunica per mezzo di un canale sfociante al porto di Magnavacca. Sorse su tredici isolette in epoca tardo-romana, in posizione strategica per il controllo delle rotte adriatiche e le vie d'acqua dell'entroterra padano. Poco distante era Spina, centro etrusco fiorito dalla fine del VI al III secolo a.C. Comacchio raggiunse la massima prosperità tra i secoli VI e IX, grazie alla pesca, alla produzione del sale e al commercio marittimo; è noto il capitolato del re Liutprando (VIII sec.), che riconosce i diritti di Comacchio per il commercio del sale dei porti fluviali della Longobardia. Più volte occupata e distrutta dai veneziani, nel 1299 passò sotto gli Estensi e due secoli dopo allo Stato della Chiesa; la città iniziò un lento declino, nonostante l'intensa attività edilizia e urbanistica della prima metà del Seicento e alla quale Comacchio deve in gran parte la sua attuale fisionomia. Nonostante sia oggi quasi interamente circondata dalla terraferma, la sua particolare conformazione e l'intimo rapporto con l'elemento acqua richiamano ancora l'immagine di una piccola Venezia.
Al centro della città antica sorge l'elegante Loggia dei Mercanti o del Grano (1621) dalla svettante Torre dell'Orologio (trecentesca, rifatta nel 1824). Poco lontano è la Cattedrale di S. Cassiano, originaria dell'VIII secolo e ricostruita su progetto di Angelo Cerutti nella seconda metà del Seicento. Notevole la torre campanaria poggiante su un'enorme base in pietra d'Istria. Seicentesche anche la chiesa del Rosario (1618) e la chiesa di S. Maria in Aula Regia (1655).
I ponti sono un elemento distintivo di Comacchio: sul canale Maggiore rimangono il Ponte S. Pietro e il Ponte degli Sbirri di Luca Danesi (1631-35). A quest'ultimo si deve anche il singolare complesso dei Trepponti (1634) eretto su due canali che si intersecano e composto da cinque arcate sovrastate da due torri con funzione difesiva.
Le Valli di Comacchio costituiscono una grandiosa zona umida di oltre 11.000 ettari, dai caratteri paesaggistici e naturalistici unici. Sono quanto rimane di un vastissimo comprensorio lagunare e vallivo che per secoli ha caratterizzato il territorio sud-orientale della provincia di Ferrara, segnato inoltre da insediamenti umani peculiari, quali i "casoni" da pesca e i "lavorieri" (impianti per la cattura delle anguille). Presso Casone Foce si trova il Museo delle Valli di Comacchio.
Il centro di Comacchio (Ferrara)


Correggio

(20.278 ab.). Centro in provincia di Reggio Emilia, deriva il nome dalla lunga striscia di terra "corrigia" che emergeva tra i torrenti Cròstolo e Tresinaro. Nato intorno a una pieve longobarda, fu dominio fin dall'Alto Medioevo della famiglia che ne prese il nome: i Da Correggio. Sotto di essi si sviluppò una splendida corte che accolse poeti e letterati come il Tasso, l'Aretino, il Bembo e l'Ariosto. Grande fu il mecenatismo della poetessa Veronica Gambara, vedova del conte Giberto X, e di Claudia Rangone, moglie di Giberto XI. A Correggio nacque il grande pittore Antonio Allegri detto il Correggio (1489-1534). Nel 1452 il feudo fu elevato a contea e nel 1559 ottenne il rango di città. Deposto dall'imperatore Ferdinando II, l'ultimo dei Da Correggio, fu annessa al ducato di Modena nel 1635.
La rinascimentale residenza dei Da Correggio, detto il Palazzo dei Principi, fu compiuto poco oltre il 1500, forse su disegno di Biagio Rossetti. Chiara l'impronta ferrarese, che si riscontra anche nel colore rosato del cotto e negli ornati. Attraverso lo splendido portale, ricco di figurazioni (opera di un maestro della scuola di Pietro Lombardo), si accede al cortile porticato. Di grande interesse gli ambienti interni, tra i quali lo scenografico salone delle Capriate. Il palazzo ospita la Biblioteca civica, gli Archivi storico,comunale e notarile e il Museo Civico, che custodisce, tra l'altro, un Redentore di Andrea Mantegna (1493).
La basilica di S. Quirino fu eretta tra il 1513 e il 1587 su disegno attribuito al Vignola, ed è affiancata da una torre trecentesca. L'asse viario più caratteristico della cittadina è corso Mazzini: ampio come una piazza, tutto acciottolato, chiuso dalle case porticate con facciate dai colori pastello e abbellimenti settecenteschi e neoclassici. La strada si allarga a formare la "piazza" limitata dal Palazzo della Ragione con la torretta dell'Orologio, opera di Quirino Asioli (XVIII sec.); vi prospetta il Palazzo del Municipio, dall'elegante scalone settecentesco. Nel Borgo Vecchio, corrispondente all'area urbana del XIII secolo, sorge la ricostruzione della casa del Correggio, fatta nel 1755. La chiesa di S. Francesco è il polo di aggregazione del Borgo Nuovo, formatosi nel XV secolo. L'armoniosa architettura in cotto e il più antico caratteristico campanile pendente preludono al suggestivo interno a tre navate con archi a sesto acuto su pilastri polistili.

Cortemaggiore

(4.508 ab.). Città in provincia di Piacenza, diventata la capitale italiana degli idrocarburi da quando, nel dopoguerra, l'AGIP vi ha impiantato grandiose strutture per lo sfruttamento dei ricchi giacimenti di metano. La città antica rappresenta un ben conservato esempio dell'urbanistica rinascimentale; Cortemaggiore fu infatti rifondata verso il 1470 da Gianlodovico Pallavicino, intenzionato a farne la nuova capitale del suo stato con il nome di Castrum Laurum. Del progetto fu incaricato Maffeo Carretto, coadiuvato da Gilberto Manzi, che concepì un rettangolo regolare di m 400x350, attraversato da sette ampie vie rettilinee e parallele intersecate da otto trasversali, formanti una scacchiera di isolati.
All'estremità Sud della città sono i resti del Palazzo signorile, con elegante loggiato, e della Rocca. Sulla vasta piazza Grande (dei Patrioti) si erge la collegiata di S. Maria delle Grazie (Gilberto Manzi, 1481), prodotto della cultura tardo-gotica lombarda, con campanile del Cinquecento e facciata del 1881. All'interno, di grande interesse l'arca sepolcrale di Gianlodovico Pallavicino, ornata di squisiti rilievi (1499), e una serie di tavole dipinte da Filippo Mazzola, padre del Parmigianino (1499). La chiesa della SS. Annunziata, con facciata di tipo lombardo caratterizzata da elementi gotici e protorinascimentali, conserva all'interno un ciclo di affreschi del Pordenone, autore anche della grande tela della Deposizione. Infine l'oratorio di S. Giuseppe, gioiello barocco (1576-93), impreziosito da stucchi di Bernardo Barca e Domenico Dossa e da dipinti di G.B. Tagliasacchi.

Faenza

(54.118 ab.). Città in provincia di Ravenna, nella pianura romagnola. Sorge sulla via Emilia ed è lambita dal fiume Lamone. Vivace mercato agricolo e centro industriale. Nota come la "capitale della ceramica" per una secolare tradizione di artigianato artistico, tanto che dalla seconda metà del Cinquecento si diffuse in Europa il termine faïence (faenza) per indicare la ceramica stessa. Tuttavia, Faenza è anche una città artisticamente degna di grande attenzione, soprattutto per merito delle testimonianze del periodo neoclassico, di livello assolutamente europeo.
Faenza fu fondata alla fine del II secolo a.C. dai Romani con il nome di Faventia. I più significativi episodi urbanistici del Medioevo furono la creazione del borgo Durbecco a Est, oltre il Lamone (XI sec.), e l'allargamento urbano dovuto al formarsi di comunità religiose attorno al centro (XIII sec.). Libero comune dal XII secolo, fu in seguito conquistata dai Manfredi, che ne mantennero la signoria dal 1313 al 1501. Furono in particolare Astorgio II e Carlo II (1448-77), influenzati dal clima umanistico della Firenze medicea, a promuovere significativi interventi architettonici e urbanistici, quali la fabbrica del Duomo, la sistemazione delle piazze centrali e l'edificazione delle mura, mantenute fino al primo Novecento. Conquistata da Venezia, Faenza entrò nel 1510 a far parte dei domini della Chiesa. La felice stagione neoclassica si aprì nell'ultimo quarto del Settecento, grazie alla committenza dell'alta borghesia cittadina, aperta alle istanze culturali illuministiche e influenzata dal gusto francese; protagonisti del momento furono gli architetti Giuseppe Pistocchi e Giovanni Antolini, il pittore Felice Giani e lo scultore Antonio Trentanove. L'attuale aspetto di Faenza rivela gli interventi di ricostruzione del secondo dopoguerra, dopo gli ingenti danni bellici; la città ha assunto una fisionomia frammentata, ove frequentemente, fra pregevoli emergenze artistiche si inseriscono scadenti costruzioni moderne.
L'impianto romano di Faenza si legge chiaramente nell'andamento viario a maglia ortogonale sul cui cardine principale si allineano le piazze centrali. Su piazza della Libertà, in posizione sopraelevata, sorge l'imponente struttura del Duomo, dalla severa facciata rimasta al grezzo, ingentilita dalle finestre e dagli oculi. Eretto dal 1474 al 1511 su progetto del fiorentino Giuliano da Maiano, ha un interno a croce latina e a tre navate di impronta brunelleschiana, ma con caratteri di ascendenza romanica e gotico-padana, quali l'alternanza pilastri-colonne e le volte a vela. Da notare la classicissima arca di S. Savino, scolpita dal fiorentino Benedetto da Maiano (1474-76).
Nella scenografica piazza del Popolo si fronteggiano due lunghi porticati a doppio loggiato, frutto di un progetto manfrediano di ispirazione vitruviana, compiuto fra il XVII e XVIII secolo e ridisegnato nell'Ottocento. Dal lato della torre è il Palazzo del Podestà, antico Palazzo comunale (XII sec.), ampiamente rimaneggiato e poi restaurato "in stile" a fine Ottocento. Di fronte è il palazzo del Municipio, già residenza del capitano del popolo (XIII sec.) e quindi dimora dei Manfredi, che conserva ben poco della struttura originaria; un passaggio coperto, con volta decorata a grottesche (XVI sec.), immette nella corte della Molinella dove prospetta il teatro Masini, di Giuseppe Pistocchi (1780-87).
Appartengono ancora al periodo signorile le case Manfredi (sec. XIV-XV), con tracce dell'originaria decorazione in cotto e le quattrocentesche case Ragnoli.
Della prima metà del Settecento sono il poderoso Palazzo Ferniani con pregevole soluzione dell'angolo (1740-50) e il Palazzo Bertoni (1745); del Palazzo Morri (XVI sec.) si notano i bellissimi scaloni, uno barocco, l'altro neoclassico. Interessante per l'edilizia sette-ottocentesca è corso Matteotti: vi emerge il fastoso Palazzo Bertoni (1768).
Il magistero degli artefici della stagione neoclassica faentina - gli architetti Giuseppe Pistocchi e Giovanni Antolini, il pittore Felice Giani e lo scultore Antonio Trentanove - si rivela appieno nell'imponente Palazzo Milzetti, oggi sede del Museo del Neoclassicismo. Eretto su progetto di Pistocchi e Antolini (1794-1802), ha la facciata ritmata dagli stipiti bugnati delle finestre; preziosissima la decorazione degli ambienti interni, opera di Felice Giani, che in alcune scene rivela contenuti simbolici ed esoterici propri dell'ideologia massonica; notevole pure l'ornamentazione a stucco di Antonio Trentanove (galleria di Achille, gabinetto d'Amore, sala da bagno). Corso Mazzini è la via maggiormente rappresentativa dell'edilizia sette-ottocentesca; allinea la casa che Giuseppe Pistocchi edificò per sé (1787-90), il Palazzo Conti e il Palazzo Gessi, entrambi del Pistocchi, il Palazzo Zanelli dalla plastica facciata (1750 ca.); più avanti, la Casa Morri, tipico esempio del nitido neoclassicismo faentino (1805-10). Su corso Garibaldi prospetta il Palazzo Laderchi (opera di Francesco Tadolini, 1780), con l'interna galleria decorata da Felice Giani e Antonio Trentanove; segue la Casa Caldesi, opera alquanto convenzionale di Giuseppe Pistocchi (1800 ca.).
All'estremità occidentale del centro storico è la chiesa di S. Maria Vecchia, detta anche S. Maria foris Portam, perché all'esterno delle mura sino alla metà del XV secolo; della chiesa originaria, rifatta intorno al 1655, invertendone l'orientamento, rimane il campanile ottagonale, affine ai modelli ravennati (IX sec.). Nel borgo Durbecco, quasi interamente ricostruito dopo gli eventi bellici, si nota la chiesa della Commenda, risalente al XII secolo, ma modificata nei tre successivi; nel catino dell'abside, affreschi di Girolamo da Treviso (1533). Settecentesche sono le chiese di S. Umiltà (1741-44), le cui linee semplicissime non lasciano presagire l'incantevole interno rococò; di S. Francesco, con la bella Cappella della Madonna della Concezione; dei Ss. Ippolito e Lorenzo (1771-74), con elegante ornamentazione a stucco di Antonio Trentanove.
Il Museo Internazionale delle Ceramiche ha sede nell'ex convento di S. Maglorio. Fondato nel 1908 e risorto dopo la quasi completa distruzione bellica, raccoglie una vasta documentazione relativa alla produzione ceramica nel mondo. Si segnalano la copiosissima creazione locale, dalla fase arcaica (XIII-XIV sec.) a quella del primo e del secondo istoriato, ai tipi dei "bianchi di Faenza", sino alla raffinata produzione barocca e neoclassica della fabbrica Ferniani; le collezioni delle ceramiche delle regioni italiane, con prevalenza di quelle umbro-marchigiane, poi toscane, venete, abruzzesi, pugliesi, campane e lombarde; la raccolta delle targhe devozionali, ampio campionario di arte popolare dal XV al XX secolo; le sezioni del Medio ed Estremo Oriente e delle civiltà precolombiane; fra le opere moderne, gli esemplari di alcuni maestri del Novecento (Picasso, Chagall, Matisse, Léger, Rouault).
Nell'ottocentesco Palazzo dei Gesuiti è ospitata la Pinacoteca comunale; conserva soprattutto opere di scuola faentina e romagnola (XIV-XIX sec.), ma anche importanti esemplari di ambito esterno. Fra i dipinti, Madonna col Bambino e santi di Giovanni da Rimini, Madonna in trono col Bambino e i Ss, Michele e Andrea di Marco Palmezzano; Cane e sporta di Arcangelo Resani. Fra le sculture: S. Girolamo, legno policromo di Donatello; il delicato busto in marmo col S. Giovannino, attribuito ad Antonio Rossellino; infine due splendide casse nuziali quattrocentesche, in legno dorato e intarsiato.

Fidenza

(23.182 ab.). Cittadina in provincia di Parma, sulla Via Emilia a metà strada tra Parma e Piacenza, presso la riva destra del rio Stirone. Fiorente mercato agricolo e centro industriale (calzature, fertilizzanti, materiali per costruzioni stradali). Centro romano, nel 41 a.C. Ottaviano le conferì la cittadinanza romana con il nome di Julia Fidentia. Secondo la tradizione, nel 291 d.C. qui venne martirizzato S. Donnino. Tra il VII e il IX secolo si affermò la denominazione di "Borgo San Donnino", che rimarrà fino al 1921. Nell'XI secolo divenne capoluogo di contea e successivamente feudo dei Pallavicino; da questi fu ceduto nel 1145 al comune di Piacenza. Nel 1199 se ne impadronirono i parmigiani. Nel 1249, Federico II investì Oberto II Pallavicino della signoria di Fidenza, perduta nuovamente nel 1268 ad opera della città di Parma, contro la quale Fidenza si costituì, nel 1281, in libero Comune. Nel 1335 passò sotto lo Stato milanese, prima con i Visconti e quindi con gli Sforza. Tornata nuovamente ai Pallavicino, nel 1545 la città entrò a far parte dello Stato dei Farnese. Il duca Ranuccio le conferì il titolo di città e nel 1575 Ottavio Farnese iniziò la costruzione di una cinta muraria bastionata a sette lati, che ancora oggi caratterizza la pianta del nucleo storico della città. Fidenza fu ricostruita nel dopoguerra, dopo le ingentissime distruzioni del 1944.
Piazza del Duomo, ben conservato centro del borgo altomedievale e attraversato un tempo dalla Via Emilia, è dominata dalla maestosa facciata della Cattedrale di S. Donnino ed è delimitata a est da una linea di case antiche e a Nord dalla Portadi S. Donnino. La prima fondazione della Cattedrale risale al periodo paleocristiano, quando venne costruita una piccola chiesa per custodire le spoglie di S. Donnino. Nel Medioevo la chiesa divenne tappa obbligatoria per i pellegrini che lungo la Via Francigena si dirigevano a Roma.
Considerato uno dei massimi esempi dell'architettura romanica padana, la Cattedrale deve il suo assetto attuale a tre fasi successive di sviluppo: tra la fine dell'XI secolo e l'inizio del XII fu definita la struttura basilicale a tre navate; verso la fine del XII secolo, su progetto di Benedetto Antelami, fu realizzata una nuova facciata delimitata da due torri; infine, negli ultimi anni del XIII secolo, vennero costruite l'abside in forme gotiche e le volte a crociera ogivali che coprono la navata centrale. Le cappelle laterali, invece, furono aggiunte solo nel Cinquecento. Nella facciata, chiusa fra due torri gemelle, si aprono tre portali, notevoli per la ricchezza delle decorazioni scultoree e incorniciati da protiri assai elaborati. Opera della scuola antelamica è il portale mediano. Una sorta di bassorilievo "a nastro", raffigurante episodi dell'infanzia di Cristo e della vita di S. Donnino, corre lungo la facciata.
Al campanile, opera di Giovanni del Bruno (1569), si affianca la bella abside del 1287. L'interno, a tre navate, è una struttura slanciata sovrastata da matronei a quadrifore. Molte sculture presenti dell'interno rivelano la grande scuola di Antelami: nell'abside le opere più pregevoli: Cristo giudice affiancato dai simboli degli Evangelisti e da figure di angeli. Nel Museo Diocesano è collocato il manufatto di maggior pregio: la statua della Madonna in trono col Bambino, opera di Benedetto Antelami (fine XII sec.).
Piazza Garibaldi è dominata dal Palazzo comunale, un severo edificio porticato. Sebbene esistesse già nel 1191, la struttura del palazzo risale al XIV secolo; nella seconda metà del XIX secolo venne rifatta la facciata in stile gotico lombardo. In piazza Giuseppe Verdi sorge il teatro Girolamo Magnani, iniziato nel 1812 e concluso nel 1861. La ricca decorazione interna è opera dello scenografo fidentino Girolamo Magnani.
Il Palazzo delle Orsoline, costruito nel 1708 al posto della trecentesca Torre Salvaterra, ospita il Museo del Risorgimento Luigi Musini, nato grazie alle donazioni dei figli del patriota locale al quale il museo è intitolato. Nello stesso palazzo è ospitato anche il Museo Paleontofilo, che raccoglie reperti fossili provenienti dal locale Parco dello Stirone.

Fiorenzuola D'Arda

(13.393 ab.). Centro agricolo in provincia di Piacenza, alla destra del fiume Arda, sulla Via Emilia. Notevole centro agricolo e commerciale, sorge a metà strada tra Piacenza e Fidenza. Industria conserviera, salumaria, conciaria, raffinazione del petrolio di Cortemaggiore.
Due sono le tradizioni legate al nome di Fiorenzuola, la prima riferita alle sue origini romane, la seconda al passaggio di S. Fiorenzo di Tours, vescovo di Orange nel VI secolo. Nei suoi pressi Rodolfo II di Borgogna, riportò una vittoria su Berengario I, re d'Italia (923). Feudo dei Pallavicino dal XV secolo al 1585, la città fu quindi ricompresa nell'ambito del ducato farnesiano seguendone le sorti.
Sul centrale corso Garibaldi (ex Via Emilia) prospettano il Palazzo Bertamini, con vasto ciclo di affreschi (Bartolomeo Rusca e Francesco Natali, 1723-25), e il quattrocentesco Palazzo Grossi, adorno di un fregio rinascimentale e di maestose finestre. Merita una menzione la collegiata di S. Fiorenzo, ricostruzione della fine del Quattrocento, con caratteri ereditati dal romanico e dal gotico piacentino. Attraverso il rinascimentale portale in cotto si accede nell'interno a tre alte navate; nell'abside, vasto ciclo di affreschi, opera di pittori lombardi (fine Quattrocento-inizi Cinquecento).
A circa quattro chilometri sorge l'abbazia di Chiaravalle della Colomba, iniziata nel 1135 dai Cistercensi per impulso di Bernardo di Chiaravalle. La leggenda narra di una colomba che, volando e spargendo pagliuzze con il becco, indicò il luogo per la costruzione dell'abbazia. Il complesso, trasformato nel Seicento, è stato sottoposto a una serie di ripristini delle condizioni romaniche, condotti tra il 1893 e il 1963. La facciata è tripartita e preceduta da un atrio; nell'interno, nitidamente restaurato, sono frammenti di affreschi e opere di influsso giottesco (XIV-XV sec.). Dalla navata destra si accede al magnifico chiostro, ritmato dalla sequenza delle arcatelle con colonne angolari recanti il motivo gotico del "nodo".

Forlimpòpoli

(11.314 ab.). Cittadina in provincia di Forlì-Cesena. Posta tra i due capoluoghi, sorge al centro di un fiorente territorio agricolo. Di chiara origine romana come indica il suo nome (Forum Popilii), crebbe come luogo di transito e di mercato grazie alla sua posizione sulla valle del Bidente e in diretta comunicazione con il mare. Distrutta dal re longobardo Grimoaldo (seconda metà VII sec.), passò nel basso Medioevo agli Ordelaffi di Forlì. Nuovamente annientata dal cardinale Albornoz nel 1361, venne ricostruita dagli Ordelaffi, che ne ampliarono la rocca e ne completarono la cerchia muraria, della quale rimangono tuttora tracce. Caterina Sforza, Lodovico Rangone e gli Zampeschi ne tennero il feudo tra il 1481 e il 1592, quando ritornò sotto il diretto governo pontificio.
Nella centrale piazza Garibaldi sorge, sulle rovine dell'antica Cattedrale di S. Maria Pupiliense, la Rocca, eretta dall'Albornoz alla fine del Trecento e rafforzata dagli Ordelaffi nel secolo successivo; la sua possente mole a pianta trapezoidale è completata da torri cilindriche angolari, raccordate da suggestivi camminamenti coperti e dal bastione d'ingresso con il ponte levatoio. Agli inizi dell'Ottocento furono aperte le arcate verso la piazza e si ricavò il piccolo teatro Giuseppe Verdi, riformato nel 1881 con tipiche strutture in ghisa. Il teatro è rimasto famoso per l'episodio della sera del 25 gennaio 1851, quando il brigante Stefano Pelloni detto il Passatore vi depredò gli spettatori.
Da notare la chiesa dei Servi (1510-20), dall'insolita pianta circolare, e la collegiata di S. Rufillo, di origine paleocristiana (VI sec.), rifatta nel XIV secolo e restaurata nel 1821, con l'aggiunta del pronao neoclassico sotto il quale sono due pregevoli monumenti sepolcrali degli Zampeschi (XVI sec.).

Gualtieri

(6.041 ab.). Centro in provincia di Reggio Emilia, situato ai piedi dell'argine maestro del Po. D'origine romana, divenne una residenza fortificata longobarda al margine delle vaste depressioni vallive della "Bassa". A lungo conteso tra Este e Da Correggio, venne incorporato stabilmente nel ducato estense nel 1479. La sua fama è associata ai Bentivoglio, che ne tennero il feudo dal 1567 al 1634; il marchese Cornelio Bentivoglio promosse la grandiosa opera di bonifica (bonifica Bentivoglio) delle terre a Sud dell'abitato, intrapresa nella seconda metà del Cinquecento. Tale opera consentì di regolare la situazione idrica recuperando all'agricoltura un vastissimo comprensorio; a pochi chilometri dalla cittadina, presso gli impianti della Bonificazione Parmigiana-Moglia si trova la botte Bentivoglio (1566), capolavoro di ingegneria idraulica, condotto lungo 77 m che consente alle acque del canale di bonifica di sottopassare il letto del torrente Cròstolo.
Gualtieri è uno dei più significativi centri minori realizzati in epoca rinascimentale. Fulcro del centro urbano è la grande e scenografica piazza Bentivoglio, porticata su tre lati. Voluta da Cornelio Bentivoglio, amico di Torquato Tasso, fu realizzata da G.B. Aleotti detto l'Argenta (inizi XVII sec.). Vi domina l'imponente Palazzo Bentivoglio, serrato da due torrioni angolari. Residenza signorile fino al 1634, è stato parzialmente demolito nel 1750. Nell'interno sono notevoli: la grandiosa Sala dei Giganti (m 32x18), affrescata da Sisto Badalocchio con episodi della Gerusalemme Liberata (XVII sec.) e da Giovanni da San Giovanni con l'Investitura di Cornelio Bentivoglio, le sale di Giove e di Icaro; la cappella; il Teatro settecentesco di G.B. Fattori, rifatto nel 1905. Nel palazzo ha sede il Museo documentario Antonio Ligabue, intitolato al pittore naïf contemporaneo, gualtierese di adozione. Antica residenza estiva dei vescovi di Parma è la Palazzina o Villa Guarienti, con un impianto cinquecentesco circondato da un vasto parco all'inglese (Pietro Marchelli, XIX sec.).

Guastalla

(13.618 ab.). Vivace centro agricolo e industriale in provincia di Reggio Emilia, nella bassa pianura emiliana, presso la sponda destra del Po. Mercato agricolo e zootecnico; industrie alimentari, del legno, chimiche, meccaniche. Di origine longobarda, fu donata da Carlo Magno ai vescovi di Reggio; sotto i Canossa assunse un rilievo strategico per il controllo del fiume. Passò in seguito ai Da Correggio e ai Visconti che rafforzarono il primitivo castello e ampliarono l'abitato. Nel 1406 acquisì piena autonomia con la famiglia Torello, fino alla sua vendita nel 1539 a Ferrante I Gonzaga, famoso capitano al servizio di Carlo V. I quasi due secoli durante i quali fu sede della corte di un ramo dei Gonzaga rappresentarono il periodo d'oro di Guastalla. Con il trattato di Aquisgrana, nel 1748, fu incorporata nel ducato di Parma e Piacenza. Passata ai Francesi (1796), nel 1815 tornò a far parte del ducato di Parma e quindi nel 1848 a quello estense, del quale seguì le sorti.
Nella conformazione urbana di Guastalla hanno influito il fattore idrografico, che ha determinato l'andamento curvilineo di alcune strade, ricalcato sugli antichi argini del Po, e il segno lasciato da una stagione rinascimentale tutt'altro che trascurabile, quando la città fu oggetto di un vero e proprio piano urbanistico, promosso da Ferrante e Cesare Gonzaga. Nel 1550 l'architetto Domenico Giunti progettò un impianto a maglie ortogonali che inglobasse la parte medievale (Castelvecchio) e quattrocentesca (Castelnuovo), circondato da una cinta muraria pentagonale che proteggesse la città sia dalle inondazioni del Po che dagli attacchi esterni. Nel 1695, l'ingegnere francese Du Plessis realizzò un nuovo circuito a sette lati con bastioni, muraglie e argini, impronta incancellabile e solo in parte compromessa dalla città.
Nella caratteristica piazza Mazzini, circondata su tre lati da portici, si erge la statua bronzea di Ferrante I Gonzaga, di Leone I Leoni detto l'Aretino (tardo Cinquecento): sulla piazza prospettano la Cattedrale, il Palazzo ducale e il Palazzo del Comune, tutti progettati da Francesco Capriani, detto il Volterra. La Cattedrale, consacrata da Carlo Borromeo nel 1574, è fiancheggiata da due campanili seicenteschi. Più modesto il Palazzo ducale (1567), adorno di stemmi delle famiglie Visconti, Torello e Gonzaga; nell'interno, la Galleria Mossina, ricca di statue e scalone marmoreo, e ambienti con decorazioni di Bernardino Campi (1586).
La città conserva una serie di abitazioni porticate dell'epoca dei Gonzaga, dove ha sede, tra l'altro, la Biblioteca Maldotti, con oltre 60.000 volumi e documenti di storia guastallese. In piazza Garibaldi si trovano la chiesa della Concezione (1579) a pianta ottagonale; la seicentesca Torre del Pubblico detta anche Campanone. Il santuario della Madonna della Porta di distingue per il fastoso interno barocco con paliotti di arte carpigiana. Merita una sosta la chiesa di S. Maria Annunziata o dei Servi (Francesco Capriani, detto il Volterra, 1598), interessante esempio del barocco emiliano; nell'interno, pala del pittore bolognese Giuseppe Maria Crespi raffigurante I sette beati in adorazione della Pietà. Neoclassico è il teatro Ruggeri (XVII sec.), riedificato da Giovanni Paglia nel 1814.
A breve distanza dal centro storico sono l'oratorio di S Giorgio, una pregevole architettura romanica (XII sec.) già nota nel IX secolo, e la basilica della Pieve, del IX secolo ricostruita nel Duecento in forme lombarde, rimaneggiata nel 1605 e ricomposta in forme romaniche nel 1926-31.

Imola

(63.999 ab.). Città in provincia di Bologna, sulla sinistra del fiume Santerno. La Via Emilia divide in due parti pressoché equivalenti l'abitato. L'economia è prevalentemente agricola, con un fiorente artigianato del mobile, delle ceramiche e del libro. Pur legata amministrativamente, economicamente e culturalmente al capoluogo provinciale, Imola è una città che si sente profondamente romagnola. Nata come colonia romana nel II secolo a.C., diventò municipium (Forum Cornelii, I sec. a.C.), favorita da uno sbocco mercantile (con la via Sélice, la strada per Consélice) sul Po e sull'Adriatico. Distrutta dai Longobardi, si disperse in più nuclei e il collinare castrum Imolae (l'odierna località di Castellaccio) darà il nome alla nuova città ricostituitasi attorno alla residenza vescovile (X sec.). Dopo la fase comunale si affermò la signoria degli Alidosi (1341-1424), poi si alternano al potere i Visconti e i Manfredi; dal 1473 al 1499 è la volta di Girolamo Riario e Caterina Sforza, sotto i quali la città ricevette un'impronta rinascimentale ancora leggibile nell'impianto delle piazze centrali e in alcuni palazzi, ove il segno toscano si amalgama con la materia e la tradizione locale. Per pochi anni (1499-1503) fu dominio di Cesare Borgia, che chiamò al suo servizio Leonardo da Vinci quale ingegnere militare; in questa occasione Leonardo eseguì la famosa pianta di Imola, la prima mappa moderna di una città. Durante il lungo governo pontificio Imola fu unita alla legazione di Ravenna e visse un diffuso processo di rinnovamento edilizio; nella seconda metà del Settecento emerge la personalità di Cosimo Morelli, la cui progettazione di stampo classicista rimane in numerosi edifici della città. In seguito Imola venne assorbita culturalmente da Bologna e, dopo l'unità d'Italia, si distinse come uno degli epicentri del socialismo italiano, con Andrea Costa suo primo deputato (1882), e primo comune italiano ad amministrazione socialista (1889). Oggi la città è nota soprattutto per la presenza dell'autodromo, che ospita il Gran Premio di San Marino di Formula Uno.
La città storica, nonostante i danni subiti durante l'ultimo conflitto, presenta un volto ancora compatto e omogeneo, nel quale è tuttora percepibilissimo l'impianto viario di origine romana. In posizione appena decentrata, l'armoniosa Piazza Matteotti è il risultato della riqualificazione urbanistica operata da Girolamo Riario fra il 1474 e il 1484; si sorge l'ampia e solenne architettura di Palazzo Sersanti, già dimora della signoria, eretto su progetto di Giorgio Fiorentino (1480-84); le sue armoniche linee rinascimentali risentono dello stile brunelleschiano, evidente nei pulvini che innalzano i capitelli e danno slancio alle arcate (motivo ripetuto nei porticati settentrionali della piazza). Di fronte è il Palazzo comunale, due-trecentesco, ma ristrutturato nella seconda metà del Settecento da Alfonso Torreggiani e da Cosimo Morelli; l'edificio antico si rivela sul fianco destro, negli archi ogivali con capitelli romanici; due voltoni uniscono il palazzo ai vicini isolati e creano alle sue spalle uno spazio raccolto, quasi una "camera" urbana, il vero fulcro del centro cittadino (piazza Caduti per la Libertà).
La Cattedrale sorge isolata, quasi gigantesca nel contesto urbano che la circonda. Dedicata a S. Cassiano, risale al XII secolo, ma si presenta del tutto rifatta dall'intervento di Cosimo Morelli (1781) che ha tuttavia lasciato inalterati i volumi dell'antica chiesa romanica; la facciata è assai più tarda (Filippo Antolini, 1850), mentre il campanile è quattrocentesco. Nel classico e arioso interno si nota un mirabile Crocifisso ligneo cinquecentesco, forse di provenienza spagnola.
La chiesa di S. Maria in Regola è un'altra delle realizzazioni imolesi di Cosimo Morelli (1780-86), che la edificò avendo in mente la lezione del Palladio; pittoresco l'antico campanile a sezione ovoidale, eretto nel 1181; nell'interno, a pianta quadrata, transenne bizantine del VI secolo all'altare.
La Rocca di Imola è la più rappresentativa delle fortezze romagnole. A pianta quadrata, con torrioni circolari a livello delle cortine, racchiude il poderoso mastio quadrangolare della precedente fortificazione. Nata come fortino eretto dagli Alidosi nell'XI sec., fu ricostruita nel 1259 e ulteriormente ampliata nel 1322; il suo aspetto attuale è il risultato degli interventi operati da Danesio Maineri e Giorgio Fiorentino nella seconda metà del Quattrocento. All'interno sono conservate una ricchissima collezione di armi (XIV-XIX sec.) e una cospicua raccolta di ceramiche e maioliche medioevali, fra cui un interessante nucleo di boccali del XV secolo.
Notevoli e ben conservati alcuni edifici residenziali: il Palazzo Della Volpe, forse opera di Giorgio Fiorentino (1480 ca.), con ornamentazioni in cotto sulle facciate; il Palazzo Calderini, bella architettura rinascimentale toscana, atipica per le tre diverse fasce di rivestimento murario; il cinquecentesco Palazzo Sassatelli Monsignani, dal bel cortile a loggiati. Singolare la farmacia dell'ospedale S. Maria della Scaletta, che conserva l'arredo originale, con vasi in ceramica faentina e imolese e pregevoli decorazioni nei soffitti (1794). Il cosiddetto Palazzo dei Musei è un edificio sorto nel Settecento sull'ex convento di S. Francesco, della cui chiesa inferiore si vedono ampi resti (parte absidale), mentre la chiesa superiore è stata trasformata in teatro nel 1811. Il complesso è sede del Museo Civico G. Scarabelli, istituito nel 1857; particolarmente interessanti sono le stanze di geologia e la sezione di archeologia. Al piano superiore è la Biblioteca Francescana, che conserva un raro Salterio latino del Duecento.
Palazzo Tozzoni, una delle migliori realizzazioni di Domenico Trifogli (1726-38), è stato acquisito dal comune e aperto al pubblico; all'interno ha un suggestivo scalone con statue e stucchi, ma la cosa più interessante sono gli ambienti arredati, che rivelano la scena domestica e il gusto di una famiglia nobile tra Sette e Ottocento, e i suoi vasti interessi collezionistici, che vanno dai dipinti alle terrecotte, dalla numismatica all'archeologia, dai disegni alle stampe e alle raccolte librarie. Domenico Trifogli ha inoltre lavorato al rifacimento delle duecentesca chiesa di S. Domenico (1702-18); pregevolissimo il portale gotico, in cotto finemente lavorato (1340).
Nell'ex convento dei Domenicani ha sede la Pinacoteca comunale che documenta in particolare le scuole romagnole ed emiliane fra XV e XVIII secolo. Tra i dipinti di maggiore spicco, Sposalizio della Madonna e santi di Gaspare Sacchi, Madonna col Bambino fra i Ss. Cassiano e Pier Crisologo di Innocenzo da Imola, alcune opere di Lavinia Fontana (Madonna di Ponte Santo), due Nature morte di Francesco Codino (XVII sec.), ritratto di Francesco e Giacomo Gommi di Giacomo Zampa (1775); nella sezione dedicata alla pittura moderna, opere di Filippo De Pisis, Felice Casorati, Domenico Cantatore, Renato Guttuso.

Lugo

(31.718 ab.). Cittadina in provincia di Ravenna, al centro di una fertilissima pianura a coltivi. Di origine preromana, crebbe di importanza nel Medioevo come nodo viario sulla strada S. Vitale, che collega Ravenna con Bologna. Dominio degli Estensi dal 1377, raggiunse grande sviluppo e prosperità, divenendo il maggiore centro della Romagna estense e sede privilegiata di scambi, tra cui l'importante fiera-mercato di settembre. Alla sua prosperità concorse la presenza di una rilevante comunità ebraica, confinata nel 1639 all'interno del ghetto.
Il centro della città si compone di un insieme articolato di piazze, formatesi agli inizi del Settecento per soddisfare le esigenze del mercato e della fiera. Vi si distribuiscono le più importanti architetture della città.
In Piazza F. Baracca, centro civico dove rimane tuttora la Torre dell'Orologio, sorge il monumento a Francesco Baracca (Domenico Rambelli, 1936), eroe della Grande Guerra e nativo di Lugo. Alla scuola di Cosimo Morelli appartiene invece la chiesa del Suffragio, con ricco interno barocco.
In piazza Martiri della Libertà si apre l'ingresso alla Rocca, costruita nel 1297 da Uguccione della Faggiola (ne rimane il mastio cilindrico merlato). Il complesso, ristrutturato nella seconda metà del Cinquecento, si dispone intorno al cortile centrale con bastioni, giardino pensile, torri e cortine murarie. Sede del municipio, ospita il piccolo Museo Francesco Baracca, ove sono raccolti cimeli e ricordi dell'aviatore (1888-1918).
Il vero fulcro urbano è il Pavaglione, un grande quadriportico chiuso (m 132x84), contenente oltre 80 botteghe. Il primo impianto risale al 1570, per iniziativa di Alfonso II d'Este. La struttura attuale è una bella architettura del ferrarese Giuseppe Campana, unica nella regione, completata nel 1783 per ospitare il mercato dei bozzoli dei bachi da seta e ancora utilizzata per il mercato e per spettacoli estivi.
Su piazza Trisi prospetta il Palazzo Trisi, eretto su progetto di Cosimo Morelli (1764-75); ospita la Biblioteca Civica e l'Archivio storico comunale. In piazza del Teatro è il restaurato Teatro Rossini, prototipo di teatro all'italiana, eretto dal Petrocchi (1757-59), con interno completato da Antonio Galli detto il Bibiena (1760-61).

Luzzara

(8.273 ab.). Cittadina in provincia di Reggio Emilia, al confine con il Mantovano. Documentata fin dal VII secolo, in epoca altomedievale si trovava su un'isola circondata dalle acque del fiume Po. Sottomessa al ducato di Mantova, quindi a Guastalla, appartenne infine al ducato estense. Nota come capitale dei pittori naïf italiani, diede inoltre i natali allo scrittore e sceneggiatore Cesare Zavattini (1902-89). Nell'ex convento di S. Felice è ospitato il Museo Nazionale dell'Arte naïf Cesare Zavattini, con ampia documentazione sulla pittura naïf in Italia e in Europa (interessanti le tele di Antonio Ligabue).
Pregevole la parrocchiale di S. Giorgio, con abside romanica. A destra della chiesa, il cinquecentesco Palazzo della Macina, adorno di uno stemma gonzaghesco in terracotta invetriata. Nella piazza svetta isolata la Torre del Comune eretta nel 1724 utilizzando i materiali delle fortificazioni cittadine abbattute.

Maranello

(15.165 ab.). Centro in provincia di Modena. Nell'Alto Medioevo era compreso nell'ambito del sistema fortificato di Matilde di Canossa. Passato al Comune di Modena, seguì le vicende del ducato estense e venne infeudato ai marchesi Calcagnini che ne conservarono il possesso fino al 1796. Fu località di villeggiatura per la nobiltà e la ricca borghesia estense. Il borgo era dominato da una Rocca trecentesca della quale restano, all'interno di una proprietà privata posta lungo la statale, due torri merlate con caditoie e residui di mura. Presso la rocca rimane anche l'antica chiesa parrocchiale con interessante torre campanaria.
Maranello è ora indissolubilmente legato alla notissima Casa automobilistica Ferrari la cui presenza ha influito non poco nella recente storia urbana. Il fondatore, Enzo Ferrari (Modena, 1898-1988), aprì la sua prima scuderia nel 1929 in un'officina nell'allora periferia Est della città. Il marchio Ferrari, il cavallino rampante, deriva direttamente dall'emblema personale del celebre aviatore Francesco Baracca, eroe della prima guerra mondiale. Al termine del conflitto tale emblema fu affidato dai genitori del pilota a Enzo Ferrari, che lo adottò ponendolo su uno scudo giallo, colore della città di Modena. Ferrari iniziò l'attività agonistica con l'Alfa Romeo, di cui nel 1938 divenne il direttore sportivo. Due anni dopo se ne staccò per fondare, presso la vecchia sede della scuderia, l'Auto Avio Costruzioni Ferrari, che curò lo studio e la costruzione della vettura sportiva 815 spider 8 cilindri 1500 cc. Nel 1943 l'ingegner Ferrari trasferì le officine a Maranello, ampliandone l'organico. Nel 1946 nasce la prima vettura da corsa "Ferrari 125", 12 cilindri 1550 cc, che il 25 maggio 1947 dà alla Ferrari la prima vittoria al Gran premio di Roma; da allora, oltre 5000 affermazioni con trionfi nei campionati mondiali di Formula Uno, mondiali marche, costruttori, 24 ore di Le Mans, Mille miglia, Targa Florio e Gran premi di Formula Uno. I due stabilimenti di Modena e Maranello occupano una superficie complessiva di 252.000 mq di cui 94.000 coperti, con 1.550 dipendenti nella produzione e 350 nella squadra sportiva. Producono 3.500 vetture all'anno, Gran turismo e Formula Uno. Associata dal 1969 alla FIAT, è un marchio di prestigio internazionale.

Marzabotto

(6.039 ab.). Centro in provincia di Bologna, celebre per la suggestiva città etrusca, detta convenzionalmente "Misa" dal nome di Pian di Misano dove è stata scoperta. Marzabotto fu teatro di una feroce rappresaglia nazista (20 settembre-5 ottobre 1944) nella quale furono trucidati 1.836 civili. Nella moderna Parrocchiale è visitabile la cripta-ossario in memoria dei martiri.
A Marzabotto furono messi in luce, tra il 1862 e il 1883-89, i resti di uno dei più straordinari insediamenti protostorici della regione. La vasta area archeologica comprende il perimetro della città etrusca (VI-IV sec. a.C.), la collina dove sorgeva l'acropoli e la piana dove si estendeva l'abitato. il nucleo urbano è suddiviso in 8 "regiones" da quattro strade principali che incrociandosi con le vie minori formano la maglia degli isolati. Sono riconoscibili i resti di una fornace per laterizi, di una fattoria romana, di una fonderia per bronzo e di due necropoli. Il Museo Etrusco Pompeo Aria espone una ricca documentazione proveniente dagli scavi. Si segnalano: donna con guerriero e negro con anfora sulle spalle (coronamento per candelabri), stele in arenaria con bassorilievo; bronzi votivi e cippi in pietra per le offerte; ricostruzione di una parte di tetto, rivestimento di colonna in terracotta, testa di kouros di provenienza greca; corredi di due ricche sepolture etrusche.

Massa Lombarda

(8.367 ab.) Centro in provincia di Ravenna, importante per la produzione e lavorazione di frutta e ortaggi. Nota con il nome di Massa San Paolo fin dal VII secolo, quando apparteneva ai monaci greci del monastero di S. Maria in Cosmedin di Ravenna. Assunse la nuova denominazione di Massa Lombarda dopo che nel 1251 vi trovarono rifugio numerose famiglie di profughi provenienti da Brescia e da Mantova per sottrarsi alle persecuzioni di Ezzelino da Romano, signore di Verona. Passò nel 1235 al Comune di Imola, quindi agli Estensi, seguendo poi le vicende dello Stato pontificio.
A Massa Lombarda ha sede, dal 1983, il Centro per lo studio della Frutticoltura e Agricoltura della Bassa ravennate A. Bonvicini. Nello slargo di piazza Matteotti si affacciano la Torre dell'Orologio e il Palazzo del Municipio, al quale contribuì Cosimo Morelli. Edifici religiosi di pregio sono la chiesa del Carmine (XVI-XVII sec.), con annesso chiostro, e la settecentesca chiesa di S. Salvatore, dovuta in parte a Cosimo Morelli e in parte a Zaccaria Facchini. La cinquecentesca parrocchiale di S. Paolo, con elementi romanico-gotici nella parte absidale, conserva un pregevole coro settecentesco e la tela dei Ss. Rocco e Sebastiano di Carlo Cignani. Il complesso già sede della Congregazione di Carità e l'ex oratorio di S. Maria Assunta ospitano la Biblioteca e il Museo civico Carlo Venturini; nella pinacoteca si segnala la Caduta di S. Paolo di Sebastiano Filippi detto il Bastianino.

Mirandola

(21.646 ab.). Centro in provincia di Modena, al centro di un vasto triangolo formato dai fiumi Po, Panaro e Secchia. Mercato agricolo e del bestiame; industrie casearie, dei salumi, conserviere, metallurgiche, calzaturiere e zuccherifici. Insediata già in età protostorica, fu colonizzata in età romana. Dall'Alto Medioevo assunse una sempre maggiore importanza strategica come crocevia dei principali collegamenti della bassa pianura; in quanto tale subì saccheggi, distruzioni e assedi (famoso quello di papa Giulio II nel 1511). Tipica signoria-cuscinetto nell'orbita degli Stati estensi, appartenne alla famiglia Pico dal XIV secolo al 1707, quando venne ceduta al duca di Modena. La fama dei Pico è legata a Giovanni II (1463-94), la "Fenice degli ingegni", esponente di spicco della cultura umanistica, famoso per la prodigiosa memoria. Cinta da bastioni tra il 1541 e il 1544, Mirandola fu una delle prime città bastionate d'Italia, completando una graduale sistemazione urbanistica, iniziata nel XV secolo, che ne definì il caratteristico perimetro ottagonale. Nel 1617 diventò ducato, raggiungendo nel corso dello stesso secolo il massimo sviluppo e floridezza.
Poco rimane del piccolo centro rinascimentale e delle sue celebri fortificazioni. Della reggia dei Pico restano alcune parti e la ricostruzione neogotica novecentesca di un torrione. Il Palazzo comunale (1468), con l'elegante portico dalle esili colonne in marmo veronese, custodisce in una sala alcuni dipinti, tra cui ritratti dei Pico. A destra del Palazzo comunale è il Palazzo della Ragione, con elementi goticizzanti (XIV sec.), a sinistra, il Palazzo Bergomi (XV sec.), con portico e ornati in cotto.
La chiesa di S. Francesco d'Assisi, ricostruita nel Quattrocento in forme gotiche e più volte restaurata, è una delle più antiche chiese francescane d'Italia e pantheon della famiglia Pico. L'interno è a tre navate scandite da archi ogivali; allineate alle pareti della navata sinistra, le arche a cassone pensile dei Pico (XIV-XV sec.).
Il Duomo di S. Maria Maggiore, eretto nel 1447 in forme goticizzanti; conserva i fianchi e le absidi originali, il campanile seicentesco e la facciata derivata da un rifacimento del XIX secolo. Nell'ex collegio dei Gesuiti ha sede il Centro culturale polivalente mirandolese; comprende la Biblioteca Comunale, il Museo Numismatico, il Museo Archeologico e la Pinacoteca, con diversi ritratti dei Pico, tra cui Alessandro I d'Este del Peranda e Alfonso IV di Justus Sustermans.

Nonántola

(11.830 ab.) Centro agricolo in provincia di Modena. La sua vicenda storica e culturale è sostanzialmente legata all'esistenza dell'omonima famosa abbazia benedettina, fondata alla metà dell'VIII secolo da Anselmo, duca longobardo del Friuli e cognato di re Astolfo. L'abbazia divenne una delle più potenti dell'Italia settentrionale, al centro di una vasta unità amministrativa, accrescendo di prestigio grazie anche alla sua intensa attività culturale con un proprio scriptorium. Nel Medioevo promosse un'estesa opera di bonifica nella bassa pianura modenese. Trasformata in commenda (XV sec.) e passata ai Cistercensi (1514), fu soppressa solo nel 1769. Fin dall'XI secolo la giurisdizione dell'abbazia sul borgo e sul territorio era regolata tramite gli accordi della "partecipanza agraria", forma di concessione in uso delle terre, che permane ancora oggi.
Nell'antico complesso abbaziale emerge la chiesa di S. Silvestro, di forme romanico-lombarde risalenti al XII secolo, particolarmente evidenti nella zona absidale. Nella facciata si apre l'originale portale preceduto da protiro con bassorilievi della scuola di Wiligelmo raffiguranti episodi della vita di Maria e di Cristo, storie dell'abbazia e, nella lunetta, Cristo in trono tra angeli e simboli degli evangelisti, attribuito allo stesso Wiligelmo. L'interno a tre navate è scandito da possenti pilastri a fascio in cotto; il presbiterio sopraelevato copre la bellissima e vasta cripta con 64 colonne dotate di capitelli dei secoli VIII-XII. Tra le opere d'arte si ammira, all'altare maggiore, l'arca di S. Silvestro e il polittico della Madonna in trono col Bambino, Crocifissione e figure di santi, di Michele di Matteo (1460).
A lato della chiesa si sviluppa l'edificio del monastero benedettino, caratterizzato da un doppio loggiato quattrocentesco sul cortile. Nel refettorio, con notevoli affreschi dei secoli XI-XII, è allestita una mostra permanente di materiale archeologico; del Tesoro dell'abbazia fanno parte la stauroteca (croce doppia bizantina dell'XI sec.), che secondo la tradizione conserva un frammento della Santa Croce, e il ricchissimo Evangeliario detto di Matilde (XIII sec.).

Porretta Terme

(4.747 ab.). Centro in provincia di Bologna, situato in una bella conca sulla sinistra del fiume Reno, alla confluenza del Rio Maggiore. è una nota località termale e di villeggiatura. Le proprietà delle sue acque (salsoiodiche-clorurato-sodiche), scaturite da otto sorgenti (quattro "Acque Alte" presso il rio Maggiore e quattro "Acque Basse" presso il Reno), erano già conosciute in età etrusca e romana. L'odierno centro risale agli inizi del XIII secolo, quando al fiorire delle attività commerciali, artigianali e mercantili si unì la riscoperta delle acque, trasformando Porretta in una meta dell'aristocrazia e della borghesia non solo bolognese. La città ottenne privilegi da Bologna e dal 1418 ebbe vita autonoma. Nel 1448 fu elevata a contea, e data prima ai Sanuti e poi alla famiglia Ranuzzi di Bologna, che ne promossero la vocazione di stazione termale. Nel 1797 fu fatta capoluogo del dipartimento delle Terme della Repubblica cispadana.
Nel Settecento gli stabilimenti termali vennero rinnovati e potenziati, ma la fortuna delle terme e lo sviluppo dell'abitato si verificarono a partire dall'Ottocento, favoriti anche dall'apertura della strada Porrettana (1816-43), seguita nel 1864 dalla ferrovia. Nel nucleo storico, lungo il rio Maggiore, sorgono i neoclassici stabilimenti termali Leone-Bovi (XVIII-XIX sec.). Sull'antica piazzetta del Grano prospetta la parrocchiale di S. Maria Maddalena, eretta nel 1425 e più volte ricostruita (XVI-XVII sec.) nell'interno, dipinti di Denijs Calvaert e Alessandro Tiarini.

Riccione

(33.661 ab.). Cittadina in provincia di Rimini. Tra i più rinomati centri di villeggiatura balneare della costa romagnola, è dotato di una delle spiagge più belle e frequentate dell'Adriatico, con un arenile profondo fino a 200 m. L'abitato è diviso in due dal porto-canale. Sorto come luogo di sosta lungo la Via Flaminia, nel XIII secolo divenne borgo con il nome di Arcione (da cui per metatesi, Riccione), sorto presso il Castello degli Agolanti, di cui rimangono alcune tracce. Piccolo villaggio, Riccione si sviluppa dal 1865, dopo l'apertura di una stazione della linea ferroviaria Bologna-Ancona. Le nuove concezioni idroterapiche portano alla costruzione dei primi "ospizi marini" per l'infanzia. Nel 1880 sorgono le prime ville lungo la strada Viola (oggi viale Maria Ceccarini), asse di collegamento tra la vecchia borgata e il mare. Il centro balneare ha un incremento rapidissimo sulla base di un piano urbanistico che concepisce una città-giardino a maglia ortogonale. L'istituzione dell'autonomia comunale nel 1922 e il successivo ventennio segnano l'inizio di una nuova stagione turistica, con la realizzazione di infrastrutture e alberghi tra i quali l'elegante Grand Hotel (1929).
Viale Maria Ceccarini è assurto a simbolo di Riccione; qui si concentrano il passeggio, lo shopping e la vita mondana della città. Nel lungomare, gli alberghi più belli sono stati ristrutturati, e insieme al Delphinarium Riccione, allo Stabilimento termale e soprattutto alle numerose discoteche e locali notturni costituiscono le proposte qualificanti di una vasta offerta ricettiva. Il Museo del Territorio, presso il Centro civico della Pesa, comprende una sezione geologico-naturalistica e una sezione archeologica.

Salsomaggiore

(18.387 ab.). Centro in provincia di Parma. Situato tra i primi rilievi collinari a pochi chilometri da Fidenza, è uno dei più importanti centri termali italiani. L'acqua di Salsomaggiore appartiene al gruppo delle clorurato-sodiche-bromoiodurate.
La struttura socio-economica della città e soprattutto quella urbanistico-architettonica si definiscono nei primi decenni del Novecento, secondo lo schema tipico delle "villes d'eau" dell'epoca, che culmina nelle terme Berzieri (1913-23), vero e proprio fulcro vitale della cittadina e simbolo della nuova borghesia in ascesa. Il fastoso edificio, ricchissimo di decorazioni che uniscono lo stile floreale a quello art déco, citazioni classiche e suggestioni orientaleggianti, fu iniziato nel 1913 nell'area in cui sorgeva il vecchio stabilimento termale. Venne inaugurato il 27 maggio 1923 e intitolato a Lorenzo Berzieri, il medico che nella prima metà dell'Ottocento aprì una prima "casa" per sfruttare le virtù terapeutiche delle acque. Autore del progetto fu l'architetto fiorentino Ugo Giusti, ma fondamentale risultò l'apporto di Galileo Chini, a cui si deve l'apparato decorativo interno.
Nel Parco Mazzini, ampio spazio verde nel cuore della città, sorge il moderno complesso delle terme Luigi Zoja, progettato da Franco Albini e Franca Helg e inaugurato nel 1968. Sull'elegante viale Romagnosi si erge imponente il palazzo dell'ex Grand Hôtel des Thermes, grandiosa architettura liberty-déco trasformata in centro per esposizioni e congressi. Il progetto dell'edificio, inaugurato nel 1900, è dell'architetto milanese Luigi Broggi, l'apparato decorativo liberty di Alessandro Mazzuccotelli. Intorno alla metà degli anni Venti, il complesso alberghiero venne restaurato e modificato da Ugo Giusti e Galileo Chini.

Sassuolo

(40.649 ab.). Cittadina in provincia di Modena, nell'alta pianura emiliana, allo sbocco del fiume Secchia, presso la sua sponda destra. Polo dell'industria ceramica italiana. Tipica la fabbricazione del liquore Sassolino. La città fu libero comune parteggiante alternativamente per Bologna o per Modena; diventò, verso la fine del XII secolo, feudo della famiglia Della Rosa; passò quindi agli Este (1417) che la cedettero ai Pio di Carpi. Nel 1599 tornò agli Este che, nella seconda metà del Seicento, la elessero a propria località di villeggiatura. Oggi la città si presenta come un disordinato insieme urbano formato da insediamenti produttivi, commerciali e residenziali che si estendono alla fascia pedecollinare.
L'edificio storico più rappresentativo di Sassuolo è il Palazzo ducale, voluto da Francesco I d'Este e oggi di proprietà dell'Accademia militare di Modena. Fu edificato su progetto dell'architetto Bartolomeo Avanzini (1634) trasformando il preesistente Castello dei Pio in "Villa di delizie". Il complesso evidenzia un particolare rapporto scenografico tra l'abitato e il fiume lungo il quale si sviluppava il parco. Benché spogli, gli ambienti interni presentano incantevoli decorazioni a stucco e ad affresco, con sorprendenti effetti trompe l'oeil: la Sala della Fortuna, la camera dell'Amore, la camera delle Virtù estensi, la camera del Genio, la Galleria di Bacco (affreschi di Jean Boulanger, prima metà XVII sec.), il salone delle Guardie e il salone della Musica. Nel cortile, la Fontana del Nettuno di Antonio Raggi, su disegno di Bernini. Nel parco, la splendida barocca Peschiera o Teatro delle Fontane, nata dalla collaborazione di Bartolomeo Avanzini e Gaspare Vigarani, e il casino del Belvedere (nell'interno, tempere raffiguranti le ville di delizia Estensi).

Scandiano

(22.549 ab.). Cittadina in provincia di Reggio Emilia, alla destra del torrente Tresinaro. Importante centro agricolo, commerciale e industriale; dopo il capoluogo è il più popoloso comune della provincia. Origina da un castello fondato nel 1262 da Gilberto Fogliani con il concorso di famiglie di fuorusciti guelfi sconfitti nella battaglia di Montaperti, nel Senese (1260). Dopo l'occupazione estense (1409), fu dato in feudo ai Boiardo che lo tennero fino al 1560; passò in seguito ai Thiene, ai Bentivoglio e infine ritornò a un ramo degli Estensi. Ricco di storia, è luogo di interesse monumentale; diede i natali, tra l'altro, ai due grandi scienziati Antonio Vallisneri (1661-1730) e Lazzaro Spallanzani (1729-99), di cui la città conserva ancora l'elegante residenza.
La Rocca dei Boiardo, riadattata a residenza signorile, è oggi di pertinenza dell'Accademia militare di Modena. La lunga facciata a Sud è di raffinata fattura barocca, con una magnifica torre angolare. L'ingresso, sul lato Nord, si distingue per la massiccia torre con merlatura ghibellina, un tempo munita di ponte levatoio. Nell'interno si trovavano gli affreschi di Niccolò dell'Abate con scene dell'Eneide (1540), ora esposti alla Galleria Estense di Modena. Di fronte alla rocca sorge la pieve di S. Maria, con il quattrocentesco campanile. Nel centro storico della cittadina si eleva la Torre dell'Orologio, antico ingresso al castello, ristrutturato nel XVI secolo.

Vignola

(20.180 ab.). Centro in provincia di Modena, alla sinistra del fiume Panaro. Capitale della ciliegia, ha improntato la propria economia sulla produzione di questo frutto. Fu patria dell'architetto Jacopo Barozzi detto il Vignola e dello storico Ludovico Antonio Muratori.
Il suo edificio-simbolo è la celebre Rocca, uno dei più interessanti esempi di architettura fortificata della regione, ora di proprietà della Cassa di Risparmio di Vignola. Citata nel IX secolo, la Rocca fu fondata secondo la tradizione dagli abati di Nonàntola; soggetta in seguito ai vescovi e al Comune di Modena, quindi agli Estensi nel 1336, che la infeudarono alla famiglia dei Contrari. Imponente e compatta, la struttura è serrata da quattro torri angolari (Nonantolana, delle Donne, del Pennello e dell'Orologio) e sormontata da un coronamento a beccatelli e merlature, sulle quali si notano tracce di affreschi. Per il ponte levatoio si entra nella suggestiva corte interna dalla quale si accede al piano terra, con le sale di rappresentanza dette dei Leoni e dei Leopardi, delle Colombe, degli Anelli e dei Cardinali, adorne di decorazioni araldiche (XVI sec.). Al piano superiore, le stanze di abitazione con la cappella, le sale delle Donne, dei Fatti, dei Contrari, dei Cani, degli Stemmi, dei Tronchi d'Albero (ciclo di affreschi tardo-gotici, di ignoto artista ferrarese).
Di fronte alla Rocca si affaccia il Palazzo Boncompagni, dei secoli XVI e XVII, realizzato su disegno del Vignola o, più probabilmente, dal ferrarese Bartolomeo Tristano; nell'interno, ardita scala a pianta ovale con gradini pensili.

Repubblica di San Marino

(61.13 kmq, 26.232 ab.). A poche decine di chilometri dalla costa e dalla città di Rimini è la Repubblica di San Marino, la più piccola e antica repubblica del mondo, posta a ridosso del Montefeltro, tra le valli della Marecchia e del Conca. L'antico nucleo abitato della capitale, San Marino, è abbarbicato alle pendici occidentali del monte Titano, il cui possente profilo a strapiombo è identificabile a lunga distanza nella pianura adiacente alla costa.
L'insediamento risale, secondo la leggenda, al lapicida dalmata Marino qui giunto nel IV secolo per sfuggire alle persecuzioni di Diocleziano. Nel IX secolo fu riconosciuta l'autonomia amministrativa e territoriale alla Comunità. Tra i secoli XII e XV questa ampliò il suo dominio contrastato dai Malatesta di Rimini; i suoi confini sono immutati dal 1406. Una moderna espansione edilizia di scarsa qualità ne ha alterato la fisionomia storico-paesaggistica, il luogo conserva tuttavia nel suo insieme una struttura urbanistica di sapore medievale, rinchiusa nelle mura cinquecentesche.
Il sistema fortificato è una delle principali attrazioni di San Marino. La Rocca o Guaita è cinta da due ordini di mura; la torre, risalente all'XI secolo, fu rifatta nel Quattrocento. Da questa posizione si apre un suggestivo e amplissimo orizzonte. Si continua lungo le mura merlate, percorrendo il sentiero sull'orlo del precipizio fino alle mura della Fratta (XIV sec.) e da qui alla seconda Torre della Cesta (XIII sec.) dove è ospitato il Museo delle Armi antiche. La terza e più avanzata difesa è la Torre del Montale (inizi XIII sec.), isolata all'estremo picco del monte.
Centro della vita civile della capitale è piazza della Libertà (già detta Spianata del Pianello), ove prospetta il Palazzo del Governo. Eretto nel 1894 sul posto dell'antica domus magna communis su disegno di Francesco Azzurri e ispirato ai palazzi comunali del Trecento, si distingue per la struttura slanciata coronata dalla torre merlata con l'orologio.