Pseudonimo di
Donato di Niccolò di Betto Bardi. Scultore italiano.
Figlio di un cardatore di lana fiorentino (e in tutta la sua opera è
presente il riferimento alla realtà viva del popolo fiorentino), si
formò nella bottega del Ghiberti (1403) e nell'ambito dei cantieri del
Duomo (dal 1407). Se reminiscenze tardogotiche sono evidenti nell'elegante
linearismo delle prime opere (i due discussi
Profetini per la Porta della
Mandorla in Duomo, 1406-08; il
David marmoreo del museo del Bargello,
1409), già il
San Giovanni Evangelista (1409, Museo dell'Opera del
Duomo) e il
San Marco (1411-12, Orsanmichele) esprimono un rifiuto dei
moduli gotici e una nuova visione classico realista.
D. fu cioè
perfettamente conscio del fervore di ricerche dell'ambiente culturale
fiorentino, nel quale attuò subito delle scelte precise, legandosi
d'amicizia con Brunelleschi, assieme al quale compì viaggi a Roma
(1404-08) per scavare, disegnare, misurare sculture e monumenti antichi. Questo
processo di maturazione giunge a compimento nel
San Giorgio, per una
nicchia di Orsanmichele (1416, ora al Museo del Bargello). La ricerca di
D. fu polivalente e si attuò in diverse direzioni, valendo per lui
la conoscenza del classico soprattutto come stimolo per un'appassionata indagine
della realtà; ne sono testimonianza le statue dei
Profeti scolpite
nel ventennio successivo per il campanile (ora in gran parte al Museo dell'Opera
del Duomo), figure in cui la drammatica umanità si esprime in forme
d'intenso e talora spietato realismo (
Geremia, 1426 circa,
Abacuc,
1427-36). La grandezza di
D. risiede proprio in questo suo porsi come
massimo interprete del Classicismo fiorentino e di superare ogni limite di stile
con esiti perfino anticlassici. Lo stesso artista che esegue l'elegante
S.
Ludovico da Tolosa (1423 circa, Museo dell'Opera di Santa Croce), in bronzo
dorato, scolpisce in legno l'ascetico
Crocifisso di Santa Croce (1420),
la cui profonda moralità non fu intesa neanche da Brunelleschi, se
è vero che questi rimproverò all'amico di "aver messo in croce un
contadino". Verosimilmente intorno al 1423 ebbe inizio la collaborazione tra
D. e Michelozzo: gli interventi di quest'ultimo furono assai modesti nei
lavori per il fonte battesimale del Battistero di Siena (1425 circa); il
bassorilievo bronzeo col
Convito di Erode è esempio già
maturo della tecnica donatelliana dello "stiacciato" per ottenere una perfetta
graduazione prospettica dei piani. Più evidenti tali influenze sono
invece nella struttura architettonica del sepolcro di San Giovanni XXIII
(1425-27 circa Firenze, Battistero) e nel sepolcro del cardinale Brancacci
(1427, Napoli, Sant'Angelo a Nido), dove spetta a
D. solo il rilievo con
l'
Assunzione della Vergine. Dopo il 1430, le ricerche di
D.
sull'antico si fecero più intense (del 1433 è un altro viaggio a
Roma) ed ebbero come frutto opere fondamentali: il
David bronzeo del
Bargello (1430-33), nel quale alla neo-ellenistica eleganza del giovane corpo
ignudo si unisce l'assorta consapevolezza del volto infantile; la
Cantoria
del Duomo (1433-39, Firenze, Museo dell'Opera del Duomo), dove si svolge
ininterrotta una sfrenata danza bacchica di putti; lo stesso motivo, frenato e
maggiormente composto dall'inquadratura architettonica di Michelozzo, è
ripreso nel pulpito esterno della Cattedrale di Prato (1429-38). In nessun'altra
opera scultorea del Quattrocento come in queste di
D. il repertorio di
motivi decorativi tratto dall'antico è interpretato con tanta
libertà e fantasia, continuamente interpolato a reminiscenze tardo
antiche, paleocristiane e cosmatesche (si vedano i veri e propri capricci
decorativi dell'
Annunciazione di Santa Croce, 1428-33). Tra il 1435 e il
1443,
D. lavora su commissione di Cosimo de' Medici alla decorazione
della Sacrestia vecchia di San Lorenzo, eseguendo 8 medaglioni in stucco dipinto
(
Evangelisti e
Storie del Battista), due sovraporte anch'esse in
stucco, con figure di Santi, e due porte bronzee, scompartite in formelle con
figure di
Martiri e
Apostoli. Nel 1443
D. si
trasferì a Padova dove la sua presenza (fino al 1454) fu fattore
determinante per l'evoluzione dell'intera civiltà artistica
settentrionale: qui egli creò, nel monumento equestre al Gattamelata
(1447-53) una versione moderna dei monumenti romani, ultimo suo omaggio al
"classico" sia pur incrinato dal realismo, per nulla eroicizzato, del volto del
condottiero, e iniziò col grande complesso dell'
Altar Maggiore
nella Basilica del Santo (1446- 50), l'ultima fase della sua attività.
Attualmente l'altare, smembrato alla fine del Cinquecento e malamente ricomposto
dal Boito (1895; tentativi più corretti di restituzione sono stati fatti
da critici più moderni), è composto da sette statue bronzee (il
Crocefisso era originariamente destinato ad altro altare), 4 bassorilievi
in bronzo con
Miracoli di Sant'Antonio, altri 5 bassorilievi e 12
targhette bronzee minori e il bassorilievo in pietra con la
Deposizione;
in questo insieme di straordinaria drammaticità,
D. volutamente
distrugge l'ideale umanistico.
D. ha avvertito con la sua estrema
sensibilità per le situazioni storiche, il progressivo dissolversi degli
ideali dell'Umanesimo, e le opere dell'ultimo periodo fiorentino sono immagini
di angoscia esistenziale, di meditazione sul dolore e sulla morte; un'ultima
fiammata di passione corrode la forma della
Maddalena lignea del
Battistero (1454-55) o le figure dei due
Pulpiti bronzei di San Lorenzo
(1460, ancora non ultimati alla morte di
D. e in parte eseguiti da
aiuti). Protagonista e simbolo di un'intera civiltà figurativa,
D.
ne ha consumato così fino in fondo la crisi, sulla base della quale si
sarebbe aperta una nuova via per artisti che molto gli devono come formazione,
tra i quali Leonardo e Michelangelo (Firenze 1386-1466).